attualità, politica italiana

"Come votare alle primarie e alle urne d'aprile", di Eugenio Scalfari

La settimana che oggi si chiude è cominciata a Bruxelles, si è spostata a Roma tra Palazzo Chigi e il Senato, si chiude con le primarie del Partito democratico, precedute dal ritiro di Veltroni dalla carica parlamentare e da quello più “rabbioso” di D’Alema. Nel frattempo il berlusconismo continua a precipitare nel nulla, con gli ultimi sondaggi che danno il 5 per cento ad una lista guidata dal Silvio in versione Santanché. Enrico Mentana direbbe, come fa tutte le sere preannunciando i titoli del suo telegiornale, che c’è una mole di fatti drammaticamente interessanti, ma questa volta è proprio così.
Le conclusioni di Bruxelles penalizzano la Spagna: la Merkel ha dovuto accettare che la vigilanza della Bce su tutto il sistema bancario europeo abbia inizio alla fine del 2013 e sia compiuta nel 2014, ma ha sentenziato che nel frattempo non si estenderà alle banche spagnole. Ciò significa che il Tesoro spagnolo dovrà finanziare le proprie banche ormai prive di liquidità facendo aumentare il debito pubblico.
La domanda è questa: la Cancelliera tedesca esprime un’intenzione o ha il potere di trasformare l’intenzione in un precetto esecutivo? La risposta è no, per diventare esecutiva l’intenzione deve esser fatta propria dalla Commissione europea e questo finora non è avvenuto. L’Italia e la Francia non hanno alcun interesse a veder lievitare il debito di Madrid che è anche alla prese con le richieste di fondi dalla Catalogna e da altre regioni di quel paese. La questione è quindi aperta e Monti e Hollande dovranno impegnarsi al più presto su questo terreno.
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Monti dal canto suo ha ricevuto una pagella sostanzialmente positiva dalla Commissione per quanto riguarda la sua legge di stabilità, ma la medesima pagella è stata invece accolta con molte riserve dai partiti che lo sostengono
in Parlamento.
Le critiche, specialmente del Pd, riguardano vari punti di notevole importanza: le detrazioni con un tetto troppo basso, l’aumento dell’1 per cento dell’Iva che annulla di fatto la diminuzione dell’Irpef, l’assenza di provvedimenti a favore dei redditi al di sotto degli ottomila euro. Il governo non si oppone a eventuali modifiche nel corso dell’iter parlamentare purché i saldi restino invariati. In questo caso la domanda riguarda le alternative di copertura: ci sono o non ci sono?
Le alternative ci sono: una maggiore incisività nella lotta contro l’evasione (anche la Commissione europea ci incita a procedere con più energia su questo punto); tagli più consistenti sulle spese correnti, sia quelle delle forze armate sia quella dei contributi alle imprese; il calo degli oneri sul debito pubblico che, a causa della discesa dello “spread”, sono diminuiti di oltre cinque miliardi secondo le ultime stime.
Le cifre complessive di questi interventi sono molto consistenti; il recupero dell’evasione potrebbe fornire dieci miliardi in più del previsto, dei cinque miliardi ricavabili dal calo degli interessi abbiamo già detto; lo sfoltimento dei contributi alle imprese e la riduzione di spesa delle forze armate possono fornire economie fino ad almeno 50 miliardi.
Naturalmente la tempistica richiede parecchi mesi, ma siamo ad un totale realistico attorno ai 70 miliardi. C’è dunque spazio sia per cancellare l’aumento dell’Iva, sia per dare sollievo ai redditi di povertà, sia infine per ridurre il cuneo fiscale attuando per questa via un incoraggiamento alla crescita in attesa che la riforma delle pensioni e le liberalizzazioni entrino a regime.
A rinforzare questa politica economica in sostegno dell’economia reale si tenga presente la previsione (ufficiale) d’una diminuzione del fabbisogno di 40 miliardi nel 2013, con ripercussioni sull’andamento del debito nonché la cessione di alcuni “asset” alla Cassa depositi e prestiti per rendere finalmente esecutivi i crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.
Cogliamo l’occasione di questo “panorama” per osservare che la diminuzione dello “spread” non è, come molti vorrebbero far credere, uno specchietto per allodole ma un fenomeno estremamente positivo per l’economia reale: riduce gli interessi sul debito pubblico e per conseguenza riduce anche l’interesse praticato dalle banche alla clientela e aumenta la propensione degli investitori esteri a sottoscrivere titoli e obbligazioni pubbliche sul mercato finanziario.
Ciampi a suo tempo stroncò la crisi finanziaria e valutaria che stava soffocando la nostra economia operando unicamente sull’altezza del tasso di interesse. Monti e Grilli stanno anch’essi procedendo su quel terreno che Ciampi aveva indicato. Le forze politiche che respingono come inefficace la cosiddetta
agenda Monti guardino più a fondo a questi risultati prima di emettere giudizi temerari.
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Nell’agenda così “questionata” c’era anche la lotta alla corruzione. Il ministro della Giustizia si è impegnato e ne è uscita una legge che ha ottenuto il voto favorevole del Senato e ora sarà discussa alla Camera dove il percorso è più incerto.
La Severino ha spiegato in un’ampia intervista al nostro giornale il perché della sua soddisfazione per quella legge, ha riconosciuto la validità di alcune critiche ma ha spiegato che le lacune evidenti del provvedimento in discussione non sono errori ma lacune volute che troveranno posto in un altro disegno di legge.
Questo è il pensiero della Severino ma, con tutto il rispetto per le opinioni del ministro, noi la pensiamo diversamente come ha scritto ieri Ezio Mauro.
È comprensibile il rinvio ad altro provvedimento (purché sia presto redatto e presto trasmesso al Parlamento) del ripristino del reato di falso in bilancio e di riciclaggio, ma non altrettanto per la riduzione della pena, e della prescrizione nel reato di concussione per induzione, spacchettato da quello per costrizione che si verifica molto più raramente.
La realtà è che quella norma avrà l’effetto di salvare molti concussori e di estinguere molti processi. Se entrerà in vigore costituirà
anche un ostacolo alla sua successiva eventuale revisione avendo posto in essere un’attenuazione punitiva “pro reo” che sarà difficile capovolgere.
Almeno su questo punto, di estrema attualità, il governo dovrebbe emendare la legge o accettare eventuali emendamenti proposti dalle forze politiche più sensibili ai reati di cui si discute e sui quali c’è una profonda diversità tra i partiti dell’attuale maggioranza.
La neutralità del governo non può e non deve essere un limite alla sua azione su un terreno che investe in pieno non soltanto principi di moralità ma infligge anche pesanti danni all’economia e alla competitività dell’imprenditoria italiana.
Quest’ultima considerazione chiama in causa la produttività delle aziende, problema centrale della nostra crisi. Sembrava che le parti sociali stessero per raggiungere un accordo sul tema della contrattazione di secondo livello (aziendale) rispetto al contratto nazionale, ma poi tutto è saltato per iniziativa (corporativa e lobbistica) della Rete imprese e dell’Api e per l’opposizione della Cgil.
Il governo su questo punto è in regola: ha stanziato un miliardo e 600 milioni per detassare i salari se l’accordo ci sarà. Con tempi così grami opporsi all’accordo è un vero e proprio atto di autopunizione, sia da parte delle imprese sia del sindacato massimalista e populista in una fase storica che non consente errori così macroscopici.
Speriamo che le teste inutilmente calde si ravvedano, almeno
di fronte al concreto rischio di essere abbandonate dai loro stessi seguaci.
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Qualche parola per concludere questa rassegna, sullo stato dei partiti.
Il Pdl di fatto non c’è più. Il suo fondatore e capo non sa e non pensa. Ci vuole uno strappo, ha detto Giuliano Ferrara in un’intervista al nostro giornale. Ma non si capisce chi debba farlo e con quali obiettivi. Mantenere la Polverini ancora in circolazione non è cosa tollerabile: il ministro dell’Interno sa bene che la norma di legge in proposito è chiara: con un Consiglio regionale sciolto le elezioni debbono essere celebrate entro novanta giorni. O lo fa la Polverini o lo fa un commissario nominato dal Prefetto o dallo stesso ministro dell’Interno. Perciò la Cancellieri deve muoversi; assistere passivamente allo sperpero continuo e illegittimo di denaro pubblico la renderebbe corresponsabile d’uno spettacolo vergognoso.
Formigoni, con tutte le nefandezze che ha sulle spalle, lo strappo l’ha fatto lui: vuole indire le elezioni da celebrarsi entro l’anno. Una volta tanto è uno strappo salutare. Il centrosinistra indichi un candidato adeguato. Si può. L’avvocato Ambrosoli sembra la persona giusta e non soltanto per l’onorato nome che porta.
Sulle primarie del Pd esprimo una mia personale opinione. Non voglio entrare nel dibattito su Renzi, ne ho già parlato altre volte e non aggiungo nulla al già detto. Ma una cosa sì, deve essere chiara perché non è un’opinione ma un fatto: chi ha messo concretamente in moto queste primarie democratiche, il cambiamento che ne deriva e la mobilitazione che si sta verificando attorno ad esse, è stato Pierluigi Bersani quando ha deciso di abolire l’articolo dello statuto del partito che prevedeva il segretario come unico candidato alle primarie di coalizione.
L’Assemblea del Pd ha approvato quasi all’unanimità che le primarie di coalizione fossero aperte a tutti. Bersani ha messo quindi in gioco se stesso con ripercussioni sia sui sondaggi che vedono il Pd in crescita, sia sugli altri partiti nessuno dei quali prevede le primarie.
La rottamazione fa parte d’un lessico più barbarico che democratico, ma ormai non è più quello il tema e lo stesso Renzi ha dovuto riconoscerlo.
Ora si discutono programmi, contenuti, visioni chiare del bene comune. Un partito di riformismo radicale come quello che Veltroni disegnò al Lingotto di cinque anni fa non può che privilegiare l’eguaglianza nella libertà e non la libertà senza l’eguaglianza. Non può ignorare i vincoli che abbiamo assunto con l’Unione europea e deve battersi per un’Europa federata con le relative cessioni di sovranità da parte di tutti gli Stati nazionali che ne sono membri.
Voteremo in aprile per la democrazia italiana ed europea e per lo stesso obiettivo gli elettori del Pd voteranno il 25 novembre alle primarie.
Il sermone è stato un po’ lungo, spero almeno che sia stato chiaro.
La Repubblica 21.10.12