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"24 ore di didattica per gli insegnanti: una scelta da rivedere", di Mario Menegatti

Uno dei provvedimenti contenuti nella legge di stabilità, che è stata presentata dal governo al parlamento in questi giorni, prevede l’ aumento dell’orario di insegnamento per i docenti delle scuole medie e superiori da 18 a 24 ore settimanali. Il provvedimento è stato in buona parte trascurato dai media o, in altri casi, ne ha raccolto il plauso. Tale disinteresse o, ancor di più, tale approvazione evidenziano, purtroppo, una scarsa comprensione del significato e delle implicazioni dell’intervento, che risulta essere criticabile per diverse ragioni.
In primo luogo, l’intervento è criticabile perché si fonda su un presupposto falso. Le 18 ore di lavoro in aula rappresentano solo una parte del lavoro degli insegnanti, a cui si affiancano le ore relative connesse all’attività didattica (consigli di classe, scrutini, colloqui con i genitori, correzione e valutazione delle verifiche scritte) che sono proporzionali alle ore della didattica stessa. Ciò implica non solo che le ore effettivamente lavorate dagli insegnanti sono ben più di 18, ma anche che l’incremento di lavoro con il passaggio a 24 ore di lezione non sarà limitato alle sole 6 ore aggiuntive svolte in classe e comporterà un aggravio ben più significativo che accrescerà di un terzo tutte le attività svolte dai docenti.
L’intervento proposto, d’altra parte, appare discutibile anche con riferimento alle sue finalità. L’incremento delle ore di lavoro dei docenti a parità di salario viene, infatti, giustificato con la necessità di recuperare risorse (secondo alcune stime più di un miliardo di euro), che servirebbero solo in minima parte a ridurre la spesa pubblica e che sarebbero, invece, per la maggior parte reinvestite nella scuola per risolverne i problemi di funzionamento o le difficoltà connesse alle gravi mancanze dell’edilizia scolastica.
La logica appena descritta appare molto discutibile. Se la scuola ha in questo momento bisogno di investimenti, necessari per garantirne la sicurezza o, in alcuni casi, la stessa regolare prosecuzione dell’attività, i vantaggi che da essi deriverebbero ricadrebbero direttamente sugli studenti e indirettamente sull’intera società. Appare, quindi, evidente che gli investimenti nella scuola debbano essere a carico di tutti e non solo di alcuni lavoratori che hanno l’unica caratteristica peculiare di lavorare al suo interno.
Con riferimento, invece, alle risorse destinate alla riduzione della spesa, il cui valore si attesta per il 2013 a 182,9 milioni di euro, si può rilevare come la legge di stabilità preveda per il 2013 anche un intervento a favore delle scuole non statali per un valore pari a 223 milioni. Prescindendo dalle finalità di tale intervento, che sono certamente motivate, sembra evidente come, in una fase in cui si richiedono forti sacrifici, una decurtazione di questa voce rappresenti una fonte alternativa molto ragionevole per la riduzione della spesa pubblica da finanziare tramite il settore scolastico.
Le considerazioni precedenti sono già di per se stesse sufficienti a mostrare i forti limiti dell’intervento del governo. Ad esse, peraltro, se ne aggiunge un’ultima che appare fra tutte forse la più importante. Negli ultimi anni la scuola italiana ha visto ridurre in modo ingente le risorse ad essa dedicate, in alcuni casi mettendo in gravi difficoltà lo svolgimento stesso della didattica. L’ultima cosa di cui oggi la scuola ha bisogno è di demotivare la classe insegnante, già dequalificata da stipendi inadeguati, dicendole che la sua retribuzione oraria sarà ridotta di un terzo a partire dal prossimo anno. Probabilmente il miglior intervento per garantire che la scuola perda anche la sua ultima risorsa.
da www.nelmerito.com

"Titolo V mai attuato e già rottamato: ecco la fregatura per i pubblici dipendenti", di Annamaria Bellesia

he il centralismo dello Stato avesse sempre fatto resistenza, non è un mistero. Ma adesso il Governo tecnico mette in campo addirittura una riforma (o controriforma) costituzionale con sorprese dirompenti per i dipendenti pubblici. Se venisse approvata, troverebbe legittimazione anche la tanto discussa norma dell’aumento per legge dell’orario di lavoro dei docenti. Il Governo Monti ha preso la palla al balzo della cattiva amministrazione che ha indotto dimissioni ed elezioni anticipate in alcune regioni d’Italia (ben distribuite fra Nord, Centro e Sud) e voilà ecco pronta in quattro e quattr’otto nientemeno che una riforma della Costituzione di vasta portata che riporta in capo allo stato diverse materie prima devolute alla competenza regionale e sconvolge il Titolo V nella definizione approvata nel 2001.
La notizia è stata data da Monti col suo stile felpato a margine del Consiglio dei ministri del 9/10/2012, mentre tutta l’attenzione era concentrata sulla legge di stabilità.
Il comunicato di Palazzo Chigi ci dice che il CdM ha approvato un disegno di legge costituzionale di riforma del Titolo V, e che non sia un intervento lieve lo si legge fra le righe. Si parla di modifiche “significative” dal punto di vista della regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le regioni, viene introdotta una “clausola di supremazia” dello stato e si prevedono alcune “innovazioni particolarmente incisive”, inserendo nella legislazione esclusiva dello Stato delle materie che erano precedentemente oggetto della legislazione concorrente.
All’annuncio di Monti ci sono state alcune reazioni positive da parte di chi spera in una riduzione degli sprechi ai quali abbiamo assistito in questi anni e che sono finiti in conto agli italiani, ma soprattutto si registrano reazioni negative: c’è di parla di restaurazione del peggiore centralismo romano, della fine del sistema autonomistico e di un ritorno alla situazione degli anni ‘70.
Finora il dibattito non ha interessato il mondo della scuola, invece la fregatura sta proprio nella nuova versione dell’articolo 117, lettera g), per cui sono di esclusiva competenza statale non solo l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato, ma anche la “disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. La modifica è di importanza dirompente, perché rimette mano alla riforma introdotta col D.L.vo n. 29/1993, dimostrando l’esistenza di un disegno organico e preciso, nel quale troverebbe giustificazione anche la tanto discussa norma dell’aumento per legge dell’orario di lavoro dei docenti. Alla contrattazione infatti non resterebbe altro che la negoziazione delle risorse.
Che Monti intenda fare sul serio e presto lo ha detto chiaro e tondo: “Il ddl di modifica costituzionale al Titolo V il governo l’ha recentemente presentato non a futura memoria, ma vogliamo fare il possibile perché tutto quello che potrà andare in porto per la fine della legislatura vada in porto”.
Ora non si può negare che in questo decennio ci siano stati continui conflitti di competenza e sperpero di denaro pubblico, per cui una revisione sarà probabilmente necessaria.
Va tuttavia ricordato che la riforma precedente, pur con i suoi limiti, è stata frutto di un lungo e approfondito lavoro di elaborazione nel senso del decentramento, culminato con l’approvazione popolare nel referendum confermativo del 2001, che ha ottenuto il 64% di sì.
Adesso la domanda è: quale legittimità può avere un governo tecnico, non espressione della sovranità popolare e chiamato solo per risolvere una situazione d’emergenza, di mettere mano al testo della Costituzione?
Anche su questo i partiti della strana maggioranza dovrebbero fare qualche riflessione, perché si vanno ad intaccare equilibri appena faticosamente assestati, col rischio di provocare una conflittualità potenzialmente esplosiva.

La Tecnica della Scuola 21.10.12

"Titolo V mai attuato e già rottamato: ecco la fregatura per i pubblici dipendenti", di Annamaria Bellesia

he il centralismo dello Stato avesse sempre fatto resistenza, non è un mistero. Ma adesso il Governo tecnico mette in campo addirittura una riforma (o controriforma) costituzionale con sorprese dirompenti per i dipendenti pubblici. Se venisse approvata, troverebbe legittimazione anche la tanto discussa norma dell’aumento per legge dell’orario di lavoro dei docenti. Il Governo Monti ha preso la palla al balzo della cattiva amministrazione che ha indotto dimissioni ed elezioni anticipate in alcune regioni d’Italia (ben distribuite fra Nord, Centro e Sud) e voilà ecco pronta in quattro e quattr’otto nientemeno che una riforma della Costituzione di vasta portata che riporta in capo allo stato diverse materie prima devolute alla competenza regionale e sconvolge il Titolo V nella definizione approvata nel 2001.
La notizia è stata data da Monti col suo stile felpato a margine del Consiglio dei ministri del 9/10/2012, mentre tutta l’attenzione era concentrata sulla legge di stabilità.
Il comunicato di Palazzo Chigi ci dice che il CdM ha approvato un disegno di legge costituzionale di riforma del Titolo V, e che non sia un intervento lieve lo si legge fra le righe. Si parla di modifiche “significative” dal punto di vista della regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le regioni, viene introdotta una “clausola di supremazia” dello stato e si prevedono alcune “innovazioni particolarmente incisive”, inserendo nella legislazione esclusiva dello Stato delle materie che erano precedentemente oggetto della legislazione concorrente.
All’annuncio di Monti ci sono state alcune reazioni positive da parte di chi spera in una riduzione degli sprechi ai quali abbiamo assistito in questi anni e che sono finiti in conto agli italiani, ma soprattutto si registrano reazioni negative: c’è di parla di restaurazione del peggiore centralismo romano, della fine del sistema autonomistico e di un ritorno alla situazione degli anni ‘70.
Finora il dibattito non ha interessato il mondo della scuola, invece la fregatura sta proprio nella nuova versione dell’articolo 117, lettera g), per cui sono di esclusiva competenza statale non solo l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa dello Stato, ma anche la “disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. La modifica è di importanza dirompente, perché rimette mano alla riforma introdotta col D.L.vo n. 29/1993, dimostrando l’esistenza di un disegno organico e preciso, nel quale troverebbe giustificazione anche la tanto discussa norma dell’aumento per legge dell’orario di lavoro dei docenti. Alla contrattazione infatti non resterebbe altro che la negoziazione delle risorse.
Che Monti intenda fare sul serio e presto lo ha detto chiaro e tondo: “Il ddl di modifica costituzionale al Titolo V il governo l’ha recentemente presentato non a futura memoria, ma vogliamo fare il possibile perché tutto quello che potrà andare in porto per la fine della legislatura vada in porto”.
Ora non si può negare che in questo decennio ci siano stati continui conflitti di competenza e sperpero di denaro pubblico, per cui una revisione sarà probabilmente necessaria.
Va tuttavia ricordato che la riforma precedente, pur con i suoi limiti, è stata frutto di un lungo e approfondito lavoro di elaborazione nel senso del decentramento, culminato con l’approvazione popolare nel referendum confermativo del 2001, che ha ottenuto il 64% di sì.
Adesso la domanda è: quale legittimità può avere un governo tecnico, non espressione della sovranità popolare e chiamato solo per risolvere una situazione d’emergenza, di mettere mano al testo della Costituzione?
Anche su questo i partiti della strana maggioranza dovrebbero fare qualche riflessione, perché si vanno ad intaccare equilibri appena faticosamente assestati, col rischio di provocare una conflittualità potenzialmente esplosiva.
La Tecnica della Scuola 21.10.12

"Dove sbaglia la manovra", di Guglielmo Epifani

Le polemiche che sono seguite al varo della legge di stabilità sono tutte molto fondate. Sono soprattutto due gli aspetti che proprio non vanno. E che debbono essere cambiati in Parlamento: le conseguenze di equità sociale della manovra, gli ulteriori tagli operati nel campo della scuola. Non risulta equa una scelta che aumenta l’Iva per tutti e una riduzione delle aliquote fiscali che lascia fuori dai benefici la parte più povera e indigente della popolazione, sulla quale inoltre si scarica anche l’improvvida decisione di rendere permanente l’aumento delle accise sulla benzina. Da un lato quindi prezzi che aumentano anche in presenza di un calo continuo dei consumi, dall’altro salari e pensioni fermi, oltre la disoccupazione che sale, con benefici fiscali che valgono solo in parte, e per una parte, a compensare la caduta del potere d’acquisto.
Il gioco sulle detrazioni e sulle franchigie, e quello sui tempi diversi tra vantaggi e svantaggi fiscali serve soltanto a compensare la riduzione del gettito, creando un precedente sbagliato di retroattività delle imposte assolutamente indigeribile per i contribuenti onesti in una fase di aumento della pressione fiscale. La conclusione di tale ragionamento sembra evidente: se si vuole più equità e anche più senso logico è preferibile la strada che porta a mantenere le aliquote dell’Iva invariate. Un’altra strada sarebbe a portata di mano, ma richiederebbe, insieme ad un credito per gli incapienti, di concentrare tutte le risorse per una riduzione del cuneo fiscale sul reddito da lavoro o almeno su quello dei giovani assunti a tempo indeterminato, convogliando qui anche le risorse previste per la detassazione della produttività. Gli interventi sulla scuola, in tutti gli aspetti, confermano e ripropongono una politica sbagliata. Un conto è intervenire sugli sprechi e inefficienze che vi sono, altro è continuare a tagliare risorse in un settore dove la spesa pro capite è già tra le più basse in Europa, e dove invece occorre, proprio per la pesantezza della crisi, investire di più e meglio. Il risultato che si ottiene per questa via è poi paradossale, perché nel campo formativo se si supera la soglia della sostenibilità finanziaria, il risultato non è quello di una maggiore efficienza ma esattamente il suo contrario, più inefficienze, più disorganizzazione, meno qualità e assenza di qualsivoglia programmazione di medio periodo.

Anche qui quindi il Parlamento è chiamato a cambiare il testo del governo e a evitare un ulteriore aggravamento della condizione della nostra scuola, di chi vi lavora e di chi ha diritto ad essere formato.

Chiarire e selezionare la natura dei cambiamenti, nell’iter parlamentare, è questione assolutamente rilevante. La portata delle critiche infatti è molto più ampia, e molto spesso in misura fondata. Il rischio che ne deriva però è altrettanto delicato. Se tutto si riducesse a un bilanciamento tra modifiche e conferme, a togliere qualcosa da una parte e ad aggiungere da un’altra senza un criterio di guida e di priorità, il rischio di non fare scelte diventerebbe molto probabile e con esso anche la conferma di un segno negativo della manovra. Si pone poi il tema dei saldi e il punto dei possibili risparmi del costo del debito. Se appare difficile nel quadro presente modificare i primi, si potrebbe però chiarire da subito l’eventuale destinazione dei secondi, in modo che problemi non risolvibili nel breve possano esserlo nel futuro, oppure, e sarebbe meglio, scegliendo con forza una destinazione delle risorse nel senso del sostegno a politiche e fattori di crescita.

Non siamo fuori dalla crisi e anche affermare che si intravede una via di uscita non può nascondere che per l’occupazione ci aspettano ancora tempi molto difficili. La manifestazione della Cgil è stata l’occasione per toccare con mano le difficoltà e spesso la disperazione di tante comunità e di tante famiglie, e per riportare nel verso giusto i termini del confronto pubblico, le scelte di imprese e responsabilità politica, e la stessa raffigurazione della condizione del mondo del lavoro.

L’Unità 21.10.12

"Dove sbaglia la manovra", di Guglielmo Epifani

Le polemiche che sono seguite al varo della legge di stabilità sono tutte molto fondate. Sono soprattutto due gli aspetti che proprio non vanno. E che debbono essere cambiati in Parlamento: le conseguenze di equità sociale della manovra, gli ulteriori tagli operati nel campo della scuola. Non risulta equa una scelta che aumenta l’Iva per tutti e una riduzione delle aliquote fiscali che lascia fuori dai benefici la parte più povera e indigente della popolazione, sulla quale inoltre si scarica anche l’improvvida decisione di rendere permanente l’aumento delle accise sulla benzina. Da un lato quindi prezzi che aumentano anche in presenza di un calo continuo dei consumi, dall’altro salari e pensioni fermi, oltre la disoccupazione che sale, con benefici fiscali che valgono solo in parte, e per una parte, a compensare la caduta del potere d’acquisto.
Il gioco sulle detrazioni e sulle franchigie, e quello sui tempi diversi tra vantaggi e svantaggi fiscali serve soltanto a compensare la riduzione del gettito, creando un precedente sbagliato di retroattività delle imposte assolutamente indigeribile per i contribuenti onesti in una fase di aumento della pressione fiscale. La conclusione di tale ragionamento sembra evidente: se si vuole più equità e anche più senso logico è preferibile la strada che porta a mantenere le aliquote dell’Iva invariate. Un’altra strada sarebbe a portata di mano, ma richiederebbe, insieme ad un credito per gli incapienti, di concentrare tutte le risorse per una riduzione del cuneo fiscale sul reddito da lavoro o almeno su quello dei giovani assunti a tempo indeterminato, convogliando qui anche le risorse previste per la detassazione della produttività. Gli interventi sulla scuola, in tutti gli aspetti, confermano e ripropongono una politica sbagliata. Un conto è intervenire sugli sprechi e inefficienze che vi sono, altro è continuare a tagliare risorse in un settore dove la spesa pro capite è già tra le più basse in Europa, e dove invece occorre, proprio per la pesantezza della crisi, investire di più e meglio. Il risultato che si ottiene per questa via è poi paradossale, perché nel campo formativo se si supera la soglia della sostenibilità finanziaria, il risultato non è quello di una maggiore efficienza ma esattamente il suo contrario, più inefficienze, più disorganizzazione, meno qualità e assenza di qualsivoglia programmazione di medio periodo.
Anche qui quindi il Parlamento è chiamato a cambiare il testo del governo e a evitare un ulteriore aggravamento della condizione della nostra scuola, di chi vi lavora e di chi ha diritto ad essere formato.
Chiarire e selezionare la natura dei cambiamenti, nell’iter parlamentare, è questione assolutamente rilevante. La portata delle critiche infatti è molto più ampia, e molto spesso in misura fondata. Il rischio che ne deriva però è altrettanto delicato. Se tutto si riducesse a un bilanciamento tra modifiche e conferme, a togliere qualcosa da una parte e ad aggiungere da un’altra senza un criterio di guida e di priorità, il rischio di non fare scelte diventerebbe molto probabile e con esso anche la conferma di un segno negativo della manovra. Si pone poi il tema dei saldi e il punto dei possibili risparmi del costo del debito. Se appare difficile nel quadro presente modificare i primi, si potrebbe però chiarire da subito l’eventuale destinazione dei secondi, in modo che problemi non risolvibili nel breve possano esserlo nel futuro, oppure, e sarebbe meglio, scegliendo con forza una destinazione delle risorse nel senso del sostegno a politiche e fattori di crescita.
Non siamo fuori dalla crisi e anche affermare che si intravede una via di uscita non può nascondere che per l’occupazione ci aspettano ancora tempi molto difficili. La manifestazione della Cgil è stata l’occasione per toccare con mano le difficoltà e spesso la disperazione di tante comunità e di tante famiglie, e per riportare nel verso giusto i termini del confronto pubblico, le scelte di imprese e responsabilità politica, e la stessa raffigurazione della condizione del mondo del lavoro.
L’Unità 21.10.12

"Mancato stralcio delle ore 24 in commissione bilancio. Chiarimento del PD", di Aldo Domenico Ficara

Il Pd ritiene opportuno precisare : la Commissione Bilancio non ha ancora cominciato a discutere nel merito delle norme della legge di stabilità, per cui immaginare che non ci sia uno stralcio della norma sull’orario è fantasia.
In alcuni articoli nel web, a voce del segretario Unicobas Scuola Lombardia , si afferma che la V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità le proposte del suo Presidente, ma il nodo delle 24 ore settimanali per docenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado rimane inalterato. La notizia del mancato stralcio sta facendo il giro della rete con commenti al limite del riferibile.
Per questo motivo si ritiene opportuno riferire che dalle pagine del sito del Partito democratico arriva una precisazione su quanto è accaduto in Commissione Bilancio.
A tal proposito il PD afferma che la Commissione Bilancio non ha ancora cominciato a discutere nel merito delle norme della legge di stabilità, per cui immaginare che non ci sia uno stralcio della norma sull’orario, è fantasia. La relazione sarà fatta mercoledì prossimo (24 ottobre 2012), e gli emendamenti che sono lo strumento per poter arrivare allo stralcio, si presentano entro il 31 ottobre. La norma sarà esaminata anche in Commissione Cultura e Istruzione e il Pd non voterà, come detto e ripetuto, ha già dichiarato che non voterà altri tagli sulla pelle degli insegnanti.

La Tecnica della Scuola 21.10.12

"Mancato stralcio delle ore 24 in commissione bilancio. Chiarimento del PD", di Aldo Domenico Ficara

Il Pd ritiene opportuno precisare : la Commissione Bilancio non ha ancora cominciato a discutere nel merito delle norme della legge di stabilità, per cui immaginare che non ci sia uno stralcio della norma sull’orario è fantasia.
In alcuni articoli nel web, a voce del segretario Unicobas Scuola Lombardia , si afferma che la V Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità le proposte del suo Presidente, ma il nodo delle 24 ore settimanali per docenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado rimane inalterato. La notizia del mancato stralcio sta facendo il giro della rete con commenti al limite del riferibile.
Per questo motivo si ritiene opportuno riferire che dalle pagine del sito del Partito democratico arriva una precisazione su quanto è accaduto in Commissione Bilancio.
A tal proposito il PD afferma che la Commissione Bilancio non ha ancora cominciato a discutere nel merito delle norme della legge di stabilità, per cui immaginare che non ci sia uno stralcio della norma sull’orario, è fantasia. La relazione sarà fatta mercoledì prossimo (24 ottobre 2012), e gli emendamenti che sono lo strumento per poter arrivare allo stralcio, si presentano entro il 31 ottobre. La norma sarà esaminata anche in Commissione Cultura e Istruzione e il Pd non voterà, come detto e ripetuto, ha già dichiarato che non voterà altri tagli sulla pelle degli insegnanti.
La Tecnica della Scuola 21.10.12