attualità, politica italiana

"La forza della Costituzione", di Gianluigi Pellegrino

La funzione di garanzia che la Costituzione assegna al capo dello Stato non gli attribuisce solo il diritto, bensì il dovere assoluto di riservatezza delle sue comunicazioni. E qui il cuore della sentenza che chiude il conflitto. Non è un privilegio della persona, ma garanzia essenziale per il corretto funzionamento del sistema costituzionale e dell’equilibrio dei poteri che il Presidente deve garantire a beneficio delle nostre libertà. L’irresponsabilità politica non solo gli consente ma gli impone di evitare la diffusione delle sue personali considerazioni, e delle quotidiane comunicazioni sino a quando non sfocino nell’esercizio specifico di atti funzionali o pubblici messaggi. Noi cittadini, così come abbiamo il pieno diritto ad esercitare il maggiore sindacato possibile sui soggetti politici dell’ordinamento (a cominciare dal premier), dovendoli giudicare anche nella coerenza tra sfera privata ed atti pubblici, abbiamo un diritto in qualche modo uguale e contrario nei confronti del capo dello Stato. Quello di non conoscere le sue private valutazioni tanto più se inerenti alle funzioni di garanzia che la Costituzione gli assegna. Abbiamo il diritto che il suo alto magistero non risulti mai oggettivamente idoneo ad influenzare le nostre libere valutazioni. Per fortuna sono lontani e necessariamente criticati i tempi delle improprie “esternazioni”.
Ma c’è di più. Senza garanzia assoluta di riservatezza il Presidente della Repubblica non potrebbe svolgere nessuno dei suoi compiti, come Scalfari denunciò all’alba di questa vicenda.
Vale la pena di leggere per intero un passaggio della sentenza che sembra alludere alla recentissima cronaca politica. Il riferimento espresso è allo “scioglimento anticipato delle Camere” che presuppone che “il Presidente intrattenga nel periodo che precede l’assunzione della decisione, intensi contatti con le forze politiche rappresentate in Parlamento e con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni allo scopo di valutare tutte le alternative costituzionalmente possibili sia per consentire alla legislatura di giungere alla sua naturale scadenza sia per troncare con l’appello agli elettori situazioni di stallo e di ingovernabilità. La propalazione del contenuti di tali colloqui in cui ciascuno degli interlocutori può esprimere apprezzamenti non definitivi e valutazioni di parte su persone e formazioni politiche, – chiosa la Corte – sarebbe estremamente dannosa non solo per la figura e le funzioni del capo dello Stato, ma anche e soprattutto, per il sistema costituzionale complessivo”.
Sembra qui quasi di leggere il riferimento all’esempio che Ezio Mauro aveva espressamente richiamato in agosto intervenendo nell’accesso dibattito sul tema, domandandosi quale successo istituzionale avrebbe mai potuto avere la laboriosa opera di Napolitano a cavallo della caduta del governo Berlusconi, se avessimo ritenuto accessibili i ripetuti contatti del Presidente con autorità nazionali e internazionali e con esponenti della società civile (come ora nota la Corte). Il fallimento sarebbe stato… garantito per l’esacerbarsi delle polemiche che ne sarebbe seguito, con gravissimo danno per il Paese.
Per tutte queste ragioni che rinvengono direttamente dalla Costituzione, avevamo scritto, e ora la Corte lo ha scolpito a lettere chiarissime, che le comunicazioni del capo dello Stato sino a quando è nella pienezza delle sue funzioni sono inviolabili anche dalla magistratura ordinaria. Perché il Presidente è fuori dai poteri e ne deve garantire l’equilibrio e reciproco controllo, come certo non potrebbe se uno di essi potesse invaderne le comunicazioni.
Per questo si era auspicato che a tali conclusioni giungessero spontaneamente anche i magistrati palermitani, almeno quando su loro stesso appello avevamo indicato nell’art. 271 del codice di procedura penale la “norma di chiusura” idonea a risolvere pacificamente il conflitto e che oggi la Corte ha puntualmente applicato.
Qui la sentenza, se pure giustamente riconosce la buona fede degli inquirenti con riguardo al carattere occasionale e fortuito delle intercettazioni, allo stesso tempo stigmatizza come apertamente violativo dei richiamati principi costituzionali oltre che contraddittorio, affermare che per procedere alla distruzione dei nastri si dovesse passare da un’udienza con ascolto delle telefonate e loro pubblicità nei confronti di un numero altissimo di soggetti e quindi inevitabilmente sui mezzi di comunicazione.
È stata qui e non già nella fortuita registrazione la causa scatenante il conflitto che Napolitano ha dovuto sollevare e ora la Corte facilmente risolvere a garanzia del complessivo sistema costituzionale e, a ben vedere, delle nostre fondamentali libertà.

La Repubblica 16.01.13