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«+ sapere = sviluppo». Oggi a Roma il convegno di Left, di Mario Castagna

Ci sarà spazio per il cahier de doléances, le lamentazioni sullo stato comatoso dell’università italiana. Ma gli organizzatori hanno pensato alla giornata di oggi come un momento per discutere del futuro dell’Italia attraverso il futuro dell’università e della ricerca del nostro Paese. Oggi al Teatro Piccolo Eliseo a Roma si ritroveranno studenti, ricercatori, docenti chiamati a raccolta da Left. «+ Sapere = Sviluppo» è il titolo di questo grande appuntamento che il settimanale offre alla coalizione guidata da Pier Luigi Bersani per confrontarsi con un mondo troppo bistrattato dalle politiche degli ultimi governi.
A poche settimane dalla scadenza elettorale gli operatori della conoscenza chiederanno precisi impegni alla politica. In primis, uno stop alla contrazione delle risorse pubbliche, per le quali l’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi Ocse. Poi, un nuovo slancio per la ricerca pubblica, fondamentale per l’innovazione tecnologica, insieme a nuove politiche industriali. E una riforma del sistema di valutazione, tanto importante quanto oggi inefficiente. Infine, un nuovo sistema per il diritto allo studio, su cui il ministro Profumo ha recentemente redatto un decreto di riforma duramente contestato dagli studenti.
«Oggi, riprendendo discussioni interrotte in passato, serve interrogarsi sul ruolo del sapere come motore di sviluppo di un Paese, indipendentemente dalle logiche mercantilistiche, ma non svincolato dalla sua funzione originaria di strumento capace di innovare e di migliorare le condizioni sociali ed economiche delle persone ci racconta Luca Spadon, portavoce del sindacato studentesco Link negli ultimi anni il dibattito pubblico sull’università si è concentrato principalmente intorno ai temi dell’organizzazione delle strutture universitarie. Sarebbe ora di parlare della funzione dell’università nella costruzione del nuovo modello di sviluppo».
Oggi, nel mondo dell’università e della ricerca, sono molti a pensare di avere ormai oltrepassato il punto di non ritorno. I dati divulgati dal Cun sul crollo delle iscrizioni universitarie e sui tagli al finanziamento hanno portato all’attenzione di tutti la drammatica situazione. Ma la vita quotidiana di studenti, ricercatori e professori è costellata da tempo di prove tangibili del declino. Anche se colpita da mille problemi che la affliggono ogni giorno, però l’università italiana non è solo una storia di lacrime e sangue. I redattori di Roars negli ultimi mesi hanno fatto della loro piccola rivista telematica una grancassa di idee purtroppo poco diffuse sui grandi giornali. Hanno messo insieme i numeri e hanno ribaltato tanti luoghi comuni. Le università italiane sono troppe e alcune vanno chiuse, si legge spesso sulle colonne dei grandi quotidiani italiani. Peccato che l’Italia abbia 1,6 atenei per milione di abitanti contro i 2,3 dell’Inghilterra, i 3,4 dell’Olanda, gli 8,4 della Francia e addirittura i 14,5 degli Usa. La ricerca italiana produce poco e i soldi investiti sono risorse buttate, si dice spesso giustificando i tagli di bilancio. Ma a guardare bene le classifiche internazionali, gli atenei italiani hanno un buon livello medio, senza grandi eccellenze ma con tante università di buona qualità su tutto il territorio nazionale. Le classifiche internazionali sulla produttività scientifica collocano l’Italia sempre nelle prime posizioni. Se poi il sostegno pubblico fosse maggiore l’Italia potrebbe anche primeggiare in molte discipline.
Di chi è quindi la colpa del declino italiano? Sicuramente di qualche barone e del nepotismo che domina poche facoltà. Ma soprattutto del declino degli investimenti privati nei settori della ricerca e dell’innovazione.
L’Italia è agli ultimi posti in tutte le classifiche sulle industrie innovative, sull’occupazione dei giovani laureati e sul numero di ricercatori occupati nel settore privato. Anche per questo Left ha scelto di mettere dall’altra parte del tavolo non solo chi nel Pd e in Sel si occupa di questi temi, ma anche Stefano Fassina, che per i democratici si occupa di lavoro ed economia. Per ribattere all’assunto di berlusconiana memoria che se abbiamo le scarpe più belle del mondo, possiamo anche fare a meno delle nostre università.

l’Unità 12.02.13

"Fecondazione: confermato il no alla legge italiana", di Gioia Salvatori

Avevano fatto ricorso perché a loro, fertili ma con una malattia ereditaria scritta nel dna, non era consentito di accedere alla diagnosi pre-impianto del loro embrione. La Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo aveva dato ragione alla coppia ordinando di rivedere la legge 40 ma il governo dei tecnici, nello stupore dei laici, si era messo di traverso facendo ricorso contro la sentenza a favore dei coniugi Costa-Pavan. Un atto inaspettato: perché un governo fortemente europeista fa ricorso contro una Corte europea? Perché un governo chiamato a risanare i conti si dedica con veemenza a un tema etico? Oggi, col senno del dopo salita in politica del senatore Monti, è facile rispondere.
Lo scorso 28 agosto, quando arrivò la sentenza europea e il ministro della salute Balduzzi annunciò il ricorso, si poteva solo sospettare. Ora un altro pezzo della legge 40 è smontato, ora il diritto alla fecondazione medicalmente assistita con diagnosi pre-impianto ce l’hanno tutti, non solo le coppie sterili, anche quelle fertili ma portatrici di una malattia ereditaria. La legge 40 viola il principio di uguaglianza e la Carta europea dei diritti dell’uomo, aveva scritto la scorsa estate la Corte Europea di Strasburgo intimando al Parlamento di riscrivere la legge. Ieri Strasburgo ha confermato tutto, respingendo al mittente il ricorso del ministro della Salute Balduzzi arrivato in corner, mentre il governo tecnico già traballava. Per i laici il respingimento del ricorso è un’altra vittoria, per l’ex sottosegretario Eugenia Roccella, Pdl, già animatrice dei movimenti cattolici pro-life, a un passo dalle elezioni il ministro Balduzzi dovrebbe emanare delle nuove linee guida della legge 40. A Roccella replica l’avvocato Filomena Gallo dell’associazione radicale Luca Coscioni sottolineando l’evidenza: e cioè che i tempi per le linee guida non ci sono; «il prossimo Parlamento – aggiunge non può più esimersi dal riscrivere la legge 40 tenendo presente che da quando è nata ad oggi sono arrivate 23 ‘decisioni’, cioè ordinanze di tribunali, sentenze internazionali e della Corte costituzionale, contro la legge 40. Di fatto aggiunge da oggi le coppie fertili potranno chiedere di accedere alla fecondazione medicalmente assistita con diagnosi pre-impianto senza più fare ricorso al tribunale di zona, forti di sentenze internazionali che danno loro questa facoltà. È una vittoria della cultura laica e un’affermazione dei diritti delle persone che vorrebbero avere un figlio», conclude il legale che ha seguito la coppia.
Della legge 40 resta ben poco, ci hanno pensato tribunali, corti nostrane ed europee a picconarla. Grazie a varie sentenze oggi è superato il limite tre embrioni da concepire e obbligatoriamente impiantare: a tutela della salute della donna, per evitare continui stimolazioni ovariche e prelievi, se ne possono formare di più e si possono pure congelare. Resta il divieto di fecondazione eterologa ma l’avvocato Gallo ricorda che diversi tribunali hanno detto che è incostituzionale e a breve risponderanno alla Corte Costituzionale che li ha sollecitati a «formulare meglio la richiesta di incostituzionalità del divieto di eterologa». Presto ci sarà altra giurisprudenza sul divieto di fecondazione con un gamete esterno alla coppia, dunque, perché anche su questo tema c’è qualcuno che studia nei tribunali di Firenze, Bologna, Catania e Milano «E speriamo che la politica non si faccia sostituire ancora una volta dai tribunali», è laconica l’avvocato Gallo.
Le reazioni alla sentenza non tardano ad arrivare: «È stato respinto un ricorso che non andava fatto», dice il vicepresidente del Pd, Ivan Scalfarotto. «La decisione della Corte di Strasburgo ha detto invece Anna Finocchiaropresidente dei senatori Pd conferma la necessità di riscrivere la legge40 sulla procreazione assistita per aiutare le giovani coppie». Aspettiamo la politica alla prova dei fatti, col prossimo Parlamento, quando una legge sbagliata sarà da riscrivere per dare a tutti gli stessi diritti, tutelare la salute della donna e i desideri di tutte le coppie che vogliono un figlio.

L’Unità 12.02.13

Bersani: "La scuola pubblica è il cuore del nostro programma". E pensa all'8 per mille per l'edilizia scolastica

“Se saremo chiamati a governare, restituire all’istruzione le risorse, la stabilita’ e la fiducia sara’ il cuore del programma”. Pierluigi Bersani, in una lettera pubblicata da Repubblica, illustra il piano del suo partito per valorizzare la scuola pubblica. “Rilanciare la formazione” e’ la mossa chiave per far ripartire il Paese, dice il leader democratico. ”Dovremo investire in istruzione e diritto allo studio- aggiunge- larga parte delle risorse rese disponibili dalla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione per riportare gradualmente l’investimento al livello dell’Ocse”.

Per Bersani le emergenze sono innanzitutto tre: “La sicurezza delle scuole; la dispersionescolastica; la necessita’ di un nuovo sistema di formazione e reclutamento degli insegnanti”. Dunque servono investimenti per ristrutturare le scuole e c’è anche la previsione che “i cittadini possano destinare l’8 x mille dello Stato all’edilizia scolastica”. Inoltre servono nuovi investimenti per la “formazione offerta ai docenti in servizio per rinnovare la didattica, nuove tecnologie, scuole aperte tutto il giorno, rilancio della formazione tecnica e professionale”.

“Quello che serve- ribadisce il segretario Pd Pier Luigi Bersani in una lettera pubblicata da Repubblica- e’ un nuovo piano pluriennale di esaurimento delle graduatorie per eliminare laprecarieta’ dalla scuola e offrire la continuita’ didattica agli studenti, bisogna definire un sistema che leghi la formazione iniziale al reclutamento e sappia selezionare i migliori laureati ad accedere come docenti attraverso numeri programmati per dare una dotazione di personale stabile in ogni istituto”.

www.dire.it

"Contratti dei supplenti nel caos", di Carlo Forte

Il ministero dell’istruzione ha inviato alle scuole i nuovi moduli per i contratti di supplenza con una nota emanata il 5 febbraio scorso (939). Ma il nuovo formulario rischia di ingenerare caos circa le disposizioni sulla monetizzazione delle ferie. I moduli, infatti, recano la seguente dicitura da inserire in tutti i nuovi contratti: «La liquidazione relativa alle ferie non godute spetta esclusivamente nel limite di quelle non godibili per incapienza rispetto ai giorni di sospensione delle attività didattiche compresi nel contratto».

Ma questa clausola non tiene conto del fatto che i contratti cui fa riferimento la nota ministeriale non consentono di fruire delle ferie nel periodo di sospensione delle attività didattiche (luglio e agosto). La nota, infatti, reca i moduli per stipulare i contratti di supplenza breve, quelli fino a nomina dell’avente diritto e quelli sulle disponibilità che insorgono dopo il 31 dicembre (dunque con termine non oltre il 30 giugno). E dunque, in assenza di disposizioni precise da parte dell’amministrazione centrale, è molto probabile che i dirigenti scolastici adotteranno interpretazioni non uniformi. Tanto più che la normativa di riferimento sulla limitazione del diritto alla monetizzazione delle ferie è piuttosto complessa. Specialmente per quanto riguarda i periodi di vigenza. Ciò è dovuto al fatto che l’articolo 5 comma del decreto legge 95/2012, nel prevedere il divieto di monetizzazione, in prima battuta non aveva previsto eccezioni. E quindi, nel periodo che va dal 7 luglio scorso fino al 31 dicembre 2012, stando alla lettera della norma, il diritto alla monetizzazione è cessato del tutto.

Anche se la Funzione pubblica era già intervenuta l’8 ottobre scorso, per spiegare che quando le ferie non possono essere fruite per cause di forza maggiore, l’indennità avrebbe dovuto comunque essere versata. Dal 1° gennaio, però, è entrata in vigore una nuova versione del comma 8 dell’articolo 5, che introduce una deroga in favore del «personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche».

La novella prevede, infatti, che la monetizzazione spetta, in forma ridotta, «limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie». Ma le nuove disposizioni, pur essendo entrate in vigore il 1 gennaio scorso, non dovrebbero applicarsi prima del 1° settembre prossimo. Perché la novella prevede la disapplicazione del trattamento più favorevole previsto nel contratto solo a partire dal 1 settembre 2013 (art. 1, comma 56, della legge 228/2012). Pertanto, nel periodo che va dal 1° gennaio al 31 agosto di quest’anno dovrebbero ancora trovare applicazioni le disposizioni contrattuali. In particolare, dovrebbe continuare ad essere applicato il comma 15, dell’art. 13 del contratto, che prevede la monetizzazione all’atto della cessazione, in caso di mancata fruizione delle ferie. E il comma 2, dell’art. 19 che lo prevede in modo particolare per i precari. Resta il fatto, però, che per giungere a queste conclusioni è necessario mettere in relazione più norme. E quindi, per fugare dubbi e, soprattutto, per prevenire l’insorgenza di interpretazioni in contrasto che potrebbero alimentare il contenzioso, sarebbe opportuno che l’amministrazione centrale intervenisse con un chiarimento. Così da assicurare l’uniforme applicazione delle nuove norme su tutto il territorio nazionale. Nel frattempo la Gilda minaccia di ricorrere al giudice: «Il ministero dell’Istruzione faccia subito un passo indietro sulle ferie non godute dei supplenti o andremo direttamente nelle aule di tribunale per difendere i diritti dei nostri iscritti», denuncia Rino Di Meglio, coordinatore nazionale. Chiedono un passo indiestro anche gli altri sindacati della scuola.

da ItaliaOggi 12.02.13