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"Se all’estero l’Italia resta un rompicapo", di Cesare Martinetti

Berlusconi è come Houdini, un «illusionista», scrive il quotidiano israeliano «Yediot Ahronot». Grillo invece è certamente l’uomo «più divertente d’Italia» ma anche un «estremista molto pericoloso» sentenzia il «Financial Times». Gli stranieri che con sprezzo del pericolo osservano da vicino le elezioni italiane oscillano tra questi due interrogativi: ma davvero Berlusconi può tornare al governo?
E l’altro: Grillo chi? Un comico? La risposta alla prima domanda è un’invocazione: no, please. Alla seconda, lo sgomento: com’è possibile?
Ecco, ci risiamo con l’Italia rompicapo, una politica incomprensibile per chi è abituato a schieramenti chiari, due, tre partiti al massimo, una lotta politica che si fa sui contenuti dei programmi, un confronto tra leader che avviene in pubblico, faccia a faccia in televisione, candidati premier che se perdono si ritirano. Tutti molto più giovani dei nostri. Obama (52 anni) ha battuto a novembre Mitt Romney che ne aveva 65, François Hollande (58 anni) ha superato l’anno scorso Nicolas Sarkozy (57). A Londra David Cameron, premier britannico, è entrato al numero 10 di Downing street a 44 anni. Angela Merkel è diventata la prima cancelliera donna della Bundesrepublik a 51 anni.

E invece, ai poveri stranieri che vogliono osservare le cose italiane tocca quest’anno un supplemento di supplizio: ancora non tutti hanno capito il fenomeno Berlusconi e già bisogna cimentarsi su un nuovo enigma italiano, Grillo.

Lizzy Davies, inviata del «Guardian» di Londra, ha fatto un reportage nell’enigma viaggiando nel cuore dell’Emilia e la conclusione è piuttosto ragionevole: chi vota Grillo vuole «facce nuove e spera in una nuova politica». «Le Monde» definisce oggi Grillo il «saltimbanco che spariglia il gioco». Il corrispondente da Roma Philippe Ridet si lascia suggestionare dalle movenze dell’attore: «…a 64 anni appare come l’uomo solo che lotta contro una classe politica chiusa e blindata e sembra un Nettuno in giaccone bianco che sfida gli elementi».

In America, dove il gioco si fa duro, i toni sono decisamente più radicali: Roma brucerà, l’Italia intera farà la fine della Venezia dei dogi. Sulle televisioni straniere, a differenza delle nostre, Grillo si concede, alla Cnbc, per esempio, e annuncia la rivoluzione imminente. Il commento della Reuters è che, se queste sono le premesse, «Roma brucerà indipendentemente dai risultati elettorali, perché nessuno avrà il coraggio di affrontare i mali all’origine della crisi che ha fatto dell’Italia un’economia debole».

A conti fatti Grillo risulta più facilmente decrittabile di Berlusconi: uno è la rivolta, ma l’altro vent’anni dopo la sua scesa in campo? Il «New York Times» scrive senza mezzi termini che un successo del Cavaliere sarebbe «un disastro per l’Italia» specie se dovesse risultare il «kingmaker» pronto a negoziare l’appoggio al governo per proteggere le sue aziende e i suoi interessi personali.

Come spiegare a chi ha un sistema elettorale elementare che invece da noi ci si è operosamente accaniti nel renderlo non solo incomprensibile, iniquo, ma soprattutto paralizzante? È in questa trappola che è finito anche Mario Monti, uno che invece agli stranieri era risultato comprensibilissimo, e non solo perché parla ottimamente inglese, francese e tedesco. Mai un premier italiano aveva ottenuto l’unanimità di Monti al momento dell’investitura. Ma il professore ha indebolito in questa campagna elettorale il suo capitale e, riconosceva ieri un quotidiano certamente amico come il «New York Times», non è riuscito neppure a convincere gli elettori italiani.

Può – agli occhi di uno straniero – un uomo come Monti che gode della stima unanime dei leader del G20 battersi con affanno per arrivare al 10 per cento? È in questa anomalia che, evidentemente per forzare i toni della giungla elettorale, il professore ha fatto ieri sera un’infelice battuta sulla Merkel dicendo di dubitare che la Cancelliera «voglia che un partito della sinistra vada al governo in un grande paese dell’Unione europea». In sé, è un’ovvietà, perché frau Merkel è una politica di destra e non si augura mai la vittoria della sinistra. Ma attribuire un giudizio ad un capo di governo straniero per farne un uso interno (indebolire Bersani, un avversario) esce dal galateo internazionale e consegna Monti alla tradizione enigmatica e indecifrabile della politica italiana.

La stampa 21.02.13

"Diritti e formazione sul lavoro da seguire la ricetta Hollande", di Nicola Cacace

La proposta avanzata da Bersani sulla formazione, in uno dei pochi paesi europai in cui ancora manca una legge per la formazione permanente, ricalca le linee dell’ «Accord interprofessionnel pour un nouveau modele economique et social au service de la competitivite des enterprises et de la securisation de l’emploi et des percours professionales des salaries», siglato a gennaio in Francia, quasi contemporaneamente all’Accordo di produttività siglato in Italia da tutte le organizzazioni, Cgil esclusa. L’Accord affronta molti «scogli» posti da una riorganizzazione dell’impresa e predispone gli strumenti perché le misure aziendali non riducano disponibilità a collaborare e diritti del lavoro. Si chiede la disponibilità ai cambiamenti ma non si riducono i diritti. L’arco degli impegni richiesti dall’Accord è ampio, dalla mobilità professionale e geografica agli orari flessibili sino al part time, dalla formazione (tra l’altro garantita da un nuovo strumento, il Compte personnel de formation) sino alle esigenze di orari diversi come il «travail intermittent», oltre la riconferma della flessibilità di orari introdotta con la legge delle 35 ore, l’Annualisation des oraires, molto apprezzata dagli imprenditori.
Le innovazioni previste nell’ Accord sono molte, sino a quella più radicale, la «cogestione» alla tedesca obbligatoria per tutte le grandi imprese, con uno o due lavoratori nei consigli d’amministrazione delle aziende con più di 5000 dipendenti.

Centrale nell’Accord è il capitolo dei diritti d’informazione e di formazione. Si riconosce che se si vuole il consenso pieno dei lavoratori alle misure di riorganizzazione, è necessario che essi abbiano tutte le informazioni necessarie per comprendere appieno tattica e strategia aziendale. Le esigenze di formazione permanente sono il centro dell’Accord e ad esse sono dedicati molti dei 28 articoli, sino alla creazione di un conto personale di formazione, «compte personnel de formation» dalle seguenti caratteristiche:

1) il conto è universale: tutti i dipendenti dall’entrata sul mercato del lavoro sino al pensionamento;
2) il conto è individuale: ogni persona ne beneficia, sia esso un dipendente o in cerca di lavoro;
3) il conto è trasferibile; può essere «portato» dal lavoratore da un posto di lavoro all’altro;
4) i diritti alla formazione sono di 20 ore/anno ed il conto è plafonato a 120 ore.
5) il finanziamento del conto è a carico di Stato e Regioni.

Nell’Accord si parla di «arbitraggio tra orario, salario ed occupazione» senza derogare a tutti i diritti fondamentali, come lo Smic (salario minimo garantito), l’orario legale di 35 ore, durata massima di orario, riposi e ferie. A differenza dell’Accordo italiano dove sono previste rinunce, come l’adeguamento all’inflazione dei contratti nazionali e deroghe anche peggiorative, come quelle su mansioni, orari e salari.

L’Accord francese per la competitività è un grande esempio di via concreta a questi obiettivi perché riconosce che la formazione permanente del lavoratore è misura senza alternative valide, come la mortificazione del lavoratore, sia con bassi salari che con minori diritti, via purtroppo seguita spesso in questi anni in Italia da governi ed imprenditori miopi. L’Accord francese è centrato su tre pilastri innovativi, il diritto alla formazione continua del lavoratore, il diritto all’informazione su tutti i cambiamenti organizzativi che l’azienda ha in animo di fare, la cogestione alla tedesca per le grandi imprese, con i lavoratori nei consigli d’amministrazione.

Sono distanze abissali con l’Accordo italiano sulla produttività, dove si chiedono ai lavoratori ampie disponibilità ai cambiamenti, ma non si escludono possibili riduzioni dei diritti per salari, orari, mansioni e non si danno contropartite che non quella della parziale defiscalizzazione degli aumenti aziendali da produttività (Irpef al 10 per cento sui premi di produttività per paghe inferiori a 40mila euro). La via italiana non appare proprio la più appropriata per realizzare l’obiettivo strategico della produttività ed è anche sintomo di un ritardo culturale dei nostri imprenditori, spesso tesi a comprimere diritti del lavoro, inconsapevoli anche dei danni alla produttività che tali atteggiamenti comportano.

L’Unità 21.02.13

Il disagio sociale nel prossimo Parlamento. Le risposte del PD

Sono state poste, dall’agenzia DIRE e da Redattore Sociale, ai principali schieramenti una trentina di domande: fondi per il sociale, immigrazione, famiglia e povertà, giovani, carcere e sicurezza, non profit. Ecco come ha risposto Bersani.
Cosa faranno i partiti, nella prossima legislatura, per contrastare le forme più diffuse e crescenti di disagio sociale? Le agenzie Redattore Sociale e Dire lo hanno chiesto ai principali schieramenti in lizza e ad alcuni dei maggiori partiti uscenti: Pd, Pdl, Scelta civica, Rivoluzione civile, Sel, Lega nord, Udc. Non sono riusciti ad avere un referente per il Movimento 5 stelle.
Sono state concentrate una trentina di domande in sei grandi aree: le risorse dirette per il sociale (i fondi nazionali) e l’integrazione con la sanità; immigrazione e Rom; famiglia e povertà; giovani e lavoro; carcere e sicurezza; volontariato e terzo settore (non profit).
Sono state chieste posizioni non personali, ma a nome degli schieramenti. Hanno risposto: Pierluigi Bersani per il Pd; Mario Marazziti per Scelta Civica; Gabriella Stramaccioni e Flavio Lotti per Rivoluzione civile; Giulio Marcon per Sel. Non hanno risposto: il Pdl, l’Udc e la Lega.
Su alcuni temi il consenso è abbastanza generalizzato, come sulla necessità di potenziare il fondo per la non autosufficienza e sulla volontà di non toccare la legge 180 sulla salute mentale.
La famiglia è naturalmente al centro dei pensieri di tutti, ma le risposte su come aiutarla sono diverse. Piace invece a tutti una qualche forma di concessione del reddito minimo garantito per gli indigenti.
Ricette articolate sull’occupazione giovanile e sul servizio civile, mentre sul carcere i partiti della sinistra sono d’accordo sull’abolizione delle “norme criminogene” che favoriscono il sovraffollamento. Gli stessi partiti promettono infine di rilanciare la cooperazione internazionale e di stabilizzare il 5 per mille.
(tratto da Redattore Sociale)

"Italia, i lavoratori stranieri se ne vanno", di Flavia Amabile

Dal 2011 l’Italia non è più paese di immigrazione, ma è tornata a essere terra di emigrazione, spiega ActionAid nel documento che presenterà domani. Nel 2011 sono arrivati in Italia 27mila stranieri e se ne sono andati 50mila italiani. Gli effetti della crisi economica stanno pesando fortemente sui più deboli e quindi anche sui migranti, che se ne vanno a cercare fortuna altrove. Il saldo è pesantemente negativo, l’Italia si spopola e anche le previsioni a lungo termine di un Paese popolato in gran parte da stranieri nel 2060 a questo punto dovranno essere riviste. Di questo passo fra cinquant’anni l’Italia sarà soltanto un luogo da evitare.

“Ad andarsene sono i migranti che appartengono alle categorie più deboli e in particolare quelli che a causa della crisi economica hanno perso il lavoro”, afferma Marco De Ponte, segretario generale di Action Aid. Ed è il lavoro una delle principali criticità della condizione dei migranti in Italia, spiega l’associazione nel documento “Il mondo è un pianeta migrante. La condizione del lavoro per loro si riassume nelle “5 P”: il lavoro migrante è Precario, Poco pagato, Pesante, Pericoloso e Penalizzato socialmente.

“Attualmente un lavoratore straniero percepisce 300 euro in meno rispetto ad un lavoratore italiano”, continua De Ponte. “Uno stipendio netto medio mensile è di 973 euro, rispetto ai 1286 di un italiano. La condizione peggiora nel caso delle donne, per le quali il divario salariale nei confronti delle italiane è del 30%”.

Non è solo l’Italia a non essere più attraente per i migranti, ma l’intera Europa. Infatti la crisi economica globale – secondo ActionAid – sta in parte allentando le differenze Nord/Sud. La mappa mondiale della migrazione sta cambiando radicalmente: prima l’80% del flusso migratorio partiva dal Sud per raggiungere il Nord. Oggi un terzo si sposta all’interno dei paesi più poveri, un terzo continua a voler raggiungere i paesi ricchi e un terzo si sposta dai paesi ricchi ai paesi emergenti.

L’intero documento sarà reso pubblico venerdì mattina nel corso di una conferenza stampa a Roma.”Ormai è tempo di garantire loro maggiori diritti ai migranti – conclude Da Ponte – altrimenti rischiamo di aumentare l’esclusione sociale, che la crisi economica sta già rendendo insostenibile. Il primo dei diritti da garantire è che chi nasce e cresce in Italia sia cittadino italiano”.

La Stampa 21.02.13

"L'inganno del cavaliere", di Gianluigi Pellegrino

Qualsiasi comune cittadino procurasse analogo disordine pubblico farebbe fatica a passarla liscia con la legge. In sede civile e forse anche in quella penale. Le contestazioni non sarebbero poche. Dalla tentata usurpazione di pubbliche funzioni al procurato disservizio pubblico, all´artificio e raggiro tipici delle truffe.
Non è questione di credulità popolare. Qui è un presidente del Consiglio sino a poco tempo fa, e che lo è stato per ben otto anni negli ultimi dieci, a rivolgersi ai cittadini con forme e modi attentamente studiati per apparire ufficiali e come provenienti dall´autorità statale. Viene da domandarsi se lo stesso Berlusconi sia stato consapevole della gravità della trovata o forse non sia proprio lui a non prendersi sul serio, pronto a guasconeggiare con lo stesso ruolo istituzionale che bene o male ha pur ricoperto per tanti e recentissimi anni.
Bene inteso, nessuno vuol togliere a Berlusconi ricandidato il pieno diritto a proporre una misura pur così clamorosa come quella della restituzione di una tassa che lui stesso ha prima introdotto e poi concorso ad anticipare con le esatte modalità che ora vorrebbe abolire. Può farlo e fa parte della dinamica elettorale credere o meno alla fattibilità e alla utilità per il Paese di una siffatta proposta. Magari potrebbe renderla ancora più credibile se solo indicasse con qualche maggiore concretezza la fonte finanziaria dell´operazione.
Ma tutto questo non ha niente a che fare con l´abusiva e sostanzialmente violenta intrusione nel più autentico disagio economico e sociale che afferra le famiglie più povere e già solo per questo più pronte ad aggrapparsi a qualsiasi spiraglio di respiro finanziario. È qui la gravità del gesto di un fresco ex presidente del Consiglio che sceneggia un travestimento per aiutare il suo omonimo candidato sperando così di conferire una qualche credibilità a promesse di cui egli stesso evidentemente dubita per primo.
Se solo la legge lo consentisse, si può star certi che arriverebbe a promettere di far fronte lui direttamente alla provvista finanziaria. Tanto poi un modo o l´altro per recuperare lo troverebbe. E, comunque, cosa ha oggi di più importante che rosicchiare ancora qualche zero virgola, anche per ogni eventuale futuro negoziato?
Ed è persino comprensibile che il Cavaliere veda oggi sul fronte della concretezza il suo terreno elettorale, con un Monti necessariamente ambiguo, Grillo contro tutti e Bersani coscienziosamente schiacciato sul fronte della serietà che talvolta rischia di apparire vaghezza sul mercato forsennato della propaganda nelle ultime ore che precedono il voto. E però una cosa è la promessa pretesamente concreta, altro è l´utilizzo di apparenti vesti istituzionali per gabbare incolpevoli cittadini.
È come se un vigile urbano appena pensionato riutilizzasse la divisa per carpire l´affidamento degli automobilisti. O un parrocchiano spretato che reindossata la tunica passasse per la case del quartiere a raccogliere un´elemosina che mai andrà ad opere di bene.
Ciò che sembra sfuggire al cavaliere è che bene o male una fetta di italiani ha visto in lui un presidente del Consiglio e un´autorità statale. Un´istituzione, a prescindere da come l´abbia interpretata. Ma con le istituzioni, almeno con quelle che si è ricoperto, non si dovrebbe scherzare, se solo si ha una concezione appena seria dello Stato e di se stessi.
Proprio quello che manca a Berlusconi e a una certa pancia del Paese di cui sempre più disperatamente si fa interprete come questa nuova appiccicosa vicenda platealmente torna a dimostrare. Innescando però un cortocircuito che forse questa volta potrebbe pagare.

La Repubblica 21.03.12

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I pensionati già in coda per l´Imu-truffa del Pdl

Anziani in coda nei Caf e alle Poste per ottenere la restituzione dell´Imu. È l´effetto della lettera elettorale che Berlusconi ha mandato in casa degli italiani. Un messaggio di propaganda confezionato alla stregua di una comunicazione del fisco. Cgil, Cisl e Uil hanno diffuso un unicato stampa per informare che non esiste alcun rimborso «Quasi non ci credevamo. Quando questa mattina una signora si è presentata al nostro sportello, chiedendo il modulo prestampato per ottenere il rimborso dell´Imu, abbiamo pensato a uno scherzo». Poi, al Caf genovese della Cgil, hanno capito in fretta che quell´anziana con la borsa della spesa della Coop in una mano e una lettera nell´altra stava parlando sul serio. Anche lei era caduta nella trappola di Silvio Berlusconi, con quel foglio aperto da un´avviso importante stampigliato in cima e che illustrava “modalità e tempi per il rimborso sulla prima casa e sui terreni e fabbricati agricoli”. «È chiaro – commenta soddisfatto Umberto Bossi – che Berlusconi ha avuto un colpo di genio perchè se restituisce davvero l´Imu, e di solito le mantiene le promesse, ricordo l´Ici, allora riesce a far ripartire anche l´economia».
A decine, però, già ieri mattina e quindi ben prima del.la vittoria elettorale, si sono recati a Genova nei vari punti di assistenza dei sindacati, i Caf (centri di assistenza fiscale), ma anche agli sportelli della posta. E analoghe segnalazioni sono arrivate dai grandi centri, Roma, Milano, Palermo. Poco importa che, contro la lettera-truffa, anche ieri si siano scagliati gli avversari politici del Cavaliere. Ormai la macchina si era messa in moto e puntualmente, ieri mattina, la gente ha cominciato a farsi avanti, soprattutto a Genova, città più anziana d´Italia e (secondo una vulgata stranota) più attenta al denaro. A decine, nell´arco di tutto il giorno, cominciando già di prima mattina.
A esordire, raccontano ancora fra incredulità e amarezza i funzionari della Cgil genovese, due anziane signore. «Scusi, ci date il modulo per riavere indietro l´Imu?». Un attimo di smarrimento, poi con calma la spiegazione. «Non c´è nessun modulo, c´è solo una lettera inviata in milioni di copie in cui si promette la restituzione dell´Imu, nel caso Berlusconi vincerà le elezioni» hanno risposto al Caf. Le signore, un po´ smarrite, se ne sono andate. Ma altre ne sono arrivate, «molte altre». A fine giornata le segreterie sindacali hanno provato a fare il conto, arrivando a parecchie decine di genovesi, per lo più anziani.
«Ci sono due chiavi di lettura per provare a spiegare questo episodio – commenta il responsabile dei Caf genovesi della Cgil Renato Zini – La prima riguarda il rapporto fiduciario che soprattutto gli anziani hanno con noi e che li spinge a chiedere informazioni di fronte a cose che non appaiono subito chiare. Ricevono lettere, le leggono, ma non essendo certi di aver capito bene il messaggio preferiscono rivederle insieme a noi. La seconda, più preoccupante, è invece la convinzione di qualcuno che esistano realmente dei moduli prestampati per chiedere e ottenere il rimborso dell´Imu, così come promesso da Berlusconi. E anche con loro, ieri, abbiamo dovuto fare i conti».
Per evitare che il fenomeno potesse ripetersi, i sindacati ieri si sono riuniti e hanno deciso di lanciare unitariamente un comunicato stampa per informare «tutti i cittadini che allo stato attuale non è previsto alcun rimborso Imu sulle somme regolarmente dovute secondo l´attuale normativa». «Non perché non vogliamo avere nuovamente persone che avanzano simili richieste, ci mancherebbe, siamo qui per dare risposte, ma per ribadire con chiarezza che siamo di fronte solo a promesse elettorali».
In effetti, proseguono i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil, «la lettera pervenuta ai cittadini contiene un messaggio elettorale che induce il lettore alla convinzione che si possa realmente ottenere una qualche forma di rimborso. Chi è andato nelle nostre strutture, infatti, ha chiesto di entrare in possesso di un modulo per ottenere il rimborso o comunque informazioni in merito». Poi il finale, l´ultimo triste capitolo di una storia davvero grottesca. «Al fine di evitare perdite di tempo, Cgil, Cisl e Uil invitano i cittadini a non recarsi presso le sedi sindacali a seguito del ricevimento di questa lettera contenente un messaggio elettorale».

La Repubblica 21.03.12

"Bersani sfida i grillini e boccia le larghe intese", di Maria Zegarelli

Al professor Mario Monti che ipotizza (spera?) una grande coalizione Pier Luigi Bersani replica che questa non è altro che un’«ipotesi lunare», mai il Pd di nuovo in una maggioranza con Berlusconi. E sarebbe singolare se a una manciata di giorni dal voto il centrosinistra paventasse l’ipotesi di un nuovo ibrido a Palazzo Chigi tenuto insieme dal Professore che super partes non è più. E se Monti torna ad attaccare l’alleanza con Sel, Bersani rimette i paletti attorno alla sua coalizione pronta a discutere «con la testa aperta con tutti quelli che hanno buona volontà» ma non a perdere pezzi. «Che il problema diventi Vendola replica il segretario , caro Professore, mi fa un po’ ridere».
Meno lunare un’altra ipotesi, quella che sembra prendere corpo con l’avvicinarsi del voto: una presenza importante del M5s di Beppe Grillo, dato come possibile secondo partito del Paese. Tanto che il candidato premier del centrosinistra non può che farci i conti.
«Intese con i grillini?», gli chiedono durante una videochat con il Corriere. it. «Faremo scouting, per capire se intendono essere eterodiretti o partecipare senza vincoli di mandato», risponde sapendo che l’opposizione del movimento del comico potrebbe a seconda di quanti scranni conquisteranno condizionare pesantemente i lavori parlamentari. Non a caso gli appelli al voto utile, rivolti soprattutto agli indecisi saranno loro a determinare il risultato di queste elezioni parlano a chi guarda a Grillo con curiosità ma non è convinto, a chi è tentato dal voto di protesta ingroiano ma potrebbe cambiare idea.
Al Nazareno hanno dato il via alla volata finale con mobilitazioni porta a porta nelle regioni cruciali, come la Lombardia, la Sicilia, la Campania, ma anche il Veneto, dove le distanze dal centrodestra iniziano ad accorciarsi. «Domenica e lunedì saranno in gioco la governabilità, il cambiamento, il futuro dell’Italia», scrive il leader Pd agli elettori delle primarie chiamandoli a uno sforzo finale. E se soltanto qualche giorno fa Berlusconi avrebbe tirato un sospiro di sollievo alla notizia di un possibile passo indietro di Oscar Giannino che tanto lo penalizza al Nord, adesso il sollievo potrebbe essere a metà perché il Cavaliere, come il centrosinistra, sa che è con i grillini (ieri hanno riempito piazza Duomo a Milano) che bisognerà misurarsi. Tutto dipenderà da dove pescherà di più il comico genovese, se dal centrodestra o dal centrosinistra.
Certo per Bersani il giaguaro da smacchiare è Berlusconi, un giaguaro con tanto «di coda lunga», tanto quanto i vent’anni che è durata l’epoca azzurra, che «non si smacchia in un colpo solo», come dice durante un comizio a Cantù. «In questi venti anni ha seminato tante cose che dobbiamo correggere», e se solo il Pdl applicasse il codice etico del Pd, «dovrebbe buttarne fuori una vagonata, compreso Berlusconi». Quando vede la lettera imbroglio spedita dal Cavaliere agli elettori, con la quale promette la restituzione dell’Imu, Bersani lo definisce «un imbroglione», è un «modo di fare campagna elettorale continua che non digerisco». Ma non è soltanto il giaguaro l’insidia di questa tornata elettorale. È il populismo di cui si nutre il comico, «Grillo vuole portare il Paese fuori dalla democrazia e dall’Europa, ci porta in Grecia e di più». Che cancella differenze culturali e politiche, «dice che non c’è più né destra né sinistra, via dall’euro e non paghiamo i debiti». Eppure raccoglie consenso, tra persone che il segretario definisce «disamorate e disilluse. Un sentimento, la disillusione, che senza dubbio si può capire ma attenzione a dove ci porta». Spetta al Pd, allora, riuscire a intercettare in quelle piazze che Grillo riempie chi ancora darebbe una chance al centrosinistra e questa è la grande mission di questi ultimi giorni di campagna elettorale.
Alla sua destra Bersani ha un centrodestra apparentemente unito ma dalle forti tensioni interne, dopo Finmeccanica, Albertini, le uscite di Berlusconi sui possibili divorzi territoriali con la Lega. «Ieri dice ho visto la prima foto di Berlusconi e Maroni insieme, ma che faccia lunga aveva Maroni… Certo, perché mi viene da dirgli “siete ancora col miliardario. Per tenere la poltrona ancora una volta date via l’anima”». Molto dipenderà dalla Lombardia (dove molti montiani e ingroiani opteranno per il voto disgiunto al Senato) e dalla Sicilia (con Grillo che punta al sacco pieno) dove proprio oggi il segretario Pd tornerà con Matteo Renzi a Palermo, in piazza Verdi, di fronte al Teatro Massimo, con una manifestazione che sarà aperta dal presidente della Regione Rosario Crocetta.
Domani sarà a Napoli, alle 17 in piazza del Plebiscito, nella città del sindaco Luigi De Magistris, bacino tra i più fruttuosi per la Rivoluzione Civile di Ingroia. E da qui ripeterà che «tutti i voti sono utili, quelli che si danno per protestare, oppure per fedeltà a una persona, ma poi un pezzo di responsabilità è anche tua». Il titolo che gli piacerebbe leggere martedì sui giornali, confessa, è «Vittoria del centrosinistra, e ora si metta a governare». Ma bisogna smacchiare il giaguaro.

L’Unità 20.02.13

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Bersani: non voglio solo vincere Una legge per cambiare i partiti. «I grillini? In Parlamento bisognerà fare scouting», di Angela Frenda

Cravatta rossa, come da copione, Pier Luigi Bersani ieri mattina è arrivato in via Solferino puntuale per l’appuntamento con la chat di Corriere.it, il faccia a faccia in diretta web con i lettori condotto da Giovanni Floris e dal direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli. E subito il leader del Pd, rompendo il ghiaccio, ha sgombrato il campo sul tema del «vecchio» e del «nuovo»: «La disaffezione verso la politica c’è, è inutile nasconderlo. Ma io sono partito dall’esigenza di mettersi in gioco. La strada è questa: attivare meccanismi di partecipazione».
Perché la sua, ha rivendicato Bersani, è una campagna fatta «di proposte concrete». Replicando a un lettore che contestava invece una strategia sul filo dell’antiberlusconismo e non dei temi concreti, ha chiarito: «Io non ho fatto altro, in queste settimane, che parlare di proposte. Non ho inseguito Berlusconi, ma sono pur sempre alternativo a lui. Vince chi arriva primo, no?». E su chi però la spunterà davvero, il leader del Pd si lascia andare a una scaramantica previsione: «Io, quando Berlusconi parla di rimonta, non gli credo. No, non penso proprio che ci sarà un sorpasso. Anche perché c’è una parte di elettorato del centrodestra che sta valutando seriamente come esprimersi». Alla fine scherza: «Berlusconi dice che se perde Monti si ubriaca? Non sono così cattivo, ma se vedo lui e la Lega bassi bassi, diciamo che una birretta me la faccio».
Di scarso effetto, dunque, a suo dire, gli annunci di riduzione delle tasse e abolizione dell’Ici fatti dal leader del centrodestra: «Per le persone il vero nodo oramai è il lavoro. Poi, certo, anche noi siamo per abbassare l’Irpef ai ceti più deboli, ridurre l’Irap e aiutare chi investe per dare lavoro. E siamo per dire no a qualunque tipo di condono fiscale. Però quando uno mi annuncia, come fa Berlusconi, “voglio abbassare le tasse”, ma poi mi aggredisce quando spiego che deve girare meno contante… Non capisco più». Sullo sfondo, il caso del Monte dei Paschi. E l’ipotesi che ci sia stato un accordo spartitorio tra Pd e Pdl su Mps? Bersani scuote il capo e con voce pacata replica: «È un’ipotesi lunare. Ma non è una storia a orologeria… La magistratura sta facendo il suo corso. Se c’è qualcosa, riguarderà alla fine dei manager infedeli. Ma arrivati fino in fondo si individueranno le responsabilità sistemiche di questa vicenda: falsificazione dei bilanci, derivati regolati, soldi girati con scudo fiscale. Quanto ai poteri forti… In Italia sono deboli. Un sistema capitalistico talmente debole che non riesce a trovare capitali per l’avvio di iniziative industriali».
Ma a suscitare particolare preoccupazione, in Pier Luigi Bersani, è il «fenomeno Grillo», che sempre ieri, in serata, ha parlato in piazza Duomo a Milano. Il leader pd ammette: «Capisco che Grillo abbia successo con chi è scontento… Però lui dove vuole portare, alla fine, questa gente? Se uno non risponde mai a una domanda, e fa una cosa sconosciuta alla democrazia, allora sceglierlo significa che abbiamo deciso di uscire dalla democrazia? L’idea che questo movimento di protesta possa tradursi in un tanto peggio è un’idea che mi turba. Poi, certo, con i grillini in Parlamento ci sarà da fare scouting, capire come interpretano il loro ruolo. Se vogliono essere eterodiretti da uno che non risponde alle domande o vogliono partecipare liberamente a una discussione parlamentare. Ma senza preclusioni, non è tempo di essere faziosi».
E in caso di vittoria, cosa farà il Bersani premier? «Sicuramente non un’altra manovra economica: finiremmo contro un muro. Sto cercando di convincere anche l’Europa che è ora di smetterla con questo sistema, altrimenti andremo tutti a segno meno». Taglierà poi le spese militari, a favore «di scuole e ospedali nuovi». E sul tema di smacchiare il giaguaro aggiunge: «Penso non solo a vincere, ma a rimettere ordine nel sistema politico, magari con una bella legge sui partiti: serve la garanzia che chi si presenta abbia alle spalle un collettivo. Perché se mi comanda uno dal tabernacolo della Rete e non risponde a nessuno, ci va di mezzo il paese». Meglio, molto meglio, dice, presentarsi con una coalizione chiara: «Come noi. Io tra Monti e Vendola non devo scegliere, ho già scelto: Tabacci…Vendola… La foto di gruppo con loro l’ho fatta vedere. Questa è la nostra coalizione. Punto. Se non saremo sufficienti per governare, si discuterà con questa coalizione». Infine, una stoccata a Monti: «Non vedrete mai una sua foto di gruppo con Casini e Fini. Perché mentre la nostra coalizione durerà, la loro forse al massimo una settimana».

Il Corriere della Sera 20.02.13

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Bersani apre ai grillini: discutiamo dopo il voto. “Vediamoli alla prova dei fatti”. Renzi: meglio cento di loro che cento leghisti, di Giovanna Casadio

E Bersani usa la carota. Non solo bastonate a Grillo («Porta il paese fuori dal contesto democratico, gioca alla rovina del-l’Italia »), ma a “- 5 “ giorni dal voto, l’apertura a un confronto parlamentare con i grillini. Il candidato premier del centrosinistra ha i sondaggi sul tavolo, e vede quello che è sotto gli occhi di tutti, cioè che il MoVimento 5Stelle è in ascesa e che le piazze dello tsunami- tour sono gremite: dopo Torino, ieri piazza Duomo a Milano in vista di piazza San Giovanni venerdì a Roma. Perciò – dice Bersani – se in Parlamento ci sarà una presenza massiccia di “5Stelle”, ebbene «ci sarà da fare scouting». Il vocabolo è insolito. Vuol dire che bisognerà andarli ad “esplorare” questi grillini. Vedere cosa vorranno fare, se sceglieranno di essere «eterodiretti», dal guru Grillo, «uno che non risponde alle domande, che rischia di portarci verso la Grecia», oppure se i parlamentari “5Stelle” saranno pronti a discutere sui provvedimenti esercitando la loro funzione, come la Costituzione prevede, senza vincolo di mandato. È l’annuncio di una campagna acquisti?
«No, è per discutere, li testeremo sui fatti». Ha già avvertito Grillo di non prendere in giro la gente, la sua rabbia e delusione con promesse impossibili da mantenere come quella di mille euro per tre anni ai disoccupati.
Anche Renzi – che oggi terrà un comizio a Palermo con Bersani valorizza i “5Stelle”: «È sempre meglio avere 100 grillini in Parlamento che 100 leghisti. Il Pd faccia propri i temi dei costi della politica e dell’innovazione digitale e ambientale». Grillo per la verità attacca Bersani-Gargamella; annuncia che «aprirà il Parlamento come una scatoletta di tonno». Ma il segretario democratico all’allarme sul populismo grillino, accompagna un ragionamento: «Il M5S è nato in Emilia Romagna, li conosciamo bene, capisco la richiesta di sobrietà della politica e anche la rabbia…». «A un leader, a Bersani, tocca essere duttile, flessibile, non rigido e comprendere le cose», spiega Miguel Gotor, storico», capogruppo democratico al Senato in Umbria, “spin doctor” bersaniano alle primarie. Da comprendere c’è il flusso dei consensi, il travaso da Berlusconi a Grillo che lucrerà ora anche sull’implosione di Oscar Giannino. C’è da capire «come il berlusconismo ha modificato il corpo dei moderati italiani, radicalizzandoli », riflette sempre Gotor. «Proprio perché l’elettorato di Grillo è di destra populista – ritiene invece Beppe Fioroni, leader dei Popolari, alla guida del Pd a Lazio 2 – non credo sarà possibile il dialogo, il confronto futuro sarà difficile». La prova di governo a Parma dei grillini ha mostrato tutta la contraddizione tra le promesse e la difficoltà di mantenerle. «Il famoso inceneritore, la madre di tutte le battaglie del Movimento a Parma, ad aprile si farà; l’Imu che doveva essere abbassata è rimasta una delle più alte d’Italia – elenca Stefano Bonaccini, segretario democratico emiliano – Dopo di che, una cosa è Grillo altra i militanti “5Stelle”, e su molti temi dalla sobrietà della politica all’ambiente la discussione è in corso». L’obiettivo dei Progressisti è tuttavia la vittoria netta contro Berlusconi. «La partita continua ad essere tra Bersani e Berlusconi – afferma D’Alema – non è a Monti che competerà di guidare il paese». Dal Pd ancora appelli al voto responsabile. Li fa Enrico Letta, il vice segretario. Rilancia Renzi: «Bersani è in vantaggio, altri studiano il pareggio». E Bersani, ieri di nuovo nella Lombardia in bilico, invita: «I voti sono tutti utili, ma siate responsabili».

La Repubblica 20.02.13

Renzi «Cerchiamo i voti casa per casa» di Vladimiro Fruletti

Ieri ha fatto il pieno a Prato e Arezzo (hanno dovuto spostare l’incontro già fissato alla Borsa merci in piazza, per la troppa gente). Scene già viste in Campania, Lombardia, Liguria, Pie- monte e lo scorso fine settimana in Veneto. Oggi sarà in Sicilia, a Palermo assieme a Bersani. Poi, domani ancora tre tappe in Lombardia con Ambrosoli e la sera Firenze assieme a tutti i candidati fiorentini al Parlamento. Poi venerdì a Bologna e Modena. Insomma il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha fatto un vero e proprio tour elettorale «da non candidato, ma da militante» dice. Sindaco, oggi lei sale di nuovo su un palco assieme a Bersani…

«È naturale, quando Pier Luigi mi ha chiesto di accompagnarlo in questa ultima tappa sono stato molto felice di aderire perché credo che in questo momento sia giusto che ciascuno faccia tutto quello che è nelle sue possibilità per l’ultimo sforzo. Sono i 5 giorni che segneranno i prossimi 5 anni. E quindi vanno vissuti con l’impegno personale totale da parte di tutti. Io fra questi». Lei si è meravigliato della altrui meraviglia per questo suo comportamento. In Italia non ci siamo abituati?

«Un po’ non ci siamo abituati e poi ho scontato un po’ di cattiverie gratuite anche sul mio conto. Ma oramai appartengono al passato, per me sono morte e sepolte. Dobbiamo abituarci a un meccanismo per cui chi vince non ha il diritto, ma il dovere di fare ciò per cui è stato eletto».

Perché allora non avete fatto un ticket? La Clinton ha fatto il ministro degli esteri di Obama.
«Io darò una mano al governo del Paese facendo il sindaco di Firenze. Di fronte a tutti quelli che dicevano che facevo la battaglia delle primarie per avere un posto al sole ho fatto una scelta di serietà. Capisco che questa cosa stoni in un Paese in cui ci sono i Razzi e gli Scilipoti, ma c’è un valore educativo, pedagogico».

Quale?

«Che si può fare una battaglia senza chiedere un paracadute in cambio. All’immagine del giovane rampante che voleva far carriera con le primarie ho risposto come una persona che come tanti altri fa il suo mestiere, continua a farlo, e fa politica. Non c’è nulla di eccezionale. In queste ore ci sono migliaia di militanti del Pd che stanno facendo campagna elettorale senza chiedere nulla in cambio. Meritano la nostra stima e il nostro affetto. Io sono uno di loro. E meno male che le primarie le abbiamo fatte».

Meno male perché?

«Perché oggi sono il vero jolly che il centrosinistra si può giocare. Non oso immaginare, in tempi di montante antipolitica, come saremmo messi se non le avessimo fatte. Se siamo nettamente avanti è anche grazie al fatto che con le primarie abbiamo riacceso tante speranze, abbiamo parlato e ascoltato il Paese. Ed è grazie alle primarie se porteremo in Parlamento il 40% di donne, molte delle quali under 40. Un fatto questo sì rivoluzionario per il Paese». Le donne forza del cambiamento? «Certo, in giunta ho più donne che uomini, il direttore generale del Comune di Firenze è una donna. Le tante donne Pd in Parlamento saranno il segno della nostra differenza anche culturale rispetto agli altri. Grillo compreso, che zittisce con insulti maschilisti la consigliera comunale che non la pensa come lui, o il cui sindaco manda a casa una assessore perché aspetta un bambino».

Per Prodi lei è una risorsa per il futuro. Anche Bersani ha espresso un concetto simile. Che ne pensa?
«Il futuro non è una persona. E prima o poi arriverà, ma ora preoccupiamoci del presente. E ora il mio presente è dare tutto il meglio di me per far vincere il centrosinistra. E poi continuare il lavoro per la mia città».

Non si candida a segretario del Pd?

«Non è il momento di parlare del congresso. Anzi vorrei lanciare un appello a tutti. Il giorno dopo il voto non mettiamoci a discutere e litigare sul congresso, ma tutti insieme facciamo sì che il Pd dia una mano al governo Bersani. Qui c’è da mettere posto un Paese, è in gioco l’Italia».

Teme che il centrosinistra e il Pd possano ricadere nell’antica malattia di dividersi una volta vinte le elezioni?
«Non penso che succederà, ma da sindaco che non è candidato chiedo che il giorno dopo non si riprenda con la musica dello scontro. C’è da governare un Paese, non da maciullare i leader». D’Alema, l’altra sera a Firenze, non le ha riconosciuto solo «maturità da leader», ma ha anche detto che lei ha mostrato agli italiani che il Pd è un partito vero, di cui ci si può fidare perché non si divide. È così?

«Con tutto il rispetto, non formale, che devo al presidente D’Alema, faccio notare che queste sono le cose che dicevamo durante le primarie, sono contento che oggi le apprezzi. Io non ho cambiato idea su D’Alema, è lui che l’ha cambiata su di me».

Nell’agenda Monti ci sono alcuni temi del suo programma alle primarie. È possibile un’intesa con il Professore dopo il voto?

«Le alleanze le decide Bersani. E certo che con Monti si può lavorare, il Pd l’ha fatto l’ultimo anno e mezzo. Se l’agenda è quella di Monti parliamone, se è l’agenda Smemoranda di Fini farei molta più fatica».

Al centrosinistra servirà avere la maggioranza sia alla Camera che al Senato. «Basta elucubrazioni. L’importante ora è scendere le scale, parlare col vicino di casa, convincere gli indecisi che sono ancora molti. Se vogliamo possiamo trasformare la Lombardia nella California di Obama e il Veneto nell’Ohio».

Berlusconi si sente in corsia di sorpasso.

«Il Presidente Berlusconi ha una strana concezione del codice della strada. A destra c’è solo la corsia d’emergenza. Stia attento che mentre parla di sorpasso alla Camera noi non gli facciamo lo scherzetto in Lombardia».

Quanta rottamazione c’è in Grillo?

«Lui sbandiera cose che noi facciamo. I costi della politica? A Firenze abbiamo ridotto gli assessori, eliminato le auto blu e abbassato le tasse. Certe questioni lui le può enunciare, ma noi possiamo realizzarle. Penso alla rivoluzione digitale, alla banda larga, a una diversa gestione del territorio e dell’ambiente. Se riusciremo a far passare questo messaggio potremo limitare l’avanzata grillina, che comunque sarà significativa, ma soprattutto potremo ragionare con una parte dei Parlamentari e del popolo grillino il giorno dopo».

L’Unità 20.02.13