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"Quanto costa un non governo", di Angelo De Mattia

«La ripresa, pur moderata, prevista per la parte finale dell’anno è minacciata dall’imprevedibilità del quadro politico interno e dal riemergere di turbolenze finanziarie nell’area dell’euro che potrebbero incidere sulla fiducia degli operatori e sull’attività di investimento»: lo ha detto Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia.

Parole pronunciate sabato scorso a Perugia durante un intervento su «Banche, finanza, crescita». Le turbolenze evidentemente si riferiscono alla situazione che si è determinata con il primo piano di risoluzione della crisi finanziaria di Cipro rivisto con le nuove decisioni che, se fugano un immediato effetto-domino attraverso il panico che si potrebbe causare incidendo con un prelievo forzoso sui depositi bancari, anche quelli minori, tuttavia avranno bisogno di misure applicative e chia- rimenti ulteriori, sicché non si possono considerare del tutto superate le preoccupazioni di una estensione del «focolaio» sia pure assai circoscritto.

L’imprevedibilità del quadro politico, alla quale Panetta si riferisce, è evidente in queste ore nelle quali Pierluigi Bersani si sta apprezzabilmente sforzando, tra non poche difficoltà, di condurre in porto un tentativo che darebbe all’Italia finalmente un governo e una prospettiva capace di risolvere le incertezze che sono riaffiorate in queste settimane circa l’evoluzione dell’economia, come ha detto il vicedirettore generale. Il quale ha poi sviluppato il discorso su una serie di misure, di razionalizzazione e di innovazione, che concernono il sistema bancario, perché possa essere, ancora una volta, un caposaldo nel rilancio dell’economia italiana. Ma il «primum movens» resta la rimozione dell’indeterminatezza.

Le parole della Banca d’Italia andrebbero ascoltate con particolare attenzione. Si potrebbe prevedere che nell’ultima parte dell’anno muterà da meno a più, sia pure per quantità minimali, il segno della crescita per poi vedere impressa una svolta maggiore nel 2014: un piccolo, ma significativo passo avanti. Tuttavia, se si dovesse aprire una fase di defatiganti trattative che malauguratamente portassero a un punto morto nel quale l’unico sbocco fossero le elezioni anticipate, allora neppure questo riduttivo cambiamento sarebbe realizzabile perché l’indeterminatezza peserebbe su investitori e risparmiatori, mentre il confronto elettorale non sarebbe di per sé garanzia di un mutamento nei «pesi» dei partiti competitori tale da rendere possibile e facile la formazione di un nuovo esecutivo. A maggior ragione se il tutto venisse affrontato con l’attuale legge elettorale.
Se un ulteriore blocco dovesse esservi con il risultato del voto, allora le incertezze si moltiplicherebbero e la via di Weimar si ripresenterebbe. Altro che governo dell’economia. Altro che prospettiva di ripresa congiunturale. Altro che stabilità, di cui l’Italia, l’impresa e le banche hanno bisogno.

Se l’espressione del presidente della Confindustria – «siamo alla fine» – può apparire cruda, essa tuttavia trae alimento da una situazione in cui il bisogno di governabilità è pressante, mentre la via belga, a volte addirittura apprezzata nel nostro Paese, sarebbe una sciagura perché quest’ultimo, il terzo partner dell’Ue, non potrebbe di certo rimanere privo di un esecutivo per lunghi mesi come è accaduto per il Belgio. Non si trascuri poi che in una condizione come quella di «color che son sospesi» basterebbe il manifestarsi di ulteriori turbolenze in campo internazionale per aggravare le difficoltà. Un corpo convalescente sarebbe colpito da una nuova infezione. Del resto, proprio il Pdl – dal quale viene l’invito a concentrarsi su temi economici piuttosto che su provvedimenti di riforma quali la regolazione del conflitto di interesse o l’anticorruzione – dovrebbe ritenere essenziale la formazione del governo anziché porre con crescente enfasi il ricorso a nuove elezioni, al di là della condivisibilità o meno dell’intento di vedere accantonate quelle ipotesi di riforma che, invece, hanno pure evidenti ricadute economiche.

Sarebbe dunque bene insistere nel tentativo di giungere, da parte di Bersani, a una positiva verifica delle condizioni per varare un governo che, se conseguirà un esito positivo, di per sé costituirà di fatto un primo impulso riformatore. Gli interessi generali sono in ballo, come frequentemente sottolinea il presidente della Repubblica.

Reddito, occupazione, investimenti, consumo non beneficeranno di certo dall’aprirsi di una fase di almeno tre mesi che malauguratamente dovesse portare a un bis elettorale, do- po l’elezione del Capo dello Stato. È nei momenti di rilevanti difficoltà che si è riusciti in una sorta di quadratura del cerchio tra visio- ni di parte e interessi del Paese. Anche questa volta, se lo si guarda dal solo angolo visuale dell’economia – che però è fondamentale – il bisogno di certezze è impellente e non lo si soddisfa senza un governo da costituire in tempi rapidi.

L’Unità 26.03.13

PD al Senato presenta ddl contro femminicidio

E’ la ratifica della Convenzione di Istanbul. Lo sottoscrivono il presidente del gruppo Luigi Zanda e, tra gli altri, Valeria Fedeli. La senatrice del Pd Anna Finocchiaro ha ripresentato il disegno di legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Oltre che dal presidente del gruppo Pd Luigi Zanda, il disegno di legge è stato sottoscritto finora dalla metà dei senatori democratici, tra i quali Valeria Fedeli, Silvana Amati, Maria Teresa Bertuzzi, Rita Ghedini, Manuela Granaiola, Leana Pignedoli, Roberta Pinotti, Filippo Bubbico, Rosaria Capacchione, Felice Casson, Rosa Maria Di Giorgi, Miguel Gotor, Luigi Manconi, Andrea Marcucci, Riccardo Nencini, Francersca Puglisi, Laura Puppato, Angelica Saggese e Magda Zanoni ed è ancora in corso la raccolta delle firme.

“Il 27 settembre 2012 – spiega Anna Finocchiaro – il ministro Fornero ha sottoscritto a Strasburgo, per l’Italia, la Convenzione del Consiglio d’Europa contro il cosiddetto femminicidio e la violenza di genere. Si è trattato di un atto importante che è venuto con il mandato del Parlamento, visto che era stata approvata una nostra mozione di impegno specifico al governo. Ora è necessario dare corso alla ratifica, bloccata a causa del termine della legislatura. La Convenzione è, infatti, fondamentale per la prevenzione e il contrasto perché definisce e punisce la violenza contro le donne basata sul genere, enfatizzando il carattere discriminatorio di ogni violenza che sia ‘diretta contro una donna in quanto tale’ e istituisce un Gruppo internazionale di esperti indipendenti con l’incarico di monitorare l’attuazione del trattato da parte degli Stati aderenti. Il contrasto al femminicidio e alle violenze contro le donne, come è noto, riguarda anche il nostro Paese. Basti pensare che il 76 per cento delle violenze avviene in Italia ad opera di ex partner, mariti, compagni o persone conosciute. Non a caso il Rapporto sulla violenza contro le donne redatto per il Consiglio dei diritti umani dell’Onu da Rashida Manjoo afferma che ‘in Italia sono stati fatto sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche. Questi atti non hanno però portato a una diminuzione dei femicidi e non sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine’. Crediamo dunque – conclude Anna Finocchiaro – che sia fondamentale introdurre nell’ordinamento italiano questo importante strumento di prevenzione e lotta a un fenomeno di natura soprattutto culturale”.

da www.partitodemocratico.it

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Anche alla camera é stata depositata la legge e si stanno raccogliendo le firme

"Ferie da pagare ai precari, ministero e sindacati ai ferri corti", di Carlo Forte

É scontro aperto tra i sindacati e l’amministrazione scolastica sulla questione della monetizzazione delle ferie dei precari. Il ministero dell’istruzione ha emanato infatti una circolare, che reca i modelli di contratto per le supplenze. E nei modelli c’è una clausola che dà attuazione alla riduzione del numero delle ferie non godute monetizzabili già da quest’anno.

I sindacati, invece, sono concordi nel ritenere che le nuove disposizioni si applicheranno solo dal 1° settembre prossimo. Per gettare acqua sul fuoco la direzione del bilancio di viale Trastevere ha anche interpellato l’ufficio legislativo. Ma l’ufficio ha risposto picche. Nel senso che secondo gli esperti di diritto del ministero le nuove disposizioni si applicano fin da ora. E dunque la direzione generale avrebbe già preparato una circolare che ricalca tale parere. Circolare la cui bozza è stata letta ai rappresentanti sindacali, in un recente incontro a viale Trastevere, dal direttore Ugo Maria Filisetti in persona. E che è stata bocciata all’unisono da tutti i sindacati: Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda-Unams. Che hanno anche minacciato azioni legali se l’amministrazione dovesse irrigidirsi su tale posizione di chiusura. D’altra parte gli elementi per un azione su larga scala ci sarebbero tutti. La questione è nata l’anno scorso, dopo che il governo ha emanato il decreto legge 95/2012. Nel provvedimento, infatti, c’è una disposizione che impone ai dipendenti pubblici di fruire delle ferie nei periodi a tal fine indicati nelle normative che regolano i settori di appartenenza. E in caso di mancata fruizione preclude la possibilità di percepire qualsivoglia indennità sostitutiva. La norma non tiene conto del fatto che la Suprema corte ha chiarito a più riprese che, se la mancata fruizione è dovuta a cause indipendenti dalla volontà del lavoratore l’indennità va attribuita in ogni caso. E lo stesso legislatore, nella relazione illustrativa del provvedimento aveva evidenziato la necessità di intervenire con una norma speciale per escludere i precari della scuola dall’applicazione della preclusione. Ciò per evitare di esporre l’amministrazione a giudizi con sicura soccombenza. Anche e soprattutto in considerazione del fatto che le supplenze temporanee non consentono la fruizione delle ferie (che il contratto prescrive nei mesi estivi) perché i periodi di lavoro non sono sufficientemente lunghi. E quindi, la materia è stata fatta oggetto di un ulteriore provvedimento, con il quale i precari della scuola sono stati parzialmente esonerati dalla preclusione (art. 1, commi 54 e seguenti della legge 228/2012). Anche se il mantenimento del diritto alla monetizzazione assume rilievo «limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie».E in più la stressa norma prevede l’obbligo di fruizione anche nelle vacanze di Natale, Pasqua e durante i ponti. Tradotto in denaro, la novità dovrebbe avere come effetto l’alleggerimento delle tasche dei precari nell’ordine del 60% della somma precedentemente spettante. Che per un lavoratore ad orario pieno poteva raggiungere anche i 1500 euro. Resta il fatto, però, che la stessa disposizione della legge 228/2012 che introduce queste novità prevede che la disapplicazione della normativa contrattuale avverrà a far data dal 1° settembre 2013. Fino ad allora, dunque, dovrebbe continuare a trovare applicazione la disciplina più favorevole che consente ai supplenti di fruire pienamente del diritto all’indennità sostitutiva. Senza obbligo di fruizione delle ferie durante l’anno.

da ItaliaOggi 26.03.13

"I sindacati: è un dramma, serve un governo subito", di Antonello Masci

C’è una richiesta che accomuna tutte le forze sociali ricevute ieri dal presidente del Consiglio incaricato, Pierluigi Bersani, ed è che il governo si faccia «ad ogni costo»: perché è urgente, perché la situazione è tragica e perché – come aveva detto l’altro giorno il leader di Confindustria Giorgio Squinzi – «l’ossigeno sta per finire». E comunque, con il pomeriggio di ieri Bersani ha concluso la consultazione a tappeto di tutte le forze della società civile e del lavoro, che vuol dire il mondo delle imprese e quello sindacale, ma anche le organizzazione ambientaliste e della cultura, ma anche le organizzazioni giovanili nonché personalità di alto prestigio nell’impegno sociale, come don Luigi Ciotti. E se il mondo produttivo e del lavoro ha sollecitato un rapido varo dell’esecutivo, anche nel merito delle richieste ha saputo indicare delle priorità comuni e ricorrenti. Per esempio tutti hanno indicato l’urgenza di saldare i debiti delle amministrazioni pubbliche ma anche il taglio dei costi della politica. Su quest’ultimo punto il segretario della Uil, Luigi Angeletti, ha ricordato una ricerca prodotta dal suo sindacato che calcola in 135 mila le persone che vivono di politica in senso stretto, in quanto eletti a qualche carica pubblica. Dopo di che – com’era prevedibile – le organizzazioni imprenditoriali hanno segnalato priorità differenti da quelle dei sindacati. Rete Imprese Italia, la cui delegazione era guidata dal presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, ha illustrato un’agenda con due punti prioritari in materia politica (i costi della politica e una nuova legge elettorale) e quattro in campo economico: cancellare l’aumento dell’Iva che scatterebbe a luglio, rivedere la pressione fiscale per famiglie e imprese, riaprire i cordoni del credito e semplificare la burocrazia.

Molto schematiche le istanze dei sindacati. La Cgil ha ricordato l’urgenza di saldare i debiti delle amministrazioni pubbliche, così come quella di allentare il patto di stabilità dei comuni affinché possano ripartire cantieri e investimenti, ma ha anche proposto un taglio dell’Imu sulla prima casa fino a un tetto di mille euro.

I debiti dello Stato verso le imprese è stato segnalato anche dal numero uno della Uil, Luigi Angeletti, il quale ha chiesto anche di intervenire sulla tassazione del lavoro. Così come ha fatto Bonanni, aggiungendo l’emergenza dell’evasione fiscale.

Le associazioni ambientaliste hanno chiesto un cambio di passo sulla green economy consegnando un documento in 10 punti. Mentre le associazioni giovanili non potevano non segnalare il dramma che si chiama disoccupazione, sottoccupazione e precarietà. Bersani ha dimostrato di aver capito l’antifona e ha concluso: «Lo so, serve un governo. E un governo che faccia miracoli».

La Stampa 26.03.13

"L’etica tedesca e lo spirito dell’euro", di Marcello De Cecco

Quando le elezioni politiche tedesche si saranno finalmente svolte in settembre finirà la più lunga campagna elettorale del dopoguerra, che dura da non meno di tre anni. Tra i molti mali che questa lunghissima campagna avrà scatenato bisognerà contare, forse al primo posto, il ritorno massiccio della morale in politica. Pareva che la riunificazione tedesca, tanto caparbiamente voluta e preparata in silenzio da uomini poco interessati alla ribalta, come il ministro degli esteri Genscher e persino il Cancelliere Kohl, fosse da citarsi come il trionfo della realpolitik, basata su una apparenza di motivazioni ideologiche e nei fatti ben ancorata agli interessi elettorali di Kohl e alla necessità di espansione dell’industria tedesca.
Al contrario, il costo enorme dell’annessione dei sette laender orientali, sebbene sopportato anche dai paesi dell’Unione Europea, che acconsentirono che l’operazione di annessione fosse finanziata come se si trattasse dell’entrata nella Ue di uno stato sovrano, fu accettato in silenzio dagli altri stati membri. Ma la gran parte della ricostruzione della Germania Est per portarla agli standard dell’altra Germania, distruggendone allo stesso tempo l’industria con un tasso di cambio proibitivo, l’hanno dovuta finanziare i cittadini della Germania Ovest con le loro tasse.
La mancanza di trasparenza della gigantesca operazione ha ispirato nei tedeschi dei laender
occidentali il desiderio di non farsi imporre, in futuro, altri simili salassi, un rigetto di quella che hanno percepito come una carità obbligatoria, che credono sia costata loro molto cara. Da allora si sono mostrati fortemente restii a finanziare altri salvataggi, ancor meno trasparenti e comprensibili, coi loro soldi, senza neppure l’alibi dell’aiuto a fratelli separati e oppressi per decenni.
Proprio allora invece è iniziata la fase di turbolenza del sistema economico e finanziario internazionale, ed è stato necessario che la Germania, paese centro dell’Europa, mentre espugnava tutti i mercati europei con una politica di neo mercantilismo aperto, comprendesse, come fecero gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, che ad essa si richiedeva di fare una politica di espansionismo proiettata verso l’esterno, guardando ai propri interessi di lungo periodo. Essa doveva avere come caratteristica principale la capacità di finanziare la domanda dei paesi periferici dell’Europa.
Ma è proprio quel che una buona parte dei tedeschi si rifiuta di fare, aizzata da partiti politici che invitano i cittadini a non vedere la trave nei propri occhi ma a concentrarsi sulle traveggole degli occhi dei vicini. Parlamento, giornali popolari e altri mezzi di comunicazione, per non parlare della ineffabile corte costituzionale di Karlsruhe, si sono dati a un’orgia di moralismo nei confronti dei debitori dei tedeschi.
Motivi ai quali appigliarsi ce ne sono, a iosa. Basta guardare ai costi della politica in Italia e agli episodi assai numerosi di illegalità e immoralità pubblica dell’Europa periferica. Agli sprechi di opere pubbliche costosissime e inutili, alla incapacità di portare le proprie industrie a livelli più elevati di ricerca e innovazione.
Quel che manda letteralmente in bestia i cittadini tedeschi, inoltre, è il ritorno dell’immagine della dominazione nazista che la celebrazione della virtù germanica, tradotta in severità nei confronti dei debitori, ha suscitato nei paesi debitori. Ogni dimostrazione popolare contro l’austerità si trasforma così in esibizione di quell’armamentario lugubre, che richiama un passato che i tedeschi credevano essersi messi alle spalle e che invece è tornato a dannarli nell’Europa periferica.
Essi non sembrano ricordare quando i debitori, nel secondo dopoguerra, erano loro e il creditore lo zio Sam, che andava infestando del proprio imperialismo il mondo intero, suscitando le pubbliche rivolte dei giovani di Berlino e del resto della Germania. Il tempo delle bandiere a stelle e strisce bruciate è tramontato e le bandiere da bruciare a Atene, Roma o Madrid sono — ahimè — quelle della Repubblica Federale.
“Dopo tutto quel che vi stiamo dando”, ormai apertamente dicono i tedeschi sui loro giornali, “ci trattate così”. D’altronde, la riconoscenza e la carità cristiana non fanno parte della dottrina di Lutero. Non erano state parte nemmeno dell’atteggiamento del neo creditore americano dopo la prima guerra mondiale, quando Coolidge si rifiutò di cancellare i debiti inglesi, (“ma il denaro lo avevano preso a prestito, no?”), inducendo una reazione a catena che, dalle dichiarazioni morali passò al nazionalismo intraeuropeo, giungendo alla catastrofe della crisi internazionale, dell’ascesa di un folle al timone di uno dei più sviluppati paesi del mondo, e alla catastrofe della seconda guerra mondiale.
Ora che le Tesi di Lutero sembrano tornare di moda, i tedeschi fanno marciare il nostro continente verso la disunione e l’abisso. L’ultimo episodio insegna di nuovo. Quel che a Cipro bisognava fare in silenzio e velocemente, e preferibilmente prima che l’esplosione si verificasse, la campagna elettorale tedesca ha voluto che si discutesse come se a quel punto ci fosse, per l’Europa, una vera scelta alternativa rispetto al salvataggio delle banche cipriote. Quasi nessun interesse hanno destato in Germania le rivelazioni dello Spiegel, che le banche russe erano sì le prime creditrici delle banche dell’isola dove
nacque Venere, ma che subito dopo, anche se a debita distanza, venivano i sette miliardi di euro di depositi accumulati dalle banche tedesche in quelle cipriote.
A complicare ancora le cose viene poi una inedita dimensione di revival della guerra fredda. La supposta debolezza della Russia, e la aggressività dei suoi finanzieri e oligarchi, ha suscitato una sorta di rivolta morale dei cittadini tedeschi, aizzati dai propri media e dalla bassa cucina elettorale dei maggiori partiti. L’idea di far pagare lo scotto ai russi, tassando i depositi di grande dimensione nelle banche cipriote, punendo l’illegalità e magari anche il riciclaggio di denaro criminale, è quindi balenata alle menti tedesche, travestita da necessità di esigere dai ciprioti (solo adesso) il rispetto della legalità comunitaria.
Ma questa battaglia altamente morale in superficie, che trascura il ruolo delle banche tedesche nella vicenda e la sua vera essenza, di volgare
realpolitik, è un giocare col fuoco, perché risveglia il dormiente nazionalismo russo, rinfocola quello tedesco, antirusso, assai più e assai prima che antisovietico, e dà agli astuti anche se deboli governanti ciprioti spazio per imbastire pericolose quanto velleitarie operazioni di arbitraggio nei confronti dell’Europa.
Ognuno sembra vedere solo la propria politica interna e tende a usare i rapporti con le altre nazioni come se non si trattasse di una corda sottile, che può facilmente spezzarsi e dare inizio, in Europa, a una nuova epoca grifagna di sacri egoismi, travestita di panni altamente morali. È triste vedere di nuovo gli uomini politici usare termini ipocriti, che non si erano più sentiti da decenni. Ai giovani, che non possono ricordare come andò a finire la prima volta, si propongono idee stantie, il cui puzzo di muffa dovrebbe rendere prudenti gli apprendisti stregoni che credono di usarle a loro vantaggio, in contese elettorali e di potere mal travestite da battaglie ideali.

La Repubblica 26.03.13

«Partiamo dall’economia reale. La mia proposta aperta a tutti», di Simone Collini

A insistere sul punto, mentre nella Sala del Cavaliere c’è Giorgio Squinzi, è Enrico Letta: «Un governo Pd-Pdl sarebbe paralizzante». Il presidente di Confindustria ha appena consegnato a Pier Luigi Bersani il grido d’allarme delle imprese, spiegato a segretario e vice del Pd che serve in tempi rapidi «un governo stabile» e in grado di affrontare «in via prioritaria i temi dell’economia reale». Né l’una né l’altra cosa, è la risposta, sarebbero possibili attraverso le larghe intese. Anche nella versione per così dire minima rappresentata dal governo tecnico, insiste Letta, diversi provvedimenti sono stati accantonati, abbassati di livello, disconosciuti.

Bersani non ha bisogno di ribadirlo. Da questi due giorni di consultazioni con le parti sociali ha avuto la conferma che serve un governo che abbia «come cifra l’economia reale», dopo i disastri provocati dalle politiche neoliberiste e questo anno e mezzo in cui hanno pesato le posizioni del centrodestra. «La strada è stretta ma è la più sensata, ancorché stretta», ribadisce Bersani chiudendo a ogni ipotesi di governo Pd-Pdl. «Tutte le altre strade mi sembrano più complicate, meno forti». La strategia del «doppio registro», come la definisce il segretario Pd, è secondo lui l’unica in grado di garantire un governo capace di portare quel cambiamento necessario al Paese dal punto di vista sociale, economico e anche della legalità e della moralità pubblica. Linea che ribadirà oggi pomeriggio, dopo aver incontrato le delegazioni di Cgil, Cisl, Uil, Ugl e anche Don Ciotti, davanti ai deputati e senatori del Pd e poi nuovamente stasera alla Direzione del partito, da cui vuole uscire con un mandato pieno a perseguire la strada del «doppio binario» in vista delle consultazioni con le altre forze po- litiche che si aprono domattina. In pratica: governo di cambiamento costruito attorno agli otto punti illustrati all’indomani del risultato elettorale e apertura al confronto sulle riforme istituzionali con tutti, dal Pdl alla Lega, da Scelta civica al Movimento 5 Stelle.

NODO RIFORME, PARTITA DEL COLLE

Canali di comunicazione con gli altri partiti presenti in Parlamento, in realtà, già sono stati aperti. E il contenuto dei messaggi che si stanno scambiando in queste ore non è poi così diverso dalle dichiarazioni rilasciate pubblicamente. Nel giorno in cui Angelino Alfano manda a dire che «non si può fare a meno» del Pdl, Bersani spiega che «ogni forza parlamentare può essere in grado di vedere qualcosa di positivo» nella strada prospettata per uscire dall’impasse. Con l’aggiunta: «Poi le forze parlamen- tari si prenderanno le proprie responsabilità».

Il concetto su cui stanno insistendo i democratici con i loro interlocutori è che la proposta di Bersani è rivolta a tutti, che l’assenza di un accordo politico sul governo può garantire una maggiore autonomia delle diverse forze politiche e quindi una maggiore attività legislativa, e che inoltre nell’ambito del confronto sulle riforme istituzionali il Pd è disposto a dare le responsabilità maggiori ai partiti che non entreranno nell’esecutivo. Compresa la presidenza della commissione che dovrebbe discutere delle riforme di cui si discute da anni senza arrivare a risultato, dalla legge elettorale al superamento del bicameralismo perfetto alla riduzione del numero dei parlamentari.

C’è però anche una questione che il Pdl vuole affrontare già da ora, nonostante sarà di attualità nella seconda metà di aprile, quella riguardante il nome del prossimo Capo dello Stato. La risposta data dagli emissari del Pd è che il Quirinale non può essere oggetto di trattative e che non verrà accettato alcuno scambio tra via libera al governo e partita del Colle. C’è poi anche un’altra risposta che il Pd ha dato al Pdl: se entro la prossima settimana nascerà l’esecutivo Bersani, poi il mese prossimo potrà esserci un confronto quanto più ampio possibile sul nome del nuovo Capo dello Stato; viceversa, Berlusconi e soci devono tener presente che il centrosinistra con i suoi 345 deputati, 123 senatori e la trentina di delegati regionali che saranno presto eletti è molto vicino ad avere i numeri per decidere in autonomia il prossimo inquilino del Colle. E comunque per poterlo fare insieme a Scelta civica o al Movimento 5 Stelle.

NIENTE RISPOSTE DAI CINQUESTELLE

Il messaggio è stato recapitato e ora la risposta da parte del Pdl è attesa alle consultazioni che Bersani sta svolgendo a Montecitorio. Tra domani e mercoledì il segretario del Pd incontrerà tutte le forze politiche presenti in parlamento, con un’incognita: a ieri sera, dal gruppo dei Cinquestelli non è arrivata alcuna risposta alla lettera di convocazione inviata dopo che Napolitano ha dato a Bersani l’incarico a «verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo» tale da garantire la formazione di un governo.

L’irritazione nei confronti di Beppe Grillo si fa sentire, anche perché gli attacchi sferrati dall’ex comico a Boldrini e Grasso vengono giudicati un attacco a freddo e ingiustificato, se non per il semplice scopo di alimentare la polemica. «Bisogna che Grillo si renda conto che non ha il monopolio del cambiamento», dice Bersani incontrando i giornalisti al termine della seconda giornata di consultazioni. «Anzi, attenzione che continuando a distruggere ogni segno buono di cambiamento non si sa dove si arriva». Entro mercoledì sera si capirà se il tentativo di Bersani è andato a buon fine.

L’Unità 25.03.13

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Le imprese da Bersani «Subito il governo»di Bianca Di Giovanni

«Non c’è rimasto molto tempo, siamo vicinissimi alla fine». Parole pesantissime quelle che il presidente Giorgio Squinzi pronuncia davanti alla stampa all’uscita dell’incontro con Pier Luigi Bersani e Enrico Letta. Nel colloquio a porte chiuse (e senza streaming) era stato ancora più preciso sui giorni di ossigeno che ancora possono tenere in vita il sistema manifatturiero italiano. «Banca d’Italia sta chiedendo alle banche di rafforzare i parametri patrimoniali a fronte di incagli e sofferenze causati dalla crisi – avrebbe spiegato il leader degli industriali – quindi a maggio, quando partiranno le ricapitalizzazioni, la stretta sul credito sarà ancora più forte. Già oggi ci sono imprese con 300 milioni di patrimonio e con un buon portafoglio di ordinativi, che chiudono perché non hanno un euro in cassa». Un fotogramma disarmante.

TEMPI STRETTI

Poche settimane prima del baratro. Per questo a Viale dell’Astronomia non basta l’impegno (ma manca ancora il decreto) di Mario Monti a rimborsare 20 miliardi di debiti della Pa entro fine 2013 e altrettanto nel 2014. Troppo poco, troppo tardi. Quei crediti, vanno onorati subito, pena la dissoluzione del sistema Italia. Tanto più che l’operazione ha già ottenuto il semaforo verde dell’Ue. Un appello raccolto subito dal segretario Pd. «Voglio incoraggiare questo governo a procedere con rapidità con quanto promesso», dichiara Pier Luigi Bersani al termine dei colloqui. E non solo. Il leader Pd aggiunge che «il
prossimo governo dovrà avere come cifra l’economia reale e la vita comune dei cittadini. Se non mettiamo lo sguardo sulla concretezza della vita reale non troviamo il bandolo per le soluzioni e neanche per una ripresa di fiducia».

Stesso auspicio espresso da Squinzi, che ha parlato di «estrema preoccupazione» indicando come priorità assoluta un governo che metta in primo piano «l’economia reale, le imprese e l’occupazione». D’altronde i numeri parlano da soli, e Squinzi li ripete come un bollettino di guerra. «Abbiamo 3 milioni di disoccupati, tra i giovani la quota di senza lavoro tocca il 25%, e senza le imprese è impossibile creare occupazione». Le formule per evitare il declino Confindustria le ha già annunciate per tempo in un dossier presentato a tutte le forze politiche: Squinzi lo mostra alla stampa, invitando a prendere nota. Le misure sono molte, e interconnesse tra loro: tra queste lo sgravio Irap sulla componente lavoro. Quanto all’occupazione, Squinzi conferma l’orientamento degli industriali a modificare la riforma Fornero, anche se a Montecitorio non specifica in quale direzione. Se si parte dall’economia reale «Confindustria è disponibile a dare il supporto necessa- rio», chiarisce il presidente. Ma a prevalere su tutto è il tempo: bisogna muoversi subito contro il declino.

L’allarme resta a livelli altissimi anche quando interviene l’Alleanza delle cooperative, che pure ricorda come in tempo di crisi le coop siano riuscite ad aumentare l’occupazione dell’8%. I due pilastri, sottolineati da tutti, restano lo sblocco dei crediti della Pa e quello degli investimenti dei Comuni. Con queste due immediate operazioni la linfa tornerebbe a circolare.

«I problemi del Paese oggi sono acuti – dichiara Giuliano Poletti (Legacoop) attuale presidente dell’Alleanza – non abbiamo più tempo davanti per non scegliere, per non compiere atti che diano fiducia a imprese e lavoratori». Anche qui è il tempo a fare la differenza. Per questo i cooperatori sostengono lo sforzo di costruire un governo. «Non siamo soddisfatti della posizione del governo Monti sul tema dei crediti con la Pa perché le aziende chiudono ogni giorno – dichiara – e non possiamo ammettere che non sia chiaro quando e come la Pa pagherà i suoi debiti». Tra le richieste, anche l’allentamento del patto di stabilità interno con i Comuni per far ripartire gli investimenti, e ultimo ma non di minore importanza, interventi sul credito. La mancanza di liquidità resta il problema numero uno e Poletti accenna anche a risorse europee, magari favorite dalla Bce. Francoforte stavolta dovrebbe pensare all’economia reale e non solo alla finanza. Poletti difende il modello cooperativo come l’unico che in questi momenti di crisi può costituire una risposta efficace.

Insomma, è stato un coro unanime quello del mondo produttivo rivolto a Monti, perché sui crediti agisca senza esitazioni. Il pressing non è solo delle imprese. La stessa cosa hanno detto i banchieri. Se quelle somme venissero pagate, diminuirebbero sofferenze e incagli, dando modo alle banche di avere più margini per riattivare il credito. Anche Antonio Patuelli, presidente Abi, ha auspicato l’immediata formazione di un governo, perché «serve un interlo- cutore istituzionale nella pienezza delle proprie responsabilità in modo da sviluppare ogni iniziativa, anche di emergenza, per il Paese».

l’Unità 25.03.13

"Un'incognita pesa sul 5 per mille", di Carlo Mazzini

Le organizzazioni non profit aspettano con crescente apprensione le liste sui dati del 5 per mille 2011 (numero di sottoscrittori e importi), necessari per valutare le attività realizzabili con le somme che si presume inizieranno a incassare a partire dal prossimo autunno. Quando avranno a disposizione le cifre complessive riportate negli elenchi, che si stimano di prossima diffusione, gli enti sapranno anche se il ministero dell’Economia avrà proceduto nuovamente al taglio di fatto delle somme destinate dai contribuenti, come successe lo scorso anno sui risultati del 2010, e come ammise il ministro dell’Economia Vittorio Grilli nel dicembre scorso.
Quello che è certo è che, dalle statistiche complessive relativamente al gettito Irpef, si apprende che l’imposta netta procapite per i redditi 2010 è aumentata del 2,5% rispetto a quella del 2009; pertanto le somme – a parità di numero di contribuenti – dovrebbero registrare comunque un incremento.
Frattanto, in relazione al pagamento del 5 per mille 2010, il ministero del Lavoro ha quasi completato l’erogazione delle somme e gli enti che non hanno ancora incassato l’importo si riconducono a due casistiche: o non hanno comunicato le coordinate bancarie di riferimento, oppure sono stati sottoposti ai controlli delle direzioni regionali delle Entrate in merito alla possibile mancanza dei requisiti soggettivi. Più complessa è la questione relativa alle associazioni sportive dilettantistiche; sono ancora molti i sodalizi sottoposti a controllo dei requisiti, che attendono dal Dipartimento per lo sport insediato presso la presidenza del Consiglio l’erogazione dei contributi relativi perfino al 2008 e al 2009. Gli altri ministeri interessati all’erogazione del contributo, che comunque devono servire una platea molto ridotta di enti, non hanno dato comunicazioni in merito allo stato di avanzamento delle erogazioni.
In questo contesto incerto le organizzazioni hanno iniziato a iscriversi all’edizione 2013, per la quale erano già noti i termini in forza della proroga del Dpcm 23 aprile 2010, attuata con il decreto legge n.95/12, più noto come legge sulla spending review. La norma ha confermato il rifinanziamento di 400 milioni per il 2013. Le indicazioni operative per volontariato e sportive dilettantistiche sono, poi, state riepilogate dalla circolare delle Entrate n.6 del 21 marzo (si veda «Il Sole 24 Ore» di venerdì 22). Il 7 maggio sarà la data ultima di invio telematico di iscrizione per i soggetti compresi nel primo riquadro (detto “del volontariato”, gestito dal Lavoro) e per le sportive dilettantistiche, gestite dal Coni. Per questi settori di attività c’è, inoltre, bisogno di un invio ulteriore della documentazione – dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà – da effettuarsi entro il primo luglio per raccomandata o per posta elettronica certificata (quest’ultima modalità solo per gli enti di volontariato).
La scadenza cade, invece, il 30 aprile per gli enti della ricerca scientifica e dell’università. Stesso termine per la ricerca sanitaria; in questo caso, però, le organizzazioni già incluse nelle edizioni precedenti non dovranno più iscriversi.
Gli enti che intendono partecipare al 5 per mille gestito dal ministero dei beni e delle attività culturali dovranno far riferimento al Dpcm 30 maggio 2012 e alle scadenze lì riportate, tenendo conto che le date prorogate fino a settembre dello scorso anno – a causa della pubblicazione tardiva del decreto – valevano, appunto, solo per il 2012.
A partire dall’anno scorso, inoltre, è possibile per le organizzazioni ritardatarie sanare il mancato o parziale invio del l’iscrizione telematica e di quella successiva (cartacea), grazie alla remissione in bonis disposta con decreto legge n. 16/12, che prevede che chi sia in possesso dei requisiti soggettivi per l’iscrizione al 5 per mille possa iscriversi o integrare la documentazione mancante entro il 30 settembre, versando contestualmente tramite modello F24 la sanzione di 258 euro (codice 8115).

I numeri
6
Le opzioni
Quest’anno i contribuenti possono scegliere in sei ambiti diversi.
Per le attività sociali dei Comuni e per i beni culturali non serve il codice fiscale degli enti
400 mln
La dote
La copertura finanziaria
del 5 per mille
per l’edizione 2013 (400 milioni di euro) è stata fissata nella legge sulla spending review. Un tetto in passato insufficiente

Il Sole 24 Ore 25.03.13