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Formale impegno del PD a risolvere la questione “Quota 96”

La responsabile scuola del Pd, Francesca Puglisi, ha incontrato ieri a Roma una delegazione del Comitato Civico «Quota 96», in rappresentanza dei pensionandi della scuola, che da oltre un anno lottano per avere riconosciuto il diritto di andare in pensione con le vecchie norme. La rappresentante democratica, candidata al Senato, ha promesso di impegnarsi in prima persona per sanare la ben nota vicenda qualora il suo partito dovesse vincere le elezioni. Una buona notizia che tutti gli aderenti al Comitato civico “Quota 96” si augurano possa concretizzarsi.

Si tratta di circa 3500 lavoratori, fra docenti e personale Ata, rimasti imbrigliati nella riforma Fornero, e costretti a una brusca deviazione rispetto ai loro progetti esistenziali e iniquamente impediti a far valere il loro sacrosanto diritto a pensione così come esso è sancito da norme speciali tuttora in vigore.
L’impegno assunto è considerevole, fanno sapere dal Comitato Civico «Quota 96», e metterebbe la parola «fine» a una storia estenuante fatta di continui e sordi dinieghi governativi rispetto a ciò che non può né deve essere considerato un privilegio.

Il Pd inoltre, proprio per confermare il suo impegno nei confronti di questi lavoratori, ha inserito nel proprio programma elettorale il riferimento al personale della scuola che nonostante abbia raggiunto “Quota 96” (età anagrafica più età contributiva) non può andare in pensione perché il riferimento temporale, a causa delle legge Fornero, è al 31 dicembre e non al 31 agosto, quando finisce l’anno scolastico e quindi le lezioni.

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"La lezione di Berlinguer", di Michele Prospero

E’ chiaro che in una crisi organica come quella italiana, che coinvolge istituzioni e società, cultura ed economia, poteri e forme dell’immaginario, rimangono aperte le possibilità di rovinose cadute. Che al termine del lavoro «sporco» affidato al governo tecnico, invocato per bloccare l’emergenza con in- derogabili misure di risanamento, potesse furtivamente ricomparire lo spettro beffardo del Cavaliere, con il suo puerile gioco che pretende di accarezzare l’inverosimile come se nulla di tragico fosse accaduto, era un rischio evidente.

Un rischio evidente sin dalla gestazione della «strana maggioranza». Ma alla sinistra, in una giuntura che annunciava catastrofi incombenti, non si ponevano altre alternative. Stare nella crisi e cercare di indirizzarla verso sbocchi progressivi era la sola maniera per non soccombere e proteggere quella parte di società che è vulnerabile e vive di lavoro. Se oltre il 30% degli elettorali è indeciso o orientato all’astensione, se, tra coloro che si recheranno alle urne, le formazioni populistiche afferrano il 50% dei consensi e se, infine, dopo la comparsa da Santoro in tv Berlusconi, che è il principe dei giustizialisti e perciò in quell’atmosfera inquisitoria grottesca ricaricava le spente batterie, ha mostrato segnali di inopinata ripresa ciò significa che i focolai di crisi sono ancora operanti e che le derive non sono scongiurate.

La crisi italiana è così grave e profonda che il suo decorso mostra dei prolungamenti nello scenario europeo. La paura di un contagio italiano, e quindi di una destabilizzazione dell’economia e delle istituzioni continentali, è molto forte in Europa. A nessuno sfugge che un terribile ritorno in scena del Cavaliere, cioè di un blocco populista con venature fasciste che spaventano gli stessi capi del Partito popolare pronti ormai a misure di espulsione, indurrebbe le cancellerie europee (e non solo) a imporre una severa quarantena per l’Italia. Un commissariamento, con una prolungata limitazione della sovranità statuale, sarebbe il prezzo prevedibile di un ritorno di Berlusconi, o di una caduta nella ingovernabilità.

Con il 35 per cento dei consensi che gli attribuiscono i sondaggi, e in virtù della legge elettorale che al primo piazzato dà il 55 per cento dei seggi, la coalizione di Bersani è in grado di garantire la governabilità, di eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Però questo elemento di rassicurazione non deve cancellare le molteplici zone oscure che permangono. Da quando è segretario, Bersani ha recuperato il lascito più raffinato del berlinguerismo politico, e cioè la consapevolezza che nelle fasi di transizione, e questo vale soprattutto per un Paese a fragile ossatura democratica e a sbiadito civismo per la lealtà labile della borghesia, l’assillo principale della sinistra deve essere quello di impedire il connubio tra il centro moderato e la destra populista.

Sulla base di questa lezione storico-politica di Berlinguer, Bersani ha favorito dapprima l’erosione del potere belusconiano incoraggiando la fuga di Fini dalla maggioranza, e poi ha costruito la sua prospettiva di governo, condita con una strategia dell’attenzione verso un centro competitivo ma non alternativo alla sinistra, e quindi sganciato dal populismo per ragioni di cultura politica e non di semplici meccaniche elettorali. Finché perdura una fase di incerta transizione, con scenari da incubo per la minaccia di una destra impolitica, la sinistra non può che dialogare con le forze del costituzionalismo moderato, senza che ciò si traduca in automatiche formule di governo.

La messa in sicurezza della malconcia democrazia italiana non può limitarsi al terreno politico. Il ruolo del sindacato, dei soggetti sociali è centrale nel recupero di un orizzonte di nuova statualità in grado di restituire coesione e crescita, innovazione e diritti, decisione e rappresentanza. È chiaro che senza questa visione, politica e sociale insieme, non si cura la malattia della democrazia. Il ronzio fastidioso della vita lacerata dalla crisi sociale non lascia spazio alle fughe pittoresche che Berlusconi tenta per fare della politica l’arte della dimenticanza. Il fastidioso senso del tempo, la percezione di un baratro sfiorato e l’incubo di nuove povertà non si cancellano con i ritrovati della comunicazione. La favola non può sospendere il giudizio critico di chi avverte che con il Cavaliere ancora al potere non ci sarà pace nei mercati globali, mancheranno soldi per stipendi, pensioni, servizi, rimedi alla disoccupazione e al declino.

E per questo gli elettori non cadranno di nuovo nel gioco di simulazioni, inganni, travestimenti del «cappellaio matto» per il quale tutto pare iniziare oggi per la prima volta, in un mondo abitato da persone senza ricordi. Sofferenza, disincanto, rancore verso Berlusconi resistono alle cariche di mistificazione proprie del marketing. La cura dal rapimento dei ceti popolari per le favole è sempre in una politica che guarda al conflitto sociale e coltiva la speranza che anche nell’elettore più distratto non sia spento il principio di Hume, quello per cui il bene pubblico a nessuno rimane mai del tutto indifferente.

L’Unità 07.02.13

"Bersani-Vendola: non si tocca l’alleanza", di Maria Zegarelli

I rispettivi staff non sono allarmati. Contatti tra le diplomazie per ricucire lo strappo tra Bersani e Vendola? «Ma di cosa state parlando? Bersani e Vendola non hanno bisogno di ambasciatori, alzano il telefono e si parlano», risponde uno dei collaboratori del governatore pugliese. Idem dal Nazareno: «Bersani ieri da Berlino ha detto quello che ripete da mesi». Vale a dire: alleanza con Sel e Psi e patto con i centristi per le riforme. Altrimenti detto: «Puntare al 51% ma ragionare come se avessimo il 49». Nessun inciucio, come invece continua a dire Silvio Berlusconi, nessuna intesa siglata con il premier,assicurano tutti, compreso Pier Ferdinando Casini. E allora? L’asse Bersani-Vendola «è solido, piuttosto è il Professore che cerca di insinuarsi per creare zizzania», dicono da Sel. Eppure per Bersani la partita non è semplice. Sa bene che se non otterrà i voti necessari per governare anche al Senato, sarà inevitabile guardare al centro. Ipotesi che lo allontana dalla sinistra della sua coalizione e che a sua volta allontana i possibili consensi da Sel che deve vedersela con Ingroia e Grillo.

«Spero che Bersani non si voglia assumere la responsabilità di rompere l’alleanza del centrosinistra», avverte allora Vendola. Bersani precisa: «È stata data un po’ di enfasi, forse per il timing, a parole che ripeto sempre». Monti si insinua in quella che sembra un crepa nel centrosinistra. «Immagino che se Bersani è interessato, come ha dichiarato a una collaborazione con le forze che rappresento dovrà fare delle scelte all’interno del suo Polo». Nel frattempo Vendola salta da un appuntamento elettorale a un intervento in radio e lancia segnali. Dice a Bersani. «Se fossi stato in te mi sarei dimesso da segretario del Pd, per rimarcare che sono il capo della coalizione, più di un capo di partito». Rivendica il diritto della sua coalizione a vincere senza essere messo «sotto tutela dal professor Monti». Il leader di centrosinistra, ribadisce la linea, «disponibilissimo a discutere con Monti: per fare le riforme o il governo, lo vedremo», linea di confine poco chiara, che fa replicare a Vendola che no, «con Monti il dialogo è possibile solo sulle riforme istituzionali e sull’architettura dello Stato. Sull’agenda di governo per noi non è possibile». Monti ministro del centrosinistra, poi, dice dal Tg3 della sera, «fantapolitica». «Con Bersani colloqui chiari e inequivocabili», sottolinea.

Bersani, nel pomeriggio segna la fine di quella che già qualcuno definiva un’intesa col premier: non dimentica «alcune posizioni e la frase del 1921», data in cui sarebbe nato il Pd secondo Monti. Dice che «a volte sembra un Berlusconi con il loden». Non gli sono piaciute neanche le dichiarazioni «di alcuni esponenti del centro su diritti civili e coppie di fatto». Per lui quelle restano priorità. Poi, finalmente, arriva la frase che Vendola aspettava: «Il mio polo è il mio polo e che nessuno lo tocchi. A partire da lì sono pronto a discutere».

«Certo che se l’avesse detto ieri sera ci saremmo risparmiati quest’altra sterile e inutile polemica sul dopo voto», commenta Nicola Fratoianni, assessore pugliese. Non nasconde un certo fastidio «per come questa campagna elettorale si sta svolgendo. La dobbiamo smettere di parlare di possibili, future alleanze. Noi come coalizione dobbiamo dire ”siamo questo e vogliamo governare” – Sarebbe meglio parlare del nostro programma e di cosa vogliamo fare», conclude.

Vendola assicura: «Io sarò un elemento di stabilità nella coalizione». E aggiunge che soltanto il centrosinistra corre per vincere, «gli altri vogliono la palude». Bersani parla all’Italia e all’Europa: «Il nostro sarà un governo che durerà 5 anni». Perde la pazienza quando gli chiedono dei suoi rapporti con Monti e durante una visita all’ospe- dale Forlanini sbotta: «Ogni giorno misurano quanti metri di distanza ho con Monti. Non se ne può più». Ma sul dopo
voto rimanda alla Carta d’Intenti, quella che Vendola ha firmato. «Non tradirò i miei elettori», prosegue in serata.

Dario Franceschini ad un certo punto del pomeriggio twitta: «Orgogliosi di essere alleati con Nichi Vendola, una sinistra di governo e non di protesta. Ogni scelta dopo le elezioni la faremo insieme». Tutto chiarito. Per ora.

Bersani e Vendola non si sono visti, né sentiti, ma le tensioni, dicono i ben informati, sono sciolte.

Il leader della coalizione intanto pensa al programma. «Se toccherà a noi governare – dice – , nel 2013 il governo pagherà gli arretrati alle aziende che hanno lavorato per la pubblica amministrazione per un importo pari a 10 miliardi di euro». Da dove arriverrano i soldi? Emettendo titoli del Tesoro sul modello Btp Italia, vincolati esclusiva- mente al pagamento dei debiti delle Pubbliche Amministrazioni verso le imprese, soprattutto piccole e medie. Si tratta di vecchi debiti già noti agli investitori internazionali. Solo che oggi gli oneri del mancato pagamento sono sulle spalle delle imprese. E spesso crollano.

L’Unità 07.02.13

Harlem Désir Il segretario del Ps francese: «Unire gli europeisti. La vittoria del Pd favorirà la svolta», di Umberto De Giovannangeli

«La costruzione di una Europa sociale, solidale, capace di coniugare rigore e crescita, è oggi il grande spartiacque tra progressisti e conservatori nei singoli Stati e a livello sovranazionale. Occorre chiudere definitivamente la stagione fallimentare dell’iper rigorismo della destra. Ed è attorno a questa svolta, di idee, di cultura, di progetto, che occorre ridefinire le alleanze». A sostenerlo è Harlem Désir,53 anni, segretario generale del Ps francese. Il leader dei socialisti francesi sarà tra i protagonisti del meeting «A common progressive European vision. Renaissance for Europe: peace, prosperity and progress», che si terrà sabato prossimo a Torino. Un nuovo europeismo è il terreno di incontro tra culture politiche diverse ma che hanno, come punto d’incontro, la consapevolezza, rimarca Dèsir, «che occorre definire nuove priorità nell’agenda comune, puntando con forza sulla crescita. Una crescita fondata su investimenti in settori strategici, quali la green economy, l’istruzione, le grandi infrastrutture. È il riformismo del Terzo millennio, quello che ha portato alla presidenza della Francia Francois Hollande e, mi auguro, Pier Luigi Bersani alla guida del prossimo governo italiano».
Lei sarà tra i leader europei protagonisti del meeting di Torino. Perché, in un’ottica europeista, è importante un successo elettorale del centrosinistra italiano e del suo leader, Pier Luigi Bersani?
«Perché significherebbe il rafforzamento di quella linea europeista, di una Europa sociale, solidale, partecipativa, che ha portato Francois Hollande all’Eliseo. Bersani è parte importante della definizione di una visione progressista dell’Europa, che rompe con l’iperrigorismo che ha segnato il ciclo conservatore. Occorre un salto di qualità nella definizione di una nuova governance europea che sia all’altezza della sfida decisiva: quella della crescita. L’Europa deve ricominciare ad essere sinonimo di speranza, di solidarietà, di nuove prospettive in un mondo messo in crisi dal dominio dei mercati finanziari. Su questo terreno, c’è una forte assonanza tra Hollande e Bersani. Francia e Italia possono insieme cambiare le priorità». L’Europa come centro dell’azione politica.
«Non può essere altrimenti. Cercare soluzioni nazionali per uscire dalla crisi non è solo sbagliato, è qualcosa di anacronistico. Vuol dire non fare i conti con i processi di globalizzazione, le cui dimensioni sono tali da non permettere a nessun Paese europeo, da solo, di poter competere. L’Europa è al centro della crisi mondiale, perché la destra non è stata capace di attaccare la speculazione, smantellando così lo stato sociale e aggravando la situazione. Abbiamo una grande responsabilità verso la Grecia, la Spagna e gli altri Paesi attaccati dalla speculazione finanziaria e la risposta a questa crisi deve essere europea, un’Europa differente che discuta di crescita e solidarietà, che disponga di una moneta comune e di una finanza comune, partecipe di un’avventura comune…».
In questo contesto, come s’inquadra il discorso pronunciato l’altro giorno a Strasburgo da Hollande. C’è chi ha parlato di una «svolta»…
«Non si tratta di una svolta, ma di un rafforzamento dell’impegno per l’Europa, sull’Europa, che Hollande ha portato avanti già in campagna elettorale e che sta caratterizzando la sua presidenza. Se di “svolta” si deve parlare, questa è rispetto alle fallimentari politiche conservatrici portata avanti dalla destra in Europa. L’Europa delineata da Hollande è un’Europa che abbia un di più di solidarietà, di equità, di politica comune non solo in campo economico e sociale, ma anche in ambiti determinanti quali la politica estera e di sicurezza. E questo, in chiave sovranazionale, significa anche, come riaffermato da Hollande a Strasburgo, porre un freno all’austerità e ai tagli al bilancio dell’Ue. Ciò non significa rifiutare tout court tagli alla spesa, significa che questi eventuali tagli non devono minare la crescita».
Qual è la sfida più impegnativa che i progressisti hanno da affrontare?
«I progressisti europei devono farsi portatori di una idea di crescita che prefiguri, in prospettiva, una nuova idea, una nuova concezione dello sviluppo».
La nuova visione dei progressisti investe «solo» la sfera dei diritti sociali? «No, La sfida riformista deve riguardare anche il campo, non meno importante, dei diritti civili. Penso, ad esempio, al diritto al matrimonio per coppie dello stesso sesso. La Francia sta marciando in questa direzione, come dimostra il recente voto all’Assemblea nazionale sulle nozze gay. Così come è importante, quando si parla di una estensione dei diritti di cittadinanza. il diritto al voto, a livello locale, per i residenti stranieri».
Per tornare all’Europa equa, sociale, solidale. Cosa debba essere lei lo ha delineato con nettezza. Ma cosa non dovrebbe più essere, oltre l’abbandono dell’austerità assolutizzata? «L’Europa che guarda al futuro, e che attorno a questa visione cerca di aggregare lo schieramento più ampio, è una Europa che deve avere orgoglio di sé, del proprio ruolo in un mondo globalizzato. E per questo non può essere una Europa che si accontenti di essere solo un mercato, o una somma di trattati. Un’Europa che sia altro e di più, sul piano politico, di una sommatoria di nazioni».

L’Unità 07.02.13

Un nuovo Patto per la Salute: le proposte del PD per la Sanità

Tagliamo l’acquisto di cacciabombardieri F35 e di armamenti e utilizziamo quelle risorse, insieme ai fondi strutturali europei, per un piano straordinario di investimenti che consenta a Regioni, Province e Comuni di mettere in sicurezza scuole e ospedali. E’ questo lo spirito che ha animato l’incontro con gli operatori della Sanità all’Ospedale Forlanini di Roma. Il Segretario del PD Pier Luigi Bersani ha incontrato medici e infermieri del Lazio, una delle Regioni più malmesse in ambito sanitario, ponendo al centro la discussione sui diritti fondamentali: sanità, scuola, lavoro.

“Discutiamo di come uscire dalla crisi più profonda di questo Paese, non se ne può più del politichese, arrivo qui e mi chiedono quanti sono i metri che mi separano da Monti. Usciamo dal politicismo e dal cabaret cui assistiamo in questi giorni. Certo, c’è anche il problema del fisco, adesso è partita la corsa alle restituzioni, allora propongo a Berlusconi che restituisca di tasca propria e della Lega, l’equivalente di tre Imu: le rate non pagate del “condono tombale” 2003-2004, la decurtazione dei trasferimenti dell’Unione europea per le quote latte e l’investimento su Alitalia. La Corte dei Conti ieri ha valutato ognuna di queste tre operazioni intorno ai 4 miliardi, il valore dell’Imu”.

All’incontro hanno partecipato Nicola Zingaretti, candidato alla Presidenza della Regione Lazio, Ignazio Marino, Paolo Fontanelli e Roberta Agostini. “Abbiamo un dream team in campo su questo tema – ha dichiarato Bersani – perchè abbiamo una visione umanistica e solidale della società e una passione per il tema sanità. Scuola, salute sicurezza non devono prevedere né povero nè ricco. Questo è per noi un dato intrinseco, costituivo di un partito progressista e riformista”.

La sfida lanciata da tutti gli esponenti democratici è smentire l’idea che un servizio pubblico universalistico non sia più sostenibile, di fronte alla crisi che attraversa l’Europa, smentire il principio di egoismo sociale sul quale soffiano le destre. La riaffermazione della sostenibilità di un SSN che costa meno che in Francia, in Germania o in Gran Bretagna, si attua attraverso il riequilibrio delle ricchezze.

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Per il Segretario democratico “Rafforzare il welfare è elemento di redistribuzione delle ricchezza, prima ancora di quanto lo sia il fisco. Va composta la spesa fra pubblico e privato, c’è bisogno di investimenti, e del Patto per la salute condiviso con Regioni e operatori. Un patto riformulato intorno ad alcuni temi centrali, come l’integrazione dei servizi ospedalieri con l’assistenza sul territorio. Si arriva ad un risultato quando si riesce a creare un sistema di rete, un percorso e non solo una prestazione. Sul fondo sociale – ha ricordato Bersani – abbiamo problemi enormi, la questione dei disabili e della non autosufficienza non è tollerabile, nella Sala verde – ha affermato – voglio vedere Arci, Caritas, i Comuni”.

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La sfida per Zingaretti rappresenta proprio rimettere in piedi il sistema sanitario del Lazio, “altrimenti – ha notato – fallisce l’intero piano nazionale. Su un sistema fortemente destrutturato ‘immaginare’ (lo slogan della sua campagna elettorale) non significa fuggire dalla realtà, ma avere coraggio e non rimanere chiusi nelle fandonie della precedente amministrazione. Vogliamo prenderci un impegno basato sulla concretezza – ha assicurato Zingaretti – superare l’approccio ragioneristico e presentarci come interlocutore serio che chiede al governo una partnership per costruire e cambiare il modello di salute”.

Il candidato alla Presidenza della Regione Lazio ha indicato “i pilastri indispensabili alla costruzione di questo modello: l’affermazione del merito, trasparenza, taglio degli sprechi, lotta alle truffe e alla cattiva gestione, rilancio della centrale unica regionale di acquisti. E ha promesso 5 anni per ricostruire un modello di salute che ridia dignità alle strutture ospedaliere e che ne realizzi anche di nuove: case della salute, che assicurino assistenza delocalizzata sul territorio”.

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Paolo Fontanelli, intervenendo alla conferenza stampa ha ribadito “un deciso no a nuovi tagli e nuovi ticket, che spostano risorse dal pubblico al privato, rendendolo competitivo. Il ministro Balduzzi risponde che il reperimento dei fondi viene dalla chiusura degli ospedali, ma sulle intenzioni e senza investimenti – ha notato Fontanelli – è impossibile organizzare il modello di sanità che abbiamo in mente. Va rafforzato il ruolo del Ministero della Salute, che non sia solo un ramo di quello dell’Economia”.

Intervenire sulla governance con correzioni e innovazioni, colmare il divario fra Nord e Sud, nelle parole di tutti è l’urgenza vera.

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“Abbiamo una idea chiara che ci differenzia dalle altre forze politiche: accesso garantito a tutti al servizio sanitario pubblico – ha rincarato Ignazio Marino – cosa ben diversa dalle politiche del governo di centro destra e del governo Monti che è arrivato a proporre alla parte ricca del Paese, sconti irpef in cambio di un’assicurazione privata. Noi con chiarezza respingiamo questa idea, questa è la sanità che non vogliamo”.
Per Marino “è essenziale una decisa operazione trasparenza che, partendo dal rifiuto ai tagli lineari, arrivi alla pubblicazione dei risultati delle cure sui siti delle aziende sanitarie, insieme ai costi di beni e servizi. Premiare i meriti e le eccellenze e finalmente uscire dalle nomine politiche: i medici siano valutati su risultati e capacità. E, per ultimo – ha concluso Marino – il richiamo alla necessità di redigere una legge sul rischio clinico, questione che si impegna a portare avanti nella prossima legislatura”.

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