Latest Posts

"Come votare alle primarie e alle urne d'aprile", di Eugenio Scalfari

La settimana che oggi si chiude è cominciata a Bruxelles, si è spostata a Roma tra Palazzo Chigi e il Senato, si chiude con le primarie del Partito democratico, precedute dal ritiro di Veltroni dalla carica parlamentare e da quello più “rabbioso” di D’Alema. Nel frattempo il berlusconismo continua a precipitare nel nulla, con gli ultimi sondaggi che danno il 5 per cento ad una lista guidata dal Silvio in versione Santanché. Enrico Mentana direbbe, come fa tutte le sere preannunciando i titoli del suo telegiornale, che c’è una mole di fatti drammaticamente interessanti, ma questa volta è proprio così.
Le conclusioni di Bruxelles penalizzano la Spagna: la Merkel ha dovuto accettare che la vigilanza della Bce su tutto il sistema bancario europeo abbia inizio alla fine del 2013 e sia compiuta nel 2014, ma ha sentenziato che nel frattempo non si estenderà alle banche spagnole. Ciò significa che il Tesoro spagnolo dovrà finanziare le proprie banche ormai prive di liquidità facendo aumentare il debito pubblico.
La domanda è questa: la Cancelliera tedesca esprime un’intenzione o ha il potere di trasformare l’intenzione in un precetto esecutivo? La risposta è no, per diventare esecutiva l’intenzione deve esser fatta propria dalla Commissione europea e questo finora non è avvenuto. L’Italia e la Francia non hanno alcun interesse a veder lievitare il debito di Madrid che è anche alla prese con le richieste di fondi dalla Catalogna e da altre regioni di quel paese. La questione è quindi aperta e Monti e Hollande dovranno impegnarsi al più presto su questo terreno.
* * *
Monti dal canto suo ha ricevuto una pagella sostanzialmente positiva dalla Commissione per quanto riguarda la sua legge di stabilità, ma la medesima pagella è stata invece accolta con molte riserve dai partiti che lo sostengono
in Parlamento.
Le critiche, specialmente del Pd, riguardano vari punti di notevole importanza: le detrazioni con un tetto troppo basso, l’aumento dell’1 per cento dell’Iva che annulla di fatto la diminuzione dell’Irpef, l’assenza di provvedimenti a favore dei redditi al di sotto degli ottomila euro. Il governo non si oppone a eventuali modifiche nel corso dell’iter parlamentare purché i saldi restino invariati. In questo caso la domanda riguarda le alternative di copertura: ci sono o non ci sono?
Le alternative ci sono: una maggiore incisività nella lotta contro l’evasione (anche la Commissione europea ci incita a procedere con più energia su questo punto); tagli più consistenti sulle spese correnti, sia quelle delle forze armate sia quella dei contributi alle imprese; il calo degli oneri sul debito pubblico che, a causa della discesa dello “spread”, sono diminuiti di oltre cinque miliardi secondo le ultime stime.
Le cifre complessive di questi interventi sono molto consistenti; il recupero dell’evasione potrebbe fornire dieci miliardi in più del previsto, dei cinque miliardi ricavabili dal calo degli interessi abbiamo già detto; lo sfoltimento dei contributi alle imprese e la riduzione di spesa delle forze armate possono fornire economie fino ad almeno 50 miliardi.
Naturalmente la tempistica richiede parecchi mesi, ma siamo ad un totale realistico attorno ai 70 miliardi. C’è dunque spazio sia per cancellare l’aumento dell’Iva, sia per dare sollievo ai redditi di povertà, sia infine per ridurre il cuneo fiscale attuando per questa via un incoraggiamento alla crescita in attesa che la riforma delle pensioni e le liberalizzazioni entrino a regime.
A rinforzare questa politica economica in sostegno dell’economia reale si tenga presente la previsione (ufficiale) d’una diminuzione del fabbisogno di 40 miliardi nel 2013, con ripercussioni sull’andamento del debito nonché la cessione di alcuni “asset” alla Cassa depositi e prestiti per rendere finalmente esecutivi i crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.
Cogliamo l’occasione di questo “panorama” per osservare che la diminuzione dello “spread” non è, come molti vorrebbero far credere, uno specchietto per allodole ma un fenomeno estremamente positivo per l’economia reale: riduce gli interessi sul debito pubblico e per conseguenza riduce anche l’interesse praticato dalle banche alla clientela e aumenta la propensione degli investitori esteri a sottoscrivere titoli e obbligazioni pubbliche sul mercato finanziario.
Ciampi a suo tempo stroncò la crisi finanziaria e valutaria che stava soffocando la nostra economia operando unicamente sull’altezza del tasso di interesse. Monti e Grilli stanno anch’essi procedendo su quel terreno che Ciampi aveva indicato. Le forze politiche che respingono come inefficace la cosiddetta
agenda Monti guardino più a fondo a questi risultati prima di emettere giudizi temerari.
***
Nell’agenda così “questionata” c’era anche la lotta alla corruzione. Il ministro della Giustizia si è impegnato e ne è uscita una legge che ha ottenuto il voto favorevole del Senato e ora sarà discussa alla Camera dove il percorso è più incerto.
La Severino ha spiegato in un’ampia intervista al nostro giornale il perché della sua soddisfazione per quella legge, ha riconosciuto la validità di alcune critiche ma ha spiegato che le lacune evidenti del provvedimento in discussione non sono errori ma lacune volute che troveranno posto in un altro disegno di legge.
Questo è il pensiero della Severino ma, con tutto il rispetto per le opinioni del ministro, noi la pensiamo diversamente come ha scritto ieri Ezio Mauro.
È comprensibile il rinvio ad altro provvedimento (purché sia presto redatto e presto trasmesso al Parlamento) del ripristino del reato di falso in bilancio e di riciclaggio, ma non altrettanto per la riduzione della pena, e della prescrizione nel reato di concussione per induzione, spacchettato da quello per costrizione che si verifica molto più raramente.
La realtà è che quella norma avrà l’effetto di salvare molti concussori e di estinguere molti processi. Se entrerà in vigore costituirà
anche un ostacolo alla sua successiva eventuale revisione avendo posto in essere un’attenuazione punitiva “pro reo” che sarà difficile capovolgere.
Almeno su questo punto, di estrema attualità, il governo dovrebbe emendare la legge o accettare eventuali emendamenti proposti dalle forze politiche più sensibili ai reati di cui si discute e sui quali c’è una profonda diversità tra i partiti dell’attuale maggioranza.
La neutralità del governo non può e non deve essere un limite alla sua azione su un terreno che investe in pieno non soltanto principi di moralità ma infligge anche pesanti danni all’economia e alla competitività dell’imprenditoria italiana.
Quest’ultima considerazione chiama in causa la produttività delle aziende, problema centrale della nostra crisi. Sembrava che le parti sociali stessero per raggiungere un accordo sul tema della contrattazione di secondo livello (aziendale) rispetto al contratto nazionale, ma poi tutto è saltato per iniziativa (corporativa e lobbistica) della Rete imprese e dell’Api e per l’opposizione della Cgil.
Il governo su questo punto è in regola: ha stanziato un miliardo e 600 milioni per detassare i salari se l’accordo ci sarà. Con tempi così grami opporsi all’accordo è un vero e proprio atto di autopunizione, sia da parte delle imprese sia del sindacato massimalista e populista in una fase storica che non consente errori così macroscopici.
Speriamo che le teste inutilmente calde si ravvedano, almeno
di fronte al concreto rischio di essere abbandonate dai loro stessi seguaci.
***
Qualche parola per concludere questa rassegna, sullo stato dei partiti.
Il Pdl di fatto non c’è più. Il suo fondatore e capo non sa e non pensa. Ci vuole uno strappo, ha detto Giuliano Ferrara in un’intervista al nostro giornale. Ma non si capisce chi debba farlo e con quali obiettivi. Mantenere la Polverini ancora in circolazione non è cosa tollerabile: il ministro dell’Interno sa bene che la norma di legge in proposito è chiara: con un Consiglio regionale sciolto le elezioni debbono essere celebrate entro novanta giorni. O lo fa la Polverini o lo fa un commissario nominato dal Prefetto o dallo stesso ministro dell’Interno. Perciò la Cancellieri deve muoversi; assistere passivamente allo sperpero continuo e illegittimo di denaro pubblico la renderebbe corresponsabile d’uno spettacolo vergognoso.
Formigoni, con tutte le nefandezze che ha sulle spalle, lo strappo l’ha fatto lui: vuole indire le elezioni da celebrarsi entro l’anno. Una volta tanto è uno strappo salutare. Il centrosinistra indichi un candidato adeguato. Si può. L’avvocato Ambrosoli sembra la persona giusta e non soltanto per l’onorato nome che porta.
Sulle primarie del Pd esprimo una mia personale opinione. Non voglio entrare nel dibattito su Renzi, ne ho già parlato altre volte e non aggiungo nulla al già detto. Ma una cosa sì, deve essere chiara perché non è un’opinione ma un fatto: chi ha messo concretamente in moto queste primarie democratiche, il cambiamento che ne deriva e la mobilitazione che si sta verificando attorno ad esse, è stato Pierluigi Bersani quando ha deciso di abolire l’articolo dello statuto del partito che prevedeva il segretario come unico candidato alle primarie di coalizione.
L’Assemblea del Pd ha approvato quasi all’unanimità che le primarie di coalizione fossero aperte a tutti. Bersani ha messo quindi in gioco se stesso con ripercussioni sia sui sondaggi che vedono il Pd in crescita, sia sugli altri partiti nessuno dei quali prevede le primarie.
La rottamazione fa parte d’un lessico più barbarico che democratico, ma ormai non è più quello il tema e lo stesso Renzi ha dovuto riconoscerlo.
Ora si discutono programmi, contenuti, visioni chiare del bene comune. Un partito di riformismo radicale come quello che Veltroni disegnò al Lingotto di cinque anni fa non può che privilegiare l’eguaglianza nella libertà e non la libertà senza l’eguaglianza. Non può ignorare i vincoli che abbiamo assunto con l’Unione europea e deve battersi per un’Europa federata con le relative cessioni di sovranità da parte di tutti gli Stati nazionali che ne sono membri.
Voteremo in aprile per la democrazia italiana ed europea e per lo stesso obiettivo gli elettori del Pd voteranno il 25 novembre alle primarie.
Il sermone è stato un po’ lungo, spero almeno che sia stato chiaro.

La Repubblica 21.10.12

"Come votare alle primarie e alle urne d'aprile", di Eugenio Scalfari

La settimana che oggi si chiude è cominciata a Bruxelles, si è spostata a Roma tra Palazzo Chigi e il Senato, si chiude con le primarie del Partito democratico, precedute dal ritiro di Veltroni dalla carica parlamentare e da quello più “rabbioso” di D’Alema. Nel frattempo il berlusconismo continua a precipitare nel nulla, con gli ultimi sondaggi che danno il 5 per cento ad una lista guidata dal Silvio in versione Santanché. Enrico Mentana direbbe, come fa tutte le sere preannunciando i titoli del suo telegiornale, che c’è una mole di fatti drammaticamente interessanti, ma questa volta è proprio così.
Le conclusioni di Bruxelles penalizzano la Spagna: la Merkel ha dovuto accettare che la vigilanza della Bce su tutto il sistema bancario europeo abbia inizio alla fine del 2013 e sia compiuta nel 2014, ma ha sentenziato che nel frattempo non si estenderà alle banche spagnole. Ciò significa che il Tesoro spagnolo dovrà finanziare le proprie banche ormai prive di liquidità facendo aumentare il debito pubblico.
La domanda è questa: la Cancelliera tedesca esprime un’intenzione o ha il potere di trasformare l’intenzione in un precetto esecutivo? La risposta è no, per diventare esecutiva l’intenzione deve esser fatta propria dalla Commissione europea e questo finora non è avvenuto. L’Italia e la Francia non hanno alcun interesse a veder lievitare il debito di Madrid che è anche alla prese con le richieste di fondi dalla Catalogna e da altre regioni di quel paese. La questione è quindi aperta e Monti e Hollande dovranno impegnarsi al più presto su questo terreno.
* * *
Monti dal canto suo ha ricevuto una pagella sostanzialmente positiva dalla Commissione per quanto riguarda la sua legge di stabilità, ma la medesima pagella è stata invece accolta con molte riserve dai partiti che lo sostengono
in Parlamento.
Le critiche, specialmente del Pd, riguardano vari punti di notevole importanza: le detrazioni con un tetto troppo basso, l’aumento dell’1 per cento dell’Iva che annulla di fatto la diminuzione dell’Irpef, l’assenza di provvedimenti a favore dei redditi al di sotto degli ottomila euro. Il governo non si oppone a eventuali modifiche nel corso dell’iter parlamentare purché i saldi restino invariati. In questo caso la domanda riguarda le alternative di copertura: ci sono o non ci sono?
Le alternative ci sono: una maggiore incisività nella lotta contro l’evasione (anche la Commissione europea ci incita a procedere con più energia su questo punto); tagli più consistenti sulle spese correnti, sia quelle delle forze armate sia quella dei contributi alle imprese; il calo degli oneri sul debito pubblico che, a causa della discesa dello “spread”, sono diminuiti di oltre cinque miliardi secondo le ultime stime.
Le cifre complessive di questi interventi sono molto consistenti; il recupero dell’evasione potrebbe fornire dieci miliardi in più del previsto, dei cinque miliardi ricavabili dal calo degli interessi abbiamo già detto; lo sfoltimento dei contributi alle imprese e la riduzione di spesa delle forze armate possono fornire economie fino ad almeno 50 miliardi.
Naturalmente la tempistica richiede parecchi mesi, ma siamo ad un totale realistico attorno ai 70 miliardi. C’è dunque spazio sia per cancellare l’aumento dell’Iva, sia per dare sollievo ai redditi di povertà, sia infine per ridurre il cuneo fiscale attuando per questa via un incoraggiamento alla crescita in attesa che la riforma delle pensioni e le liberalizzazioni entrino a regime.
A rinforzare questa politica economica in sostegno dell’economia reale si tenga presente la previsione (ufficiale) d’una diminuzione del fabbisogno di 40 miliardi nel 2013, con ripercussioni sull’andamento del debito nonché la cessione di alcuni “asset” alla Cassa depositi e prestiti per rendere finalmente esecutivi i crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.
Cogliamo l’occasione di questo “panorama” per osservare che la diminuzione dello “spread” non è, come molti vorrebbero far credere, uno specchietto per allodole ma un fenomeno estremamente positivo per l’economia reale: riduce gli interessi sul debito pubblico e per conseguenza riduce anche l’interesse praticato dalle banche alla clientela e aumenta la propensione degli investitori esteri a sottoscrivere titoli e obbligazioni pubbliche sul mercato finanziario.
Ciampi a suo tempo stroncò la crisi finanziaria e valutaria che stava soffocando la nostra economia operando unicamente sull’altezza del tasso di interesse. Monti e Grilli stanno anch’essi procedendo su quel terreno che Ciampi aveva indicato. Le forze politiche che respingono come inefficace la cosiddetta
agenda Monti guardino più a fondo a questi risultati prima di emettere giudizi temerari.
***
Nell’agenda così “questionata” c’era anche la lotta alla corruzione. Il ministro della Giustizia si è impegnato e ne è uscita una legge che ha ottenuto il voto favorevole del Senato e ora sarà discussa alla Camera dove il percorso è più incerto.
La Severino ha spiegato in un’ampia intervista al nostro giornale il perché della sua soddisfazione per quella legge, ha riconosciuto la validità di alcune critiche ma ha spiegato che le lacune evidenti del provvedimento in discussione non sono errori ma lacune volute che troveranno posto in un altro disegno di legge.
Questo è il pensiero della Severino ma, con tutto il rispetto per le opinioni del ministro, noi la pensiamo diversamente come ha scritto ieri Ezio Mauro.
È comprensibile il rinvio ad altro provvedimento (purché sia presto redatto e presto trasmesso al Parlamento) del ripristino del reato di falso in bilancio e di riciclaggio, ma non altrettanto per la riduzione della pena, e della prescrizione nel reato di concussione per induzione, spacchettato da quello per costrizione che si verifica molto più raramente.
La realtà è che quella norma avrà l’effetto di salvare molti concussori e di estinguere molti processi. Se entrerà in vigore costituirà
anche un ostacolo alla sua successiva eventuale revisione avendo posto in essere un’attenuazione punitiva “pro reo” che sarà difficile capovolgere.
Almeno su questo punto, di estrema attualità, il governo dovrebbe emendare la legge o accettare eventuali emendamenti proposti dalle forze politiche più sensibili ai reati di cui si discute e sui quali c’è una profonda diversità tra i partiti dell’attuale maggioranza.
La neutralità del governo non può e non deve essere un limite alla sua azione su un terreno che investe in pieno non soltanto principi di moralità ma infligge anche pesanti danni all’economia e alla competitività dell’imprenditoria italiana.
Quest’ultima considerazione chiama in causa la produttività delle aziende, problema centrale della nostra crisi. Sembrava che le parti sociali stessero per raggiungere un accordo sul tema della contrattazione di secondo livello (aziendale) rispetto al contratto nazionale, ma poi tutto è saltato per iniziativa (corporativa e lobbistica) della Rete imprese e dell’Api e per l’opposizione della Cgil.
Il governo su questo punto è in regola: ha stanziato un miliardo e 600 milioni per detassare i salari se l’accordo ci sarà. Con tempi così grami opporsi all’accordo è un vero e proprio atto di autopunizione, sia da parte delle imprese sia del sindacato massimalista e populista in una fase storica che non consente errori così macroscopici.
Speriamo che le teste inutilmente calde si ravvedano, almeno
di fronte al concreto rischio di essere abbandonate dai loro stessi seguaci.
***
Qualche parola per concludere questa rassegna, sullo stato dei partiti.
Il Pdl di fatto non c’è più. Il suo fondatore e capo non sa e non pensa. Ci vuole uno strappo, ha detto Giuliano Ferrara in un’intervista al nostro giornale. Ma non si capisce chi debba farlo e con quali obiettivi. Mantenere la Polverini ancora in circolazione non è cosa tollerabile: il ministro dell’Interno sa bene che la norma di legge in proposito è chiara: con un Consiglio regionale sciolto le elezioni debbono essere celebrate entro novanta giorni. O lo fa la Polverini o lo fa un commissario nominato dal Prefetto o dallo stesso ministro dell’Interno. Perciò la Cancellieri deve muoversi; assistere passivamente allo sperpero continuo e illegittimo di denaro pubblico la renderebbe corresponsabile d’uno spettacolo vergognoso.
Formigoni, con tutte le nefandezze che ha sulle spalle, lo strappo l’ha fatto lui: vuole indire le elezioni da celebrarsi entro l’anno. Una volta tanto è uno strappo salutare. Il centrosinistra indichi un candidato adeguato. Si può. L’avvocato Ambrosoli sembra la persona giusta e non soltanto per l’onorato nome che porta.
Sulle primarie del Pd esprimo una mia personale opinione. Non voglio entrare nel dibattito su Renzi, ne ho già parlato altre volte e non aggiungo nulla al già detto. Ma una cosa sì, deve essere chiara perché non è un’opinione ma un fatto: chi ha messo concretamente in moto queste primarie democratiche, il cambiamento che ne deriva e la mobilitazione che si sta verificando attorno ad esse, è stato Pierluigi Bersani quando ha deciso di abolire l’articolo dello statuto del partito che prevedeva il segretario come unico candidato alle primarie di coalizione.
L’Assemblea del Pd ha approvato quasi all’unanimità che le primarie di coalizione fossero aperte a tutti. Bersani ha messo quindi in gioco se stesso con ripercussioni sia sui sondaggi che vedono il Pd in crescita, sia sugli altri partiti nessuno dei quali prevede le primarie.
La rottamazione fa parte d’un lessico più barbarico che democratico, ma ormai non è più quello il tema e lo stesso Renzi ha dovuto riconoscerlo.
Ora si discutono programmi, contenuti, visioni chiare del bene comune. Un partito di riformismo radicale come quello che Veltroni disegnò al Lingotto di cinque anni fa non può che privilegiare l’eguaglianza nella libertà e non la libertà senza l’eguaglianza. Non può ignorare i vincoli che abbiamo assunto con l’Unione europea e deve battersi per un’Europa federata con le relative cessioni di sovranità da parte di tutti gli Stati nazionali che ne sono membri.
Voteremo in aprile per la democrazia italiana ed europea e per lo stesso obiettivo gli elettori del Pd voteranno il 25 novembre alle primarie.
Il sermone è stato un po’ lungo, spero almeno che sia stato chiaro.
La Repubblica 21.10.12

"Cultura e coraggio per fermare la violenza", di Alessandro D'Avenia

Conosco quel quartiere e quella via. Conosco la scuola di Carmela, uno dei licei classici migliori di Palermo, nel quale l’anno scorso ho incontrato gli studenti e chissà che non ci fosse anche lei, Carmela, con quel suo viso pulito, sereno, pieno di sogni, dilaniati e dissanguati dal fendente di chi, per spiegare l’accaduto, dice: «Ho perso la testa». Non avevo dubbi. Ma il punto è che quella testa non c’è mai stata. Non è stata persa. Piuttosto nessuno ti ha aiutato a entrarci dentro. La violenza è dentro ciascuno di noi e in questo non siamo diversi da Samuele. Tutto le volte che l’uomo non accetta di averla in se stesso, la esteriorizza, la proietta sugli altri. Così è sempre stato e sarà, da Caino e Abele a Samuele e Carmela. Come spiega il grande antropologo René Girard, la violenza e il capro espiatorio (la sua vittima) sono un meccanismo da cui l’uomo non può liberarsi da solo e, infatti, proprio per salvarsi dall’autodistruzione costruisce attorno alla violenza le regole del sacro (i comandamenti) e del profano (le leggi), per arginarne (non risolverne) il deflagrare. La vittima perfetta, oggi più che mai, è la donna, innalzata da photoshop a icona di perfezione irraggiungibile e quindi a oggetto da dominare. Nella storia, per tentare di liberarsi dalla violenza che ha dentro, l’uomo ha sempre cercato di distruggere il nemico inventato all’occorrenza come bersaglio, quando invece di proiettarla fuori, questa violenza dovrebbe riconoscerla dentro se stesso e guardarla con coraggio, per poterla sgretolare da dentro, grazie a quella pietas (il riconoscimento della dignità altrui e propria), sempre più debole nella nostra cultura.

Come recuperare la pietas, l’empatia per l’altro?

Purtroppo l’incapacità di dare senso alla propria vita porta inevitabilmente a cercarne la soluzione nel consenso. Il consenso dello sguardo altrui. L’altro viene investito di una carica di assoluto che si spera possa redimere e salvare la propria mancanza di identità: dal grande fratello con il suo occhio senza pietà, alle relazioni (di lavoro, d’amore…) senza pietà. Perdere il consenso dell’altro, significa perdere in qualche modo se stessi. Senza l’altro non si è più nessuno. Questo porta all’ossessione in cui lo stesso Samuele è precipitato, con sms e minacce, precedenti al suo raptus. La sorella di Carmela, Lucia, sua ex-ragazza per lui aveva una colpa senza remissione possibile: essersi portato via Samuele, non solo se stessa, interrompendo la loro relazione. Samuele, forse, si sentiva qualcuno solo grazie o a spese di quella ragazza, non voleva tornare nel nulla di prima. La beffa blasfema dell’amore, come l’ha definito perfettamente ieri su queste colonne Mariella Gramaglia, è il potere, il controllo, il dominio. L’amore dice «per me è bello che tu esista» e accetta anche di non essere ricambiato, magari. Il potere invece dice «è bello che tu esista solo per me» e con tutti i mezzi è pronto a nutrirsi dell’altro, pur di sopravvivere, senza alcuna pietà.

Ma perché arrivare alla follia della distruzione dell’oggetto amato o dell’autodistruzione di sé? Sono storie che assomigliano alle mantidi che decapitano il partner dopo l’accoppiamento o alle falene che trovano la morte nella luce che le attira. Non siamo falene né mantidi, abbiamo l’anima, ma assomigliano a mantidi e falene quando l’anima si svuota. Dove manca il senso da dare alla propria vita, si pretende che siano le cose e le persone a determinarlo, dall’esterno, generando dipendenze e schiavitù di ogni tipo, che spesso culminano in un’overdose che distrugge o chi dipende o ciò da cui si dipende, o entrambi. È la ferrea e drammatica logica degli amori che non liberano.

Samuele ha rovinato la vita di due famiglie e la sua. Il bilancio finale non sembra razionalizzabile, ma io testardamente ho bisogno di provare a trovarne uno, per arginare il dolore della morte di una ragazza che poteva essere una mia alunna, per non ripetere gli stessi errori. Chiunque, se è stato scaricato, vorrebbe costringere l’altro a tornare (e magari userebbe la violenza fisica o psicologica, tanto fa male, se non si vergognasse di averlo anche solo pensato): il «funerale» di una storia d’amore viene rimandato tanto più quanto più quella storia d’amore dava senso ad un’esistenza personale priva di autonomia ed equilibrio.

Dico sempre ai miei studenti di «mettersi» con se stessi, prima che con un ragazzo o una ragazza, altrimenti useranno l’altro per riempire i propri buchi e non per amarlo. Sono storie d’amore con il conto alla rovescia e spesso ad esserne vittime sono proprio le ragazze (più raramente i ragazzi), disposte a passare sopra uno strattone, uno schiaffo, una minaccia, pur di non perdere quell’amore che le protegge dalle loro debolezze, con le quali invece imparare a convivere anche da sole.

È una dinamica interna all’amore, quella di poter regredire a «potere», e da questa possibilità non ci libereremo mai, se non cresciamo in autonomia e in cultura. E non è facile per nessuno, a partire da chi scrive.

Vorrei dire, soprattutto ai ragazzi che leggono queste righe, che un solo episodio di violenza in una relazione è un avvertimento: peggiorerà. L’unica cosa da fare è trovare il coraggio per troncarla, subito. L’altro non sarà salvato, cambiato, dall’amore: è quasi sempre un’illusione. Chi ha compiuto una violenza una volta, lo farà di nuovo. Ho ricevuto il racconto di una ragazza che, dopo aver rischiato di morire per le percosse ricevute dal suo ragazzo, ha accettato la proposta di lui: sparisco dalla tua vita se non mi denunci. Lei per paura di subire altro male, ha detto di sì. Quel ragazzo ora è la fuori a ripetere il giochetto con la prossima vittima.

Samuele è un ragazzo come tanti. Per lo più un sacco vuoto, muscoli da mostrare su Facebook e poca anima, un vuoto riempito momentaneamente da una ragazza più piccola e matura di lui, che magari sperava di cambiarlo. Ma poi lo aveva lasciato.

Il nichilismo affama le vite di un senso impossibile da trovare, e le nutre di risentimento, da scatenare contro la vittima più debole. E in una cultura maschilista ed erotizzata come la nostra, la donna è la vittima sacrificale perfetta, per redimersi dal vuoto in cui galleggiamo. Forse possiamo stupirci se a Mr. Grey, il personaggio più amato nelle classifiche librarie nostrane, sia possibile dire tra gli applausi: «Devi sapere che appena varchi la mia soglia per essere la mia Sottomessa, io farò di te quello che voglio. Devi accettarlo e desiderarlo… Ti punirò quando mi ostacolerai. Ti addestrerò a compiacermi»?

La Stampa 21.10.12

"Cultura e coraggio per fermare la violenza", di Alessandro D'Avenia

Conosco quel quartiere e quella via. Conosco la scuola di Carmela, uno dei licei classici migliori di Palermo, nel quale l’anno scorso ho incontrato gli studenti e chissà che non ci fosse anche lei, Carmela, con quel suo viso pulito, sereno, pieno di sogni, dilaniati e dissanguati dal fendente di chi, per spiegare l’accaduto, dice: «Ho perso la testa». Non avevo dubbi. Ma il punto è che quella testa non c’è mai stata. Non è stata persa. Piuttosto nessuno ti ha aiutato a entrarci dentro. La violenza è dentro ciascuno di noi e in questo non siamo diversi da Samuele. Tutto le volte che l’uomo non accetta di averla in se stesso, la esteriorizza, la proietta sugli altri. Così è sempre stato e sarà, da Caino e Abele a Samuele e Carmela. Come spiega il grande antropologo René Girard, la violenza e il capro espiatorio (la sua vittima) sono un meccanismo da cui l’uomo non può liberarsi da solo e, infatti, proprio per salvarsi dall’autodistruzione costruisce attorno alla violenza le regole del sacro (i comandamenti) e del profano (le leggi), per arginarne (non risolverne) il deflagrare. La vittima perfetta, oggi più che mai, è la donna, innalzata da photoshop a icona di perfezione irraggiungibile e quindi a oggetto da dominare. Nella storia, per tentare di liberarsi dalla violenza che ha dentro, l’uomo ha sempre cercato di distruggere il nemico inventato all’occorrenza come bersaglio, quando invece di proiettarla fuori, questa violenza dovrebbe riconoscerla dentro se stesso e guardarla con coraggio, per poterla sgretolare da dentro, grazie a quella pietas (il riconoscimento della dignità altrui e propria), sempre più debole nella nostra cultura.
Come recuperare la pietas, l’empatia per l’altro?
Purtroppo l’incapacità di dare senso alla propria vita porta inevitabilmente a cercarne la soluzione nel consenso. Il consenso dello sguardo altrui. L’altro viene investito di una carica di assoluto che si spera possa redimere e salvare la propria mancanza di identità: dal grande fratello con il suo occhio senza pietà, alle relazioni (di lavoro, d’amore…) senza pietà. Perdere il consenso dell’altro, significa perdere in qualche modo se stessi. Senza l’altro non si è più nessuno. Questo porta all’ossessione in cui lo stesso Samuele è precipitato, con sms e minacce, precedenti al suo raptus. La sorella di Carmela, Lucia, sua ex-ragazza per lui aveva una colpa senza remissione possibile: essersi portato via Samuele, non solo se stessa, interrompendo la loro relazione. Samuele, forse, si sentiva qualcuno solo grazie o a spese di quella ragazza, non voleva tornare nel nulla di prima. La beffa blasfema dell’amore, come l’ha definito perfettamente ieri su queste colonne Mariella Gramaglia, è il potere, il controllo, il dominio. L’amore dice «per me è bello che tu esista» e accetta anche di non essere ricambiato, magari. Il potere invece dice «è bello che tu esista solo per me» e con tutti i mezzi è pronto a nutrirsi dell’altro, pur di sopravvivere, senza alcuna pietà.
Ma perché arrivare alla follia della distruzione dell’oggetto amato o dell’autodistruzione di sé? Sono storie che assomigliano alle mantidi che decapitano il partner dopo l’accoppiamento o alle falene che trovano la morte nella luce che le attira. Non siamo falene né mantidi, abbiamo l’anima, ma assomigliano a mantidi e falene quando l’anima si svuota. Dove manca il senso da dare alla propria vita, si pretende che siano le cose e le persone a determinarlo, dall’esterno, generando dipendenze e schiavitù di ogni tipo, che spesso culminano in un’overdose che distrugge o chi dipende o ciò da cui si dipende, o entrambi. È la ferrea e drammatica logica degli amori che non liberano.
Samuele ha rovinato la vita di due famiglie e la sua. Il bilancio finale non sembra razionalizzabile, ma io testardamente ho bisogno di provare a trovarne uno, per arginare il dolore della morte di una ragazza che poteva essere una mia alunna, per non ripetere gli stessi errori. Chiunque, se è stato scaricato, vorrebbe costringere l’altro a tornare (e magari userebbe la violenza fisica o psicologica, tanto fa male, se non si vergognasse di averlo anche solo pensato): il «funerale» di una storia d’amore viene rimandato tanto più quanto più quella storia d’amore dava senso ad un’esistenza personale priva di autonomia ed equilibrio.
Dico sempre ai miei studenti di «mettersi» con se stessi, prima che con un ragazzo o una ragazza, altrimenti useranno l’altro per riempire i propri buchi e non per amarlo. Sono storie d’amore con il conto alla rovescia e spesso ad esserne vittime sono proprio le ragazze (più raramente i ragazzi), disposte a passare sopra uno strattone, uno schiaffo, una minaccia, pur di non perdere quell’amore che le protegge dalle loro debolezze, con le quali invece imparare a convivere anche da sole.
È una dinamica interna all’amore, quella di poter regredire a «potere», e da questa possibilità non ci libereremo mai, se non cresciamo in autonomia e in cultura. E non è facile per nessuno, a partire da chi scrive.
Vorrei dire, soprattutto ai ragazzi che leggono queste righe, che un solo episodio di violenza in una relazione è un avvertimento: peggiorerà. L’unica cosa da fare è trovare il coraggio per troncarla, subito. L’altro non sarà salvato, cambiato, dall’amore: è quasi sempre un’illusione. Chi ha compiuto una violenza una volta, lo farà di nuovo. Ho ricevuto il racconto di una ragazza che, dopo aver rischiato di morire per le percosse ricevute dal suo ragazzo, ha accettato la proposta di lui: sparisco dalla tua vita se non mi denunci. Lei per paura di subire altro male, ha detto di sì. Quel ragazzo ora è la fuori a ripetere il giochetto con la prossima vittima.
Samuele è un ragazzo come tanti. Per lo più un sacco vuoto, muscoli da mostrare su Facebook e poca anima, un vuoto riempito momentaneamente da una ragazza più piccola e matura di lui, che magari sperava di cambiarlo. Ma poi lo aveva lasciato.
Il nichilismo affama le vite di un senso impossibile da trovare, e le nutre di risentimento, da scatenare contro la vittima più debole. E in una cultura maschilista ed erotizzata come la nostra, la donna è la vittima sacrificale perfetta, per redimersi dal vuoto in cui galleggiamo. Forse possiamo stupirci se a Mr. Grey, il personaggio più amato nelle classifiche librarie nostrane, sia possibile dire tra gli applausi: «Devi sapere che appena varchi la mia soglia per essere la mia Sottomessa, io farò di te quello che voglio. Devi accettarlo e desiderarlo… Ti punirò quando mi ostacolerai. Ti addestrerò a compiacermi»?
La Stampa 21.10.12

"Con quel ragazzo ucciso a Napoli è morta anche la democrazia", di Roberto Saviano

Mi chiedo che Paese siamo diventati. Che Paese è quello in cui un ragazzo va a salutare la propria fidanzata prima di una partita a calcetto, scende di casa e viene massacrato da una sventagliata di mitra. Che Paese è quello in cui i media considerano questa, tutto sommato, una notizia che può esser data in coda alle altre, e non la notizia principale, da dare per prima. Una delle tante. Quel ragazzo si chiamava Pasquale Romano: lo chiamavano Lino, ma nessuno ricorda già più il suo nome.
Come è stato possibile assuefarsi a tutto questo? Forse si pensa che se accade lì, in terre di clan, è “normale”? È così? La democrazia nel mezzogiorno italiano è morta il 15 ottobre 2012, insieme a Lino Romano, e insieme a lui è stata seppellita ieri, dopo i funerali. Ed è morta non solo perché Lino è caduto innocente, ma perché per urlare che si trattava dell’ennesimo ragazzo innocente ucciso a sangue freddo e senza motivo, si è aspettato di capire a che famiglia appartenesse, chi fossero i suoi parenti . Ma perché – mi domando – se avesse avuto un lontano parente affiliato o coinvolto in fatti di camorra, sarebbe stato forse meno innocente?
MA È così che vincono le mafie: facendo credere che nessuno è innocente. Il messaggio che i clan vogliono far passare è che tutto appartiene a loro in maniera diretta o indiretta. Tutti fanno parte della loro logica, nessuno può dirsi immacolato. Tutti hanno un parente, un concittadino, un vicino di casa,
tutti hanno fatto un lavoro per loro o hanno un amico che fa parte del Sistema. E allora magari nascere a Cardito, crescere a Secondigliano, andare a casa della propria fidanzata a Marianella, tutto sommato, diventa, nella coscienza nazionale, una sorta di colpa. Il retropensiero è: “Beh, però è normale che se vivi lì queste cose possano accadere”.
E invece non è così, non è naturale ed è un’aberrazione ragionare in questo modo. Lino Romano era una persona per bene.
Era un lavoratore e veniva da una famiglia per bene. La maggior parte delle persone che vivono in questi territori sono persone per bene. Per bene potrà sembrare un’espressione superficiale, fin troppo semplice, ma non lo è. Per bene significa che si tratta di persone che lavorano duramente, che vivono con disciplina e soprattutto che resistono in territori dove è molto facile poter cedere a corruzioni e illegalità. Quindi per bene, lavorare per il bene, è l’espressione più appropriata per queste famiglie che si credono normali, ma che in realtà hanno una singolare tempra.
Che Paese è quello che non ha sentito il bisogno di andare in massa alla fiaccolata per Lino Romano? E il governo, perché non è andato ai funerali? Avrebbe dato un segnale fondamentale. In questi territori manca giustizia, istruzione, ordine pubblico, lavoro, impresa, l’ambiente è a pezzi: tutti i ministri avrebbero trovato cose da dire e, soprattutto, avrebbero avuto
molto, moltissimo da ascoltare. Non si trattava di fare visita o di ricevere i genitori di Lino Romano, si trattava di essere lì presenti perché in quelle terre, dalla prima grande faida che ha fatto centinaia di morti, nulla è cambiato. Nelle piazze di spaccio si sparava otto anni fa, nelle stesse piazze di spaccio si torna a sparare ora. Clan Di Lauro contro “scissionisti” otto anni fa, “scissionisti” contro i “girati” alleati ai Di Lauro ora.
Quattro governi dalla prima faida a oggi e nessuno ha avviato alcun tipo di riflessione sul mercato delle droghe, sul narcotraffico, su come strapparlo ai cartelli criminali. Tutti si sono sottratti sino a ora anche ai dibattiti avviati in altri Paesi. L’Italia in questo è latitante. Al massimo c’è stata militarizzazione, che nulla ha risolto. Bisogna esserci, invece, su quel territorio che sembra totalmente abbandonato. La crisi sta regalando ai cartelli criminali l’intero mezzogiorno italiano e si affaccia sulla totalità del paese. E non si può demandare tutto solo al coraggio e alla creatività delle associazioni di volontari.
Ripeto: che Paese siamo diventati? Che Paese è un Paese che non riesce nemmeno più a esprimere indignazione collettiva? Qualche mese fa, giugno, era successo lo stesso. A Casoria, un barista pulisce la strada davanti al suo bar. C’è una sparatoria e un proiettile lo colpisce. L’intero paese scende in piazza per dire che Andrea Nollino era una brava persona, che non c’entrava nulla. Un intero paese di lavoratori, disoccupati, persone normali, persone umili scende in piazza. C’era “Libera”, l’associazione di Don Ciotti, ma non politici, nessuno che si assumesse la responsabilità di dire: “Mai più”. Così come c’era “Libera” a fianco della famiglia Romano.
Come per Andrea Nollino, ora per Lino Romano valgono le stesse considerazioni. Nulla di più forte contro la crisi, per arginarla, esiste che ridare fiducia a un territorio e a chi lo abita. Nulla di peggio può essere fatto in tempo di crisi che nutrire la sensazione, che diventa certezza, che tutto sia inutile o per dirla con Corrado Alvaro, che “vivere onestamente sia inutile”.
Mi sono trovato a scrivere queste parole molte volte. Quando hanno ucciso Attilio Romanò, quando hanno ucciso Dario Scherillo, quando hanno ucciso Andrea Nollino e adesso che hanno ucciso Lino Romano. Quei territori sono di nuovo in guerra, la faida è riesplosa e terribili possono essere le conseguenze. Flussi di coca,
eroina, hashish si stanno riassestando e diffondendo come sempre da Scampia, ma ce ne accorgeremo quando i morti cadranno a decine, come la prima volta. È facile in Italia essere profetici quando dici cose che sono sotto gli occhi di tutti ma che nessuno (o quasi) vuole vedere.
Dalla prima faida a oggi si sono inserite le associazioni di volontariato uniche a denunciare negli anni cosa stava ancora accadendo ma nulla di davvero nuovo è iniziato. Quindi che si inizi ad ascoltare chi in quelle zone ci lavora e ne conosce i problemi. Tutti, ma proprio tutti, parlano della necessità di ripartire dalla scuola; sarebbe importante capire cosa è stato realmente fatto, e con quali fondi. L’attuale sottosegretario all’istruzione Marco Rossi Doria è stato il fondatore della Onlus “Maestri di strada”, chi più di lui in questo momento può fare da ponte tra la periferie di Napoli e questo governo in tema di istruzione?
Ma soprattutto, com’è possibile che a distanza di otto anni dalla faida in alcun modo si sia affrontato il discorso sul proibizionismo in materia di droghe? Scampia è il più grande mercato a cielo aperto del mondo occidentale. Camorra e ’ndrangheta si spartiscono il bottino del narcotraffico divenendo interlocutrici dei più importanti cartelli sudamericani, ma nel corso di questi anni non è stato fatto nulla per affrontare il problema dello spaccio, sperando, cinicamente, che la pax tra cartelli continuasse. O pensando, ancora più cinicamente, davanti alle stragi: bene che si ammazzino tra loro. Pensieri banali e qualunquisti. La pax mafiosa li rende più forti. E anche la guerra li rende più forti: per ogni morto di mafia se ne affilieranno altrettanti. Uno Stato che offre solo repressione favorisce, ignorandone le cause, situazioni che portano, come in questo caso, alla morte di un innocente. L’omicidio di Lino Romano ha degli esecutori materiali che devono esse trovati, processati e se ritenuti colpevoli condannati; ma il responsabile occulto di questo omicidio è una tirannica indifferenza sul sud e sul potere criminale. Il sud è il problema principale della nostra democrazia ma è anche la grande occasione e risorsa del nostro paese. Gli uffici del Comune di Napoli dovrebbero essere spostati a Scampia. Le sedi attuali, eleganti, centrali, pompose, non rispecchiano più l’anima della città. Il cuore di Napoli ora è nelle sue periferie, è lì che la città pulsa e muore.
Anni fa uccisero un ragazzo innocente vicino Napoli. Portarono via il corpo, rimase il sangue a terra. Ricordo che un uomo, forse un prete, si inginocchiò dinanzi a quel sangue, mischiato alla segatura. Come a cercare di chiedere scusa a quella vita che voleva scorrere e che invece era stata costretta a seccarsi nei trucioli. Poi arrivò un’auto. Diede un colpo di clacson. L’uomo fu costretto ad alzarsi. L’auto parcheggiò lì, sul sangue. Tutto finito.

La Repubblica 21.10.12

"Con quel ragazzo ucciso a Napoli è morta anche la democrazia", di Roberto Saviano

Mi chiedo che Paese siamo diventati. Che Paese è quello in cui un ragazzo va a salutare la propria fidanzata prima di una partita a calcetto, scende di casa e viene massacrato da una sventagliata di mitra. Che Paese è quello in cui i media considerano questa, tutto sommato, una notizia che può esser data in coda alle altre, e non la notizia principale, da dare per prima. Una delle tante. Quel ragazzo si chiamava Pasquale Romano: lo chiamavano Lino, ma nessuno ricorda già più il suo nome.
Come è stato possibile assuefarsi a tutto questo? Forse si pensa che se accade lì, in terre di clan, è “normale”? È così? La democrazia nel mezzogiorno italiano è morta il 15 ottobre 2012, insieme a Lino Romano, e insieme a lui è stata seppellita ieri, dopo i funerali. Ed è morta non solo perché Lino è caduto innocente, ma perché per urlare che si trattava dell’ennesimo ragazzo innocente ucciso a sangue freddo e senza motivo, si è aspettato di capire a che famiglia appartenesse, chi fossero i suoi parenti . Ma perché – mi domando – se avesse avuto un lontano parente affiliato o coinvolto in fatti di camorra, sarebbe stato forse meno innocente?
MA È così che vincono le mafie: facendo credere che nessuno è innocente. Il messaggio che i clan vogliono far passare è che tutto appartiene a loro in maniera diretta o indiretta. Tutti fanno parte della loro logica, nessuno può dirsi immacolato. Tutti hanno un parente, un concittadino, un vicino di casa,
tutti hanno fatto un lavoro per loro o hanno un amico che fa parte del Sistema. E allora magari nascere a Cardito, crescere a Secondigliano, andare a casa della propria fidanzata a Marianella, tutto sommato, diventa, nella coscienza nazionale, una sorta di colpa. Il retropensiero è: “Beh, però è normale che se vivi lì queste cose possano accadere”.
E invece non è così, non è naturale ed è un’aberrazione ragionare in questo modo. Lino Romano era una persona per bene.
Era un lavoratore e veniva da una famiglia per bene. La maggior parte delle persone che vivono in questi territori sono persone per bene. Per bene potrà sembrare un’espressione superficiale, fin troppo semplice, ma non lo è. Per bene significa che si tratta di persone che lavorano duramente, che vivono con disciplina e soprattutto che resistono in territori dove è molto facile poter cedere a corruzioni e illegalità. Quindi per bene, lavorare per il bene, è l’espressione più appropriata per queste famiglie che si credono normali, ma che in realtà hanno una singolare tempra.
Che Paese è quello che non ha sentito il bisogno di andare in massa alla fiaccolata per Lino Romano? E il governo, perché non è andato ai funerali? Avrebbe dato un segnale fondamentale. In questi territori manca giustizia, istruzione, ordine pubblico, lavoro, impresa, l’ambiente è a pezzi: tutti i ministri avrebbero trovato cose da dire e, soprattutto, avrebbero avuto
molto, moltissimo da ascoltare. Non si trattava di fare visita o di ricevere i genitori di Lino Romano, si trattava di essere lì presenti perché in quelle terre, dalla prima grande faida che ha fatto centinaia di morti, nulla è cambiato. Nelle piazze di spaccio si sparava otto anni fa, nelle stesse piazze di spaccio si torna a sparare ora. Clan Di Lauro contro “scissionisti” otto anni fa, “scissionisti” contro i “girati” alleati ai Di Lauro ora.
Quattro governi dalla prima faida a oggi e nessuno ha avviato alcun tipo di riflessione sul mercato delle droghe, sul narcotraffico, su come strapparlo ai cartelli criminali. Tutti si sono sottratti sino a ora anche ai dibattiti avviati in altri Paesi. L’Italia in questo è latitante. Al massimo c’è stata militarizzazione, che nulla ha risolto. Bisogna esserci, invece, su quel territorio che sembra totalmente abbandonato. La crisi sta regalando ai cartelli criminali l’intero mezzogiorno italiano e si affaccia sulla totalità del paese. E non si può demandare tutto solo al coraggio e alla creatività delle associazioni di volontari.
Ripeto: che Paese siamo diventati? Che Paese è un Paese che non riesce nemmeno più a esprimere indignazione collettiva? Qualche mese fa, giugno, era successo lo stesso. A Casoria, un barista pulisce la strada davanti al suo bar. C’è una sparatoria e un proiettile lo colpisce. L’intero paese scende in piazza per dire che Andrea Nollino era una brava persona, che non c’entrava nulla. Un intero paese di lavoratori, disoccupati, persone normali, persone umili scende in piazza. C’era “Libera”, l’associazione di Don Ciotti, ma non politici, nessuno che si assumesse la responsabilità di dire: “Mai più”. Così come c’era “Libera” a fianco della famiglia Romano.
Come per Andrea Nollino, ora per Lino Romano valgono le stesse considerazioni. Nulla di più forte contro la crisi, per arginarla, esiste che ridare fiducia a un territorio e a chi lo abita. Nulla di peggio può essere fatto in tempo di crisi che nutrire la sensazione, che diventa certezza, che tutto sia inutile o per dirla con Corrado Alvaro, che “vivere onestamente sia inutile”.
Mi sono trovato a scrivere queste parole molte volte. Quando hanno ucciso Attilio Romanò, quando hanno ucciso Dario Scherillo, quando hanno ucciso Andrea Nollino e adesso che hanno ucciso Lino Romano. Quei territori sono di nuovo in guerra, la faida è riesplosa e terribili possono essere le conseguenze. Flussi di coca,
eroina, hashish si stanno riassestando e diffondendo come sempre da Scampia, ma ce ne accorgeremo quando i morti cadranno a decine, come la prima volta. È facile in Italia essere profetici quando dici cose che sono sotto gli occhi di tutti ma che nessuno (o quasi) vuole vedere.
Dalla prima faida a oggi si sono inserite le associazioni di volontariato uniche a denunciare negli anni cosa stava ancora accadendo ma nulla di davvero nuovo è iniziato. Quindi che si inizi ad ascoltare chi in quelle zone ci lavora e ne conosce i problemi. Tutti, ma proprio tutti, parlano della necessità di ripartire dalla scuola; sarebbe importante capire cosa è stato realmente fatto, e con quali fondi. L’attuale sottosegretario all’istruzione Marco Rossi Doria è stato il fondatore della Onlus “Maestri di strada”, chi più di lui in questo momento può fare da ponte tra la periferie di Napoli e questo governo in tema di istruzione?
Ma soprattutto, com’è possibile che a distanza di otto anni dalla faida in alcun modo si sia affrontato il discorso sul proibizionismo in materia di droghe? Scampia è il più grande mercato a cielo aperto del mondo occidentale. Camorra e ’ndrangheta si spartiscono il bottino del narcotraffico divenendo interlocutrici dei più importanti cartelli sudamericani, ma nel corso di questi anni non è stato fatto nulla per affrontare il problema dello spaccio, sperando, cinicamente, che la pax tra cartelli continuasse. O pensando, ancora più cinicamente, davanti alle stragi: bene che si ammazzino tra loro. Pensieri banali e qualunquisti. La pax mafiosa li rende più forti. E anche la guerra li rende più forti: per ogni morto di mafia se ne affilieranno altrettanti. Uno Stato che offre solo repressione favorisce, ignorandone le cause, situazioni che portano, come in questo caso, alla morte di un innocente. L’omicidio di Lino Romano ha degli esecutori materiali che devono esse trovati, processati e se ritenuti colpevoli condannati; ma il responsabile occulto di questo omicidio è una tirannica indifferenza sul sud e sul potere criminale. Il sud è il problema principale della nostra democrazia ma è anche la grande occasione e risorsa del nostro paese. Gli uffici del Comune di Napoli dovrebbero essere spostati a Scampia. Le sedi attuali, eleganti, centrali, pompose, non rispecchiano più l’anima della città. Il cuore di Napoli ora è nelle sue periferie, è lì che la città pulsa e muore.
Anni fa uccisero un ragazzo innocente vicino Napoli. Portarono via il corpo, rimase il sangue a terra. Ricordo che un uomo, forse un prete, si inginocchiò dinanzi a quel sangue, mischiato alla segatura. Come a cercare di chiedere scusa a quella vita che voleva scorrere e che invece era stata costretta a seccarsi nei trucioli. Poi arrivò un’auto. Diede un colpo di clacson. L’uomo fu costretto ad alzarsi. L’auto parcheggiò lì, sul sangue. Tutto finito.
La Repubblica 21.10.12

"Dagli Usa all'Italia una cosa di sinistra: Investire in ricerca", di Pietro Greco

Occorre ripartire dalla ricerca e dall’innovazione. Lo ha detto ieri Pier Luigi Bersani, inaugurando la sua campagna per le primarie ma anche la campagna elettorale della prossima primavera dal Cern di Ginevra, il centro europeo che è il tempio della fisica mondiale. Ma lo hanno anche ribadito 68 premi Nobel americani che ieri hanno pubblicato una lettera di sostegno alla rielezione del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Ci sono almeno due punti di contatto tra i due pronunciamenti avvenuti ai due lati opposti della’Atlantico. Il primo è squisitamente politico: a pronunciarli sono persone che non solo sono di area progressista e che riconoscono il valore strategico a ogni livello della scienza. Ma anche di persone che ravvisano nella destra attuale, in Italia come negli Stati Uniti, un’incapacità strutturale, a comprendere che gli investimenti pubblici nella ricerca hanno un valore strategico per l’intero Occidente. Il secondo elemento, strettamente collegato al primo, è di politica economica, oltre che culturale. Viviamo nell’era della conoscenza. E i Paesi occidentali non hanno altra opzione che investire nella produzione di conoscenza e nella innovazione tecnologica per risolvere i problemi interni ed essere competitivi a livello globale. I 68 premi Nobel che hanno sottoscritto l’appello a favore di Obama sanno che da almeno sessant’anni a questa parte l’85% della ricchezza prodotta negli Stati Uniti è il frutto della capacità di innovazione fondata sulla ricerca scientifica. In particolare sulla ricerca scientifica, di base e applicata, finanziata con fondi pubblici. Questo è il grande motore dell’economia americana. Il democratico Obama lo sa e per questo punta le sue carte sulla conoscenza. Il repubblicano Romney e tutta la destra americana a partire dagli anni di George W. Bush sembrano averlo dimenticato e per questo, sostengono i 68 premi Nobel, faranno la rovina degli Stati Uniti. Il discorso vale anche per l’Italia, sia pure con le dovute differenze. La destra italiana è infatti in perfetta sintonia con Willard Mitt Romney: basti ricordare quel significativo «con la conoscenza non si mangia» pronunciato da ministro che ha dettato la politica economica nel nostro Paese per quasi tutto il ventennio berlusconiano. Che il segretario del maggior partito del centrosinistra, che probabilmente (ce lo auguriamo) avrà in carico la guida del Paese dopo le prossime elezioni, indichi nella ricerca e nell’innovazione la leva per ripartire fa ben sperare. D’altra parte l’Italia, ma a ben vedere anche il resto dell’Europa, il Nord America e il Giappone, non hanno alternative se non «credere nella conoscenza» se vogliono evitare il declino economico e il processo di progressivo dumping sociale che è il risultato (non inatteso) delle politiche neoliberiste. Per alcuni motivi ben noti. I beni ad alto contenuto di conoscenza aggiunto (i beni hi-tech) sono quelli che negli ultimi decenni hanno avuto la crescita maggiore nel mondo. Le imprese che li producono sono quelle che remunerano meglio i loro addetti (e meglio rispettano i diritti del lavoro). Queste produzioni si realizzano nei paesi che investono di più in educazione e ricerca scientifica. Queste produzioni sono quelle che, sia pure in maniera non scontata, meglio consentono di sviluppare il welfare state. Non a caso i paesi del Nord Europa, dove massimi sono gli investimenti in educazione e ricerca, sono quelli che, da un lato, hanno affrontato meglio la crisi e la nuova globalizzazione dei mercati, e dall’altro hanno una migliore distribuzione della ricchezza e uno stato sociale più avanzato. Inoltre caratteristica niente affatto secondaria sono quelli in cui l’impatto ambientale delle attività industriali è minore. Per dare corpo alle parole di Bersani, il programma di governo del centro-sinistra dovrà contenere, dunque, maggiori investimenti in ricerca scientifica e maggiori investimenti nella scuola di ogni ordine e grado. Proponiamo qualche numero: passare dallo 0,6% all’1% del Pil nella spesa pubblica per la ricerca e dallo 0,9 ad almeno il 2% nella spesa pubblica per le università. Tenendo presente che oggi in Corea del Sud i giovani nella fascia d’età compresa tra 25 e 34 anni sono il 63% del totale; quelli dei Paesi Ocse il 40%, l’Italia non arriva al 20% e il trend è addirittura in diminuzione. L’ignoranza è una condizione che non possiamo più permetterci. Ma tutto questo deve essere accompagnato da un lucido e rapido programma di «nuova industrializzazione», ovvero di cambiamento della specializzazione produttiva del sistema Paese, passando dalla dominante produzione di beni a basso o media tecnologia a bene a una produzione dominante di beni e servizi ad alta tecnologia. Solo in questo modo potremo passare da una ventennale condizione di stagnazione /recessione a una nuova crescita. E solo così un governo di centrosinistra potrà qualificare la crescita, trasformandola in sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile.

L’Unità 20.10.12