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Franceschini: “Nessuna trattativa sul Quirinale, Pier Luigi vada avanti”, di Carlo Bertini

Il deputato del Pd: non siamo disposti a rinunciare alle norme anti-corruzione e al conflitto d’interessi.
Franceschini, la prima domanda è scontata: quanto le è pesato sul piano personale non essere eletto presidente della Camera?
«Sarebbe ipocrita dire che non fa piacere sentirsi proporre di fare il presidente della Camera, ma mi hanno insegnato da piccolo che la politica viene prima di ogni aspirazione personale. Forse anche per questo sono veramente avvilito nel vedere che ci sono personalità come Grillo e Berlusconi, che vanno avanti a colpi di slogan e rigidità nel momento più difficile della nostra storia repubblicana: crisi economica e sociale grave, perdita di credibilità della classe dirigente, una legge elettorale che se si tornasse alle urne porterebbe allo stesso risultato e un presidente della Repubblica che non può sciogliere le Camere. Se non si usa il senso di responsabilità in uno scenario di questo tipo, mi chiedo quando non sia il momento di farlo».

Siete disposti a trattare con Berlusconi sul prossimo inquilino del Colle?

«Sul Quirinale non si tratta: si rispettano quorum e procedure scritte dai padri costituenti, che per quel ruolo di garanzia spingono a cercare una larga intesa tra le forze politiche».

Bersani sta arando il terreno per riuscire nell’impresa. Gli ostacoli più grandi sono esterni o interni al suo partito? C’è chi preferirebbe un «governo del presidente»?

«Il Pd di sicuro in varie occasioni del passato non ha brillato per unità ma ora non mi pare che sia questo il problema. Non c’è un dirigente, parlamentare o iscritto che non capisca che il tentativo di Bersani va sostenuto fino in fondo. Intanto non anticiperei le scelte del Presidente della Repubblica, lasciandogli fare con la solita saggezza il lavoro di sempre. Osservo che al di là di tutte le formule, sempre allo stesso nodo si arriva: una maggioranza numerica al Senato. E abbiamo detto più volte che non esistono le condizioni politiche per un governo sostenuto insieme da noi e il Pdl. E dopo il comizio di ieri non ho nemmeno bisogno di spiegarne le ragioni».

Non pagherete pegno con gli elettori se si andasse a votare dopo aver dimostrato che per far nascere un governo Bersani servirebbe la non ostilità del Pdl e i voti della Lega?

«Gli elettori sanno che il partito che ha avuto maggiori consensi deve provare a dare un governo al paese in modo trasparente e alla luce del sole. In una situazione così drammatica per le famiglie e le imprese, bisogna guardare alla sostanza e non alla tattica e alle convenienze. I riflettori ora si sono spostati improvvisamente dai grillini a Pdl e Lega, ma il nostro percorso è sempre lo stesso: se Bersani si presenterà alle Camere, lo farà con una proposta per il paese divisa in due parti: azione sociale ed economica del governo e limitate riforme costituzionali, insieme ad una nuova legge elettorale. Una proposta sulla quale vorremmo che ogni singola forza dicesse sì o no. Non ci sarà nessun cedimento sui contenuti e sarà il Pdl a dire cosa fare rispetto a un governo che farà subito norme anticorruzione e conflitto di interessi, temi a cui non rinunceremmo in nessun modo».

Se si tornasse a votare, anche lei ritiene che Renzi sia la risorsa del futuro?

«Intanto quasi tutti hanno rimosso il fatto che con questa legge elettorale se si rivotasse chi vincerà alla Camera – noi, o Grillo, o il Pdl – non avrà con ogni probabilità la maggioranza al Senato e ci ritroveremo nella stessa identica situazione. Anche per questo il buon senso dovrebbe portare almeno a correggere la legge prima delle future elezioni. Detto questo, in qualsiasi momento si tornasse a votare, la scelta del candidato la faremo con le primarie».

E in quel caso allargherete la coalizione con Monti?

«Tra la vittoria di due populismi, uno già sperimentato nella sua pericolosità, quello di Berlusconi e l’altro pieno di nubi e incognite come quello di Grillo, penso che tutte le culture democratiche, dovrebbero comunque stare insieme. Ma spero che questa scelta sia lontana nel tempo».

La Stampa 24.03.13

Consiglio mafie, parlamentari Pd “Mantenere alta l’attenzione”

I parlamentari Pd impegnati a Roma non saranno presenti lunedì al Consiglio comunale. Nel pomeriggio di lunedì 25 marzo si terrà a Modena un Consiglio comunale tematico in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie a cui parteciperà, tra gli altri, il procuratore Nicola Gratteri. I parlamentari Pd, impegnati a Roma, non potranno essere presenti, ma, colgono l’occasione, per ribadire la necessità di un impegno personale e di tutta la comunità per combattere il radicarsi delle mafie nei nostri territori. Ecco la nota comune dei deputati e senatori modenesi del Pd:

«Lunedì saremo a Roma per impegni istituzionali legati al difficile avvio della legislatura: entrambe le Camere sono state convocate per la comunicazione del presidente del Consiglio relativa al vertice europeo. Non potremo, quindi, partecipare, come invece avremmo desiderato, alla seduta straordinaria del Consiglio comunale di Modena dedicata alla lotta alle mafie. Si tratta di un incontro importante, insieme possibilità di approfondimento sulla diffusione del fenomeno e confronto su quanto sta facendo e dovrà fare la comunità modenese per opporvisi. Che l’infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto economico sano non sia più un problema delle sole regioni del Sud del Paese è un dato ormai, purtroppo, acclarato. Occorre dare strumenti e risorse alle forze dell’ordine e alla magistratura perché possano combattere sul piano investigativo e giudiziario il prosperare delle mafie, soprattutto in tempi di crisi e difficoltà economiche. Ma occorre anche rinsaldare sentimenti di solidarietà, trasparenza e fiducia nell’apparato dello Stato capaci di generare la denuncia di tutti gli episodi, anche i meno eclatanti, e la lotta di tutta una collettività. Le amministrazioni locali e la società civile stanno facendo il loro lavoro. Noi, come parlamentari e rappresentanti a Roma del nostro territorio, ci impegniamo a proseguirlo e rafforzarlo in tutte le sedi di nostra competenza».

"L’occasione del doppio binario", di Michele Prospero

Con l’incarico conferito a Bersani le istituzioni imboccano la strada meno precaria per tentare di rispondere a una crisi di sistema che, dopo il voto, minaccia una lunga paralisi e ingovernabilità. L’assenza di maggioranze certe in un ramo del Parlamento può essere l’occasione per innescare tensioni catastrofiche. La cura della tempesta perfetta scatenata dalle urne potrebbe però anche rivelarsi una crisi di crescita, capace di favorire la maturazione di nuovi equilibri.

Gestire la crisi odierna con intelligenza politica significa anzitutto scongiurare le tendenze alla dissoluzione traumatica della legislatura e privilegiare le residuali forze esistenti per avviare un arduo percorso che assicuri la tenuta del quadro politico in una giuntura critica assai allarmante. Consentire il decollo di un governo inedito per la Seconda Repubblica, come quello affidato a Bersani, e che forse solo in aula potrà mostrare la consistenza dei suoi numeri, sarebbe una prova di raggiunta responsabilità istituzionale e di consapevolezza storica da parte dei nuovi attori del sistema politico.

Quello che tra le difficoltà sta cercando di costruire Bersani è il solo governo politico realisticamente disegnabile nell’attuale situazione parlamentare. Non è pensabile che sul suo cadavere si possano attivare altri circuiti supplementari di ricerca e promozione di maggioranze diverse da quelle politico-elettorali e che le chiavi dell’enigma siano affidate a protagonisti diversi da quelli legittimati nel gioco della rappresentanza. La via stretta, ma non del tutto ostruita, intrapresa da Bersani conduce a una parlamentarizzazione della gestione della crisi di sistema. Altre soluzioni adombrate o rischiano di apparire insensibili (se non provocatorie) rispetto al recente pronunciamento del corpo elettorale (che ha umiliato la strana maggioranza che sorreggeva il governo tecnico facendole mancare circa 10 milioni di voti) o appaiono affrettate, non fondate su solidi presupposti politici e programmatici.

Nelle insidie del momento la politica può tornare a svolgere un ruolo. Racchiude bene il senso istituzionale da imprimere alla nuova stagione politica la formula del doppio binario. Da una parte opera il governo, che sfida i tempi dell’emergenza sociale con segnali di forte innovazione e con provvedimenti urgenti sui quali sarà agevole incassare il necessario sostegno in aula. E, dall’altra, si inserisce il Parlamento, che recupera margini di autonomia funzionale smarriti nel corso del bipolarismo muscolare. Uno scambio trasparente e virtuoso è possibile. Alla responsabilità di non opporsi al varo di un esecutivo di cui non si fa parte, come segno dell’affidabilità democratica dell’intero sistema deve corrispondere la forte valorizzazione del Parlamento. Il ventennio trascorso ha fiaccato più di ogni altro proprio il ruolo, i tempi e i simboli del parlamentarismo con raffiche di voti di fiducia, di maxiemendamenti, di decreti, di deleghe. L’occasionalismo di maggioranza ha anche stravolto il senso autentico del riformismo istituzionale. E, a cominciare dal 2001 per approdare al 2005, delle riforme costituzionali di ampia gittata (nuovo titolo quinto e premierato assoluto) sono state imposte con la dura logica dei numeri, e quindi senza neppure ricercare il coinvolgimento, sempre indispensabile, delle opposizioni.

Proprio un governo che al momento sembrerebbe annunciarsi come un esecutivo di minoranza, la cui formazione non viene osteggiata però al Senato da gruppi decisi a non cavalcare un insano spirito di avventura, può essere un tassello prezioso per restituire piena funzionalità al sistema parlamentare, per aggiustare equilibri delicati nel congegno istituzionale andati inesorabilmente distrutti in questi anni di oscuramento della cultura delle regole.

Con un preciso scadenzario indicato per l’approvazione delle sue proposte essenziali nel campo economico-sociale, con una verifica temporale accurata delle realizzazioni sul terreno dei costi della politica, con un dialogo serio con tutte le forze politiche sulle manutenzioni costituzionali non più rinviabili, quello che si appresta a costruire Bersani si presenta come un governo che, sebbene scaturito da una situazione di eccezione, può contribuire al recupero di funzionalità e credibilità di un sistema altrimenti spacciato e privo di alternative robuste al salto nel buio del voto anticipato annunciato da Berlusconi.

L’Unità 24.03.13

"Iva, Tares e Irpef: la carica delle tasse", di Antonella Baccaro

Una stangata, tra giugno e luglio, di circa 31,8 miliardi di euro. È quello che potrebbe abbattersi sui contribuenti che pagano le tasse a causa della concomitanza di alcune scadenze fiscali. I sindacati Cgil, Cisl e Uil hanno calcolato che, nel giro dei due primi mesi estivi, nelle casse dello Stato potrebbero finire 11,6 miliardi di acconto Imu, 14,4 miliardi di saldo Irpef, 4 miliardi di acconto Tares, la nuova tassa rifiuti che si pagherà in sole due rate (anziché quattro o sei) e 1,8 miliardi derivanti dall’aumento dell’Iva di un punto.
Lo stesso calcolo, su giugno e luglio prossimi, lo ha fatto la Cgia di Mestre relativamente ai lavoratori autonomi e ai piccoli imprenditori che «saranno costretti ad affrontare un vero e proprio “stress test” fiscale e contributivo. Le scadenze, ricordano gli artigiani veneti, saranno numerosissime e riguarderanno i versamenti Inps, la tassa annuale di iscrizione alla Camera di commercio, il pagamento della prima rata dell’Imu e della Tares, oltre all’autoliquidazione Irpef, che prevede il saldo 2012 e l’acconto 2013. Il tutto peserà sulle tasche di questi contribuenti fino a 25.700 euro circa.
Quattro le tipologie simulate dall’Ufficio studi Cgia, a partire dal commerciante che pagherà tra i 4.452 e i 4.676 euro; l’artigiano tra i 6.948 e i 7.206 euro; la società di persone con due soci e quattro dipendenti tra i 17.733 e i 18.409 euro; la società di capitali con due soci e dieci dipendenti tra i 25.401 e i 25.737 euro.
Gli scenari considerati sono due: nel primo sono state utilizzate le aliquote medie dell’Imu e delle addizionali Irpef, nonché la maggiorazione della Tares pari allo 0,3 euro al metro quadrato. Nel secondo, invece, si è immaginato uno scenario più pessimistico, ipotizzando che le Regioni e gli Enti locali elevino sino al valore massimo consentito le aliquote dei tributi interessati da questa scadenza e che la maggiorazione della Tares si attesti a 0,4 euro al metro quadrato.
Proprio sulla Tares si appunta l’attenzione di Cgil, Cisl e Uil che chiedono di «spalmarne il pagamento attraverso più acconti anticipando il pagamento, così come avvenuto per l’Imu lo scorso anno», per non farlo coincidere con quello di altre imposte e tasse. Un modo per tenere presente le esigenze dei cittadini ma anche quelle delle società del settore, in crisi di liquidità a causa dello slittamento all’estate dei pagamenti.
I dati sui redditi del 2011 (dichiarati l’anno scorso), diffusi venerdì dal ministero dell’Economia, dimostrano che i maggiori esborsi dei contribuenti sono stati quelli relativi ai tributi locali, in particolare alle addizionali, che si sono mangiate l’incremento del 2,1% dell’aumento dei redditi.
Anche per il 2013 le Regioni avranno la possibilità di aggiungere all’aliquota base fissata a livello statale e pari all’1,23% un ulteriore 0,5. Una percentuale che è destinata a salire all’1,1% nel 2014 o già da quest’anno per le Regioni sottoposte al piano di stabilizzazione finanziaria.
Ora, secondo l’Osservatorio sulla fiscalità locale della Uil, il 2013 potrebbe portare a un aumento, tra Irpef regionale e comunale, di 149 euro medi. Mentre per l’Irpef comunale l’aumento sarebbe di ulteriori 29 euro medi, il che porterebbe il prelievo fiscale a complessivi 171 euro medi.
Quanto all’Imu e all’aumento dell’Iva di un punto, previsto dal primo luglio, il proposito di rivederne i meccanismi rimane per ora nei programmi elettorali.

Il Corriere della Sera 24.03.13

"Dottor Jekyll e mister Silvio", di Sebastiano Messina

Al ritmo della “tammurriata nera”, e senza neanche bere la pozione magica che trasformava il dottor Jekyll in mister Hyde, ieri pomeriggio il dottor Berlusconi si è nuovamente trasformato in mister Silvio.
E al posto dello statista che diplomaticamente dichiarava di non avere proprio nessuna preclusione verso l’incarico a Bersani, e che anzi notava con intento dialogante come “i suoi otto punti siano in gran parte sovrapponibili ai nostri”, dunque non c’era proprio nessun ostacolo a un’alleanza di governo tra il Pdl e il Pd, ieri è apparso sul palco il suo alter ego. Il quale, a differenza del personaggio di Stevenson, somigliava in tutto e per tutto al gentiluomo che il giorno prima teorizzava con parole soffici la necessità di una Grosse Koalition all’italiana, ma ora parlava con un’altra voce (più tonante, più stentorea) e usava un altro vocabolario.
Intanto ha subito degradato il premier incaricato nel “signor Bersani”, e non c’era in quell’espressione l’incompresa delicatezza del prete che chiama “signora” sua eccellenza il prefetto, ma l’offesa consapevole del capoufficio che vuole umiliare l’impiegato. Poi ha ridimensionato il suo attuale ruolo istituzionale, spiegando con un sorriso ai suoi – felici di offrirgli i loro fischi di approvazione – che il segretario del Pd non ha avuto nulla di più di un “incarico precario”, e insomma non è un quasi-premier ma solo un co.co.co. del Quirinale. Quindi ha tirato fuori dal baule il suo numero preferito: l’anatema contro i comunisti, che sono sempre lì perché “il Pci è diventato Pds e poi Pd, ma loro non sono cambiati mai”, anzi sono diventati così numerosi che a furia di vederne tanti negli studi televisivi – parlava di quei bolscevichi di Floris, Gruber e Annunziata, pensate – “mi è venuta pure la congiuntivite”.
Già, perché a differenza del dottor Berlusconi, che soffriva di uveite (ma ora accusa anche sintomi di legittimo impedimento e presenta segni di legittima suspicione) mister Silvio se l’è cavata con una semplice congiuntivite e dunque può comiziare senza gli occhialoni neri da falso invalido e godersi quella piazza riempita da migliaia di fans accorsi, come dicevano i manifesti, per schierarsi tutti con lui “contro l’oppressione fiscale, burocratica e giudiziaria”.
E se uno ripensa al cancelliere Kiesinger che poté contare sull’appoggio di Willy Brandt, o ad Angela Merkel che ebbe il via libera da Schroeder, viene un brivido a immaginarsi Bersani, “il signor Bersani”, che per far nascere la Grosse Koalition all’italiana deve trattare con questo mister Silvio che già evoca “il golpe” se al Quirinale non dovesse andare un uomo che piace a lui, e che userà anche gli appuntamenti con il presidente incaricato per allontanare di un’altra settimana, di un altro mese le temute sentenze dei suoi processi. Era già molto, molto difficile tentare di stringere un patto con il dottor Berlusconi. Con mister Silvio, però, è impossibile.

La Repubblica 24.03.13

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Sotto il palco tra i figuranti arrivati in pullman “Ci danno 10 euro, arrotondiamo la pensione”, di ALESSANDRA PAOLINI

Il look di Eleonora, sessant’anni o giù di lì, è quello delle trasmissioni del pomeriggio: golfini maculati, stivali sfrangiati da squaw, capelli cotonati biondo platino. È il look di una figurante, ovvero delle persone che riempiono gli studi di programmi Rai e Mediaset. E che ieri si è trovata a piazza del Popolo in uno spettacolo a suo modo speciale. Starring: Silvio Berlusconi.
Ce ne sono tanti come lei all’una davanti al teatro Brancaccio di Roma. Gente del mestiere, che si saluta con affabilità e risponde prontamente agli ordini di Armando, il capo claque. Probabilmente contattato nei giorni in cui non era chiaro che in tanti avrebbero risposto all’appello del Cavaliere. Armando, in total black e cravatta rossa lucida, invece, lavora per “Abavideo provini tv”, società che fa casting per film e pubblicità, e sceglie anche il pubblico per trasmissioni tv. Venire arruolati come fan a pagamento
di Berlusconi non è difficile. Certo, non si diventa ricchi: 10 euro la paga per restare un paio d’ore davanti al palco. «Una miseria», si lascia scappare uno dei figuranti, «ma ho una pensione da schifo e devo arrotondare». Armando ha una lista con le presenze dentro una cartellina col logo del programma “Così è la vita”. Ma basta dire «un’amica mi ha detto di venire al posto suo perché sta male», che subito lui ti accoglie a braccia aperte. Prende nome e cognome e via, «Sei dei nostri». Il lavoro da fare è semplice. «Hai mai partecipato a un programma? — chiede il capo claque — No? Vabbé, non ti preoccupare, oggi stai un po’ lì in piazza in mezzo alla gente e poi te ne vai. Ma se hai voglia in futuro di partecipare a dei provini, cerca il sito e iscriviti». Lui, il “reclutatore”, da Silvio non viene: «Non ci penso nemmeno». E quando il pullman arriva, saluta il “gruppo vacanze Piemonte” con un elegantissimo «Mi raccomando, non pomiciate!».
Sul bus l’atmosfera è quella delle gite di scuola ai tempi delle medie, anche se la comitiva è un po’
agée.
Una signora con i capelli rossi si mette il rossetto. «Attenzione che Berlusconi è sensibile alle donne», le fa il passeggero seduto al suo fianco. Risposta: «Vorrà dire che lo bacerò in bocca, chiaramente, dietro lauto compenso». Ilarità generale, commenti salaci. «Attenta però che quello c’ha la dentiera», grida uno dagli ultimi posti. Del resto, si sa, in fondo al pullman si siedono sempre quelli più indisciplinati. Nessuno però canta, come accade in ogni gita che si rispetti. E quando arriva la proposta «Ora tutti insieme intoniamo “E Silvio c’è”», si ride di nuovo.
Mancano dieci minuti alle tre. Il pullman, che si è unito ad altri tre bus al Circo Massimo con 150 persone a bordo raccolte a Testaccio, Tiburtina e piazza Bologna, scarica l’allegra brigata a un chilometro da piazzale Flaminio. «Ma che sono matti? C’è un sacco di strada da fare», grida una donna con le caviglie già gonfie. Qualcuno si mette ad aspettare l’autobus. «A furbi, non tornate a casa». Gli altri, accompagnati da un tutor in tuta azzurra della nazionale di calcio, conduce tutti a piazza del Popolo. Berlusconi ancora non c’è. La piazza è già gremita. E sulle note di “Azzurro” di Celentano stavolta anche le comparse cominciano a cantare.

La Repubblica 24.03.13

"Non deragli il treno Italia", di Claudio Sardo

Se qualcuno aveva dubbi residui, la manifestazione del Pdl a piazza del Popolo li ha dissolti. Non c’è alleanza politica possibile tra il Pd e il Pdl e, se si vuol bene all’Italia, non è immaginabile neppure una prosecuzione in altre forme della «strana maggioranza» che ha sostenuto il governo Monti.
L’attacco ai magistrati, il disprezzo verso la sinistra, la difesa di se stesso anteposta ad ogni altro interesse delineano un quadro di alternatività radicale, che speriamo almeno le istituzioni siano capaci di contenere. L’apello finale di Berlusconi a unire in un governo le forze «responsabili», oltre ad essere in palese contraddizione con quanto detto e ripetuto nel comizio, suona falso e vano, utile semmai per la campagna elettorale che il Pdl non ha mai chiuso.
Sempre ieri i grillini hanno manifestato ai cantieri No Tav della val di Susa, chiedendo il blocco dell’opera e una commissione parlamentare d’inchiesta. Nessuno pensava che il Movimento Cinque stelle, una volta entrato in Parlamento, avrebbe rinunciato alle proprie battaglie. La marcia di ieri, insomma, è nell’ordine delle cose, come legittime sono le manifestazioni della destra, quando si svolgono pacificamente e senza invasione dei tribunali. Il problema piuttosto è il rifiuto dei Cinque stelle di condividere la responsabilità nel governo delle istituzioni, il crescendo di violenza verbale per garantire l’isolamento politico, il tatticismo esasperato per spingere il Pdl al governo insieme al Pd.
È lo scenario in cui si svolge il tentativo di Bersani. E le due manifestazioni di ieri, proprio mentre l’incaricato cominciava dalle forze sociali le consultazioni per formare un governo, davano il senso della grande difficoltà. Il bipolarismo non c’è più, i binari della politica italiana sono almeno tre, e non sono neppure paralleli: il treno Italia rischia di deragliare. Ma, per quanto stretta sia la via di Bersani, ora appare ancor più come la sola praticabile. La sola chance disponibile nelle istituzioni per dar vita a un governo, che scongiuri la divisione del Paese e il distacco dell’Italia dall’Europa.
Pd, Pdl e Cinque stelle sono partiti tra loro alternativi. Che non possono rinunciare alla loro alternatività. Farlo vorrebbe dire congelare la politica, e dunque minacciare la vitalità stessa della democrazia. La crisi sociale è pesantissima: gli italiani chiedono che si inverta la rotta del declino, dell’impoverimento, della perdita del lavoro. Ma per intervenire sulla crisi serve una politica efficace. Ed è necessario che i partiti vengano percepiti dai cittadini come soggetti autonomi, capaci di dare battaglia in modo chiaro e trasparente. Anche la gabbia della Grande coalizione – peraltro blindata dal vincolo esterno, assai più che da un serio compro- messo interno – ha contribuito a dare della politica un’immagine di impotenza.
Cambiare è una necessità. Se non si spezza la retorica dell’immobilismo per necessità, l’Italia rischia di non risalire la china, e di vedersi scippare i suoi pezzi migliori (in termini di aziende, di intelligenze, di mercato). La proposta di Bersani muove dalla constatazione di queste alternatività. Il centrosinistra è disposto ad assumersi il carico del governo e di portarlo avanti con un programma e per un tempo limitato, mettendo in campo le proprie proposte. Alcune di queste proposte sono condivise dal Movimento Cinque stelle, altre dal centrodestra, altre – forse in misura maggiore – dall’area montiana. Ma non ci sono trattative in vista. C’è invece un Parlamento da valorizzare. Con la responsabilità di tutti, anzi con un ruolo da protagonista delle forze antagoniste al centrosinistra.
È questa la sfida, che ieri anche il presidente Napolitano ha provato a delineare per l’avvio della legislatura, ovviamente insistendo, da par suo, sulla necessaria condivisione degli interessi nazionali. Il capitolo della Grande coalizione va chiuso. Il governo Bersani può partire senza una maggioranza precostituita, purché gli avversari, o almeno alcuni di essi, consentano di avviare la macchina parlamentare. Il contrappeso di questo governo di «minoranza» sta proprio in una maggiore responsabilità nelle Camere dei gruppi che non fanno parte del governo. E in un lavoro comune sulla riforma eletto- rale e sulle riforme istituzionali, che ovviamente non potrebbero mai vedere la luce senza un consenso ampio.
È il doppio binario, quello virtuoso, che potrebbe consentire al treno di non deragliare. Attenzione: il pericolo è grande. E dopo tanti errori, sbagliare è ancora possibile. Chi pensa, in termini difensivi e meccanici, che Pd e Pdl debbano mettere da parte le loro diversità per cercare i sempre più esili fattori comuni, in realtà non si rende conto del rischio, anzi della sicura sconfitta a cui saremmo condannati. È tempo di recuperare la libertà di dire e di proporre ciò che si pensa, restituendo ai cittadini una politica trasparente, competitiva e finalmente efficace. Bersani porti in Parlamento i suoi progetti sul lavoro, sulla cittadinanza ai bambini nati in Italia, sulla revisione del Patto di stabilità interno, sul conflitto di interessi, sui costi della politica e la riforma dei partiti. Il Parlamento deciderà. In trasparenza. Berlusconi e Grillo, se votano insieme, possono bocciare questa o quella proposta. E possono portare le loro, costringendo gli altri a votare sì o no. Può tornare la politica. Speri mo di non perdere l’occasione per un atto di egoismo. Anzi, di masochismo.

L’Unità 24.03.13

Convegno: "La scuola prima di tutto", riflessioni

Mentre l’Italia taglia alla scuola pubblica, prelevando risorse quasi fosse un bancomat – come potete leggere in sintesi in questo articolo https://preview.critara.com/manughihtml/?p=41284 – in Emilia abbiamo affrontato il terremoto a partire dall’investimento nell’istruzione e in nuove scuole. È una differenza di scelte che non può passare inosservata e che dimostra che la buona politica esiste già. Ne stiamo discutendo a Mirandola al convegno “La scuola prima di tutto” Ricomporre le ragioni dello stare insieme a partire dalla scuola: questo è stato l`obiettivo dopo la tragedia del terremoto. In queste poche parole si racchiude il senso di quanto abbiamo fatto per ripartire. Ce lo riconoscono anche coloro i quali non mancano – giustamente – di ricordarci quanto ancora non va nella ricostruzione ( a partire dalle difficoltà nell’erogazione dei contributi per gli edifici privati e produttivi): leggere ieri questo articolo dal Sole 24 ore https://preview.critara.com/manughihtml/?p=41273 ci ha inorgoglito e ci ha dato la conferma che iniziare dalla scuola è stato il passo giusto per intraprendere il lungo cammino della ricostruzione.
Siamo consapevoli che il nostro percorso sarà disseminato di difficoltà, perché le ferite lasciate dal sisma sono molto profonde: manifestate dalle rovine delle strutture materiali, dalle imprese che non riescono a ripartire, dalle comunità che hanno perso i luoghi storici di socializzazione e dalle crepe, tanto invisibili quanto deleterie, che rendono fragile l’intimo delle persone, il loro benessere psicofisico. E l’investimento nella scuola (e nei luoghi della conoscenza: domenica ha inaugurato la nuova Bilioteca di Cavezzo) ha per noi il valore di una “buona medicina” per curare tutti i mali portati dal terremoto.