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“Aids, diminuiscono infezioni e vittime. Ma molti non hanno ancora accesso alle cure”, da repubblica.it

Si celebra oggi la giornata mondiale per la lotta all’Hiv. Nel 2011 due milioni e mezzo di nuovi contagi, in tutto il mondo 34 milioni di sieropositivi. Secondo i dati dell’Amref l’Africa Sub-Sahariana continua a essere la regione più colpita. Molti non hanno accesso alle cure: meno di un terzo delle donne in gravidanza e dei piccoli ricevono l’assistenza di cui hanno bisogno. Capire e conoscere: due semplici avvertenze che possono salvare la vita. Si celebra oggi la Giornata mondiale contro l’Aids. Una malattia contro la quale sono stati fatti molti passi avanti, ma rimane ancora molto da fare. Secondo le cifre comunicate dall’Oms, nel 2011 hanno contratto il virus 2,5 milioni di persone, 700mila in meno rispetto a dieci anni prima, e i morti sono stati 1,7 milioni, 600mila in meno rispetto al 2005. In tutto il mondo i sieropositivi sono circa 34 milioni.
La situazione è migliorata anche per quanto riguarda i contagi dei bambini. I dati Unicef rivelano infatti che il numero di nuovi contagi da Hiv nei bambini è diminuito del 24%, passando da 430mila nel 2009 a 330mila nel 2011. Ma quasi il 90% dei minori sieropositivi vive in appena 22 Paesi, la maggior parte nell’Africa sub-sahariana. Nel 2011 circa 900 bambini ogni giorno sono stati contagiati dall’Hiv, pari a un contagio su sette nuovi a livello globale. E anche se tra il 2010 e dicembre 2011 oltre 100mila bambini in più hanno ricevuto farmaci antiretrovirali, meno di un terzo delle donne in gravidanza e dei piccoli ricevono le cure di cui hanno bisogno, rispetto al 54% degli adulti.
Come ricorda Amref, l’Africa Sub-Sahariana continua a essere la regione più colpita: vi abita il 12% della popolazione mondiale e il 68% di quella sieropositiva, di cui il 60% sono donne. L’Africa ospita anche oltre il 90% di bambini con infezione da Hiv in tutto il mondo.
Secondo Gottfried Hirnschall, direttore del dipartimento Hiv dell’Oms, anche se “molti Paesi stanno affrontando difficoltà economiche, riescono ad aumentare l’accesso alle terapie antiretrovirali. L’obiettivo di avere 15 milioni di pazienti trattati nei Paesi in via di sviluppo entro il 2015 sembra più raggiungibile che mai, visto che ora sono 8 milioni le persone trattate e nel 2003 erano solo 400mila”.
E proprio dal punto di vista delle risorse l’Italia è stata ripresa dall’Osservatorio italiano sull’azione globale contro l’Aids, la rete di 16 ong impegnate contro la pandemia nei Paesi del Sud del mondo. Le dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio, Mario Monti, e dal ministro per la Cooperazione, Andrea Riccardi, sull’intenzione di contribuire al Fondo Globale contro l’Aids “rimangono – dice l’Osservatorio – al momento mere enunciazioni, in quanto nessuna delle amministrazioni competenti si è assunta ad oggi la responsabilità di dare loro sostanza. Il ddl stabilità 2013 non contiene alcun riferimento al Fondo Globale, sebbene preveda il rifinanziamento di vari Fondi Multilaterali di Sviluppo”. L’Italia, come precisa l’Osservatorio, deve ancora versare al Fondo i contributi promessi per il 2009 e il 2010, pari a 260 milioni di euro. Considerando che i due terzi del contributo italiano alla lotta contro l’Hiv erano erogati attraverso il Fondo Globale, “l’impegno dell’Italia – conclude l’Osservatorio – per contrastare la pandemia nei Paesi in via di sviluppo si è ora praticamente azzerato”.
da repubblica.it

Lazio al voto il 10 febbraio. Il Colle: «Via il Porcellum», di Marcella Ciarnelli

Alla fine, dopo 65 giorni dalle dimissioni, pressata da due sentenze, Tar e Consiglio di Stato, e da sollecitazioni arrivate da ogni parte, la presidente della Regione Lazio è uscita dal suo ostinato atteggiamento e si è decisa a convocare le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale del Lazio dato che a lei, per la legge vigente, toccava l’adempimento. Si voterà il 10 e l’11 febbraio 2013. Renata Polverini ha formalizzato la sua decisione comunicandola al Ministero dell’Interno.
Quella presa finalmente ieri è una decisione che spazza via dal tavolo tutte le ipotesi che erano state fatte durante al tardare della decisione. E cioè che il Governatore avesse intenzione di aspettare lo scadere dei cinque giorni fissati dalla Corte dei Conti per farsi commissariare e, quindi, delegare ad altri la decisione sul numero di consiglieri da eleggere, che nel Lazio dovrebbero essere 50, venti in meno del precedente consiglio. O anche confermare la data del 10 e 11 marzo, come previsto dall’indicazione del governo in accordo con il Quirinale per un possibile svolgimento in quei giorni anche del voto per le elezioni politiche, ovviamente se fossero stati rispettati i due paletti che Napolitano ha da tempo fissato: l’approvazione della legge di stabilità e le modifiche alla legge elettorale.
POSSIBILE ELECTION DAY
La data ora è stata fissata. Ed il governo, cui spetta la decisione per le altre due regioni chiamate alle urne, Lombardia e Molise, potrebbe concordare di stabilire per il 10 e l’11 febbraio anche un election day regionale. Il presidente lombardo, Roberto Formigoni, ha subito condiviso questa ipotesi invitando a un impegno di tutti «per eleggere una maggioranza che garantisca le nostre eccellenze».
Il voto in febbraio esclude qualunque ipotesi di accorpamento regionali e politiche. Per andare al rinnovo del Parlamento negli stessi giorni bisognerebbe avviarsi già allo scioglimento delle Camere, senza quindi aver dato seguito alle sollecitazioni che dal Colle in questi mesi sono arrivate più volte alle forze politiche.
Ed a proposito di legge elettorale dal Quirinale, a firma del segretario generale Donato Marra è arrivata la risposta alle lettere inviate al Presidente dagli onorevoli Francesco Storace e a Maurizio Turco in cui veniva posto il tema dell’immodificabilità della legge elettorale nell’ultimo anno della legislatura facendo riferimento, per sostenere la tesi, al Codice di buona condotta elettorale redatto dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto conosciuta anche come Commissione di Venezia, che è organo del Consiglio d’Europa e non dell’Unione europea. Un organo di consulenza, quindi, che approva raccomandazioni non vincolanti, «indirizzi che devono essere pertanto valutati alla luce delle particolari normative vigenti in ciascun Paese e delle specifiche criticità emerse nell’applicazione concreta di quelle disposizioni» com’è accaduto in Italia, tant’è che anche la Corte Costituzionale ha ritenuto più volte di segnalare la necessità di intervenire specialmente sul modo di attribuire il premio di maggioranza.
Le forze politiche hanno più volte dichiarato di essere d’accordo per apportare modifiche ma finora non si è arrivati neanche ad un testo. Eppure la legislatura sta per finire. E sarebbe bene superare le criticità, anche per riattivare il rapporto diretto elettori ed eletti, contando per le nuove norme «su un’ampia condivisione delle forze politiche presenti in Parlamento» rendendo facili «gli adempimenti necessari per partecipare alla competizione elettorale».
NESSUNA SPESA IN PIÙ AL QUIRINALE
«Faziosa» è stata definita su twitter dal portavoce del Presidente, in replica al tweet di “Il fazioso” che ha rilanciato un articolo di Libero, la notizia che nel 2013 lo stipendio del Capo dello Stato sarà aumentato così come le spese del Quirinale. «L’assegno al presidente Napolitano è congelato a livello del 2010 come si legge nel comunicato del Quirinale del 30 luglio 2011», notizia che dallo stesso giornale fu accolta con un «grazie presidente». L’impegno di Napolitano è confermato fino alla fine del suo settennato. Nessuna decisione può essere presa per il successore.
L’Unità 01.12.12

“Pompei, nuovo crollo, cede il muro di una domus”, da repubblica.it

Nuovo crollo a Pompei. Un muro di pietra grezza, nei pressi del vicolo di Modesto, ha ceduto all’interno degli scavi di Pompei, probabilmente a causa delle forti precipitazioni degli ultimi giorni. Il muro si trova in una zona chiusa al pubblico, dove sono già previsti gli interventi di messa in sicurezza del “Grande progetto Pompei”.
“Oggi – riferisce la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei – è stato riscontrato il cedimento di un tratto di circa 2 metri cubi di muratura in opera mista pertinente ad una domus lungo il vicolo di modesto nella Regio VI, in una zona della città antica scavata agli inizi dell’800 e già da tempo inibita al pubblico”.
Il sopralluogo sul posto è stato condotto in mattinata da tecnici della soprintendenza insieme a rappresentanti della locale stazione dei carabinieri. “La messa in sicurezza dell’intera regio vi – sottolinea la soprintendenza – è una delle priorità del ‘Grande progetto Pompei’ e il relativo bando è di imminente pubblicazione”.
Le reazioni. Per l’architetto Antonio Irlando, presidente dell’Osservatorio patrimonio culturale, il crollo “è avvenuto in una zona abbandonata a se stessa da molto tempo”. Il degrado interessa, spiega Irlando, “la quasi totalità dell’Insula II della regione VI che si sviluppa oltre la casa di Sallustio e nelle insule immediatamente adiacenti. L’intervento di messa in sicurezza di questa area, previsto nel Grande progetto Pompei da un bando di gara non ancora pubblicato, risulterà purtroppo tardivo, in quanto l’assenza cronica di manutenzione ordinaria la rende particolarmente vulnerabile. Inoltre, la pioggia violenta e copiosa di queste ore sta aggravando lo stato di conservazione delle superfici pavimentali a mosaico prive di manutenzione e di coperture di protezione, sia in questa che in altre regioni di Pompei”.
“Chiederemo al ministro – aggiunge Manuela Ghizzoni, presidente della commissione Cultura, Scienze e Istruzione della Camera – di riferire sull’episodio odierno e di illustrare in Parlamento il progetto, che prevede un intervento da 105 milioni di euro tra fondi nazionali e il Fondo Europeo per lo Sviluppo regionale, per affrontare la delicata sorte del sito archeologico. Il nuovo crollo avvenuto oggi a Pompei conferma la necessità di un monitoraggio continuo oltre che – conclude la presidente Ghizzoni – di un immediato piano di gestione capace di garantire la protezione e la valorizzazione di un sito archeologico di rilevanza mondiale”.
I precedenti. Dal 6 novembre 2010, quando venne giù la Schola Armaturarum, la scuola dei gladiatori, lungo via dell’Abbondanza, la lista dei dissesti è cresciuta di continuo, con episodi più o meno gravi. Il crollo della domus dei gladiatori fu definito dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, “una vergogna per l’Italia”.

“Disoccupazione record a quota 11,1% Ai massimi da 20 anni i giovani privi di impiego – A ottobre senza posto in quasi tre milioni”, dal Sole 24 Ore

Cresce a livelli record la disoccupazione in Italia: a ottobre il numero dei senza lavoro è salito a 2 milioni 870 mila con un incremento del 3,3% rispetto al mese di settembre (+93mila); ma su base annua l’aumento è del 28,9%: si tratta di ben 644 mila unità di lavoro in più, dice l’Istat. La crescita della disoccupazione, che porta la percentuale delle persone in cerca di un impiego all’11,1%, riguarda sia la componente maschile che quella femminile (ma per le donne il tasso di disoccupazione è più elevato e pari in media al 12,1%), mentre per i giovani in età compresa fra i 15 e i 24 anni l’incidenza dei disoccupati è ora pari al 36,5%, con un aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,8 punti nel confronto tendenziale. Nelle regioni meridionali, la disoccupazione giovanile raggiunge valori molto elevati, pari al 41,7% per i ragazzi tra i 15 e i 24 anni e al 43,2% per le ragazze.
Come ha spiegato il presidente dell’istituto, Enrico Giovannini, questi dati segnalano «la difficoltà di molte famiglie che evidentemente cercano una fonte di sostentamento». In altri termini «ci sono molte persone che prima erano inattive e che ora, invece, stanno cercando lavoro» per provare a difendere il reddito familiare e questo spinge verso l’alto il tasso di disoccupazione. Non a caso, il tasso di inattività si è ridotto dello 0,7% rispetto al mese precedente (anche se rimane pur sempre a un livello del 36,5%). L’Istat segnala anche che rispetto a settembre si è verificata una sostanziale stabilità del numero degli occupati, pari a 22 milioni 930 mila: il calo degli occupati rispetto a ottobre 2011 è dello 0,2 per cento e il tasso di occupazione è pari al 56,9%, in aumento di 0,1 percentuali nel confronto con il mese precedente. A deporre in favore di questa tenuta dell’occupazione vi sono i dati di un rapporto del Censis sull’occupazione nelle cooperative, che ha continuato a crescere anche nei primi nove mesi del 2012 (+2,8%), portando il numero degli addetti a quota 1.341.000 (+36.000 rispetto all’anno precedente).
Non ha mostrato sorpresa per i dati sulla disoccupazione il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, che ha commentato: «Avevamo previsto un peggioramento anche nelle stime del Def e d’altra parte con un ciclo economico in recessione, non ci può essere un calo della disoccupazione». Ma i dati diffusi ieri dall’Istat segnalano anche un aumento molto forte del lavoro precario: nel terzo trimestre sono 2.447.000 i dipendenti a termine, di cui 1.760.000 a tempo pieno e 687 mila a tempo parziale, a cui si aggiungono 430mila collaboratori: in totale 2.877.000 lavoratori, il massimo dal terzo trimestre del 2004, inizio delle serie storiche relative ai collaboratori. La Cgil di Susanna Camusso lancia un secco allarme: «Il 2013, sul piano occupazionale, sarà ancora più pesante del 2012, che già è stato l’anno pesante della crisi». I dati Istat, sostiene Camusso «confermano che l’impatto recessivo delle politiche economiche è molto profondo» e che ciò avrà sul 2013«un effetto moltiplicatore». Confermano, insiste il leader sindacale che «la scelta di non occuparsi né di politiche industriali né di politiche dei redditi e di sostegno dei redditi più deboli determina una crescente crisi dell’occupazione e del sistema produttivo».
Condivide le preoccupazioni ma non l’analisi Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl secondo il quale i dati «sono drammatici, soprattutto per quanto riguarda i giovani e le donne. Ma è inutile piangersi addosso, è arrivato il momento di fare tutti insieme qualcosa». Altrettanto allarmate le reazioni politiche: parla di dati drammatici e della necessità di presidiare i luoghi che danno un lavoro il segretario del Pd Pierluigi Bersani, mentre il presidente della Camera, Gianfranco Fini, incontrando gli studenti della Luiss a Montecitorio sottolinea: «Il record della disoccupazione giovanile è il campanello che più deve risuonare in questo stanze».
Il Sole 24 Ore 01.12.12

Bersani: «Non sfregiare le primarie», di Vladimiro Fruletti

«Domenica ci sarà l’epilogo di una splendida avventura che ha riavviato il rapporto fra politica e cittadini e che ha rimesso al centro del Paese il Pd e i progressisti, rafforzandoli. Tutto questo non merita né di essere turbato né sfregiato, ma rilanciato, messo a valore per la vera battaglia che ci aspetta tutti quanti, che è quella per il dopo». Bersani ha appena lasciato Siena e sta raggiungendo Empoli. E durante il viaggio ragiona sulla tensione che si sta alzando proprio nelle ultime ore di campagna elettorale. È un clima che non gli piace. Anzi lo preoccupa.
Teme che possa sciupare le primarie e mandare un messaggio negativo non solo a quei tanti cittadini che si sono messi in fila per votare la scorsa domenica e che spera lo rifacciano anche domani, ma a tutto il Paese. E in un momento in cui non ce ne sarebbe affatto bisogno. Perché da lunedì tutto il Pd, assieme ai suoi alleati, deve pensare a come rimettere in piedi l’Italia. A come ricucire quello strappo fra cittadini e politica che in questi anni è diventato sempre più profondo.
CHI HA SFIDUCIA NELLA POLITICA
«Io, sinceramente, spero che alla fine di questa storia possa essere stata accorciata un po’ di quella radicale sfiducia che le persone nutrono nei confronti della politica» dice. Ecco perché da Bersani arriva un duplice messaggio a Renzi. Un invito a non farsi reciprocamente del male. Perché al di là di quello che diranno le urne fra poche ore, poi ci sarà da pensare al lunedì. E allo stesso tempo un altolà a non far finire nel veleno una bella storia di partecipazione e democrazia. Che è anche la base su cui, da lunedì appunto, ricominciare assieme. «Sono convinto ragiona Bersani che tutti insieme riusciremo a fare anche di domenica una bella giornata di democrazia, rincuorando così tutti gli elettori del centrosinistra e facendoci guardare con attenzione, e perché no? anche con ammirazione, pure da chi non la pensa come noi. E così daremo un vero aiuto alla ricomposizione fra cittadini e politica senza la quale non c’è prospetiva per il Paese».
Bersani arriva a Siena da Terni, dalle acciaierie. Nella città del Palio partecipa a una assemblea con tanta gente nell’aula magna dell’Università per stranieri. Ma prima, in un incontro ristretto, ha voluto parlare con alcune delegazioni di lavoratori delle aziende della zona. E lì prende appunti, segna nomi e problemi, quando gli spiegano che molte realtà sono in forte sofferenza: dall’agricoltura alla ricerca biomedica, al settore metalmeccanico. Gli dicono che i posti di lavoro si riducono e che la crisi che sta attraversando Mps e la Fondazione (che ne controlla gran parte del capitale) non fanno altro che togliere pezzi di speranza. Occorre invertire la rotta anche in una delle realtà da sempre in cima alle classifiche nazionali del benessere. Saranno poi le parole e le storie che si sente ripetere in serata a Livorno.
Sollecitazioni a cui Bersani risponde spiegando che c’è da ritrovare il valore della parola uguaglianza. Che poi in concreto vuol dire che chi ha di più, deve dare di più e che anche il figlio di un lavoratore o di un cassintegrato deve avere la possibilità di andare all’università. «E invece per la prima volta annota sono calate le iscrizioni perché tante famiglie l’università non se la possono più permettere». Perché senza uguaglianza non si rimette nemmeno in moto la macchina produttiva del Paese. Se non si redistribuisce un po’ di risorse a chi lavora e a chi dà lavoro la spirale recessiva porterà sempre più giù questo Paese. Ecco, se il Pd invece di mettere «l’orecchio a terra» per ascoltare queste voci e per prepararsi a trovare le soluzioni quando gli toccherà di stare la governo, si divide su regole e cavilli, rischia grosso e quindi fa rischiare grosso anche il Paese.
Il ragionamento di Bersani è sostanzialmente questo: «Le regole sono state condivise da tutte le forze politiche della coalizione, abbiamo fatto un patto. Anche i candidati le hanno condivise. Ma soprattutto sono state certificate da più di tre milioni di persone che, anche a prezzo di qualche sacrificio, hanno voluto partecipare». Quindi è una «turbativa» non riconoscerle anche perché questo sistema del doppio turno «ha una sua logica e una sua razionalità». Al ballottaggio per i sindaci non cambia la platea degli aventi diritto. La battuta che sintetizza tutto questo è che fra il primo e il secondo tempo di una partita non cambiano le regole del gioco. «È chiaro che cambiare le regole non è nella mia disponibilità, né in quella di Renzi» aggiunge. Ma anche se lo fosse, sarebbe sbagliato farlo. «Non daremmo un esempio giusto al Paese spiega perché chi si candida a governare, prima di ogni altra cosa, deve dare l’idea che nessuna regola può essere cambiata per questa o quella singola convenienza». Prima vengono le regole, poi il consenso, dice, perché sotto questo punto di vista «in questi anni abbiamo già dato». E così l’invito che fa ai suoi sostenitori è di andare a votare rispettando le regole e l’auspicio è che anche «Renzi dica le stesse cose ai suoi».
Al segretario Pd soprattutto non va giù che proprio a lui che ha voluto le primarie ora arrivi l’accusa di voler limitare la partecipazione. «Ho fatto il massimo per promuoverla» dice mentre l’auto si avvicina a Empoli. E a dimostrazione di questo cita i successi ottenuti nelle grandi città dove «indiscutibilmente» c’è un forte voto d’opinione. Da parte sua del resto non fa mistero che i temi portati da Renzi e dagli altri concorrenti alle primarie siano un valore destinato a diventare patrimonio comune per il Pd e il centrosinistra. «La spinta al rinnovamento e al cambiamento ritengo che sia un mio impegno a farli diventare scelte concrete». Ma del «fuoco amico» il Pd e il centrosinistra non ne hanno bisogno. C’è già un abbondante fuoco nemico che ci ha messi nel mirino spiega Bersani. C’è la sfiducia, anche giustificata, del popolo nei confronti di politica e istituzioni da battere. E c’è la destra («una parola che il mio competitore non usa mai» annota con un po’ di malizia Bersani).
IL SÌ ALLA PALESTINA
Bersani vede un Berlusconi in campo e si aspetta che alle politiche ci sarà la «solita favola» sui comunisti che vogliono aumentare le tasse con l’aggiunta che tutta la crisi è colpa di Monti. Cercheranno cioè di nascondere il fatto che sull’orlo del baratro ci ha portato Berlusconi. Quanto a Monti, Bersani conferma che il Pd si muove sempre con lealtà e che non tutto ciò che è stato fatto l’ha trovato concorde. Ma rivendica anche dei successi significativi. Ultimo il sì all’ingresso della Palestina nell’Onu. «Siamo riusciti a far assumere al governo una posizione avanzata spiega. Una scelta per far vincere la pace e per far perdere le armi».
L’Unità 01.12.12

“Finale, una pietra a testa per ricostruire la torre caduta”, di Jenner Meletti

Non ci sono bambini, nel cortile della scuola elementare Elvira Castelfranchi. Soltanto pietre, ma speciali. Mattoni di terracotta rossa, altri di argilla scura. Sono i venticinquemila pezzi di una torre che è stata buttata a terra dal terremoto ma che non vuole morire. «Sto solo dormendo, svegliatemi», c’era scritto nei
cartelli. SONO stati appesi nelle piazze e nelle case, quando sei mesi fa si alzava la polvere delle case crollate. Nei cartelli parlava lei, la Torre dei Modenesi, nata 799 anni fa e tagliata a metà dalla prima scossa, come fosse un’anguria. «Sto solo dormendo… ». Ma anche la mezza Torre ha resistito solo qualche ora, tenuta su più dall’orgoglio che dalla malta ormai diventata sabbia.
Non è che manchino i problemi, a Finale Emilia e dintorni. In una città di 16.072 abitanti ci sono 1.035 case inagibili e 621 parzialmente inagibili. Sono crollate o piene di crepe anche 22 chiese. Ma attorno alla Torre, fin dal primo giorno, i finalesi si sono trovati come accanto al letto di un amico all’ospedale. «È quel vuoto che si vede oggi — dice il sindaco Fernando Ferioli — che ci fa male. La torre dei Modenesi non è solo un simbolo di Finale ma è Finale. Per questo la rivogliamo. Per dire a noi stessi che difendiamo le nostre radici. E che siamo ancora forti».
La prima pietra sarà rimessa al suo posto già all’inizio del prossimo anno. Sarà scelta fra le 25.000 che adesso sono nel grande cortile della scuola elementare, sopra a 570 bancali. Coperte dai nylon e dalle foglie cadute dai platani. Si prevede una spesa di 800.000 euro, finanziata da sponsor privati che hanno offerto denaro e lavoro. «Stiamo già preparando il progetto — racconta l’assessore alla cultura Massimiliano Righini — assieme alla Sovrintendenza. Vogliamo aprire il cantiere nel 2013 perché l’anno prossimo la torre compie i suoi primi 800 anni». Nel corridoio della scuola ci sono i resti del grande orologio spezzato, pezzi di ferro, pietre disegnate… «A tirare su le pietre, per mesi, sono stati i ragazzi di Finale. Poi è nato un gruppo Facebook, “I volontari della Torre”, e tanti sono arrivati anche da fuori. Chi per un giorno, chi per una settimana. Il Comune ha messo a disposizione martelli, scalpelli e spazzole. Abbiamo offerto il cibo e un letto sotto le tende. Tutte le operazioni di recupero sono state filmate, i bancali sono stati numerati, così rimetteremo ogni pietra al suo posto».
Ogni pezzo della torre antica è stato ripulito. «Ma in qualche caso non ce n’è stato bisogno. I mattoni erano tenuti assieme da malte poverissime, fatte di sabbia, calce e acqua, e purtroppo è rimasta solo la sabbia. Ci sono state però anche belle sorprese. Nel preparare il futuro della torre abbiamo scoperto il suo e il nostro passato. Abbiamo trovato punte di lance e dardi di balestra, scarpe del ‘700, ossa, ferri, utensili… Su una pietra c’è il disegno di un castello. C’è una scritta strana, “oibò” che faceva parte di una parola più lunga, ma che ora sembra un’esclamazione. A diversi livelli abbiamo trovato anche i segni delle piene del fiume Panaro, che un tempo passava proprio in centro. Abbiamo recuperato la campana del 1776,
che fu forgiata per celebrare la promozione di Finale a città».
Quando tornerà ai suoi 32 metri — in una terra piatta come un biliardo tornerà a mostrarsi anche agli altri paesi — la torre diventerà il museo di se stessa. «Metteremo in mostra — dice l’assessore alla cultura — le cose trovate. Racconteremo i suoi 800 anni. La torre deve tornare dove era e come era, utilizzando le nuove tecniche di costruzione, perché possa resistere ad ogni evento». Ci sono molte gru e cantieri aperti, nel cratere del sisma. «Nella torneria Bcr — racconta Angelo d’Aiello, assessore alle attività produttive — il tetto era crollato ed è già stato ricostruito. Anche molti altri capannoni sono stati messi in sicurezza. Purtroppo ci sono aziende metalmeccaniche che erano riuscite a riprendersi, lavorando all’aperto o sotto tendoni, che adesso sono state fermate dalla crisi di ordini». Sono 38.726 le verifiche fatte nell’intero cratere dopo il terremoto di maggio, fra case (24.564), fabbriche (2.075), scuole (868) e chiese (782). Il 36% sono inagibili, il 18% parzialmente inagibili, il 36% agibili. Tredici miliardi e 273 milioni i danni stimati. «Questi numeri — dice il sindaco Fernando Ferioli — ci raccontano quanto sarà difficile la ripresa. Ma noi ci crediamo. E per salvare la nostra identità, dopo la Torre salveremo anche il Castello». Il recupero è già iniziato, con le pietre prese una ad una. Come reliquie.
La Repubblica 01.12.12

“Soluzione a metà”, di Luciano Gallino

L’aspetto più importante del decreto legge sull’Ilva sono a ben vedere le dichiarazioni del ministro Passera: se la proprietà non esegue quello che la nuova legge prevede il governo potrebbe varare la procedura di amministrazione controllata.
Al riguardo i dettagli non sono al momento disponibili, almeno non negli estratti del decreto accessibili a tarda sera, ma il pronunciamento del ministro dello Sviluppo, in sintonia con le analoghe dichiarazioni del ministro dell’Ambiente Clini, sembrano proprio significare che se questa volta l’azienda non porrà in essere gli interventi anti-inquinamento, rischia di perdere la proprietà o quanto meno il controllo dell’impianto di Taranto. L’adozione di tecnologie adeguate per abbattere radicalmente gli inquinanti emessi dallo stabilimento costerà miliardi. È giusto che sia la proprietà a pagare, come avrebbe dovuto fare da almeno vent’anni, ed è bene che sia posta di fronte a penalità severe che dovrebbero entrare automaticamente in vigore a fronte di ritardi o inadempienze.
Per il resto la soddisfazione dinanzi al decreto governativo non può che essere modesta. È vero che nei prossimi giorni i lavoratori dello stabilimento ritorneranno al lavoro, ma le condizioni in cui lavorano saranno a lungo le stesse di prima. Respireranno gli stessi inquinanti, forse in dose lentamente calanti, e le polveri e le sostanze nocive che da decenni appestano Taranto continueranno a posarsi sulle loro case e sulle loro famiglie e ad essere inspirate da adulti e bambini. Il conflitto con la magistratura locale rimane aperto, comunque si voglia rigirare la questione. Essa voleva fermare l’inquinamento – era un suo preciso dovere – ma il decreto la scavalca stabilendo che per intanto il lavoro è più importante della salute, e però nel volgere di alcuni anni le emissioni nocive dello stabilimento finiranno per essere ricondotte entro quei limiti che in realtà avrebbero dovuto essere in vigore da una generazione.
Quel che ora ci si può aspettare dal decreto in parola e dalle integrazioni tecniche ed economiche di cui sicuramente avrà bisogno è che esso imponga alla proprietà di impegnarsi all’installazione dei dispositivi anti-inquinamento con la maggior urgenza possibile; che richieda perentoriamente di impiegare in tale compito il massimo di manodopera e il meglio delle tecnologie oggi disponibili a livello mondiale; che preveda l’impiego di squadre di controllo specializzate e indipendenti che ogni giorno accertino se la direzione dell’Ilva ha rispettato i traguardi di tempi e di installazione; infine che preveda sanzioni immediate e durissime ogni volta che si constati una eventuale infrazione di tempi e di tecniche da parte della direzione.
Restiamo in fiduciosa attesa di conoscere tutti questi provvedimenti.
Il governo ci ha dormito un po’ sopra, alla questione Ilva. Tutto sommato l’intervento della magistratura di Taranto risale al luglio scorso. Ora che si è dato finalmente una mossa, bisogna chiedergli che si impegni a fondo per coinvolgere la magistratura stessa nella messa in atto delle disposizioni del decreto, nonché nella sorveglianza sui modi in cui vengono eseguite. Non solo perché la magistratura, con i suoi esperti, ha mostrato di conoscere meglio di chiunque altro quale fosse la reale nocività dell’impianto. Ma anche perché un decreto emanato dal governo che aggira una sentenza della magistratura rappresenta una tale ferita all’ordinamento costituzionale che non può essere tollerata se non per un brevissimo periodo di emergenza. Nessun ministro della Repubblica può dire “io sono la legge, quindi la magistratura deve cedermi il passo”. O al massimo può dirlo una volta sola, in una situazione di estrema necessità, per correre subito dopo ai ripari al fine di ristabilire anche nel caso Taranto l’indipendenza tra i poteri fondamentali che la Costituzione prevede. Il giorno che vede rinascere a Taranto la speranza di poter conciliare finalmente lavoro e salute, grazie a un intervento del governo di non comune incisività, non deve passare alla storia come il giorno in cui un pezzo di Costituzione è stato abrogato.
La Repubblica 01.12.12