Pare che Andrea, il ragazzino romano suicida a 15 anni, amasse il rosa e lo smalto per le unghie. E allora? Dove sta scritto che un bambino debba per forza amare l’azzurro ed essere virile? Da quando in qua i colori hanno un sesso? In realtà, non è scritto da nessuna parte che un ragazzo non possa vestirsi come una ragazza. Né è scritto che l’omosessualità sia qualcosa di cui ci si debba vergognare. Il rosa e l’azzurro non hanno sesso. E “uomo” e “donna” si diventa, non si nasce. Il rapporto tra sesso, genere e orientamento sessuale è estremamente complesso e non esistono regole universali. Eppure, nonostante lo si sappia ormai da tanto tempo, ci si continua a comportare come se tutto fosse semplice e indiscutibile.
Siamo ancora prigionieri di una società in cui i ruoli di genere sono codificati in maniera rigida, e in cui l’apparenza sembra dover determinare sempre e comunque il modo di comportarsi. Come se esistesse veramente un’essenza ontologica della femminilità e della virilità. Come se, per definizione, un uomo dovesse essere sempre aggressivo, violento e insensibile, lasciando alla donna caratteristiche come la gentilezza, l’empatia o la compassione.
La differenza fa paura. Rimette in discussione quello che si conosce, o che si pensa di sapere, spingendoci a rifiutare tutto ciò che è “altro” rispetto a noi, ai nostri codici, alle nostre abitudini. Ecco perché tutti coloro che non si conformano alle aspettative diventano poi dei veri e propri capri espiatori, oggetto di insulti e di linciaggio, di una violenza spesso inaudita. Proprio come Andrea, esasperato dagli insulti e dalle derisioni.
Le prime ricostruzioni della vicenda sono impietose. Lo additavano. Lo chiamavano “frocio”. Era diventato un fenomeno di baraccone solo perché diverso dagli altri. Solo perché non corrispondeva ai canoni della virilità. Era omosessuale? Molto probabilmente sì. Ma il punto, forse, non è questo. Perché avrebbe potuto anche essere un ragazzo a disagio nel proprio corpo maschile e convinto di essere una donna. Oppure anche solo un ragazzo originale ed eccentrico. La vera questione è che era trattato come un “frocio”. Quello che resta ancora, in Italia più che altrove, l’insulto per eccellenza. Perché un uomo, un uomo vero, certe cose non le fa. Un uomo, un uomo vero, certe cose non le pensa. Un uomo, un uomo vero, non si comporta come una “femminuccia”.
I bambini e gli adolescenti possono essere crudeli, ormai lo sappiamo bene. Anche quando tutto comincia un po’ per gioco. Quando il bulletto di turno vuol sentirsi più forte degli altri e cerca di attirare l’attenzione generale prendendo in giro un compagno o una compagna. Quando gli amici lo seguono per divertirsi anche loro. Anche se poi le vittime delle angherie non si divertono affatto. Anzi. Pian piano si allontano dal gruppo, si isolano, si disperano.
Perché nessuno li protegge. Nessuno interviene. Come se nonostante tutti i discorsi sulla tolleranza, gli adulti fossero ancora incapaci di capire che la tolleranza è sempre e solo accettazione dell’alterità. La vera responsabilità di questo tipo di tragedie è loro. Di tutti coloro che o non sono capaci di intervenire o non si rendono conto della situazione o, peggio ancora, legittimano con il loro
comportamento quello che accade.
Quando si è piccoli, non ci si può ancora proteggere da soli. Non si hanno gli strumenti. Non se ne ha la capacità. Soprattutto se nessuno ci insegna che non c’è niente di male a non essere come gli altri.
Che l’orientamento sessuale non è una colpa.
Che l’omosessualità non è una malattia. Ma questo, appunto, è il compito degli adulti. Sono loro che dovrebbero decostruire gli stereotipi di genere, insegnare che ci sono tanti modi diversi per diventare uomini o donne e spiegare che l’orientamento sessuale non dipende dal sesso. Magari aiutati anche da una legge contro l’omofobia e la transfobia che permetta di dire in modo chiaro da che parte deve stare la vergogna: non ci deve vergognare di quello che si è, quando non si corrisponde alle norme sociali, ma di quello che si dice o che si fa nel momento in cui ci si permette di stigmatizzare una persona solo perché diversa da noi.
La Repubblica 23.11.12
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“Bersani e la scuola: impensabile darle uno schiaffo ogni sei mesi”, da La Tecnica della Scuola
Per il candidato alle primarie del Pd, non si può ragionare solo in termini di risorse: siamo subissati di informazione, ma informazione non è conoscenza. E gli scaffali dove posare l’informazione e farla diventare conoscenza li possono costruire solo gli insegnanti. A pochi giorni dalla consultazione sulla leadership del contro-sinistra, attraverso le primarie, il segretario del Partito Democratico, Pierluigi Bersani, torna a parlare di scuola. E lo fa chiedendo alle forze che governano e governeranno il Paese di averne maggiore rispetto.
“Non è pensabile che ogni sei mesi si dia uno schiaffo alla scuola, non si può ragionare solo in termini di risorse”, ha detto Bersano nel corso di un incontro elettorale tenuto a Belluno.
“Non soltanto – ha proseguito – perchè della scuola avremo bisogno domani per ottenere maggiore competitività, ma per un aspetto più grave. Oggi – ha spiegato – tutti, bambini compresi, siamo subissati di informazione, ma informazione non è conoscenza. E gli scaffali dove posare l’informazione e farla diventare conoscenza li possono costruire solo gli insegnanti”.
“Bisogna fare un discorso di impianto sulla scuola, sull’università e sulla ricerca, quasi costituente. Non possiamo – ha ribadito Bersani – ogni sei mesi dare instabilità al sistema”.
Il messaggio è arrivato. Resta da ora da capire cosa farà Bersani se dovesse vincere le primarie e assumere un ruolo centrale (forse addirittura il premier) nel nuovo Governo. Noi ci stiamo “appuntando” le dichiarazioni di questi giorni. Pronti a tirarli fuori qualora anche i votanti dovessero dare ragione ai sondaggi. Che danno proprio Bersani, assieme a Renzi, in testa ai gradimenti.
La Tecnica della Scuola 23.11.12
“Il diritto imbavagliato”, di Giovanni Valentini
Al riparo del voto segreto, come chi lancia il sasso e nasconde la mano, il Senato della Repubblica si appresta dunque ad approvare lunedì con una maggioranza trasversale la nuova legge sulla diffamazione a mezzo stampa, contro i giornalisti e soprattutto contro i cittadini. Cioè contro il loro diritto fondamentale, sancito dalla Costituzione, di essere informati compiutamente, senza remore e senza reticenze. Un diritto irrinunciabile, su cui si basa la stessa vita democratica. Il ricorso allo scrutinio segreto è già di per sé un indice rivelatore delle intenzioni e degli obiettivi che si propongono gli artefici di questa legge-bavaglio.
Da una parte, perseguire con il carcere i giornalisti che, nell’esercizio del
loro mestiere, compiono involontariamente una diffamazione; dall’altra, intimidire l’intera categoria, per proteggere i privilegi e le malefatte della casta. Si tratta, evidentemente, di una vendetta, di una ritorsione, di una rappresaglia, nei confronti di un’informazione libera e indipendente che ha osato denunciare il malcostume e il ma-laffare generalizzato del ceto politico.
Non a caso, e spiace rilevarlo, un capofila di questa operazione è stato Francesco Rutelli, ex leader di un partito-fantasma come la Margherita che ha continuato a percepire i finanziamenti pubblici anche quando ormai era sciolto, favorendo così di fatto i traffici e le malversazioni del suo onnipotente e spregiudicato tesoriere.
Mettere il bavaglio, la museruola o la mordacchia, ai giornalisti scomodi: ecco il vero scopo di questa legge. Non tanto difendere la buona reputazione dei comuni cittadini dal rischio o dal danno di un articolo diffamatorio, quanto difendere la cattiva reputazione dei politici dalle anticipazioni e dalle rivelazioni sugli abusi, sui traffici e sugli intrighi del potere. Un’intimidazione preventiva, insomma, a futura memoria. Per tutti i secoli dei secoli.
A dimostrarlo, basta il fatto che non s’è voluto affrontare e risolvere il nodo della rettifica, l’unico strumento in grado di risarcire effettivamente il cittadino dalla lesione alla sua onorabilità. Vale a dire una correzione tempestiva ed efficace, per ripristinare immediatamente la verità, a beneficio del singolo e di tutta la comunità.
Dietro l’ipocrisia di distinguere la posizione del direttore responsabile da quella del cronista o del redattore, per l’uno si prevede una multa e per l’altro addirittura il carcere, in modo da colpire l’anello più debole della catena e stroncare così l’informazione alla fonte.
Ma, a parte la sproporzione fra l’offesa e la sanzione, è proprio la minaccia della detenzione – la privazione della libertà personale – l’aspetto più grave e inaccettabile. In un Paese in cui i penitenziari sono già sovraffollati, e la popolazione carceraria è composta per la metà da stranieri e tossicodipendenti, ora si punta a mettere in cella anche i giornalisti, quasi fossero “prigionieri di guerra”: una guerra fredda fra la malapolitica e l’informazione, fra il potere e i cittadini. O meglio ancora, una guerriglia clandestina tra le caste, le lobby, le cosche e la pubblica opinione.
Di fronte a un attacco frontale di tale portata, la Federazione della Stampa – il sindacato dei giornalisti – non poteva esimersi dalla proclamazione di uno sciopero nazionale. Si farà lunedì. Nella società della comunicazione in cui viviamo, forse sarebbe tempo ormai di pensare anche ad altre forme di protesta e di mobilitazione, per alzare la voce e farsi sentire meglio. Il silenzio non può bastare.
La Repubblica 23.11.12
“Il Fisco accetterà gli scontrini”, di Roberto Giovannini
Va avanti con qualche sorpresa l’esame parlamentare della delega fiscale, che ieri ha avuto il via libera dalla Commissione Finanze del Senato. Tra le novità quella forse più significativa è l’approvazione di un emendamento presentato dal Pd che introduce il contrasto d’interesse fra contribuenti.
Per molti il contrasto d’interessi è la panacea risolutiva per limitare l’evasione fiscale. A parte pochi casi in cui la documentazione fiscale è necessaria per altre ragioni, oggi non c’è un vantaggio nel chiedere scontrino o ricevuta fiscale quando si paga un bene o un servizio. Soprattutto se il venditore propone uno sconto. Con il nuovo principio si cambia: gli scontrini diventano merce preziosa che, presentata allo Stato, si trasforma in sconti sulle tasse da pagare. A quel punto gli italiani, c’è da giurarci, diventeranno esattori inflessibili delle ricevute. Il sistema funziona già in molti paesi del mondo – ad esempio negli Usa -, dove i consumatori chiedono senza eccezioni le ricevute: grazie a quelle, infatti, hanno la possibilità di scaricare dalle tasse una parte delle spese regolarmente fatturate. Nello Stato di San Paolo, in Brasile, si è andati oltre: sugli scontrini fiscali c’è una specie di «gratta e vinci» che offre premi ai consumatori, finanziati con il maggior gettito Iva.
Nello schema contenuto nell’emendamento, presentato dal relatore, il Pd Giuliano Barbolini, si affida al governo con una delega legislativa il compito di fissare le regole del contrasto d’interessi all’italiana, disciplinando la misura prevedendo le «opportune fasi applicative» e le «eventuali misure di copertura». Il contrasto d’interessi, comunque, dovrà essere «selettivo», ed essere concentrato «con particolare riguardo nelle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell’obbligazione tributaria».
Un’altra novità che riguarda i contribuenti è il via libera sempre della Commissione Finanze di Palazzo Madama a un disegno di legge sulle cosiddette «cartelle pazze», norma approvata all’unanimità che permette l’annullamento automatico in autotutela delle cartelle esattoriali palesemente erronee in caso di mancata risposta da parte degli enti preposti. Il testo passa ora quindi all’esame dell’aula del Senato. «È stato fatto un lavoro molto meritevole e molto buono», ha commentato il sottosegretario all’Economia Vieri Ceriani, che ha ricordato come l’iniziativa sia partita dal senatore dell’Idv Elio Lannutti anni fa.
Tornando alla delega fiscale, il governo spera che venga approvata definitivamente entro Natale, considerando che servirà in ogni caso una terza lettura alla Camera. È probabile che a Palazzo Madama l’Esecutivo ricorrerà al voto di fiducia. Un voto imposto da una nuova sconfitta subita ieri in Commissione Finanze sulla questione dell’accorpamento delle Agenzie fiscali. Nonostante il parere contrario del governo, i senatori della «Finanze» hanno all’unanimità approvato l’emendamento di Adriano Musi (Pd) che fa slittare al giugno del 2013 l’accorpamento fra l’Agenzia del Territorio e quella delle Entrate, motivandolo con la necessità di non rallentare l’approvazione della riforma del Catasto «con inutili forzature sui tempi di accorpamento delle agenzie». Già alla Camera in prima lettura era stato votato un emendamento simile, eliminato dal governo con un maxiemendamento e il voto di fiducia. Pare proprio che lo stesso scenario si ripeterà anche a Palazzo Madama: l’Esecutivo riproporrà l’accorpamento da dicembre 2012, e porrà la fiducia.
Infine, l’Imu a carico della Chiesa: il sottosegretario Ceriani assicura che il governo intende definire «quanto prima» regole e criteri per la tassazione delle parti degli immobili degli enti no profit che hanno un utilizzo commerciale.
La Stampa 22.11.12
Miur: Ghizzoni, quando si chiedono sacrifici necessaria trasparenza
Ristabilire rapporto fiduciario tra politica e scuola. “È necessaria la massima chiarezza e trasparenza sulla destinazione sui fondi pubblici da parte delle istituzioni competenti, soprattutto ora che vengono chiesti ulteriori sacrifici ai cittadini e alle cittadine – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati, durante l’audizione del Ministro Profumo. – La trasparenza deve essere l’elemento guida anche in merito alle nomine dei tecnici preposti a valutare i progetti ed esprimere pareri vincolanti. Occorrerebbe – spiega Ghizzoni – introdurre metodi di valutazione, sulla base della rispondenza agli obiettivi fissati.
Instaurare un rapporto fiduciario tra la politica e il mondo della scuola, che sta vivendo giorni di forte preoccupazione, deve essere un impegno prioritario, nei pochi mesi che ci separano al termine di questa legislatura. Il lavoro della Commissione è andato in questa direzione, attraverso l’impegno e le indicazioni espresse unanimemente sulla Legge di Stabilità. Ora – conclude la presidente Ghizzoni – è importante fissare strategie condivise per il futuro, in modo che le risorse vengano ripartite in modo corretto e in coerenza con finalità che siano stabilite di concerto con il Parlamento.”
“Bersani: Monti si tenga fuori”, di Simone Collini
Il benevolo sprone per domenica da parte di Pier Ferdinando Casini, al termine di un colloquio a Montecitorio: «Mi raccomando, vedi di farcela al primo turno». La sponda per il 2013 offerta Oltralpe da François Hollande, durante la conferenza stampa a Parigi insieme a Giorgio Napolitano: «Quello che facciamo qui in Francia, con la nostra maggioranza, è fare in modo che l’Europa esca dalla crisi con una politica di stabilità e di crescita, con l’obiettivo di combattere la disoccupazione. Immagino che in Italia ci sia la stessa volontà, ed è la stessa volontà che anima il centrosinistra».
Pier Luigi Bersani si prepara allo sprint finale per le primarie di domenica, ma già guarda alla sfida vera, quella per la conquista di Palazzo Chigi. E mentre consiglia all’attuale premier di non candidarsi alle prossime elezioni, perché «se Monti vuole dare una grossa mano per il futuro, è meglio che non si metta nella mischia», i segnali che arrivano al leader Pd tanto da casa nostra (il tifo dei centristi per la sfida di domenica) quanto da fuori i confini italici (la benedizione del presidente della Francia, checché da noi si dica circa il desiderio all’estero di un Monti-bis) lo spingono all’ottimismo.
Bersani resta convinto di due cose. La prima: che nella prossima legislatura sia necessario avere un governo sostenuto da una maggioranza politicamente omogenea. La seconda: soltanto un patto tra progressisti e moderati può garantire l’ampio consenso in Parlamento e nel Paese necessario ad approvare le riforme necessarie.
CASINI TIFA BERSANI
Per questo accoglie con favore il diverso atteggiamento mostrato nella discussio- ne sulla legge elettorale da Casini (l’Udc in commissione al Senato ha smesso di votare insieme a Pdl e Lega norme che vedono la contrarietà dal Pd) che in un colloquio a Montecitorio insieme al leader dei Moderati Giacomo Portas si rivela un supporter d’eccezione per Bersani: «Mi raccomando, vedi di vincere la primo turno», dice al segretario Pd. Un sorriso, e poi, con gioco di parole: «I moderati ci sono».
Ma soprattutto per questo, perché cioè rimane convinto che nella prossima legislatura serva una maggioranza politicamente omogenea, ritiene impossibile un Monti-bis per il 2013. «Non lo dico in contestazione a Monti – spiega ai giornalisti che lo avvicinano alla Camera – ma non credo si possa ricreare una maggioranza simile a quella di transizione ed emergenza. Con una maggioranza solid e univoca i tecnici e Monti potranno dare un contributo di rilievo alle prospettive del Paese, ma è un altro discorso. E se vogliamo preservare il ruolo di Monti non è il caso di tirarlo per la giacca».
IL CONSIGLIO A MONTI
Per la prima volta, però, Bersani si rivolge non soltanto a chi «tira per la giacca» l’attuale premier, a cui pure il leader del Pd non le manda a dire (che si chiami o meno Montezemolo): «C’e gente più garbata che dice: “voi andate bene, portate le truppe che i generali li abbiamo noi”.
A questa gente, che si muove su posizioni ciniche ma moderate ed europeiste, dico che non stiam mica a fare le primarie per pettinar le bambole. A loro, amichevolmente, dico che siamo pronti a discutere con tutte le forze positive, ma dobbiamo avere le idee chiare, anche su chi guida la macchina, perché non si può mica guidare la macchina stando ai box». Per la prima volta Bersani rivolge un consiglio a diretto uso e consumo dell’attuale capo del governo: «Se Monti vuole dare una grossa mano per il futuro, secondo me è meglio che non si metta nella mischia – dice parlando sempre con i giornalisti che incontra a Montecitorio – certo, ha tutti i diritti, ma ho sempre pensato che se si tenesse fuori dalla mischia sarebbe meglio».
LA SPONDA OFFERTA DA HOLLANDE
Qui si entra nel campo dei retroscena, con annessa spiegazione del fatto che per Bersani Monti può ricoprire il ruolo di Capo dello Stato, a partire dal 2013, e che un suo schierarsi con questa o quella coalizione renderebbe più complicata la sua elezione nel prossimo Parlamento. Ma rimanendo a ciò che è sulla scena e in chiaro, il leader Pd va avanti mosso dalla convinzione che debba essere il centrosinistra a governare, perché «l’alternativa a noi è Berlusconi, è Grillo». Tertium non datur.
E ora il segretario Pd, convinto che già ora «mostriamo al mondo che a dare credibilità non è solo Monti ma che c’è un processo di partecipazione in Italia che non ha nulla da invidiare agli altri», incassa la benedizione anche di Hollande, che alla domanda se «il suo amico Bersani in Italia» possa governare il Paese nel quadro delle compatibilità europee sulla finanza pubblica, risponde nel corso della conferenza stampa a Parigi insieme a Napolitano che il «centrosinistra» può fare quello che sta facendo la «maggioranza» che sostiene il governo guidato dal socialista Jean-Marc Ayrault. Napolitano fa una battuta: «Grazie alla giornalista per avermi risparmiato». E non è la sola. In francese, sulla domanda che i giornalisti italiani rivolgono a Hollande sul fatto che gli interlocutori internazionali chiedono garanzie sulla politica italiana in vista delle prossime elezioni, il nostro Presidente dice che sul dopo Monti «veramente Hollande non mi ha chiesto garanzie».
L’Unità 22.11.12
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“Centomila volontari per la festa dei gazebo”, di Simone Collini
Oltre 100 mila volontari renderanno possibile, domenica, lo svolgimento delle primarie del centrosinistra. La stragrande maggioranza è composta da militanti e simpatizzanti del Pd, ma molte disponibilità sono venute anche da iscritti di Sel e anche del Psi. Tra gazebo allestiti nelle principali piazze, sedi di partito, impianti sportivi, librerie e quant’altro, andranno gestiti circa 9 mila seggi elettorali, dalle 8 di mattina alle 8 di sera. È stato calcolato che servirà una media di sette persone in ognuno di essi. Ma siccome domenica sarà ancora possibile registrarsi (per poi poter votare), verranno allestiti accanto ai seggi anche gli uffici elettorali dove poter gestire la pratica. In ognuno dei quali serviranno, se come si prevede quel giorno si formeranno lunghe code, non meno di quattro persone.
RISPOSTE INCORAGGIANTI
Lo sforzo organizzativo sarà insomma doppio, rispetto alle primarie degli anni passati, ma al coordinamento nazionale si ostenta ottimismo. Già in questi giorni si stanno raccogliendo le disponibilità per un impegno da dedicare alla sfida ai gazebo anche per soltanto una parte della giornata. E le risposte che arrivano da iscritti ai partiti ed esponenti di associazioni e movimenti vicini al centrosinistra sono incoraggianti e fanno ben sperare sulla necessità di coprire domenica per dodici ore (più le ore che saranno necessarie allo spoglio delle schede) sia i seggi elettorali che quelli in cui si dovrà registrare chi ancora non lo avesse fatto.
Del resto, che fosse necessario introdurre delle regole che impedissero un inquinamento del voto, a cominciare dall’obbligo di iscriversi all’albo degli elettori del centrosinistra, si sta rendendo evidente in questi giorni. Non c’è solo la segnalazione di diversi casi in cui qualcuno ha chiesto di registrarsi per poter votare ma si è rifiutato di sottoscrivere la carta d’intenti dei progressisti. Soprattutto nei piccoli Comuni sono state respinte persone riconosciute come avversari politici. Come a Montemurlo, in provincia di Prato, dove si era presentato per iscriversi quello che alle ultime comunali era l’avversario elettorale (e oggi guida l’opposizione in Consiglio comunale) del sindaco di centrosinistra. O come a Volterra, in provincia di Pisa, dove ha tentato di iscriversi l’esponente di una lista civica e assessore del Comune dove il Pd siede all’opposizione.
Il fenomeno pare sia diffuso soprattutto in Toscana, dove l’Udc regionale è stata addirittura costretta, dopo una serie di segnalazioni finite sulla stampa locale, a diramare una nota per sottolineare che chi è iscritto al partito non può votare alle primarie del centrosinistra. «Riteniamo inopportuno e profondamente scorretto interferire nelle selezioni di un altro partito», si legge nel documento diffuso da segretario e presidente dei centristi della Toscana,
«chi è iscritto all’Udc o ricopre incarichi istituzionali riconducibili al partito, anche se spinto dalla smania di protagonismo, non può votare alle primarie, perché sottoscrive un progetto e una linea politica che non è la nostra».
Come il coordinamento nazionale per le primarie, anche Pier Luigi Bersani è ottimista sull’andamento della sfida ai gazebo. Domenica «sarà la festa dei progressisti», dice. «Ci sono e ci saranno delle code, sì, perché la gente viene a registrarsi».
Il leader del Pd sa che quota un milione di registrazioni è vicina, e almeno altrettante ce ne saranno il giorno del voto. E se Lino Paganelli, che sostiene Renzi, dice che Bersani sbaglia a prevedere per domenica due milioni di persone («Solo due milioni di elettori domenica alle primarie vanno bene per Bersani ma fanno male al Pd, l’obiettivo è 4 milioni»), il segretario dei democratici evita di discutere di cifre future e si concentra su quelle presenti. «Ci hanno dato la disponibilità 100 mila volontari, un esercito». Certo, «non sono il Viminale», ma vanno ringraziati comunque, anche se «domenica ci vorrà un po’ di pazienza».
l’Unità 22.11.12
“Investiamo subito su ricerca e cultura”, di Ignazio Marino
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tencia”: il primo comma dell’articolo 9 della nostra Costituzione, saggio e lungimirante come tutti gli altri, ha molto da insegnarci. Lo ha ricordato anche il presidente Napolitano nel suo intervento agli Stati Generali della Cultura mettendo in luce la ancora scarsa consapevolezza di quanto sia straordinario il nostro patrimonio.
Straordinario non solo per la ricchezza delle opere d’arte che non ha eguali al mondo e che caratterizza la natura stessa dell’Italia ma anche per i cervelli che non ci mancano. Nonostante questi aspetti inequivocabili, assistiamo con crescente scoraggiamento all’assenza di una strategia per la promozione e la conservazione del patrimonio culturale, per non parlare della totale carenza di un progetto organico a favore della ricerca scientifica.
Se è vero che chi governa in questo momento deve cercare di fare quadrare il bilancio dello Stato facendo i conti con l’enorme debito pubblico che ci strangola, è altrettanto vero che non si può guidare un Paese fuori dalla crisi puntando esclusivamente sugli aspetti finanziari. Oltre a questo importantissimo e gravoso compito, ci si aspetta l’indicazione di scelte strategiche per il futuro delle persone che vivono e lavorano in questo Paese. A fronte di una politica che oggi è essenzialmente concentrata sui tagli, per lo più lineari e quindi che ricadono su tutti in egual misura, è auspicabile e urgente compiere delle scelte: decidere di investire nella cultura, nella ricerca scientifica, nell’innovazione è senza dubbio la strada giusta, da imboccare con convinzione. La cosa bizzarra è che tutti si dicono d’accordo con queste affermazioni e nessuno sostiene che si debba investire in nuovi cacciabombardieri eppure, nonostante l’unanimità nel condividere questa visione, i finanziamenti per la cultura, per non parlare di quelli destinati alla ricerca, continuano ad essere scarsissimi.
Ogni anno è la stessa storia e anche la legge di stabilità per il 2013 non fa eccezione: il fondo per la ricerca in ambito sanitario è infatti stato ridotto di circa 30 milioni di euro per l’anno prossimo con la previsione di ulteriori tagli nel 2014 e successivamente una riduzione di 26,5 milioni di euro in meno dal 2015 in poi.
Con una crisi economica che non accenna a migliorare, non c’era da aspettarsi misure eccezionali del tenore dello «stimulus plan» voluto da Barack Obama (che ha stanziato centinaia di miliardi di dollari da destinare a progetti innovativi in ambito energetico, infrastrutture, educazione), ma la decisione italiana di tagliare ancora una volta i già ridottissimi fondi a disposizione è la dimostrazione inequivocabile di un totale disinteresse verso la ricerca.
Se a tutto questo si aggiunge l’assenza di criteri meritocratici davvero cadono le braccia. Basterebbe infatti emanare il decreto attuativo dell’articolo 20 della riforma Gelmini, che scrissi e venne votato da tutta l’Aula del Senato due anni fa, per introdurre merito e trasparenza nel processo per l’assegnazione dei fondi del Miur. Ma in assenza di quella norma applicativa i bei principi che sono fissati nella legge, anche grazie al contributo del Pd, restano lettera morta. Il mondo della ricerca attende delle risposte. E va riconosciuto che Pier Luigi Bersani, con la decisione di aprire la sua campagna elettorale per le primarie al Cern di Ginevra ha voluto inviare un messaggio chiaro: la ricerca è il settore principale su cui investire. Abbiamo bisogno davvero di crederci e di abbandonare quella resistenza culturale nei confronti della scienza che ha caratterizzato le scelte politiche degli ultimi decenni per iniziare finalmente a premiare il merito, a incentivare i nostri cervelli migliori e a investire in progetti di innovazione che contribuiscano a fare crescere il Paese.
L’Unità 22.11.12