Latest Posts

"Il paese e l'incubo del cavaliere", di Franco Cordero

Siccome mancano poche ore al voto, parliamo del revenant. Gli avvenimenti sollevano quesiti allarmanti. Diciannove anni fa godeva i favori della novità qualificandosi uomo d’impresa, moderno, liberale d’istinto, franco liberista, senza contare i buoni sentimenti, famiglia, patria, religione, contro i plumbei «comunisti». Qualcosa trapelava: l’irrimediabile volgarità, istrionismi, loquela d’un bugiardo cronico, senonché la politica italiana ha standard accoglienti; disponendo d’una macchina
monstre d’ipnosi pubblicitaria, inanella tre vittorie elettorali su avversari dalle idee confuse e litigiose. Quante risorse d’imbonitore abbia, consta dalla rimonta 2006, dopo cinque anni d’impudente governo a suo profitto. Ormai è partita a carte scoperte: la platea sa chi sia, incallito nella frode, falsario, corruttore, megalomane, negromante del plagio televisivo, statista da cabaret con effetti postribolari; nell’ultimo esperimento elettorale i milanesi gli voltano la schiena. Persino il Corriere della Sera usa parole dure. Costretto a dimettersi, lascia l’Italia in bolletta.
Tre mesi fa lo davano buonanima, anche a corte: quando s’è ricandidato, il commento era: «Torna la mummia»; ma appena chiama, scattano riflessi mercenari. Lo spirituale Angelino Alfano, designato erede (per gioco), aveva arrischiato fiochi mezzi dissensi: Sandro Bondi, poeta ex comunista, non glieli perdona; il penitente genuflesso lambisce la mano padronale. Venerdì 25 gennaio, nella convention al cinema Capranica, grida fedeltà sgranando gli occhi: non esiste Pdl senza B.; «sei tutti noi». Vero,
le cri du coeur è analisi storica. Il berlusconismo sta nel servizio liturgico reso al padrone: appena dica «gli asini volano », i caudatari levano gli occhi alle nuvole; don Luigi Verzè lo santificava; «santo puttaniere», esclama un ministro ma eloquenti parlamentari, cattolici professi, mettono la mano nel fuoco contro l’efferato gossip delle baiadere d’Arcore (lettera al Corriere, 22 gennaio 2011); hanno negli occhi un B. diverso; « credo quia absurdum»; nominano persino l’Imitatio Christi.
Ha tanti affari, anche penali, e la politica forzaitaliota consiste nel prestargli mano, qualunque cosa comandi, anche ridicola o vergognosa (ad esempio, lo proclamano convinto che Ruby fosse nipote del premier egiziano). Messo in riga il partito, passa agli elettori nel solito stile: recita e mima barzellette; ogni tanto prende pose mussoliniane. Domenica 27, giorno della Memoria, compare nella cerimonia, loda il Duce, racconta che le leggi etniche gli fossero imposte da Hitler: indi s’addormenta ed esibisce una maschera sinistra, masticando; non l’avevamo mai visto così alligatore, ma è peggio quando sorride charmeur.
Chi ha memoria buona ricorda il milione di posti promessi ai disoccupati. D’un colpo diventano quattro, e porta meraviglie nel piatto: opere pubbliche faraoniche, fisco catalettico, condono tombale, amnistia (ne ha gran bisogno), mai più imposte sulla casa, rimborso del già pagato; e punto capitale, privacy malaffaristica inviolabile, quindi corruzione rigogliosa; le tangenti sono categoria filosofica; la selezione naturale incorona i furbi. Sfidando bordate d’ilarità, Angelino Alfano cantava «il partito degli onesti». Insomma, rimane qual era, con l’anno in più, semmai ancora meno presentabile (vedi il film dove escute oscenamente una malcapitata, 10 febbraio). Ricco sfondato, gioca in stile «bru-bru» (bell’epiteto milanese). Tale la missiva con cui imbroglia gl’inermi annunciando il rimborso Imu.
Suicidio davanti all’obiettivo? No, le sonde lo danno in ascesa, tanto da preoccupare l’antagonista (posava bonario, ammiccando, quasi avesse già vinto), e chi guarda da fuori, stupito della commedia italiana, domanda come sia possibile. Gli ottimisti contavano che la discesa in campo dell’attuale premier, chiamato a terapie eroiche, aprisse la via a una destra pulita, postberlusconiana. L’operazione non ha inciso nella misura sperata: ricco da scoppiare, aveva condotto l’Italia a un capello dalla catastrofe; riapparso, miete consensi contro l’austerità. Dunque, è triste ma vero: esiste una borghesia anarcoide, ingorda, plebea, arrembante, parassitaria, gaglioffa, talmente corta d’intelletto da non vedere come la pirateria presupponga dei galeoni da predare e nella fattispecie il galeone sia la res publica, alla quale un malaffare vampiresco succhia sessanta miliardi l’anno. L’ideologia berlusconiana porta diritto alla bancarotta: l’abbiamo schivata in extremis; il paese affonda perché lo sviluppo economico richiede intelligenza e tensione morale. C’era un dottor Frankenstein a Palazzo Chigi, maestro in lobotomie cerebrali, e se vi torna, siamo alla mezzanotte del secolo. Affiorano radici ataviche. Essere seri rende poco da queste parti, vedi Giolitti malvisto perché non fa scena. Anche il ventennio nero era teatro: aquile, pugnali, fez, passo romano, salto nel cerchio di fuoco, e Mussolini in divise farsesche esibiva smorfie epilettiche nei film “Luce”, ma che fosse uomo politico, nessuno lo nega; cospicuo giornalista, elaborava disegni d’Italia imperiale, tra furberia e manicomio. All’Olonese importano solo i soldi, avendone accumulati in quantità colossale: anziché cannoni, palle incatenate, colubrine, pistole, sciabole, grappini, usa armi soft; froda, corrompe, istupidisce l’armento sotto maschera giuliva; ed essendo lucroso il servizio nel partito-ciurma, non manca mai la fila allo sportello degli arruolamenti.
Viene in mente un aneddoto dal diario d’Ulrich von Hassell, ex ambasciatore a Roma (cospirava e morrà impiccato, 8 settembre 1944). Domenica 18 dicembre 1938 visita Werner von Fritsch, ex comandante in capo dell’esercito, costretto a dimettersi su false accuse d’omosessualità fabbricate dalla Gestapo, ed ecco il senso del colloquio: che Adolf Hitler impersoni il destino della Germania; s’inabisserà trascinando tutti con sé. Re Lanterna non pare uomo da abisso e dovendo intanarsi, ha sotto mano tanti paradisi. «Quod Deus avertat» è latino facile; lo capiscono tutti: Iddio risparmi all’Italia la sventura d’una ricaduta in mani piratesche, perché stavolta l’effetto sarebbe indelebile.

La Repubblica 22.02.13

"La sindrome tedesca", di Andrea Bonanni

Ragioni di opportunità avrebbero dovuto sconsigliare Monti dal proporsi come esegeta dei pensieri privati e dei desideri inespressi di Merkel sulla politica italiana.
Già è accusato, ingiustamente, di essere il portavoce della Germania. La sua interpretazione degli auspici della Cancelliera sull´esito delle elezioni di domenica rischia di dare credibilità a questa interpretazione, sminuendo così le ragioni reali e autonome delle scelte politiche del Professore. E lo espone alle inevitabili smentite di Berlino. Lui stesso, del resto, sembra essersene reso conto.
Detto questo, è fin troppo ovvio che la leader indiscussa dei conservatori europei non possa essere felice all´idea di una vittoria della coalizione di sinistra in Italia. Ma è altrettanto ovvio che la Merkel, molto più di una vittoria di Bersani e Vendola, teme un successo di Berlusconi e di Grillo. Se così non fosse, non si spiegherebbe il plateale ripudio di Berlusconi che l´ultimo vertice dei leader Ppe ha messo in scena invitando proprio Monti a raccontare come e perché il Pdl lo avesse pugnalato alle spalle.
Si è giustamente detto e ripetuto che, dopo la tempesta finanziaria contro l´euro, queste elezioni italiane sono le prime in cui gli elettori di un singolo Paese tengono in mano le sorti anche degli altri sedici stati che aderiscono all´Unione monetaria e dei loro 280 milioni di abitanti. Se il prossimo governo italiano dovesse scostarsi dalla strada del risanamento che ha imboccato con tanti sacrifici, sarebbe la catastrofe assicurata non solo per noi, ma anche per tutti quelli che condividono la nostra moneta e la nostra cittadinanza europea. Anche se non ce ne rendiamo conto, anche se questa consapevolezza non traspare minimamente dal dibattito elettorale, chi andrà a votare domenica prossima eserciterà una responsabilità e un potere enorme, che nessun elettore italiano prima di lui ha mai avuto.
Questo legittima l´interesse degli altri governi europei nelle scelte degli italiani. E rende comprensibili le loro preoccupazioni. Non siamo noi a dipendere dall´Europa, come vorrebbero farci credere certi demagoghi di casa nostra. È l´Europa a dipendere da noi e dalle decisioni che prenderemo. Ed è la nostra scelta sovrana ad estendere i propri effetti ben al di là dei confini nazionali. Ma proprio per questi motivi, i governi europei che guardano all´Italia lo fanno con il massimo del pragmatismo.
Angela Merkel, in cuor suo, può anche trovarsi paradossalmente a condividere i dubbi e le esitazioni di milioni di elettori italiani delusi da Berlusconi.
Anche lei, come esponente Ppe, si era rallegrata per il successo politico del Cavaliere. Anche lei è passata da una delusione all´altra. Anche lei, finalmente, ha dovuto arrendersi all´evidenza: la destra italiana non è in grado di governare in modo credibile. Può anche darsi che l´idea di una vittoria di Bersani, dopo quella di Hollande in Francia, allunghi presagi per lei negativi sulle prossime elezioni tedesche. Ma di certo la spaventa di più l´idea di una Italia ingovernabile. E la terrorizza l´idea di una Italia mal governata.
Se l´Europa (e non solo la Merkel) potesse influire sull´esito di queste elezioni, dove pure si gioca il suo destino, sicuramente si augurerebbe che il prossimo governo fosse affidato all´accoppiata Bersani-Monti. Il leader Pd garantisce quel consenso democratico e quell´attenzione al sociale che Monti non ha potuto avere. Il Professore garantisce il rispetto degli impegni di bilancio assunti dallo Stato italiano a salvaguardia dell´euro, che una parte della coalizione di sinistra vorrebbe rimettere in discussione. Entrambi garantiscono di tenere l´Italia nel solco del suo dna europeista.
Semmai, quello che l´Europa non capisce e non condivide nel comportamento dei suoi due favoriti è il loro continuo beccarsi, la caterva di polemiche gratuite che hanno inscenato in campagna elettorale, l´artificioso allargamento del fossato che li separa e che è ben infima cosa rispetto all´oceano che divide entrambi dal populismo degli altri candidati. Ma, dovendo dipendere dall´esito delle elezioni in Italia, forse l´Europa dovrà anche abituarsi a fare i conti con il maldestro ed enfatico teatrino delle campagne elettorali all´italiana.

La Repubblica 21.02.13

"Miguel Gotor (Pd): Dialogo obbligato con i grillini, ma i 5 Stelle dovranno staccarsi dal loro guru", di Wanda Marra

Sono più curioso dei 5 stelle che dei grillini”. Usa una battuta Miguel Gotor, capolista del Pd in Senato in Umbria, ma soprattutto storico e intellettuale di riferimento di Bersani, per spiegare l’atteggiamento con cui i Democratici si aprono al dialogo con lo stesso movimento il cui leader attaccano continuamente.
Professor Gotor, cosa vuol dire fare scouting tra i grillini?
Dopo le elezioni, “esplorare” la qualità e il senso di responsabilità della loro rappresentanza parlamentare, verificando nel merito le posizioni.
Voi sperate – come Bersani ha fatto capire – che ci sarà una distinzione tra loro e il loro leader?
Lo capiremo nei primi mesi di attività parlamentare. Grillo è un guru che gioca allo sfascio e il suo protagonismo è una delle manifestazioni della crisi del berlusconismo. Ma i deputati del Movimento 5 stelle hanno il diritto e il dovere di essere valutati per i loro comportamenti. Dovranno eleggere i loro capogruppo, fare dichiarazioni di voto, assumersi responsabilità e questo sarà un bene: inizia una nuova fase di quel movimento. Peraltro Grillo ha già dimostrato di voler controllare in modo autoritario e intollerante la sua parte e credo che questo potrà produrre degli effetti con i rappresentanti parlamentari del movimento. Fideismo e democrazia di solito non vanno d’accordo. In una battuta: sono più curioso dei 5 stelle, meno dei grillini.
Voi pensate che i 5 Stelle terranno oppure che una volta arrivati in Parlamento si sgretoleranno?
Credo che manterranno le loro posizioni e raggruppamenti. Ma penso anche che emergeranno diversità di posizioni quando saranno costretti finalmente a metterci ciascuno la faccia senza usare quella di Grillo.
Questa improvvisa apertura dopo mesi di attacchi frontali non sarà paura di perdere?
Noi non abbiamo paura di perdere, né quella di vincere. Come dice San Paolo: giusta è la battaglia e andiamo avanti con il nostro passo. Il fenomeno Grillo non ci sorprende affatto, anzi è dentro la nostra analisi della crisi italiana. Berlusconi nel corso di vent’anni ha cambiato il volto dei moderati del nostro Paese radicalizzandoli ed estremizzandoli.
Il risultato di Monti che ogni giorno si prefigura peggiore non vi porterà per forza a dover allargare ulteriormente la coalizione?
Non vedo l’automatismo. In ogni caso non ci soprende che tanti di quei voti moderati oggi non vadano a Monti, ma siano intercettati da Grillo. La base ideologica e culturale del grillismo è stata formata ogni sera da “Striscia la notizia”, il cui autore è quell’Antonio Ricci che ha creato un transfert popolare e populista tra il pupazzo Gabibbo (vendicatore, moralizzatore, protestatario, dissacrante) e il suo amico Grillo, la maschera del comico che finalmente le canta alla politica.
Un’analisi del genere non è proprio un presupposto di stima….
So che la mia è un’analisi parziale. Nei 5 stelle ci sono anche istanze libertarie, piattaforme etiche condivisibili, desiderio sincero di rinnovare la politica. Provare a capire è il presupposto per capirsi e stimarsi.
Meglio pensare a una collaborazione con grillini o pidiellini?
A me piace giudicare le persone senza etichette precostituite. A pelle, preferirei un grillino, o per meglio dire, un esponente del Movimento 5 stelle.
Il boom di Grillo non è di per sè una sconfitta della sinistra. le cui istanze in parte l’M5S assume?
Ho una lettura diversa del fenomeno. La crisi italiana dipende dall’esistenza di partiti o movimenti di carattere personale, proprietario e personalistico di cui anche Grillo è espressione e da una degenerazione del ruolo dei partiti che tendono a occupare le istituzioni.
Monti ha dichiarato che la Merkel non vorrebbe Bersani premier, cosa ne pensa?
Ho difficoltà a commentare una battuta infelice, che peraltro è stata smentita dall’entourage della Merkel. L’Italia sceglie in autonomia i suoi governanti. Ho la sensazione che il senatore Monti non dia il meglio di sè in campagna elettorale.

Il Fatto quotidiao 21.02.13

******

Nico Stumpo, Pd, sui grillini «Convergenze su temi sociali, corruzione e costi della politica», di Daria Gorodisky

«Scouting? La parola usata da Bersani in riferimento ai futuri eletti del Movimento 5 Stelle è un modo per dire che molti loro argomenti sono cose che noi vorremmo fare». Dice così Nico Stumpo, uomo macchina del Pd e personaggio chiave della campagna di Pier Luigi Bersani durante le primarie per la guida del centrosinistra.
Significa che avete punti di convergenza con Beppe Grillo?
«Non è questo. Però non conosco i candidati del M5S, e penso che con loro su diversi temi ci potrà essere convergenza».
Vi accusano di voler fare campagna acquisti. Quando Bersani dice «vediamo se intenderanno partecipare a una discussione parlamentare senza vincolo di mandato» sembra ipotizzare possibili cambi di casacca.
«Noi non abbiamo mai fatto campagna acquisti. Ben altri hanno avuto questi comportamenti».
Però alla fine i numeri sono numeri, e, anche se il centrosinistra vincerà le elezioni, potrebbe aver bisogno di sostegni. Oltre che a Monti, mano tesa al M5S?
«Diciamo agli italiani che al Paese serve un governo stabile e, per averlo, devono votare per noi. Siamo fiduciosi. Però, come ripete Bersani, la nostra maggioranza non sarà un recinto chiuso: servirà un consenso forte e quindi siamo pronti a confrontarci con tutte le forze europeiste…»
Non è che Grillo possa essere definito proprio un europeista.
«Infatti non prevediamo una discussione con il Movimento 5 Stelle, ma con i singoli futuri eletti in Parlamento. Il M5S rappresenta il termometro del malcontento italiano. Segna febbre, indignazione diffusa. Serve una cura, che in politica significa proposta. Chi decide di votare M5S è attratto da argomenti di pancia: manca una proposta, c’è solo una protesta».
Su quali temi ritenete di convergere con i parlamentari del M5S?
«Proposte di giustizia sociale, di attenzione ai deboli. E la reintroduzione del falso in bilancio, le norme anticorruzione, la diminuzione del numero dei parlamentari e dei costi della politica, il conflitto di interessi…»
Non lo avete fatto finora. E la «febbre» che citava prima non si è manifestata oggi: non vi siete accorti che covavano malessere e indignazione verso la politica? Anche verso la vostra politica?
«Non abbiamo governato noi nell’ultima legislatura, ma abbiamo comunque cercato di ridurre i costi della politica: la maggioranza di centrodestra ha bloccato tutto. Rispetto al conflitto di interessi, nei due anni di governo Prodi dal 2006 al 2008 non ci siamo arrivati, siamo caduti troppo presto».
Secondo lei, chi vota Grillo a chi toglie consensi?
«Grillo, anche proprio per quel suo metodo diciamo non pacato, sta andando a pescare a destra. Quelle modalità non piacciono al nostro elettorato».

Il Corriere della Sera 21.02.13

"Sistema nazionale di valutazione, interventi dei politici dopo l’appello", da La Tecnica della Scuola

Dopo l’invio, da parte di alcune associazioni, ai capilista e ai responsabili dei partiti che si presentano alle elezioni di un appello per fermare il tentativo del Governo di emanare in questi ultimi giorni di legislatura il Dpr sul Snv, cominciano a pervenire agli estensori del documento le risposte di alcuni rappresentanti di raggruppamenti politici.
Il documento a firma di oltre 15 associazioni, comitati, federazioni e coordinamenti, rivolto ai responsabili dei partiti e ai capilista che si candidano al nuovo Parlamento, chiede di “intervenire per impedire che venga emanato a Camere sciolte il Dpr sul sistema di valutazione, che tante critiche ha avuto dal mondo della scuola, dal Consiglio nazionale della pubblica istruzione, dal Consiglio di Stato e pure dalla Commissione istruzione del Senato, che ne hanno evidenziato le criticità giuridiche e di merito”.
Adesso, gli estensori dell’appello, che chiedono che il tema venga affrontato dal prossimo Parlamento e Governo previa discussione con le scuole, ci segnalano che sono arrivate le risposte di Umberto Guidoni, responsabile scuola nazionale di Sel, dell’on.le Pierluigi Bersani del Pd, di Antonio Ingroia, leader di Rivoluzione Civile.
L’ufficio stampa nazionale di Sel rende noto il seguente comunicato:
“Quanto accaduto in Commissione istruzione al Senato è un colpo di mano, lo afferma Umberto Guidoni responsabile nazionale scuola e università di Sinistra Ecologia Libertà.
Un Parlamento sciolto da settimane e un Governo in scadenza non può ipotecare il futuro mettendo mano ad una materia così delicata come il regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione.
Si tratta di una forzatura a dieci giorni dal voto che si può spiegare solo con la preoccupazione di occupare in tempo utile per le elezioni, continua l’esponente di Sel, due enti importantissimi come l’Invalsi e l’Indire, sui quali in maniera precipitosa si sono indetti i bandi per le candidature.
Sinistra Ecologia Libertà, conclude Guidoni, chiede al ministro Profumo di ritirare la bozza di regolamento e di fermare i bandi per Invalsi e Indire per permettere al nuovo Governo, che mi auguro di centrosinistra, di affrontare la questione in maniera meno frettolosa e con il coinvolgimento del mondo della scuola”.
Segnalato anche l’intervento di Pierluigi Bersani, candidato premier del Pd:
“Francesca Puglisi ed io concordiamo con Voi sull’inopportunità politica di procedere ad oltre due mesi dallo scioglimento delle Camere e a pochi giorni dal voto, con un provvedimento che non ha i caratteri della straordinarietà e dell’urgenza.
Il decreto sulla valutazione emanato dal Governo Monti ha parecchi punti critici che vogliamo siano discussi dalle scuole e dal nuovo Parlamento anche attraverso consultazioni delle VII Commissioni di Camera e Senato.
I senatori del Partito Democratico della VII Commissione hanno disertato la seduta della scorsa settimana proprio per dare al Governo un segnale di dissenso forte e chiaro.
Vi ringraziamo per la Vostra mobilitazione di queste ore. Speriamo di ricevere ascolto.
In ogni caso ci impegniamo a cambiare metodo se saremo chiamati al Governo del Paese, rendendo ogni scelta trasparente e frutto di una antecedente fase di ascolto”.
Sull’argomento è intervenuto anche Antonio Ingroia, leader di Rivoluzione Civile:
“Condivido l’appello lanciato da docenti, studenti, associazioni e comitati del mondo della scuola contro il decreto Invalsi. L’iter del decreto va fermato e faremo quello che è nelle nostre possibilità per farlo. Nella scuola occorre una svolta, una vera rivoluzione civile, che metta fine alle politiche sciagurate degli ultimi anni, continuate con pervicacia dal ministro Profumo e dal governo Monti. Occorre innanzitutto impedire danni ulteriori a quelli già compiuti. È incredibile che a una settimana dal voto, a Camere sciolte, si tenti di imporre, con veri e propri colpi di mano, magari sperando nella disattenzione prodotta dalla campagna elettorale, un decreto che rischia di pregiudicare il futuro su un tema decisivo per la scuola come quello dei metodi di valutazione e approfittare per approvare le ennesime nomine spartitorie e partitocratiche”.
Lo afferma in una nota il candidato leader di Rivoluzione Civile, Antonio Ingroia, che aggiunge: “Le modalità della valutazione sono state e sono oggetto di una grande discussione, di moltissime critiche e perplessità. Il rischio è che, invece di dotarci di sistemi di valutazione del nostro sistema per intervenire sui punti deboli, si voglia usare la valutazione come una clava per continuare a tagliare e per imporre agli insegnanti modalità e contenuti della formazione. In sostanza, si vogliono insegnanti che insegnino a superare i test e non a diventare cittadini liberi e maturi, cancellando libertà di insegnamento, specificità culturali, necessità del superamento delle disuguaglianze”.

La Tecnica della Scuola 21.02.13

"A volte ritornano", di Antonio Valentino

A leggere alcuni interventi sul preside elettivo, così come si è sviluppato in queste settimane su ScuolaOggi, ci si imbatte in una strana idea di scuola e di democrazia nei ragionamenti di quanti tentano di riproporre la questione (che, in verità, da un po’ non faceva capolino nel dibattito sulla scuola. E in effetti si avvertiva la mancanza, soprattutto in questi tempi).

L’idea sottesa ai discorsi dei “favorevoli” sembra essere quella che la scuola non sia una istituzione della nostra repubblica, ma appartenga agli insegnanti.

Una idea decisamente stravagante.

Né valgono, sull’argomento, i confronti con l’università o addirittura con la magistratura o con altre istituzioni. Troppo diverse ne sono le missioni e la loro collocazione nell’impalcatura statuale.

(C’è una frase di Morin, in La testa ben fatta, che riassume bene il punto di vista che qui si vuole rappresentare; suona grosso modo così”: La scuola è troppo importante per lasciarla solo nelle mani di chi la fa.)

Né può valere al riguardo il confronto con altri paesi europei dove il preside è elettivo (pochi in verità e non in tutti i “gradi”); soprattutto perché si tende a dimenticare che, in genere, il ruolo delle munipalità, in queste realtà, ha più gioco che non le preferenze degli insegnanti e che, comunque, l’organizzazione ha peculiarità che da noi non si danno.

Si vuole ignorare, nei ragionamenti dei “favorevoli”, che la figura del dirigente nella nostra legislazione è sì figura della articolata comunità scolastica – e in quanto tale ne coglie bisogni ed attese e se ne fa portavoce -; ma è anche figura istituzionale; nel senso che è chiamata a garantire l’unitarietà del sistema e l’attenzione ai principi costituzionali di eguaglianza ed equità sociale in fatto di istruzione e formazione.

L’idea della ‘elettività’ proposta si fonda, tra l’altro, su un equivoco: che si possa cioè dirigere una scuola – soprattuto con il passaggio all’autonomia e con i nuovi dimensionamenti (ma non solo) – senza competenze specifiche e complesse (da quelle relazionali e didattico-organizzative a quelle amministrative e gestionali, ecc.), che, solo per qualche e modesto tratto, appartengono alla figura docente. Competenze per la cui formazione si richiede una preparazione specifica e una specifica modalità di selezione.

In realtà, questa proposta del preside elettivo, per come viene ricucinata appare piuttosto come un diversivo di cui nessuno sente il bisogno (immaginate, se avete voglia di esercitarvi con idee eccitanti di futuro, i cambiamenti legislativi di non poco peso da mettere in campo, le situazioni di fatto con cui fare i conti, i problemi di una transizione che non può che essere lunga).

Non riuscendo comunque a capire cosa c’entri in questo caso la democrazia con la elettività del capo di istituto, mi piace pensare, sull’argomento dissotterato, ad altre ragioni inespresse e probabilmente sottese, ma forse più reali.

Le ragioni che vengono in mente potrebbero ad esempio riguardare un certo modo di interpretare il proprio ruolo, da parte di alcuni dirigenti, che può sollevare dubbi e problemi a chi ha una visione democratica del fare scuola; fondata cioè sul coinvolgimento, sul “contare” di più, sull’essere co-protagonisti nelle scelte e nelle pratiche che hanno più valore.

E qui i riferimenti potrebbero essere a concezioni della dirigenza scolastica, diciamo così, monocratiche (“il capo sono io e comando io”); o anche a certe visioni manageriali, molto centrate su gestioni dirigistiche e traguardi rigidamente intesi, e poco sulla partecipazione e l’attenzione ai processi; o ad altre ancora.

Se il discorso diventa questo – possibili visioni sbagliate o inadeguate del proprio ruolo e della propria funzione, da parte di aree dei dirigenti, rispetto ad una idea di scuola democratica e responsabile – allora sì che la questione potrebbe avere un suo senso. E potrebbe valere la pena approfondire.

Soprattutto se legata al dibattito sulla leadership nel mondo della scuola e sulla valorizzazione della figura dell’”insegnante non solo insegnante” (che è poi quella che fa la differenza anche oggi – il valore aggiunto più consistente – sul fronte della qualità del funzionamento delle scuole).

Le scuole che funzionano meglio – e garantiscono una maggiore continuità nella qualità della gestione – non sono forse quelle dove si tende a realizzare una leadership a cui concorrono, da protagonisti – una pluralità di soggetti (dai collaboratori del DS alle figure di presidio di settori strategici del fare scuola – funzioni strumentali e altre -, dai coordinatori dei dipartimenti disciplinari ai coordinatori delle classi….)?

Se allora l’intento degli ‘interventi a favore’ è quello di far diventare l’insegnante più protagonista riconosciuto (e sottolineo: riconosciuto) nel funzionamento complessivo della scuola, se, cioè, la visione che si ha in mente è quella di una leadership democratica, “distribuita” – come si dice -, allora il terreno di ricerca e di sperimentazione non può che essere comune a quanti vogliono uscire dall’attuale declino del nostro sistema di istruzione.

Anche perché potrebbe ben intrecciarsi con il tema della conseguente rivisitazione del profilo dirigente nella scuola.

Personalmente è questo di cui avverto il bisogno e l’urgenza.

Per la prossima legislatura, coltiviamo speranze. Come Sergio Endrigo la “rosa bianca”.

da ScuolaOggi 21.02.13

Napolitano. «Ho chiesto invano fondi per la ricerca»Alessandra Arachi

Il presidente della Repubblica ha messo il cuore per aiutare la nostra ricerca. Ma non ci è riuscito. È lui stesso che lo ha detto: «Ce l’ho messa tutta per trovare i fondi per la ricerca, ma le resistenze, le chiusure, diciamo pure la forza d’inerzia sono risultate più forti». Giorgio Napolitano ha parlato così all’associazione Gruppo 2003 per la ricerca scientifica.
E ha puntato l’indice verso un parallelo, fra noi e la Germania: «Quante volte ho citato l’esempio della cancelliera tedesca Merkel che aumentava gli investimenti pubblici di ricerca nel momento in cui si poneva dei problemi di contenimento della spesa pubblica e di riduzione del deficit. In Italia, invece, anche in sede di spending review hanno vinto resistenze e chiusure».
Si celebrava il decimo anniversario dell’associazione Gruppo 2003 ieri al Quirinale. E il capo dello Stato non si è limitato a rimanere alla superficie, è entrato nel cuore del problema della ricerca italiana, inserita nel panorama europeo. Di nuovo citando la cancelliera tedesca.
Ha detto infatti Giorgio Napolitano: «Dobbiamo porci il problema di cosa debba significare realmente un’Unione economica e monetaria, in prospettiva un’unione politica. E se questo, come ha detto Angela Merkel parlando al Parlamento europeo, voglia dire che non ci debba essere più una sperequazione eccessiva, ovvero un Paese che investe il 7% del suo prodotto lordo nella ricerca scientifica e un altro che si limita all’1%».
Il presidente della Repubblica ieri pomeriggio al Colle ha anche svelato alla delegazione di ricercatori qualche retroscena sulla politica del governo, discussioni anche vivaci sulla spesa da dedicare alla ricerca.
Ai ricercatori Napolitano lo ha spiegato in maniera diffusa: «Debbo dire onestamente che già da quando si è aperta la polemica sui cosiddetti tagli lineari alla spesa publica e quando si è spostato l’accento sul concetto di spending review il punto che mi premeva è che da ciò emergessero delle priorità nell’impiego delle risorse finanziare. Ma questo è risultato molto difficile: le resistenze, le chiusure, diciamo pure la forza d’inerzia, sono risultate più forti. La dialettica è stata abitualmente tra i ministri dell’Università e dell’Economia: abbiamo qualche volta discusso anche in modo pungente».
Il capo dello Stato non sembra avere dubbi: «La differenza di investimenti in termini percentuali di prodotto lordo per la ricerca spiega molte cose nelle diverse performance delle economie dei Paesi membri dell’Unione Europea dei quali vediamo e conosciamo le ricadute».
La ricerca scientifica è da sempre uno dei temi ai quali il presidente della Repubblica ha rivolto la sua attenzione. L’ha detto apertamente alla delegazione dell’Associazione scientifica: «Sono lieto che uno degli ultimi incontri che tengo qui in Quirinale prima della scadenza del mio settennato sia con i rappresentanti della ricerca, perché è uno dei temi su cui mi sono personalmente impegnato di più».

Il Corriere della Sera 21.02.13

******

I ricercatori a Napolitano: “Più fondi per la scienza”di ELENA DUSI

«Il tema della ricerca scientifica è assente dalla campagna elettorale, se non in termini rituali e generici». Con questo incipit il Gruppo 2003 (il Gotha degli scienziati italiani), ha presentato ieri il suo programma in 10 punti al presidente Giorgio Napolitano, chiedendo «risposte precise» ai partiti. Se una settimana fa Barack Obama, nel discorso sullo stato dell´unione, aveva ricordato che «ogni dollaro investito nel progetto genoma ha portato a un ritorno di 140 dollari», i ricercatori del Gruppo 2003 lamentano il ruolo di Cenerentola che la scienza gioca in Italia dal punto di vista dei fondi. I finanziamenti sono pari all´1,26% del Pil. La media europea è dell´1,91, con la Germania al 2,82. Quella dell´Ocse è del 2,40, con Usa e Giappone al 2,9 e 3,36. Il gruppo 2003 raccoglie una cinquantina di scienziati italiani delle discipline più varie le cui pubblicazioni scientifiche hanno un altissimo numero di citazioni.
Fra le proposte (su www.lascienzainrete.it) c´è un aumento dei finanziamenti del 20% all´anno per 3 anni, lo smantellamento di «un sistema scarsamente meritocratico» e l´istituzione di una «cabina di regia» per erogare i fondi in modo trasparente. «Insieme a due economisti della Bocconi abbiamo tentato di ricostruire i mille rivoli del finanziamento per la ricerca. Cercando tra i vari ministeri, non siamo riusciti a sbrogliare la matassa» racconta Alberto Mantovani, immunologo dell´università di Milano e direttore scientifico dell´Istituto Humanitas. La richiesta di adeguare gli investimenti e di istituire un´Agenzia per la ricerca italiana che coordini l´erogazione dei fondi in base al merito – e sia dunque garanzia di libertà – è stata avanzata anche dalla “Petizione per la ricerca in Italia” lanciata da membri dell´Accademia dei Lincei e dell´Accademia dei XL. L´appello è stato firmato da 1.030 scienziati. «Mi sono sempre impegnato – ha detto Napolitano – a sostenere scienza e cultura. Il mio è stato un messaggio affidato a una bottiglia nel mare. Spero che qualcuno lo raccoglierà».

La Repubblica 21.02.13