Latest Posts

"A Cameri la fabbrica del jet dove decollano solo i costi", di Teodoro Chiarelli

I capannoni costruiti dalla Maltauro di Vicenza e ancora freschi di intonaco si intravvedono appena oltre le recinzioni off limits. Sì perché l’ultimo stabilimento dell’Alenia, realizzato per assemblare il cacciabombardiere F-35, detto anche Jsf (Joint Strike Fighter), progettato dall’americana Lockheed Martin, si trova all’interno di un aeroporto militare. Siamo a Cameri, provincia di Novara, sito storico (fondato nel 1909) dell’aviazione tricolore. Oggi ospita il Reparto Manutenzione Velivoli che fa assistenza ai Panavia Tornado e agli Eurofighter Typhoon. L’eco delle polemiche sollevate sul costo dei 90 aerei che l’Italia si è impegnata ad acquistare, qui arriva attutito. Le rare persone che entrano o escono veloci in auto non si fermano neppure per dire “buongiorno”. Off limits, zona militare, appunto.

Già, le polemiche. In una intervista al portale specializzato “analisidifesa.it”, il generale Claudio Debertolis, segretario generale della Difesa, ha ammesso candidamente che il costo dei cacciabombardieri F-35 per Aeronautica e Marina italiane sarà ben più alto dei circa 80 milioni di dollari per ciascun esemplare dei primi tre apparecchi, comunicati a suo tempo al Parlamento. «Il dato si è rivelato irrealistico – ha spiegato il generale – poiché si riferiva a una pianificazione ormai superata dalle vicende del programma e verteva sul solo aereo nudo».

I primi F-35 avranno un costo previsto attualmente in 127,3 milioni di dollari (99 milioni di euro) a esemplare per la versione A e di 137,1 milioni di dollari (106,7 milioni di euro) per la versione B a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl) che verranno acquisiti dal 2015.

Una volta usciti dalle catene di montaggio di Cameri, all’inizio del 2015, i primi 3 caccia “stealth” Lockheed Martin F-35A Ctol a decollo convenzionale per l’Italia (60 quelli previsti), saranno inviati presso il centro di addestramento negli Stati Uniti per iniziare la formazione dei piloti e degli specialisti. Nel 2016 saranno seguiti dai primi 2 di un successivo gruppo di 3 esemplari. Il primo F-35A si schiererà sulla base di Amendola dell’Aeronautica militare nel marzo 2016, mentre il primo F-35B Stovl a decollo corto e atterraggio verticale (30 fra Marina e Aeronautica), il cui contratto d’acquisto è previsto nel 2015, comincerà a operare dalla base di Grottaglie a partire dalla seconda metà del 2018.

Questo, dopo il taglio di 41 esemplari deciso a febbraio dal governo, è il nuovo programma di acquisto degli Jsf, secondo quanto illustrato dal generale Debertolis. Il quale non ha negato le criticità emerse in America sul fronte industriale del programma Jsf: il costo è aumentato a una media di ben 40 milioni di dollari al giorno in 11 anni, preoccupando non poco il Pentagono. Anche perché, vista la crisi economica mondiale, già alcuni Paesi hanno deciso di tirarsi indietro .

In Italia, invece, pur con un programma ridotto rispetto all’originale (approvato via via dai governi Prodi, Berlusconi, D’Alema, Prodi e di nuovo Berlusconi), l’esecutivo Monti, che vede alla Difesa l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, uno dei principali sostenitori del progetto, ha deciso di proseguire. L’Italia dovrebbe alla fine spendere qualcosa come 16,9 miliardi di dollari e, secondo, Debertolis, ne avrebbe un ritorno industriale del 77%, pari a circa 13 miliardi. Oltre all’assemblaggio dei propri aerei e di quelli di qualche altro Paese europeo, l’Italia avrebbe assegnata la costruzione di un migliaio di ali. Sinora il nostro Paese ha speso per il programma fra i 2 e i 2,5 miliardi di euro e ha avuto ritorni industriali per 631 milioni di dollari.

Sullo stabilimento di Cameri, che si trova nel collegio elettorale del presidente della Regione Piemonte Roberto Cota, ha messo grande enfasi la Lega, tanto da farne oggetto di visite entusiastiche dell’allora ministro Umberto Bossi. La fabbrica, denominata “Faco” (Final assembly and check out) è costata allo Stato 800 milioni di euro. Qualche anno fa fu messa in giro la voce che il programma F-35 avrebbe portato alla creazione in Italia di 10 mila posti di lavoro. In realtà si è rivelata una bufala.

Oggi a Cameri, come confermano fonti sindacali e aziendali, lavora solo un centinaio di persone, per lo più “in missione” dall’Alenia di Caselle: solo alcune decine sono nuovi assunti. «In pratica il personale occupato sulle linee di Cameri non sarà a “somma”, ma a “sottrazione” di quello di Caselle – spiega Gianni Alioti, responsabile esteri della Fim Cisl nazionale – Alla fine il numero di persone impiegate nella “Faco”, fossero anche i 1.816 su tre turni di cui ha parlato il ministero della Difesa nel 2010, o i più realistici 600 lavoratori che risultano a noi sindacati, saranno solo in parte nuovi posti di lavoro».

Ma non è solo una questione di costi fuori controllo e di occupazione fantasma. «Il programma dei cacciabombardieri F-35 è industrialmente un errore – sostiene Lino Lamendola che segue il settore per la Fiom piemontese -. Come Paese siamo passati dal partecipare a programmi proprietari in consorzio con altri partner europei al ruolo di fornitori di aziende Usa. Non abbiamo nessun ruolo nello sviluppo della tecnologia, siamo fuori dall’ingegneria e dalla progettazione. Una condizione di subalternità letale per l’industria nazionale. Una scelta di politica suicida».

Il paradosso è che non ci sono certezze neppure di rientrare dagli 800 milioni investiti dal governo per la “Faco”. «Non c’è nulla di garantito – ha rivelato il segretario generale della Difesa -. Dagli Americani abbiamo un contratto effettivo per 100 ali e una dichiarazione di intenti per 800». Come cantava Giorgio Gaber, «anche per oggi non si vola».

La Stampa 22.10.12

"A Cameri la fabbrica del jet dove decollano solo i costi", di Teodoro Chiarelli

I capannoni costruiti dalla Maltauro di Vicenza e ancora freschi di intonaco si intravvedono appena oltre le recinzioni off limits. Sì perché l’ultimo stabilimento dell’Alenia, realizzato per assemblare il cacciabombardiere F-35, detto anche Jsf (Joint Strike Fighter), progettato dall’americana Lockheed Martin, si trova all’interno di un aeroporto militare. Siamo a Cameri, provincia di Novara, sito storico (fondato nel 1909) dell’aviazione tricolore. Oggi ospita il Reparto Manutenzione Velivoli che fa assistenza ai Panavia Tornado e agli Eurofighter Typhoon. L’eco delle polemiche sollevate sul costo dei 90 aerei che l’Italia si è impegnata ad acquistare, qui arriva attutito. Le rare persone che entrano o escono veloci in auto non si fermano neppure per dire “buongiorno”. Off limits, zona militare, appunto.
Già, le polemiche. In una intervista al portale specializzato “analisidifesa.it”, il generale Claudio Debertolis, segretario generale della Difesa, ha ammesso candidamente che il costo dei cacciabombardieri F-35 per Aeronautica e Marina italiane sarà ben più alto dei circa 80 milioni di dollari per ciascun esemplare dei primi tre apparecchi, comunicati a suo tempo al Parlamento. «Il dato si è rivelato irrealistico – ha spiegato il generale – poiché si riferiva a una pianificazione ormai superata dalle vicende del programma e verteva sul solo aereo nudo».
I primi F-35 avranno un costo previsto attualmente in 127,3 milioni di dollari (99 milioni di euro) a esemplare per la versione A e di 137,1 milioni di dollari (106,7 milioni di euro) per la versione B a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl) che verranno acquisiti dal 2015.
Una volta usciti dalle catene di montaggio di Cameri, all’inizio del 2015, i primi 3 caccia “stealth” Lockheed Martin F-35A Ctol a decollo convenzionale per l’Italia (60 quelli previsti), saranno inviati presso il centro di addestramento negli Stati Uniti per iniziare la formazione dei piloti e degli specialisti. Nel 2016 saranno seguiti dai primi 2 di un successivo gruppo di 3 esemplari. Il primo F-35A si schiererà sulla base di Amendola dell’Aeronautica militare nel marzo 2016, mentre il primo F-35B Stovl a decollo corto e atterraggio verticale (30 fra Marina e Aeronautica), il cui contratto d’acquisto è previsto nel 2015, comincerà a operare dalla base di Grottaglie a partire dalla seconda metà del 2018.
Questo, dopo il taglio di 41 esemplari deciso a febbraio dal governo, è il nuovo programma di acquisto degli Jsf, secondo quanto illustrato dal generale Debertolis. Il quale non ha negato le criticità emerse in America sul fronte industriale del programma Jsf: il costo è aumentato a una media di ben 40 milioni di dollari al giorno in 11 anni, preoccupando non poco il Pentagono. Anche perché, vista la crisi economica mondiale, già alcuni Paesi hanno deciso di tirarsi indietro .
In Italia, invece, pur con un programma ridotto rispetto all’originale (approvato via via dai governi Prodi, Berlusconi, D’Alema, Prodi e di nuovo Berlusconi), l’esecutivo Monti, che vede alla Difesa l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, uno dei principali sostenitori del progetto, ha deciso di proseguire. L’Italia dovrebbe alla fine spendere qualcosa come 16,9 miliardi di dollari e, secondo, Debertolis, ne avrebbe un ritorno industriale del 77%, pari a circa 13 miliardi. Oltre all’assemblaggio dei propri aerei e di quelli di qualche altro Paese europeo, l’Italia avrebbe assegnata la costruzione di un migliaio di ali. Sinora il nostro Paese ha speso per il programma fra i 2 e i 2,5 miliardi di euro e ha avuto ritorni industriali per 631 milioni di dollari.
Sullo stabilimento di Cameri, che si trova nel collegio elettorale del presidente della Regione Piemonte Roberto Cota, ha messo grande enfasi la Lega, tanto da farne oggetto di visite entusiastiche dell’allora ministro Umberto Bossi. La fabbrica, denominata “Faco” (Final assembly and check out) è costata allo Stato 800 milioni di euro. Qualche anno fa fu messa in giro la voce che il programma F-35 avrebbe portato alla creazione in Italia di 10 mila posti di lavoro. In realtà si è rivelata una bufala.
Oggi a Cameri, come confermano fonti sindacali e aziendali, lavora solo un centinaio di persone, per lo più “in missione” dall’Alenia di Caselle: solo alcune decine sono nuovi assunti. «In pratica il personale occupato sulle linee di Cameri non sarà a “somma”, ma a “sottrazione” di quello di Caselle – spiega Gianni Alioti, responsabile esteri della Fim Cisl nazionale – Alla fine il numero di persone impiegate nella “Faco”, fossero anche i 1.816 su tre turni di cui ha parlato il ministero della Difesa nel 2010, o i più realistici 600 lavoratori che risultano a noi sindacati, saranno solo in parte nuovi posti di lavoro».
Ma non è solo una questione di costi fuori controllo e di occupazione fantasma. «Il programma dei cacciabombardieri F-35 è industrialmente un errore – sostiene Lino Lamendola che segue il settore per la Fiom piemontese -. Come Paese siamo passati dal partecipare a programmi proprietari in consorzio con altri partner europei al ruolo di fornitori di aziende Usa. Non abbiamo nessun ruolo nello sviluppo della tecnologia, siamo fuori dall’ingegneria e dalla progettazione. Una condizione di subalternità letale per l’industria nazionale. Una scelta di politica suicida».
Il paradosso è che non ci sono certezze neppure di rientrare dagli 800 milioni investiti dal governo per la “Faco”. «Non c’è nulla di garantito – ha rivelato il segretario generale della Difesa -. Dagli Americani abbiamo un contratto effettivo per 100 ali e una dichiarazione di intenti per 800». Come cantava Giorgio Gaber, «anche per oggi non si vola».
La Stampa 22.10.12

"Bersani: “Scuola, misure invotabili” Profumo cambia idea: niente ore in più", di Corrado Zunino

Le reazioni degli insegnanti alle “sei ore in più a parità di salario” sono state rabbiose, sorprendenti nella loro rapidità e via via organizzate in protesta fuori e dentro le scuole. Il diktat del segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, che ha contato almeno 400 mila voti a rischio dentro quel bacino protestante e che per due volte ha detto che questa legge di stabilità non l’avrebbe votata, lo ha messo in difficoltà. Così il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo al suo staff ha detto: «Sulle sei ore fermiamoci, siamo troppo vicini alla campagna elettorale. I 183 milioni da tagliare cerchiamoli nelle singole voci di spesa, non c’è tempo per fare grandi riforme».
Con l’arresto della riforma dell’orario a scuola si ferma anche il risiko delle cattedre che avrebbe espulso dall’insegnamento 6.400 precari (fonti Pd) o 30 mila (fonti sindacali). Viene annacquato anche il riordino dei dodici enti di ricerca pubblici. Negli ultimi giorni, infatti, Profumo ha congelato l’ipotesi di un unico Centro di ricerca nazionale per tutelare i brevetti, segnalare i bandi migliori, rappresentare gli interessi italiani a Bruxelles. Il ministro — e qui l’opposizione è arrivata da destra, con il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri deciso a tutelare l’amico Enrico Saggese alla guida della traballante Agenzia spaziale italiana — non taglierà più i dodici consigli d’amministrazione preferendo chiedere ai singoli presidenti di portare in tempi brevi una loro proposta operativa.
Ieri a Roma, autoconvocati, senza bandiere sindacali, cento docenti sono andati a ritmare la loro protesta sotto le finestre di un ministero dell’Istruzione chiuso. L’onda dell’opposizione alle “sei ore in più” porterà alla riduzione dell’attività didattica in molti licei: stop a interrogazioni, compiti in classe, gite scolastiche. La riforma dell’orario è riuscita a ricompattare tutti i sindacati, che hanno indetto uno sciopero generale della scuola per il 24 novembre. Bersani, compresa la portata dello scontro, ha detto ancora: «Le norme presentate sono fuori da ogni riflessione sull’organizzazione scolastica e finirebbero per dare un colpo ulteriore alla qualità formativa. Se il governo non lo capirà, ci troveremmo di fronte a un problema serio». Nichi Vendola lo ha applaudito. E il ministro Profumo ora fa sapere: «Spero che le mie indicazioni servano a rimettere la scuola al centro dell’agenda del paese coniugando tradizione e modernità e agganciandosi alle migliori esperienze sperimentate in Italia e in Europa».
Oggi la legge di stabilità esordisce in Parlamento. Sul capitolo fiscale l’opposizione è del Pd e pure del Pdl. Angelino Alfano, con Silvio Berlusconi e Gianni Letta, domani incontrerà Mario Monti. Oggi il premier vede il segretario dell’Udc, Pierferdinando Casini.

La Repubblica 22.10.12

******

“Partiti contro la manovra Scuola, Profumo ci ripensa”, di LUISA GRION

La maggioranza all’attacco del governo sulla legge di Stabilità. E il premier Monti incontra i leader dei partiti che lo sostengono. Modifiche in vista per Iva e Irpef. Forti critiche del Pd alle misure sulla scuola. E il ministro dell’Istruzione, Profumo, fa un passo indietro annullando l’aumento di ore a parità di stipendio per gli insegnanti. Sul fronte previdenza, si allunga l’età della pensione per gli italiani. L’età media sale di un anno e i nuovi assegni crollano del 35 per cento. Nei primi nove mesi dell’anno il numero delle nuove pensioni è crollato del 35,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011 e l’età media è passata dai 60,3 ai 61,3 anni. “L’anno prossimo – assicura l’Inps – quanto a età sorpasseremo la Germania”. I risultati non sono dovuti alla riforma Fornero (che produrrà effetti dal prossimo anno), ma a due precedenti norme. Damiano (Pd): “Destinare i risparmi agli esodati”.
SONO DI MENO e sono un po’ più vecchi. Prima ancora che la riforma Fornero cominci a produrre effetti, le norme sulla previdenza introdotte dai precedenti governi hanno modificato il ritratto dei nuovi pensionati. Nei primi nove mesi di quest’anno – segnala l’Inps – gli assegni liquidati dall’istituto, compresi quelli dell’ex Inpdap sono diminuiti del 35,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. E l’età media si è alzata di un anno tondo tondo, passando dai 60,3 ai 61,3.
LO SCALINO E LA FINESTRA
A determinare tale risultato non è stata la riforma previdenziale del governo Monti (che produrrà effetti solo a partire dal prossimo anno), ma due provvedimenti presi dai precedenti esecutivi: lo «scalino» del ministro di centrosinistra Damiano (il passaggio dai 59 ai 60 anni di età a fronte di almeno 36 anni di contributi per avere diritto all’assegno) e la «finestra mobile » del ministro di centrodestra Sacconi (l’attesa di 12 mesi per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi una volta maturati i requisiti). Le due norme, messe assieme, hanno prodotto un crollo nel numero di assegni liquidati dall’Inps, pur tenendo conto anche di quelli «ereditati » dall’Inpdap: tra gennaio è settembre sono stati 199.555 contro i 309.468 dello stesso periodo 2011. L’Inps non ha calcolato gli effetti che la caduta può aver determinato sulla spesa (i calcoli si faranno nel bilancio annuale), ma precisa di aver liquidato 140.616 nel settore privato (meno 37,4 per cento) e 58.939 nel pubblico (meno 22,2 per cento). Il calo più consistente si è comunque registrato nelle pensioni di anzianità del privato (meno 44,1 per cento).
2013, ANNO DEL SORPASSO
Meno assegni, ma anche pensionati più anziani. L’età media dell’ingresso in pensione è passata a 61,3 anni, dodici mesi d’«invecchiamento» in un solo anno. Per Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps questo è il preludio del sorpasso alla Germania. «Penso che l’anno prossimo la raggiungeremo e supereremo» ha detto. I tedeschi in media vanno in pensione a 61,7 anni ma il loro tasso di sostituzione è del 58,4 per cento dell’ultima retribuzione mentre per i lavoratori italiani, grazie agli effetti di quello che rimane del metodo retributivo, si aggira ancora sull’80 per cento (destinato a crollare nei prossimi anni). In Francia l’età media di uscita dal lavoro è 59,3 anni ma il tasso di sostituzione è del 60,8 per cento rispetto all’ultima retribuzione. Entro pochi anni, quando la riforma Fornero sarà attuata, «saremo il paese leader della Ue, il più virtuoso» commenta Mastrapasqua, convinto che il primato si possa raggiungere «entro il 2020». Di fatto, già dal prossimo anno, le donne del privato andranno in pensione a 62 anni e tre mesi, l’«escalation» per tutti continuerà nei prossimi anni.
A FAVORE E CONTRO
C’era bisogno di diventare i primi della classe? Secondo i sindacati no. «I conti sono in sicurezza » assicura Mastrapasqua, alimentando le polemiche di chi ritiene non necessaria la nuova riforma. «I dati dell’Inps dimostrano che il sistema previdenziale italiano era pienamente sostenibile prima dei provvedimenti Fornero che sono stati una gigantesca operazione di cassa fatta pagare ai lavoratori dipendenti e ai pensionati» commenta Domenico Proietti, segretario confederale Uil. Cesare Damiano, autore di una delle norme che hanno prodotto il crollo degli assegni certificato dall’Inps, chiede di pensare agli esodati. «Il governo riferisca in Parlamento sulla positiva situazione che si è creata e utilizzi quei risparmi per tutelare chi, in virtù dell’ultima riforma, è rimasto senza reddito ». Anche per Giuliano Cazzola, vicepresidente Pdl della Commissione Lavoro l’emergenza esodati va risolta. Ma «i nuovi dati – commenta – non autorizzano a ritenere inutile la riforma Fornero, che ha esteso il metodo contributivo e superato la piaga delle pensioni di anzianità ». E il sorpasso sulla Germania riguardo all’età? «Non vedo dove stia il problema: dobbiamo soltanto essere contenti se almeno in un campo siam più virtuosi dei tedeschi».

La Repubblica 22.10.12

******

“Troppe 6 ore in più di lavoro Il governo studia l’alternativa. La rivolta delle cattedre”, di FLAVIA AMABILE

E i professori fanno il «flash mob» Ieri mattina centinaia di docenti hanno dato vita ad un flash mob sulle scalinate del ministero dell’Istruzione, in viale Trastevere, a Roma. Senza simboli politici o di sindacati, i docenti si sono radunati con cartelli che hanno spiegato come le ore di lezione sono solo una parte del lavoro svolto. Non sono mancate le «carote di protesta» a ricordare la manifestazione della scorsa settimana degli studenti

In queste ore al ministero stanno studiando ipotesi alternative perché si è capito che l’aumento di sei ore delle lezioni in classe degli insegnanti è una misura poco difendibile sia politicamente che tecnicamente. Nelle scuole si sta preparando una rivolta di proporzioni finora mai viste, che coinvolge professori che finora non erano mai scesi in piazza e che hanno deciso di organizzarsi lontano da tessere di partito o di sindacati.

Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo aveva già mostrato i primi segnali di apertura la scorsa settimana affermando di essere «certo che il confronto parlamentare sarà all’altezza del difficile compito che ci spetta, con l’obiettivo comune di consegnare all’Italia una scuola migliore, più europea, per studenti ed insegnanti. Per questa ragione ogni suggerimento ed eventuale modifica all’interno dei vincoli di bilancio votati dallo stesso Parlamento, sarà il benvenuto».

Nessun accanimento contro i prof e la scuola, insomma. Si può intervenire anche su altro, l’importante è far quadrare i conti e si sta lavorando per riuscirci. D’altra parte i tempi stringono e la conferma è arrivata anche da Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, sottolineando la disponibilità del Miur a «rivedere, d’accordo con i gruppi parlamentari, la proposta contenuta nel ddl». Lo stesso promette il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi-Doria che scrive: «Troveremo una soluzione diversa per la legge di stabilità».

Saldi invariati: questa è la parola d’ordine, sottolinea anche il ministro Giarda. E per il Miur vuol dire capire come risparmiare 180 milioni di euro nel 2013, 173 milioni per il 2014, e 237 milioni per il 2015, molto meno di quello che si preparava a incassare il ministero dell’Economia con l’aumento delle ore di lezione dei prof e la cancellazione delle supplenze dei precari dalle scuole.

Dove trovare in alternativa i risparmi richiesti? Lo si capirà nei prossimi giorni. Nel frattempo il ministro Profumo auspica una maggiore flessibilità nel lavoro degli insegnanti, con prof che lavoreranno di meno ed altri che lavoreranno di più. Se ne discuterà il prossimo anno, forse in una Conferenza della scuola per avviare la trattativa del nuovo contratto.

In prospettiva, insomma, i professori dovranno lavorare 24 ore ma ci si arriverà in tempi molto più lunghi e con modalità meno rigide di quelle definite da una legge di stabilità. Si punta ad una riforma radicale dell’orario che non deve coincidere con l’attività didattica nelle classi ma andare a comprendere anche la programmazione didattica, i rapporti con le famiglie, il recupero delle carenze, la promozione delle eccellenze.

Ma i prof vogliono risposte subito e chiedono soprattutto che sia cancellato l’aumento di ore di lezione. E sono scesi sul piede di guerra. Sabato alcuni insegnanti hanno organizzato un’iniziativa di protesta spontanea andando a correggere i compiti davanti alla Camera dei Deputati. Ieri mattina si sono ritrovati davanti al Miur per un flashmob che ha bloccato il traffico per un’ora. Da oggi si continua con un dimezzamento dell’attività didattica in molti licei. Ci saranno insegnanti che interromperanno l’ordinaria attività didattica senza indicare una data per la ripresa: staranno in classe senza fare lezione, il che vuol dire uno stop alle interrogazioni, ai compiti in classe, gite scolastiche, attività pomeridiane.

La Stampa 22.10.12

"Bersani: “Scuola, misure invotabili” Profumo cambia idea: niente ore in più", di Corrado Zunino

Le reazioni degli insegnanti alle “sei ore in più a parità di salario” sono state rabbiose, sorprendenti nella loro rapidità e via via organizzate in protesta fuori e dentro le scuole. Il diktat del segretario del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, che ha contato almeno 400 mila voti a rischio dentro quel bacino protestante e che per due volte ha detto che questa legge di stabilità non l’avrebbe votata, lo ha messo in difficoltà. Così il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo al suo staff ha detto: «Sulle sei ore fermiamoci, siamo troppo vicini alla campagna elettorale. I 183 milioni da tagliare cerchiamoli nelle singole voci di spesa, non c’è tempo per fare grandi riforme».
Con l’arresto della riforma dell’orario a scuola si ferma anche il risiko delle cattedre che avrebbe espulso dall’insegnamento 6.400 precari (fonti Pd) o 30 mila (fonti sindacali). Viene annacquato anche il riordino dei dodici enti di ricerca pubblici. Negli ultimi giorni, infatti, Profumo ha congelato l’ipotesi di un unico Centro di ricerca nazionale per tutelare i brevetti, segnalare i bandi migliori, rappresentare gli interessi italiani a Bruxelles. Il ministro — e qui l’opposizione è arrivata da destra, con il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri deciso a tutelare l’amico Enrico Saggese alla guida della traballante Agenzia spaziale italiana — non taglierà più i dodici consigli d’amministrazione preferendo chiedere ai singoli presidenti di portare in tempi brevi una loro proposta operativa.
Ieri a Roma, autoconvocati, senza bandiere sindacali, cento docenti sono andati a ritmare la loro protesta sotto le finestre di un ministero dell’Istruzione chiuso. L’onda dell’opposizione alle “sei ore in più” porterà alla riduzione dell’attività didattica in molti licei: stop a interrogazioni, compiti in classe, gite scolastiche. La riforma dell’orario è riuscita a ricompattare tutti i sindacati, che hanno indetto uno sciopero generale della scuola per il 24 novembre. Bersani, compresa la portata dello scontro, ha detto ancora: «Le norme presentate sono fuori da ogni riflessione sull’organizzazione scolastica e finirebbero per dare un colpo ulteriore alla qualità formativa. Se il governo non lo capirà, ci troveremmo di fronte a un problema serio». Nichi Vendola lo ha applaudito. E il ministro Profumo ora fa sapere: «Spero che le mie indicazioni servano a rimettere la scuola al centro dell’agenda del paese coniugando tradizione e modernità e agganciandosi alle migliori esperienze sperimentate in Italia e in Europa».
Oggi la legge di stabilità esordisce in Parlamento. Sul capitolo fiscale l’opposizione è del Pd e pure del Pdl. Angelino Alfano, con Silvio Berlusconi e Gianni Letta, domani incontrerà Mario Monti. Oggi il premier vede il segretario dell’Udc, Pierferdinando Casini.
La Repubblica 22.10.12
******
“Partiti contro la manovra Scuola, Profumo ci ripensa”, di LUISA GRION
La maggioranza all’attacco del governo sulla legge di Stabilità. E il premier Monti incontra i leader dei partiti che lo sostengono. Modifiche in vista per Iva e Irpef. Forti critiche del Pd alle misure sulla scuola. E il ministro dell’Istruzione, Profumo, fa un passo indietro annullando l’aumento di ore a parità di stipendio per gli insegnanti. Sul fronte previdenza, si allunga l’età della pensione per gli italiani. L’età media sale di un anno e i nuovi assegni crollano del 35 per cento. Nei primi nove mesi dell’anno il numero delle nuove pensioni è crollato del 35,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011 e l’età media è passata dai 60,3 ai 61,3 anni. “L’anno prossimo – assicura l’Inps – quanto a età sorpasseremo la Germania”. I risultati non sono dovuti alla riforma Fornero (che produrrà effetti dal prossimo anno), ma a due precedenti norme. Damiano (Pd): “Destinare i risparmi agli esodati”.
SONO DI MENO e sono un po’ più vecchi. Prima ancora che la riforma Fornero cominci a produrre effetti, le norme sulla previdenza introdotte dai precedenti governi hanno modificato il ritratto dei nuovi pensionati. Nei primi nove mesi di quest’anno – segnala l’Inps – gli assegni liquidati dall’istituto, compresi quelli dell’ex Inpdap sono diminuiti del 35,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. E l’età media si è alzata di un anno tondo tondo, passando dai 60,3 ai 61,3.
LO SCALINO E LA FINESTRA
A determinare tale risultato non è stata la riforma previdenziale del governo Monti (che produrrà effetti solo a partire dal prossimo anno), ma due provvedimenti presi dai precedenti esecutivi: lo «scalino» del ministro di centrosinistra Damiano (il passaggio dai 59 ai 60 anni di età a fronte di almeno 36 anni di contributi per avere diritto all’assegno) e la «finestra mobile » del ministro di centrodestra Sacconi (l’attesa di 12 mesi per i dipendenti e di 18 mesi per gli autonomi una volta maturati i requisiti). Le due norme, messe assieme, hanno prodotto un crollo nel numero di assegni liquidati dall’Inps, pur tenendo conto anche di quelli «ereditati » dall’Inpdap: tra gennaio è settembre sono stati 199.555 contro i 309.468 dello stesso periodo 2011. L’Inps non ha calcolato gli effetti che la caduta può aver determinato sulla spesa (i calcoli si faranno nel bilancio annuale), ma precisa di aver liquidato 140.616 nel settore privato (meno 37,4 per cento) e 58.939 nel pubblico (meno 22,2 per cento). Il calo più consistente si è comunque registrato nelle pensioni di anzianità del privato (meno 44,1 per cento).
2013, ANNO DEL SORPASSO
Meno assegni, ma anche pensionati più anziani. L’età media dell’ingresso in pensione è passata a 61,3 anni, dodici mesi d’«invecchiamento» in un solo anno. Per Antonio Mastrapasqua, presidente dell’Inps questo è il preludio del sorpasso alla Germania. «Penso che l’anno prossimo la raggiungeremo e supereremo» ha detto. I tedeschi in media vanno in pensione a 61,7 anni ma il loro tasso di sostituzione è del 58,4 per cento dell’ultima retribuzione mentre per i lavoratori italiani, grazie agli effetti di quello che rimane del metodo retributivo, si aggira ancora sull’80 per cento (destinato a crollare nei prossimi anni). In Francia l’età media di uscita dal lavoro è 59,3 anni ma il tasso di sostituzione è del 60,8 per cento rispetto all’ultima retribuzione. Entro pochi anni, quando la riforma Fornero sarà attuata, «saremo il paese leader della Ue, il più virtuoso» commenta Mastrapasqua, convinto che il primato si possa raggiungere «entro il 2020». Di fatto, già dal prossimo anno, le donne del privato andranno in pensione a 62 anni e tre mesi, l’«escalation» per tutti continuerà nei prossimi anni.
A FAVORE E CONTRO
C’era bisogno di diventare i primi della classe? Secondo i sindacati no. «I conti sono in sicurezza » assicura Mastrapasqua, alimentando le polemiche di chi ritiene non necessaria la nuova riforma. «I dati dell’Inps dimostrano che il sistema previdenziale italiano era pienamente sostenibile prima dei provvedimenti Fornero che sono stati una gigantesca operazione di cassa fatta pagare ai lavoratori dipendenti e ai pensionati» commenta Domenico Proietti, segretario confederale Uil. Cesare Damiano, autore di una delle norme che hanno prodotto il crollo degli assegni certificato dall’Inps, chiede di pensare agli esodati. «Il governo riferisca in Parlamento sulla positiva situazione che si è creata e utilizzi quei risparmi per tutelare chi, in virtù dell’ultima riforma, è rimasto senza reddito ». Anche per Giuliano Cazzola, vicepresidente Pdl della Commissione Lavoro l’emergenza esodati va risolta. Ma «i nuovi dati – commenta – non autorizzano a ritenere inutile la riforma Fornero, che ha esteso il metodo contributivo e superato la piaga delle pensioni di anzianità ». E il sorpasso sulla Germania riguardo all’età? «Non vedo dove stia il problema: dobbiamo soltanto essere contenti se almeno in un campo siam più virtuosi dei tedeschi».
La Repubblica 22.10.12
******
“Troppe 6 ore in più di lavoro Il governo studia l’alternativa. La rivolta delle cattedre”, di FLAVIA AMABILE
E i professori fanno il «flash mob» Ieri mattina centinaia di docenti hanno dato vita ad un flash mob sulle scalinate del ministero dell’Istruzione, in viale Trastevere, a Roma. Senza simboli politici o di sindacati, i docenti si sono radunati con cartelli che hanno spiegato come le ore di lezione sono solo una parte del lavoro svolto. Non sono mancate le «carote di protesta» a ricordare la manifestazione della scorsa settimana degli studenti
In queste ore al ministero stanno studiando ipotesi alternative perché si è capito che l’aumento di sei ore delle lezioni in classe degli insegnanti è una misura poco difendibile sia politicamente che tecnicamente. Nelle scuole si sta preparando una rivolta di proporzioni finora mai viste, che coinvolge professori che finora non erano mai scesi in piazza e che hanno deciso di organizzarsi lontano da tessere di partito o di sindacati.
Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo aveva già mostrato i primi segnali di apertura la scorsa settimana affermando di essere «certo che il confronto parlamentare sarà all’altezza del difficile compito che ci spetta, con l’obiettivo comune di consegnare all’Italia una scuola migliore, più europea, per studenti ed insegnanti. Per questa ragione ogni suggerimento ed eventuale modifica all’interno dei vincoli di bilancio votati dallo stesso Parlamento, sarà il benvenuto».
Nessun accanimento contro i prof e la scuola, insomma. Si può intervenire anche su altro, l’importante è far quadrare i conti e si sta lavorando per riuscirci. D’altra parte i tempi stringono e la conferma è arrivata anche da Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, sottolineando la disponibilità del Miur a «rivedere, d’accordo con i gruppi parlamentari, la proposta contenuta nel ddl». Lo stesso promette il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi-Doria che scrive: «Troveremo una soluzione diversa per la legge di stabilità».
Saldi invariati: questa è la parola d’ordine, sottolinea anche il ministro Giarda. E per il Miur vuol dire capire come risparmiare 180 milioni di euro nel 2013, 173 milioni per il 2014, e 237 milioni per il 2015, molto meno di quello che si preparava a incassare il ministero dell’Economia con l’aumento delle ore di lezione dei prof e la cancellazione delle supplenze dei precari dalle scuole.
Dove trovare in alternativa i risparmi richiesti? Lo si capirà nei prossimi giorni. Nel frattempo il ministro Profumo auspica una maggiore flessibilità nel lavoro degli insegnanti, con prof che lavoreranno di meno ed altri che lavoreranno di più. Se ne discuterà il prossimo anno, forse in una Conferenza della scuola per avviare la trattativa del nuovo contratto.
In prospettiva, insomma, i professori dovranno lavorare 24 ore ma ci si arriverà in tempi molto più lunghi e con modalità meno rigide di quelle definite da una legge di stabilità. Si punta ad una riforma radicale dell’orario che non deve coincidere con l’attività didattica nelle classi ma andare a comprendere anche la programmazione didattica, i rapporti con le famiglie, il recupero delle carenze, la promozione delle eccellenze.
Ma i prof vogliono risposte subito e chiedono soprattutto che sia cancellato l’aumento di ore di lezione. E sono scesi sul piede di guerra. Sabato alcuni insegnanti hanno organizzato un’iniziativa di protesta spontanea andando a correggere i compiti davanti alla Camera dei Deputati. Ieri mattina si sono ritrovati davanti al Miur per un flashmob che ha bloccato il traffico per un’ora. Da oggi si continua con un dimezzamento dell’attività didattica in molti licei. Ci saranno insegnanti che interromperanno l’ordinaria attività didattica senza indicare una data per la ripresa: staranno in classe senza fare lezione, il che vuol dire uno stop alle interrogazioni, ai compiti in classe, gite scolastiche, attività pomeridiane.
La Stampa 22.10.12

"Qualche domanda al Pd sulla legge di stabilità", di Giovanni Belfiori

E’ vero che la legge di stabilità è già passata al vaglio delle commissioni parlamentari? Il Pd difende la scuola pubblica? Ma perché il Pd non fa cadere il governo? In queste ore ci arrivano decine di e-mail in merito alla norma, contenuta nella legge di stabilità, che allunga l’orario di lavoro degli insegnanti senza alcun corrispettivo e con nocumento per i tanti docenti precari. Abbiamo ripreso alcuni interrogativi contenuti nei molti messaggi, post, commenti, e abbiamo cercato di dare una risposta chiara, definitiva, univoca, affinché dalla politica e dal Pd arrivi una speranza forte a chi ha a cuore il sistema di istruzione nazionale.

E’ vero che la legge di stabilità è già passata al vaglio delle commissioni parlamentari?
In un articolo, sono stati pubblicati circa 180 commenti (il nostro partito è uno dei pochi nel cui sito è possibile commentare liberamente …)
Cerchiamo di fare chiarezza. Innanzi tutto la commissione Bilancio non ha ancora cominciato a discutere nel merito delle norme della legge di stabilità, per cui immaginare che non ci sia uno stralcio della norma sull’orario, è fantasia. La relazione sarà fatta mercoledì prossimo, e gli emendamenti -che sono lo strumento per poter arrivare allo stralcio- si presentano entro il 31 ottobre.
La norma sarà esaminata anche in Commissione Cultura e Istruzione e il Pd non voterà, come detto e ripetuto, ha già dichiarato che non voterà altri tagli sulla pelle degli insegnanti.

Il Pd difende la scuola pubblica?
Il PD difende e difenderà sempre la scuola pubblica. La nostra è una storia recentissima: siamo nati appena 4 anni fa, ma abbiamo fatto del sistema pubblico di istruzione uno degli assi portanti del nostro programma, perché nel dna di coloro che hanno fondato il PD, c’è questo. Lo abbiamo scritto almeno in una decina di articoli, pubblicati negli ultimi giorni in questo sito: questa legge di stabilità non la voteremo. Non la voteremo non per una difesa corporativa, non perché molti di noi sono insegnanti o perché abbiamo molti docenti in parlamento (come altre forze hanno molti avvocati…), ma perché pensiamo questa legge apra una ferita nella democrazia italiana, e metta a rischio, in particolare, il valore la forza e perfino la bellezza dell’articolo 3 della Costituzione.

Fatti, non parole
Le nostre “parole” sono le nostre ripetute dichiarazioni, i nostri “fatti” sono gli emendamenti per cambiare la norma e l’arma del voto che è l’arma della democrazia: senza ‘se’ e senza ‘ma’, diciamo NO a una norma pericolosa e ingiusta.

Ma perché il Pd non fa cadere il governo?
Vogliamo, come la stragrande maggioranza degli italiani responsabili, che si arrivi alla scadenza naturale del mandato, perché una crisi politica in questi giorni significherebbe precipitare nel baratro e questa volta senza uscita, non la Grecia ma l’Argentina, o peggio Weimar, senza più stipendi statali e senza più pensioni. Ma abbiamo anche detto che questo senso di responsabilità non può essere scambiato per un lasciapassare su tutto, e la responsabilità deve essere di tutti, a cominciare dal governo. Quindi a Monti e a Profumo abbiamo chiesto un ragionevole passo indietro. La scuola e gli insegnanti il loro ‘contributo di generosità’ lo hanno già dato. Ora tocca ad altri. In questo momento, siamo convinti che questo NO rappresenti il senso di responsabilità per il futuro del Paese.

www.partitodemocratico.it

"Qualche domanda al Pd sulla legge di stabilità", di Giovanni Belfiori

E’ vero che la legge di stabilità è già passata al vaglio delle commissioni parlamentari? Il Pd difende la scuola pubblica? Ma perché il Pd non fa cadere il governo? In queste ore ci arrivano decine di e-mail in merito alla norma, contenuta nella legge di stabilità, che allunga l’orario di lavoro degli insegnanti senza alcun corrispettivo e con nocumento per i tanti docenti precari. Abbiamo ripreso alcuni interrogativi contenuti nei molti messaggi, post, commenti, e abbiamo cercato di dare una risposta chiara, definitiva, univoca, affinché dalla politica e dal Pd arrivi una speranza forte a chi ha a cuore il sistema di istruzione nazionale.
E’ vero che la legge di stabilità è già passata al vaglio delle commissioni parlamentari?
In un articolo, sono stati pubblicati circa 180 commenti (il nostro partito è uno dei pochi nel cui sito è possibile commentare liberamente …)
Cerchiamo di fare chiarezza. Innanzi tutto la commissione Bilancio non ha ancora cominciato a discutere nel merito delle norme della legge di stabilità, per cui immaginare che non ci sia uno stralcio della norma sull’orario, è fantasia. La relazione sarà fatta mercoledì prossimo, e gli emendamenti -che sono lo strumento per poter arrivare allo stralcio- si presentano entro il 31 ottobre.
La norma sarà esaminata anche in Commissione Cultura e Istruzione e il Pd non voterà, come detto e ripetuto, ha già dichiarato che non voterà altri tagli sulla pelle degli insegnanti.
Il Pd difende la scuola pubblica?
Il PD difende e difenderà sempre la scuola pubblica. La nostra è una storia recentissima: siamo nati appena 4 anni fa, ma abbiamo fatto del sistema pubblico di istruzione uno degli assi portanti del nostro programma, perché nel dna di coloro che hanno fondato il PD, c’è questo. Lo abbiamo scritto almeno in una decina di articoli, pubblicati negli ultimi giorni in questo sito: questa legge di stabilità non la voteremo. Non la voteremo non per una difesa corporativa, non perché molti di noi sono insegnanti o perché abbiamo molti docenti in parlamento (come altre forze hanno molti avvocati…), ma perché pensiamo questa legge apra una ferita nella democrazia italiana, e metta a rischio, in particolare, il valore la forza e perfino la bellezza dell’articolo 3 della Costituzione.
Fatti, non parole
Le nostre “parole” sono le nostre ripetute dichiarazioni, i nostri “fatti” sono gli emendamenti per cambiare la norma e l’arma del voto che è l’arma della democrazia: senza ‘se’ e senza ‘ma’, diciamo NO a una norma pericolosa e ingiusta.
Ma perché il Pd non fa cadere il governo?
Vogliamo, come la stragrande maggioranza degli italiani responsabili, che si arrivi alla scadenza naturale del mandato, perché una crisi politica in questi giorni significherebbe precipitare nel baratro e questa volta senza uscita, non la Grecia ma l’Argentina, o peggio Weimar, senza più stipendi statali e senza più pensioni. Ma abbiamo anche detto che questo senso di responsabilità non può essere scambiato per un lasciapassare su tutto, e la responsabilità deve essere di tutti, a cominciare dal governo. Quindi a Monti e a Profumo abbiamo chiesto un ragionevole passo indietro. La scuola e gli insegnanti il loro ‘contributo di generosità’ lo hanno già dato. Ora tocca ad altri. In questo momento, siamo convinti che questo NO rappresenti il senso di responsabilità per il futuro del Paese.
www.partitodemocratico.it

"24 ore di didattica per gli insegnanti: una scelta da rivedere", di Mario Menegatti

Uno dei provvedimenti contenuti nella legge di stabilità, che è stata presentata dal governo al parlamento in questi giorni, prevede l’ aumento dell’orario di insegnamento per i docenti delle scuole medie e superiori da 18 a 24 ore settimanali. Il provvedimento è stato in buona parte trascurato dai media o, in altri casi, ne ha raccolto il plauso. Tale disinteresse o, ancor di più, tale approvazione evidenziano, purtroppo, una scarsa comprensione del significato e delle implicazioni dell’intervento, che risulta essere criticabile per diverse ragioni.
In primo luogo, l’intervento è criticabile perché si fonda su un presupposto falso. Le 18 ore di lavoro in aula rappresentano solo una parte del lavoro degli insegnanti, a cui si affiancano le ore relative connesse all’attività didattica (consigli di classe, scrutini, colloqui con i genitori, correzione e valutazione delle verifiche scritte) che sono proporzionali alle ore della didattica stessa. Ciò implica non solo che le ore effettivamente lavorate dagli insegnanti sono ben più di 18, ma anche che l’incremento di lavoro con il passaggio a 24 ore di lezione non sarà limitato alle sole 6 ore aggiuntive svolte in classe e comporterà un aggravio ben più significativo che accrescerà di un terzo tutte le attività svolte dai docenti.
L’intervento proposto, d’altra parte, appare discutibile anche con riferimento alle sue finalità. L’incremento delle ore di lavoro dei docenti a parità di salario viene, infatti, giustificato con la necessità di recuperare risorse (secondo alcune stime più di un miliardo di euro), che servirebbero solo in minima parte a ridurre la spesa pubblica e che sarebbero, invece, per la maggior parte reinvestite nella scuola per risolverne i problemi di funzionamento o le difficoltà connesse alle gravi mancanze dell’edilizia scolastica.
La logica appena descritta appare molto discutibile. Se la scuola ha in questo momento bisogno di investimenti, necessari per garantirne la sicurezza o, in alcuni casi, la stessa regolare prosecuzione dell’attività, i vantaggi che da essi deriverebbero ricadrebbero direttamente sugli studenti e indirettamente sull’intera società. Appare, quindi, evidente che gli investimenti nella scuola debbano essere a carico di tutti e non solo di alcuni lavoratori che hanno l’unica caratteristica peculiare di lavorare al suo interno.
Con riferimento, invece, alle risorse destinate alla riduzione della spesa, il cui valore si attesta per il 2013 a 182,9 milioni di euro, si può rilevare come la legge di stabilità preveda per il 2013 anche un intervento a favore delle scuole non statali per un valore pari a 223 milioni. Prescindendo dalle finalità di tale intervento, che sono certamente motivate, sembra evidente come, in una fase in cui si richiedono forti sacrifici, una decurtazione di questa voce rappresenti una fonte alternativa molto ragionevole per la riduzione della spesa pubblica da finanziare tramite il settore scolastico.
Le considerazioni precedenti sono già di per se stesse sufficienti a mostrare i forti limiti dell’intervento del governo. Ad esse, peraltro, se ne aggiunge un’ultima che appare fra tutte forse la più importante. Negli ultimi anni la scuola italiana ha visto ridurre in modo ingente le risorse ad essa dedicate, in alcuni casi mettendo in gravi difficoltà lo svolgimento stesso della didattica. L’ultima cosa di cui oggi la scuola ha bisogno è di demotivare la classe insegnante, già dequalificata da stipendi inadeguati, dicendole che la sua retribuzione oraria sarà ridotta di un terzo a partire dal prossimo anno. Probabilmente il miglior intervento per garantire che la scuola perda anche la sua ultima risorsa.

da www.nelmerito.com