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"Mangiatoie padane", di Gad Lerner

Maroni nega qualsiasi relazione con le cooperative degli allevatori “splafonatori” delle quote latte, già condannate per aver sottratto all’erario svariate decine di milioni di euro. Strano perché l’unica visita effettuata da Umberto Bossi all’arcinemico Monti, l’8 febbraio 2012, ebbe lo scopo di perorare a Palazzo Chigi la causa di queste cooperative fuorilegge, rimaste prive di copertura politica dopo la caduta del governo forzaleghista. In loro soccorso già si era svenata Credieuronord, la banca del Carroccio poi salvata dal duo Fazio-Fiorani quando era ormai sull’orlo del fallimento.
C’è poco da menare scandalo, dunque, se la Guardia di Finanza fa ritorno nella sede di via Bellerio a nove mesi dalla scoperta delle malversazioni in cui era coinvolto l’intero “cerchio magico” del movimento. L’odore di stalla è ancora il più lieve, rispetto alle pestilenziali esalazioni dei bilanci leghisti che ammorbano la Lombardia, dai rimborsi a piè di lista del banchetto nuziale fino ai buoniperl’acquistodielettrodomestici distribuiti al Senato. Sempre attingendo a fondi pubblici. La schiera dei don Rodrigo, ciascuno con i suoi famelici bravi, che ha occupato per un ventennio le istituzioni trasfor-mandole in mangiatoia personale, dalla quale elargire favori ai sudditi calpestandone i diritti, ha assunto dimensioni tali da coinvolgere un’intera classe dirigente. Il saccheggio di risorse pubbliche è stato vissuto come un premio naturale spettante ai vincitori delle elezioni. Riguarda in proporzioni massicce la Lega e il Pdl, rendendo temeraria la loro pretesa di ricandidarsi al governo della Lombardia e della nazione sbandierando un’inesistente rottura col passato. Come se a guidarli non fossero leader già protagonisti della stagione finita nel disonore. Maroninonavrebbedovutoessereil ministro di polizia chiamato a vigilare sul rispetto della legge, anche da parte dei pubblici amministratori? E Berlusconi? E Formigoni? Con che faccia si ripresentano?
Grazie alla legge Porcellum sono ancora loro, in questi giorni, a selezionare i candidati da presentare alle elezioni. Berlusconi affiancato da Verdini,MaroniaffiancatodaCalderoli. Con Bossi già riconfermato capolista perchéilpoverinoignoravale ruberie della sua famiglia. Pretendono di stabilire i criteri del rinnovamento e della presentabilità, come se non fossero loro stessi i più vecchi e i veri impresentabili.
In proporzioni nettamente inferiori, ma non per questo giustificabili, l’uso improprio e la sottrazione di denaro pubblico hanno riguardato pure esponenti di altri partiti, sinistra compresa. Basti pensare al movimento di Di Pietro, che ne è uscito distrutto. Eppure nelle ultime settimane pareva diffondersi fra i leader in corsa nella campagna elettorale la speranza che il tema della corruzione potesse venir derubricato. Accantonato per convenienza.
Ecco scattare quindi le solite accuse ipocrite di giustizia ad orologeria, quasi che la magistratura dovesse sospendere i procedimenti in atto garantendo alla classe politica il privilegio di una moratoria. Il culmine lo si è raggiunto al processo Ruby, dove l’avvocato Ghedini ha chiesto, cito testualmente, un “legittimo impedimento perenne” per il suo assistito impegnato nella propaganda, sempre all’insegna della smemoratezza. Quasifossecolpadeigiudicise le indagini rivelano ogni giorno la sistematicità del malaffare, oggi a Parma e domani chissà dove. Come se i tempi già ritardati dell’applicazione della legge dovessero sospendersi, per impedire ai cittadini di farsi un quadro veritiero sull’operato dei loro amministratori.
L’annosa vicenda delle quote latte, una truffa nei confronti dell’Ugura
nione europea e dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, perpetrata alla luce del sole con la copertura deiministrileghisti,hatestimoniato per anni la rivendicazione pubblica del sistema clientelare. Ma ora testimonia anche l’impossibilità di protrarla ulteriormente, perché questo blocco di potere è giunto infine al disfacimento. In agricoltura così come nella sanità, nel sistema delle discariche, negli appalti e nelle licenze. Di nuovo la Lombardia si conferma epicentro di una sfida civica per il ripristino di condizioni minime di legalità, senza cui la politica non potrà maifronteggiarelasofferenzasociale provocata dalla crisi. Maroni s’illudeva di condurre una campagna elettorale incentrata su inverosimili promesse fiscali, peraltro mai realizzate nei decenni di egemonia nordista. Il suo scopo era di rimuovere dal dibattito pubblico la piaga della corruzione che ha screditato il suo partito. Ma la realtà torna ogni giorno a imporsi in tutta la sua evidenza. E sollecita di fronte ai cittadini la scelta di un presidente della Regione come Umberto Ambrosoli: fiporto
di rottura col cinismo politico, capace di rappresentare come prioritario il bisogno della moralità calpestata da troppi don Rodrigo.

La Repubblica 17.01.13

Bersani: "Ogni euro recuperato andrà a ridurre le tasse"

“Gli italiani non si aspettano che noi aumentiamo le tasse. Hanno ragione. Se teniamo la spesa sotto controllo è possibile dire che ogni euro recuperato può andare alla riduzione delle tasse”. Così Pier Luigi Bersani ospite a Ballarò ha esordito parlando di fisco. “La differenza vera – ha aggiunto – sarà alleggerire il peso sul lavoro che dà lavoro”. Tasse? “Il meno possibile quindi. Ma i servizi per i cittadini più deboli devono rimanere gli stessi. Aumentare la tasse significa nel nostro Paese di evasori, farle pagare sempre ai soliti. E’ inutile che ci raccontiamo cose che non esistono. Noi potremo fare un riequilibrio sulle entrate Imu, caricando con un’imposta personale sui detentori dei grandi patrimoni immobiliari. Da quale soglia? Discutiamone – ha chiarito – ma io dico che sopra di un valore catastale di 1,3 o 1,5 mln di euro si può fare. Ma ci vogliono degli scalini giusti, una gradualità giusta”.

Secondo il leader del PD “bisogna “lavorare fuori da logiche che ci portano a un tema emergenziale. Possiamo non essere in questa condizione. Sono per una linea – ha spiegato – che passo a passo ci porti a una riduzione del debito graduale”.

Parlando delle prossime elezioni politiche e degli equilibri che si stanno delineando Bersani ha affermato: “Non temo una rimonta del centrodestra, perchè il centrodestra ci ha messo in un mare di guai e gli Italiani lo hanno capito.
La destra infatti non lavora per vincere ma per azzoppare la nostra vittoria.

E alla domanda su cosa il Cavaliere abbia più di lui Bersani ha risposto con una battuta: “Solo i capelli…E’ evidente. Berlusconi è un contendente, è la destra dell’individualismo che vuole sempre denigrare ogni funzione pubblica, che ovunque dice sempre le stesse cose, che non crede nel collettivo e nell’equità e che non crede che la parola uguaglianza sia una parola valida. Quella e’ la destra

In fine in merito alle affermazioni di Monti sulla politica, che non lo appassiona, Bersani ha invece ammesso che per lui “la politica è una passionaccia. Può prenderti sempre. In qualunque momento della vita. Monti ha attitudine a una politica di centro – ha concluso scherzando – io vagamente di sinistra, mi sembra…”.

A conclusione del programma Bersani ha ribadito un concetto fondamentale: “Vogliamo un’Italia giusta per avere una riscossa civica mettendoci equità e legalità. Vogliamo un’Italia per bene che non accetta più favole e guarda in faccia la verità”.

www.partitodemocratico.it

"Bersani a Ingroia: nè patti nè regali al Cav.", di Simone Collini

«Tutti conoscono la situazione politica e la legge elettorale. E bisogna che tutti riflettano, che ciascuno si prenda le sue responsabilità». Pier Luigi Bersani risponde a una domanda sull’ipotesi di un patto di desistenza con Rivoluzione civile, ma non è solo pensando ad Antonio Ingroia che parla. Il leader del Pd sa che la partita si giocherà al Senato in tre regioni: Lombardia, Campania e Sicilia (il Veneto, dopo che si è rinsaldato l’asse Pdl-Lega, la strada è più in salita). Nella prima, a complicare le cose, c’è la «salita» in politica a tutto tondo di Mario Monti, che si è schierato a sostegno di Gabriele Albertini contro Umberto Ambrosoli. Nelle altre due regioni, ci sono le liste arancioni dell’ex pm che potrebbero far allontanare il premio di maggioranza dal Pd, che raggiungano o meno l’8% necessario per ottenere seggi a Palazzo Madama. E allora Bersani ha deciso di giocare la carta del voto utile.
Con Ingroia non ci sarà alcun «patto», fa sapere, perché troppo profonde sono le distanze politiche. Però il punto rimane, perché «esiste la politica ed esiste anche la matematica di una legge elettorale», spiega Bersani. In base al Porcellum il premio di maggioranza viene assegnato al Senato su base regionale. E le simulazioni fatte al quartier generale del Pd evidenziano che un governo stabile potrà esserci nella prossima legislatura soltanto se il centrosinistra vince in almeno due delle regioni chiave.
Così dal Nazareno partiranno presto lettere di Bersani in cui si chiederà agli elettori di Lombardia, Veneto, Campania, Sicilia di scegliere la «stabilità», alle urne, il 24 e 25 febbraio. Un concetto che il leader del Pd anticipa a voce, parlando non solo del rapporto con le liste arancioni. «In Lombardia se uno non sostiene Ambrosoli fa un piacere a Maroni. In Italia chi non sostiene il Pd, in particolare al Senato e in particolare in alcune regioni, fa un regalo a Berlusconi. Questa è matematica. Tradotto in politica vuol dire che il Pd e i progressisti reggono la sfida alla destra di Berlusconi e della Lega. Bisogna che tutti facciano una riflessione su questo, che ciascuno si prenda le sue responsabilità. C’è qualcun altro che può dire io da solo batto Berlusconi? Siamo noi che possiamo dirlo. Questo è il punto di questa campagna elettorale».
Non è un caso se Bersani tira dentro anche la vicenda delle elezioni regionali in Lombardia. Il sostegno di Monti ad Albertini «rende tutto più complicato in quella regione», è il timore confessato ai suoi dal leader Pd. Che non si capacita di come il premier possa muoversi in questo modo, conoscendo lui bene i meccanismi del Porcellum. Per di più, dopo che a Monti è stato anticipato che pur puntando al 51% il Pd agirà come se avesse preso il 49%. «Serve una solida maggioranza perché la prossima legislatura dovrà realizzare una ricostruzione economica, politica, sociale e ci vorrà un governo stabile è il ragionamento di Bersani e il centrosinistra farà una proposta larga e convergente». Per questo Bersani ha apprezzato certe aperture del premier verso il centrosinistra, ma invita anche a rivedere la strategia, perché rischia di fare un favore soltanto a Berlusconi. «Prendo atto delle dichiarazioni di Monti che hanno un tono positivo. Sono contento di questo. In alcune situazioni non bisogna sottovalutare il centrodestra perché in diverse realtà è presente e usa le leve demagogiche e la potenza dei suoi mezzi. Non siamo indietro dice rispondendo a domande sulla situazione nelle regioni in bilico come la Lombardia o la Sicilia tuttavia la battaglia è difficile. Per questo invito ad una riflessione».
Ora Bersani farà partire la seconda fase della sua campagna elettorale, in giro per l’Italia insieme ai candidati parlamentari, con i leader e capi di Stato e di governo europei (l’8 e 9 febbraio a Torino), insieme a Matteo Renzi, che tornerà in televisione il 23, alla prima puntata delle Invasioni barbariche di Daria Bignardi. Come concordato con il segretario democratico in un pranzo di alcuni giorni fa, il sindaco di Firenze andrà anche in diversi talk show a sostenere la candidatura di Bersani a Palazzo Chigi. E anche per il leader Pd ora si intensificheranno le presenze televisive. Ieri a Ballarò, stasera il segretario democratico sarà l’ospiete della prima puntata di Italia Domanda, su Canale 5. Al contrario di Berlusconi, però, Bersani impiegherà le settimane che mancano al voto soprattutto facendo comizi nelle piazze e nei teatri, «sempre senza raccontare favole». Già, perché anche alcune recenti uscite del premier suscitano non poche perplessità tra i vertici del Pd. Dice Dario Franceschini: «Il Monti candidato propone di tagliare le tasse che non ha tagliato il Monti premier. Non si risponde al pifferaio suonando il piffero».

L’Unità 16.01.13

"La forza della Costituzione", di Gianluigi Pellegrino

La funzione di garanzia che la Costituzione assegna al capo dello Stato non gli attribuisce solo il diritto, bensì il dovere assoluto di riservatezza delle sue comunicazioni. E qui il cuore della sentenza che chiude il conflitto. Non è un privilegio della persona, ma garanzia essenziale per il corretto funzionamento del sistema costituzionale e dell’equilibrio dei poteri che il Presidente deve garantire a beneficio delle nostre libertà. L’irresponsabilità politica non solo gli consente ma gli impone di evitare la diffusione delle sue personali considerazioni, e delle quotidiane comunicazioni sino a quando non sfocino nell’esercizio specifico di atti funzionali o pubblici messaggi. Noi cittadini, così come abbiamo il pieno diritto ad esercitare il maggiore sindacato possibile sui soggetti politici dell’ordinamento (a cominciare dal premier), dovendoli giudicare anche nella coerenza tra sfera privata ed atti pubblici, abbiamo un diritto in qualche modo uguale e contrario nei confronti del capo dello Stato. Quello di non conoscere le sue private valutazioni tanto più se inerenti alle funzioni di garanzia che la Costituzione gli assegna. Abbiamo il diritto che il suo alto magistero non risulti mai oggettivamente idoneo ad influenzare le nostre libere valutazioni. Per fortuna sono lontani e necessariamente criticati i tempi delle improprie “esternazioni”.
Ma c’è di più. Senza garanzia assoluta di riservatezza il Presidente della Repubblica non potrebbe svolgere nessuno dei suoi compiti, come Scalfari denunciò all’alba di questa vicenda.
Vale la pena di leggere per intero un passaggio della sentenza che sembra alludere alla recentissima cronaca politica. Il riferimento espresso è allo “scioglimento anticipato delle Camere” che presuppone che “il Presidente intrattenga nel periodo che precede l’assunzione della decisione, intensi contatti con le forze politiche rappresentate in Parlamento e con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni allo scopo di valutare tutte le alternative costituzionalmente possibili sia per consentire alla legislatura di giungere alla sua naturale scadenza sia per troncare con l’appello agli elettori situazioni di stallo e di ingovernabilità. La propalazione del contenuti di tali colloqui in cui ciascuno degli interlocutori può esprimere apprezzamenti non definitivi e valutazioni di parte su persone e formazioni politiche, – chiosa la Corte – sarebbe estremamente dannosa non solo per la figura e le funzioni del capo dello Stato, ma anche e soprattutto, per il sistema costituzionale complessivo”.
Sembra qui quasi di leggere il riferimento all’esempio che Ezio Mauro aveva espressamente richiamato in agosto intervenendo nell’accesso dibattito sul tema, domandandosi quale successo istituzionale avrebbe mai potuto avere la laboriosa opera di Napolitano a cavallo della caduta del governo Berlusconi, se avessimo ritenuto accessibili i ripetuti contatti del Presidente con autorità nazionali e internazionali e con esponenti della società civile (come ora nota la Corte). Il fallimento sarebbe stato… garantito per l’esacerbarsi delle polemiche che ne sarebbe seguito, con gravissimo danno per il Paese.
Per tutte queste ragioni che rinvengono direttamente dalla Costituzione, avevamo scritto, e ora la Corte lo ha scolpito a lettere chiarissime, che le comunicazioni del capo dello Stato sino a quando è nella pienezza delle sue funzioni sono inviolabili anche dalla magistratura ordinaria. Perché il Presidente è fuori dai poteri e ne deve garantire l’equilibrio e reciproco controllo, come certo non potrebbe se uno di essi potesse invaderne le comunicazioni.
Per questo si era auspicato che a tali conclusioni giungessero spontaneamente anche i magistrati palermitani, almeno quando su loro stesso appello avevamo indicato nell’art. 271 del codice di procedura penale la “norma di chiusura” idonea a risolvere pacificamente il conflitto e che oggi la Corte ha puntualmente applicato.
Qui la sentenza, se pure giustamente riconosce la buona fede degli inquirenti con riguardo al carattere occasionale e fortuito delle intercettazioni, allo stesso tempo stigmatizza come apertamente violativo dei richiamati principi costituzionali oltre che contraddittorio, affermare che per procedere alla distruzione dei nastri si dovesse passare da un’udienza con ascolto delle telefonate e loro pubblicità nei confronti di un numero altissimo di soggetti e quindi inevitabilmente sui mezzi di comunicazione.
È stata qui e non già nella fortuita registrazione la causa scatenante il conflitto che Napolitano ha dovuto sollevare e ora la Corte facilmente risolvere a garanzia del complessivo sistema costituzionale e, a ben vedere, delle nostre fondamentali libertà.

La Repubblica 16.01.13

"Monti e Profumo vogliono applicare il metodo Marchionne anche alla Scuola?", di Osvaldo Roman

Questa campagna elettorale, per quanto breve, dovrà consentire agli elettori, che fanno riferimento al grande comparto della Scuola dell’Università e della Ricerca, di comprendere se il metodo Marchionne, sostenuto entusiasticamente da Berlusconi Sacconi e Brunetta, viene ora condiviso e sostenuto anche dallo schieramento centrista che, con il significativo apporto di Bonanni, Ichino e Montezemolo si è venuto a costituire intorno a Monti e alla sua Agenda.
Questo chiarimento è atteso e giustamente preteso da molti cittadini-elettori, che potranno così finalmente comprendere cos’ è di sinistra oppure di destra in materia di gestione delle relazioni sindacali e non solo!
La partecipazione di Monti all’assemblea di Melfi indetta dalla FIAT il 20 del mese scorso, i suoi attacchi contro la Cgil, in queste prime battute di avvio del confronto elettorale, e il modo con cui il ministro Profumo ha indirizzato l’Aran nella conduzione del recente contratto collettivo nazionale per il recupero degli scatti dovuti al personale della scuola per l’anno 2011, non lasciano ben sperare sui reali intendimenti di questa nuova aggregazione politica.
Anzi confermano pienamente le prime valutazione che allora espresse Landini segretario della Fiom CGIL: “Monti qui ha assunto il modello Marchionne come programma politico per candidarsi alle lezioni”. “Le assemblee le fa il sindacato e non l’azienda”. “ Siamo di fronte a un’idea feudale. Il presidente del consiglio partecipa all’assemblea mentre chi non è d’accordo resta fuori”.

Come è noto il metodo Marchionne è un sistema di relazioni sindacali che si realizza:
a) in un contesto sociale caratterizzato da una devastante crisi economica che, in assenza di adeguate politiche industriali, riduce notevolmente la domanda del mercato e le necessità della produzione;
b) quando i lavoratori vengono posti di fronte alla necessità di accettare inique condizioni contrattuali come alternativa al rifiuto di ogni trattativa e, come nel caso Fiat, alla chiusura degli stabilimenti con i conseguenti licenziamenti di massa;
c) quando i sindacati si dividono tra quelli che, per un proclamato realismo o per disegni politici di natura extrasindacale, accolgono le proposte aziendali e quelli che le rifiutano.
Sono molte ad esempio le assonanze con tale metodo e inquietanti gli interrogativi che suscita il CCNL, stipulato da CISL, UIL, SNALS, e GILDA, lo scorso 12 dicembre, sul recupero del valore economico degli scatti maturati nel 2011 dal personale Docente e ATA, che hanno portato la CGIL a non sottoscrivere quell’intesa.
Infatti non si era mai verificato, neppure nel 2010, che per recuperare un diritto acquisito (lo scatto d’anzianità per il 2011):
• si realizzasse un accordo separato che riduce i fondi per l’incremento dell’offerta formativa per destinarli alle anzianità tagliando nel triennio 2011-13 di 652 milioni di euro (a regime il 23,64% del totale) il salario accessorio di tutti i lavoratori facendo venir meno importanti attività rivolte agli studenti, per il sostegno a quelli disabili, e per le attività destinate al successo formativo;
• si desse per scontato che le attività tagliate debbano comunque essere svolte con specifiche prescrizioni da indicare nel prossimo contratto, perché appartengono alla funzione docente e ATA
Inoltre credo che sia opportuno aggiungere anche la considerazione riguardante la circostanza che la trattativa in sede di ARAN ha ignorato ogni verifica della valutazione dei risultati e del metodo con cui la Ragioneria Generale dello Stato ha valutato i tagli derivanti dall’attuazione dell’art 64 della legge 133/2008.
Al riguardo occorre premettere che mercoledì 5 dicembre 2012 presso la VII Commissione della Camera si era tenuta, in seguito ad una specifica richiesta formulata dalla Presidente on. Manuela Ghizzoni, in sede di discussione della legge di stabilità per il 2013, un’Audizione della Ragioneria Generale dello Stato sull’applicazione dell’art.64 della legge 133/2008 concernete i risparmi conseguiti e la restituzione alla scuola, per il pagamento dovuto per gli scatti del personale maturati negli anni 2010-2011-2012, delle quote ad essa destinate.
E’ assai rilevante, e avrebbe, a mio parere, meritato una verifica in sede di ARAN, che gli ispettori generali della RGS non abbiano mai indicato nel documento, presentato, come causa del mancato raggiungimento degli obiettivi finanziari indicati nell’art. 64, il fenomeno dei 10.000 docenti in esubero causati dalle modalità di realizzazione della riforma della scuola secondaria superiore.
Non si è potuto così apprezzare che in quella relazione della RGS sia stata presentata una metodologia di calcolo degli effetti delle misure di razionalizzazione che, in quanto basata sul calcolo degli stipendi del personale in servizio forniti dai cedolini, ha ignorato la reale dimensione dei tagli effettuati agli organici! Si sarebbe potuto trovare su un simile approccio, qualora esplicitato, un accordo in sede di ARAN?
Risulta di conseguenza incredibile che in quella sede sia stata data per acquisita una disponibilità per l’anno finanziario 2011 di appena 86 milioni di euro(di cui 31 milioni relativi al 2010) derivanti dai tagli apportati nell’anno scolastico 2010-2011!
I sindacati si sono quindi divisi tra quelli che hanno accettato senza discuterle le stime sui tagli offerte dalla Ragioneria Generale e hanno condiviso che le risorse per fare fronte al costo degli scatti maturati nel 2011 fossero prelevate per gli anni 2011, 2012, e permanentemente a decorrere dal 2013 dal fondo contrattuale riguardante il miglioramento dell’offerta formativa (MOF) e quelli che hanno rifiutato tale approccio. Anche in questa circostanza i sindacati sono stati posti di fronte all’alternativa alla Marchionne : o accettare tale soluzione o rischiare di perdere definitivamente ogni diritto sulla retribuzione degli scatti. Probabilmente anche degli scatti che dovranno essere maturati negli anni 2013 e 2014. Le ragioni favorevoli all’intesa si sono fondate sull’esigenza di non correre il rischio di perdere definitivamente gli scatti del 2011.

L’impegno stabilito nell’art.3 di quel Contratto prevede che la prossima contrattazione dovrà indicare le modalità atte a far rientrare le attività prima retribuite con i compensi accessori nella normale attività obbligatoria di servizio. Qualcuno ha visto in tale progetto l’intenzione di riproporre un aumento dell’orario di servizio. Il Presidente Monti ha già avuto modo di ammonire in televisione gli insegnanti e il personale della scuola per i loro comportamenti corporativi.
Tale vicenda contrattuale richiama quindi quello “stile Marchionne” che aveva caratterizzato anche la contrattazione condotta dal governo Berlusconi con i ministri Gelmini Tremonti Brunetta e Sacconi, nel medesimo settore della scuola, sul piano per l’immissione in ruolo dei precari. Infatti con il CCNL sottoscritto dalle medesime organizzazioni sindacali il 19 luglio 2011, con la contrarietà della FLC-CGIL, l’immissione in ruolo dei precari è stata barattata con una profonda modificazione della carriera economica in quanto la permanenza per i nuovi assunti nel primo gradone è stata in quell’occasione portata da tre a nove anni. Anche in questo caso l’unica alternativa posta sul tappeto era solo quella del mantenimento a tempo indeterminato dei precari fuori dai ruoli.
I suddetti Contratti lasciano aperti una serie di problemi al momento indefiniti quali ad esempio quelli che riguardano il pagamento degli scatti per il 2012(e probabilmente per il 2013), la validità degli anni di servizio 2010-2011-2012 ai fini della maturazione degli avanzamenti nella carriera economica, l’assetto complessivo della medesima e la riduzione del Moc.

Oggi, con una campagna elettorale, che vede direttamente impegnato il Presidente del Consiglio in carica per l’ordinaria amministrazione, esiste il rischio di una totale paralisi del iniziativa ministeriale sulle molte materie oggi sul tappeto a partire dalla predisposizione delle soluzioni più adeguate per gli inidonei e i soprannumerari.
Ognuna di tali materie presenta la necessità di una imparziale confronto con tutte le organizzazioni sindacali. Su tali materie non possono esistere gli “amici di Todi”.
Non ci sono spazi, nella gestione dei concorsi ordinari e per il TFA, per iniziative propagandistiche e non si possono inoltre eludere gli adempimenti e le scadenze sulla riorganizzazione del Ministero e sul Sistema nazionale di Valutazione.
Il Ministro Profumo avrebbe inoltre il dovere, come promesso ma ancora non mantenuto, di presentare all’opinione pubblica il reale bilancio del massacro delle strutture materiali e delle risorse umane della scuola pubblica, finora tenuto nascosto, in specie per la scuola primaria, operato in conseguenza dell’attuazione della cosiddetta riforma Gelmini.
Al nuovo governo democratico del paese toccherà di intervenire con iniziative su tutta la materia della rappresentanza, della contrattazione e dei diritti sindacali, lo richiede con forza anche il mondo della scuola se si vuole mettere in moto un processo di ricostruzione condiviso e quindi efficace.

da Rete scuole 16.01.13

"Più stato sociale, non meno. La nostra distanza da Monti", di Cesare Damiano

Più stato sociale, non meno. La nostra distanza da Monti
Archiviata la formazione delle liste, è tempo di campagna elettorale e di definizione dei programmi. Sono convinto che mai come in questa tornata il confronto tra le forze in campo debba avvenire su proposte concrete e obiettivamente realizzabili. In un paese in cui più del 37 per cento dei giovani è senza lavoro, il tasso di disoccupazione ufficiale è stabile sopra l’11 per cento, i consumi registrano un crollo finora mai sperimentato nella storia della repubblica, il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati è in caduta verticale – complice un’inflazione che, nonostante la crisi, sui beni di prima necessità supera il 4 per cento – e la recessione sembra non aver fine, non servono slogan. E le promesse hanno un suono irritante.
Le recenti primarie del Pd per la scelta dei candidati hanno mandato un segnale chiaro. Gli elettori del centrosinistra hanno premiato ovunque i giovani e le donne, segno della volontà di voler svecchiare la rappresentanza parlamentare, ma hanno anche sancito l’affermazione di quegli esponenti del partito che più si sono battuti sui temi dello sviluppo e del lavoro e sulle questioni sociali. Significa che c’è una forte richiesta di impegno su quei punti – colpevolmente ignorati da Berlusconi e non adeguatamente affrontati da Monti – che più concretamente incidono sulle condizioni di vita delle persone. Da qui deve riprendere il nostro dialogo con i cittadini. Pur senza disattendere le esigenze del risanamento, le scelte del prossimo esecutivo dovranno essere indirizzate verso un deciso sostegno alla crescita produttiva e occupazionale, puntare su una vera politica industriale e mirare a un potenziamento dello stato sociale.
Il 2012 si è chiuso con un miliardo e cento milioni di ore di cassa integrazione autorizzate, un numero che equivale ad oltre 500mila lavoratori a zero ore per un anno intero. È la conferma che la crisi continua e che provocherà, in questo 2013, nuovi enormi problemi sul piano sociale. Questi andranno ad aggiungersi a quelli già determinati, oltre che dalla crisi generale, dall’abolizione delle pensioni di anzianità e dal contemporaneo accorciamento della durata degli ammortizzatori sociali decisi dal passato governo: scelta che ha fatto sì che centinaia di migliaia di persone rimanessero improvvisamente senza lavoro, senza tutele e senza pensione (e che in questa condizione rischino di restare anche per 4 o 5 anni).
Per questi motivi credo che il prossimo governo dovrà intervenire per correggere le riforme del ministro Fornero, sia sul fronte delle pensioni che su quello del mercato del lavoro. La situazione che si è prodotta, a partire dalla questione delle centinaia di migliaia di cosiddetti esodati, si configura infatti come un’ingiustizia e un affronto al buon senso. Ammortizzatori sociali universali ed efficaci (anche rallentando l’introduzione della nuova Aspi, almeno finché durerà la crisi attuale) e una previdenza più flessibile e meglio aderente alle esigenze delle persone, devono essere per noi obiettivi irrinunciabili. Sul fronte del mercato del lavoro, mentre è condivisibile la soluzione trovata sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che, accanto al risarcimento, reintroduce il reintegro anche in caso di licenziamento per motivi economici), credo si debba procedere alla cancellazione della norma, a suo tempo introdotta da Sacconi, che rende derogabili dalle parti sociali a livello aziendale le disposizioni di natura legislativa e contrattuale a tutela dei lavoratori (l’articolo 8). È irrinunciabile poi superare fin da quest’anno il blocco della perequazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo. La difesa del potere di acquisto delle rendite pensionistiche, in questi anni duramente colpito, va garantita. È una questione di giustizia sociale ed è anche un modo per stimolare i consumi. Un’ulteriore perdita del valore reale dei redditi medio bassi e un conseguente ulteriore calo delle vendite al dettaglio determinerebbero conseguenze devastanti.
Ma un’attenzione particolare va indirizzata alla creazione di nuovi posti di lavoro. Una disoccupazione giovanile che nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni ha sfondato, secondo le ultime rilevazioni Istat, quota 37 per cento, non può essere né tollerata dalla coscienza civile né, alla lunga, sopportata dal sistema. Il futuro governo dovrà intervenire sul costo del lavoro – che dovrà diminuire per le assunzioni a tempo indeterminato – e dovrà introdurre nuovi incentivi per rilanciare le assunzioni di giovani, donne e disoccupati di lungo periodo.
Cesare Damiano

"Mai più un'altra Aquila", di Jolanda Buffalini

C’è qualcosa nell’aria, si potrebbe dire parafrasando un film di prossima uscita, «qualcosa di positivo», dice il ministro Fabrizio Barca, ma in un clima di sfiducia su cui pesa un terribile 2011, l’anno dello stallo, l’anno della paralisi conflittuale. Ma è il tempo della «Primavera de L’Aquila». Certezza, sollecitazione, auspicio? La convinzione del ministro è che ci sono ormai le condizioni, un anno di lavoro ha consentito di portare a compimento il cambiamento delle regole e della governance. Quello che, invece, manca, è la consapevolezza «della classe dirigente locale» che, invece c’è, «nell’assemblea cittadina». Il riconoscimento di Barca ai comitati suscita un applauso dal pubblico anche se, continua il ministro, «non basta, se credessimo che è sufficiente cadremmo nell’antipolitica». Si parla della ricostruzione de L’Aquila, nell’Aula magna della facoltà di scienze umane, nell’edificio antisismico da poco inaugurato, limitrofo alla zona rossa, dove il via vai degli studenti dà il senso della vita che riprende. Qualcosa di nuovo effettivamente si sente nella concretezza degli interventi al convegno organizzato dalla Cgil: ci sono Vasco Errani e Susanna Camusso, il segretario della Cgil dell’Emilia Romagna Vincenzo Colla, i sindacalisti locali, Gianni Di Cesare, Umberto Trasatti, Rita Innocenzi. Siamo al punto di arrivo di un lavoro che viene da lontano, dai primi giorni dopo il sisma, quando la Cgil cofinanziò lo studio Ocse che ora è uno degli strumenti che ha consentito di avviare la nuova fase post emergenza, post commissari. E quando la Fillea tenne il suo congresso nazionale a L’Aquila, lo ricorda Susanna Camusso, poiché il terremoto richiama all’attenzione grandi questioni nazionali, la messa in sicurezza e la ricostruzione, il recupero di una città d’arte, obiettivi capaci di mobilitare risorse, lavoro e crescita. Ma sono stati anni di opposizione, lo dice in modo netto Errani, «perché non è possibile affrontare il dopo terremoto estromettendo le istituzioni locali, le comunità a cui tocca essere protagoniste». Opposizione alle new towns, allo slogan miracolistico «dalle tende alle case». Il «qualcosa di nuovo» di cui parla Barca è l’avere voltato pagina rispetto all’assenza di democrazia, partecipazione, condivisione che il cratere aquilano ha vissuto con una troppo prolungata emergenza. Ma, aggiunge il ministro che è agli sgoccioli del suo mandato, tornerà nella veste attuale, forse ancora una sola volta a L’Aquila, «non sento nella classe dirigente locale l’orgoglio di ciò che, nelle difficoltà, nei contrasti, si è fatto: nelle case de L’Aquila è rientrata una parte di popolazione maggiore di ciò che avvenne in Umbria e Marche, le white list, l’applicazione delle regole sulla sicurezza del lavoro, i disincentivi alle imprese che non erano in grado di portare a termine i cantieri». La piattaforma presentata alla discussione dalla Cgil riprende lo studio Ocse e quello dell’economista Antonio Calafati, commissionato dal ministro per la coesione, sulle linee di sviluppo della città: università, centri di ricerca, collegamento con l’industria e il territorio, pubblica amministrazione, commercio. La città dei giovani, gli universitari, e degli anziani. Lo ricorda Umberto Trasatti: gli anziani furono relegati negli alberghi e poi nelle new town più lontane. E invece sono una ricchezza, sono domanda di servizi che la città che rinasce deve fornire. La ricostruzione stessa deve essere occasione per richiamare lavoratori a cui le imprese devono offrire condizioni dignitose del vivere, anche questo servirà alla rinascita. Nel dibattito viene fuori qualcosa in più, rappresentato dagli interlocutori presenti: i rappresentanti di Confindustria nel pubblico, gli interventi al microfono: la Cgil nazionale rappresentata da Susanna Camusso, il collegamento con l’esperienza dell’Emilia Romagna: il voltare pagina non è solo un fatto locale. Vasco Errani racconta come, nel giorno del suo terremoto, la prima cosa è stata telefonare agli aquilani e agli umbri. Nessuno «è nato imparato». Poi, però, a soccorrerlo, nel sisma della «Bassa» c’è stata anche la sua grande esperienza amministrativa. C’è una nuova spada di Damocle sulle teste dei terremotati abruzzesi, la spiega il parlamentare Giovanni Lolli: l’Europa chiede che siano restituite le tasse di cui, con tante lotte, gli aquilani hanno ottenuto la sospensione. La chiave della soluzione del problema Errani la trovata nel concordare tutto, preventivamente, con l’Europa.. Esperienza amministrativa, Piano del lavoro della Cgil, una legge nazionale sulle grandi calamità, perché, spiega Errani, «non si può ogni volta ricominciare da capo». È un programma di governo di cui L’Aquila vuole essere simbolo.

Jolanda Bufalini