attualità, politica italiana

"Dove sbaglia la manovra", di Guglielmo Epifani

Le polemiche che sono seguite al varo della legge di stabilità sono tutte molto fondate. Sono soprattutto due gli aspetti che proprio non vanno. E che debbono essere cambiati in Parlamento: le conseguenze di equità sociale della manovra, gli ulteriori tagli operati nel campo della scuola. Non risulta equa una scelta che aumenta l’Iva per tutti e una riduzione delle aliquote fiscali che lascia fuori dai benefici la parte più povera e indigente della popolazione, sulla quale inoltre si scarica anche l’improvvida decisione di rendere permanente l’aumento delle accise sulla benzina. Da un lato quindi prezzi che aumentano anche in presenza di un calo continuo dei consumi, dall’altro salari e pensioni fermi, oltre la disoccupazione che sale, con benefici fiscali che valgono solo in parte, e per una parte, a compensare la caduta del potere d’acquisto.
Il gioco sulle detrazioni e sulle franchigie, e quello sui tempi diversi tra vantaggi e svantaggi fiscali serve soltanto a compensare la riduzione del gettito, creando un precedente sbagliato di retroattività delle imposte assolutamente indigeribile per i contribuenti onesti in una fase di aumento della pressione fiscale. La conclusione di tale ragionamento sembra evidente: se si vuole più equità e anche più senso logico è preferibile la strada che porta a mantenere le aliquote dell’Iva invariate. Un’altra strada sarebbe a portata di mano, ma richiederebbe, insieme ad un credito per gli incapienti, di concentrare tutte le risorse per una riduzione del cuneo fiscale sul reddito da lavoro o almeno su quello dei giovani assunti a tempo indeterminato, convogliando qui anche le risorse previste per la detassazione della produttività. Gli interventi sulla scuola, in tutti gli aspetti, confermano e ripropongono una politica sbagliata. Un conto è intervenire sugli sprechi e inefficienze che vi sono, altro è continuare a tagliare risorse in un settore dove la spesa pro capite è già tra le più basse in Europa, e dove invece occorre, proprio per la pesantezza della crisi, investire di più e meglio. Il risultato che si ottiene per questa via è poi paradossale, perché nel campo formativo se si supera la soglia della sostenibilità finanziaria, il risultato non è quello di una maggiore efficienza ma esattamente il suo contrario, più inefficienze, più disorganizzazione, meno qualità e assenza di qualsivoglia programmazione di medio periodo.
Anche qui quindi il Parlamento è chiamato a cambiare il testo del governo e a evitare un ulteriore aggravamento della condizione della nostra scuola, di chi vi lavora e di chi ha diritto ad essere formato.
Chiarire e selezionare la natura dei cambiamenti, nell’iter parlamentare, è questione assolutamente rilevante. La portata delle critiche infatti è molto più ampia, e molto spesso in misura fondata. Il rischio che ne deriva però è altrettanto delicato. Se tutto si riducesse a un bilanciamento tra modifiche e conferme, a togliere qualcosa da una parte e ad aggiungere da un’altra senza un criterio di guida e di priorità, il rischio di non fare scelte diventerebbe molto probabile e con esso anche la conferma di un segno negativo della manovra. Si pone poi il tema dei saldi e il punto dei possibili risparmi del costo del debito. Se appare difficile nel quadro presente modificare i primi, si potrebbe però chiarire da subito l’eventuale destinazione dei secondi, in modo che problemi non risolvibili nel breve possano esserlo nel futuro, oppure, e sarebbe meglio, scegliendo con forza una destinazione delle risorse nel senso del sostegno a politiche e fattori di crescita.
Non siamo fuori dalla crisi e anche affermare che si intravede una via di uscita non può nascondere che per l’occupazione ci aspettano ancora tempi molto difficili. La manifestazione della Cgil è stata l’occasione per toccare con mano le difficoltà e spesso la disperazione di tante comunità e di tante famiglie, e per riportare nel verso giusto i termini del confronto pubblico, le scelte di imprese e responsabilità politica, e la stessa raffigurazione della condizione del mondo del lavoro.
L’Unità 21.10.12