La politica è come un morto che afferra il vivo dell’Italia, ha scritto Galli della Loggia («Corriere della Sera», 16 ottobre). Da vent’anni ci siamo allontanati dalla nostra storia, recente e anche lontana, vegetando in un presente che non ricorda e non progetta, privo di visione. Questa morte si materializza anche nel corpo del Paese, con frane e terremoti, monumenti che crollano e il volto della Patria — il paesaggio — sfigurato, mancando ogni argine al cemento (il ministro dell’Agricoltura ha proposto un’ottima legge al riguardo: è prevista una corsia preferenziale?).
Nei tagli sempre più orizzontali e pesanti l’articolo 9 della Costituzione mai vale per creare quell’eccezione culturale in cui consiste la natura storica della Penisola, epicentro di pensieri e di opere di valore universale per due millenni e mezzo. Questa nostra modernità è caduta prima nel vuoto di un’ignoranza elogiata e poi nel pieno, ma troppo esile, di uno specialismo autorevole ma privo di una prospettiva oltre l’economia. La causa sta forse in un’idea sbagliata di progresso.
Nelle scienze della natura le scoperte si elidono, per cui si superano a vicenda. Ma così non è nelle scienze storiche. Le domande di Platone e di Vico appaiono ormai insulse? Omero è stato superato dal cinema di Hollywood? La storia rivive in un presente che sappia fondere l’orizzonte tramontato con il proprio, in un dialogo ininterrotto, in cui l’oggi prepara il domani, pascendosi dei secoli trascorsi.
Abbiamo obliterato le tradizioni, nel pregiudizio per il quale ogni radice deve essere recisa per librarsi nella vita, e così siamo precipitati nel nulla attuale. La cultura è per noi come il gioco di animali e bambini: una funzione centrale dell’essere, che si interpone tra noi e la vita ordinaria, funzione di cui è rarissimo sentire parlare ai più alti livelli istituzionali e mediatici, dediti alla finanza. Per questa ragione avevo proposto con Galli della Loggia un museo sintetico della storia d’Italia: dobbiamo pur avere un punto da dove cominciare a rammendare l’abito mentale lacerato della nazione, nel senso di uno sviluppo produttivo ordinario intrecciato a uno sviluppo umano straordinario, fatto di istruzione, ricerca, cultura e produttività creativa. Ma per ritrovare chi siamo e cosa potremmo essere nel globo dobbiamo smettere di considerare unicamente il Pil, tornando alla politica nel più alto senso della parola. Se non risuscitiamo nell’anima i nostri grandi, antichi e moderni, moriremo a una vita piena anche noi.
Intanto di male in peggio per il ministero dei Beni culturali. Sono scomparsi i Comitati tecnico-scientifici, per risparmiare 10.000 euro di missioni. L’anno prossimo rischiamo di avere fondi ulteriormente dimezzati: solo 86 milioni realmente disponibili per mantenere il patrimonio di storia e d’arte della nazione (i tagli cadono per intero sui Beni culturali, per risparmiare lo spettacolo). Una trentina di dirigenti rischiano di scomparire (nonostante il rapporto 1 a 150), per cui le pratiche paesaggistiche non potranno essere più evase (con organico inadeguato il silenzio-assenso diventa pericolosissimo). Neppure sono in vista i vantaggi fiscali più volte richiesti. A questo punto la spesa rappresentata dal ministero appare inutile: tanto varrebbe eliminarlo. Lo smarrimento da questo punto di vista è completo.
Il Corriere della Sera 19.10.12
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"Gli interessi di Berlino", di Andrea Bonanni
«Ma Francia e Germania hanno una responsabilità comune nei confronti dell’Europa. E quando l’Europa non va avanti, inevitabilmente va indietro». Il presidente francese Francois Hollande attribuisce l’ennesimo colpo di freno che la Cancelliera sta cercando di dare sull’Unione bancaria a motivi di politica interna tedesca. Ha ragione, ma solo in parte. Questa volta, infatti, a spiegare l’improvviso dietro-front della Bundeskanzlerin non è il timore di concedere vantaggi elettorali all’opposizione socialdemocratica, ma la paura di perdere il sostegno non solo dei suoi alleati liberali e cristiano-sociali, ma del suo stesso partito, la Cdu.
Era stata proprio la Merkel, al vertice di giugno, ad annunciare trionfalmente che il compito della sorveglianza unica europea sarebbe stato affidato alla Bce di Mario Draghi. Ad innescare la marcia indietro è stato il suo potente ministro delle Finanze, Wolfang Schauble. In Germania la supervisione bancaria non è affidata alla banca centrale, come in Italia, ma ad una Authority indipendente, che è nominata, guarda caso, proprio dal Finanzminister. Ad essa fa capo la sorveglianza sulla nebulosa delle casse di risparmio e delle banche regionali da cui dipende il funzionamento della piccola e media impresa tedesca, trave portante del consenso politico della Cdu.
Per salvare l’euro, e per aiutare la Spagna a ricapitalizzare le banche senza addossarsi decine di miliardi di debito in più, la Merkel dovrebbe dunque mettere in gioco uno dei pilastri su cui si basa la macchina politica del partito che dirige. Alla fine, probabilmente, sarà costretta a farlo. Ma le sue esitazioni, e il travaglio profondo che una simile decisione comporta, dimostrano che la crisi dell’euro genera un conflitto di interessi tra politica nazionale e priorità europee che non riguarda solo i Paesi «deboli ». Se in Italia, Spagna o Grecia i
governi sono chiamati a scelte impopolari, anche in Germania o in Francia sono costretti a rimettere in discussione dogmi finora considerati intoccabili.
Non è un caso che ieri la Cancelliera abbia rilanciato il gioco mettendo sul tavolo l’idea di un superministro dell’economia dotato di potere di veto sui bilanci nazionali. Per la Germania questo sarebbe un passo in più verso l’unione di bilancio che metterebbe i contribuenti tedeschi al riparo dagli sprechi delle «cicale» del Sud. Ma per il presidente francese si tratta di un attacco al cuore stesso della sovranità nazionale, che è un assioma indiscusso della politica d’Oltralpe.
Nell’eterno ping-pong franco tedesco che da mezzo secolo regge l’Europa, la Merkel ha messo a segno un colpo che va dritto al cuore dell’interlocutore, come l’Unione bancaria va dritto al cuore di Berlino. «Non è ancora il momento di riaprire i trattati», si è difeso ieri Hollande, che evidentemente non ha dimenticato la lezione terribile della bocciatura francese al referendum sulla Costituzione europea. Ma ormai è solo una questione di tempo: prima o poi, anche la Francia sarà chiamata a rivedere le certezze che per tanti decenni hanno frenato la costruzione europea.
Da sempre Francia e Germania sono il motore dell’Europa non perché vadano d’accordo, ma perché hanno visioni e interessi divergenti la cui sintesi costituisce naturalmente il punto di compromesso dell’integrazione. La crisi finanziaria non fa eccezione. Se ha costretto l’Italia a rimettere in discussione la politica come elemento frenante dell’economia, sta costringendo la Germania a mettere in discussione l’economia come principio legittimante dello Stato. E costringerà la Francia a rimettere in discussione lo Stato nazionale come principio legittimante della politica. Non sono processi brevi, ma alla fine il cerchio si dovrà chiudere per il bene di tutti gli europei.
La Repubblica 19.10.12
"Gli interessi di Berlino", di Andrea Bonanni
«Ma Francia e Germania hanno una responsabilità comune nei confronti dell’Europa. E quando l’Europa non va avanti, inevitabilmente va indietro». Il presidente francese Francois Hollande attribuisce l’ennesimo colpo di freno che la Cancelliera sta cercando di dare sull’Unione bancaria a motivi di politica interna tedesca. Ha ragione, ma solo in parte. Questa volta, infatti, a spiegare l’improvviso dietro-front della Bundeskanzlerin non è il timore di concedere vantaggi elettorali all’opposizione socialdemocratica, ma la paura di perdere il sostegno non solo dei suoi alleati liberali e cristiano-sociali, ma del suo stesso partito, la Cdu.
Era stata proprio la Merkel, al vertice di giugno, ad annunciare trionfalmente che il compito della sorveglianza unica europea sarebbe stato affidato alla Bce di Mario Draghi. Ad innescare la marcia indietro è stato il suo potente ministro delle Finanze, Wolfang Schauble. In Germania la supervisione bancaria non è affidata alla banca centrale, come in Italia, ma ad una Authority indipendente, che è nominata, guarda caso, proprio dal Finanzminister. Ad essa fa capo la sorveglianza sulla nebulosa delle casse di risparmio e delle banche regionali da cui dipende il funzionamento della piccola e media impresa tedesca, trave portante del consenso politico della Cdu.
Per salvare l’euro, e per aiutare la Spagna a ricapitalizzare le banche senza addossarsi decine di miliardi di debito in più, la Merkel dovrebbe dunque mettere in gioco uno dei pilastri su cui si basa la macchina politica del partito che dirige. Alla fine, probabilmente, sarà costretta a farlo. Ma le sue esitazioni, e il travaglio profondo che una simile decisione comporta, dimostrano che la crisi dell’euro genera un conflitto di interessi tra politica nazionale e priorità europee che non riguarda solo i Paesi «deboli ». Se in Italia, Spagna o Grecia i
governi sono chiamati a scelte impopolari, anche in Germania o in Francia sono costretti a rimettere in discussione dogmi finora considerati intoccabili.
Non è un caso che ieri la Cancelliera abbia rilanciato il gioco mettendo sul tavolo l’idea di un superministro dell’economia dotato di potere di veto sui bilanci nazionali. Per la Germania questo sarebbe un passo in più verso l’unione di bilancio che metterebbe i contribuenti tedeschi al riparo dagli sprechi delle «cicale» del Sud. Ma per il presidente francese si tratta di un attacco al cuore stesso della sovranità nazionale, che è un assioma indiscusso della politica d’Oltralpe.
Nell’eterno ping-pong franco tedesco che da mezzo secolo regge l’Europa, la Merkel ha messo a segno un colpo che va dritto al cuore dell’interlocutore, come l’Unione bancaria va dritto al cuore di Berlino. «Non è ancora il momento di riaprire i trattati», si è difeso ieri Hollande, che evidentemente non ha dimenticato la lezione terribile della bocciatura francese al referendum sulla Costituzione europea. Ma ormai è solo una questione di tempo: prima o poi, anche la Francia sarà chiamata a rivedere le certezze che per tanti decenni hanno frenato la costruzione europea.
Da sempre Francia e Germania sono il motore dell’Europa non perché vadano d’accordo, ma perché hanno visioni e interessi divergenti la cui sintesi costituisce naturalmente il punto di compromesso dell’integrazione. La crisi finanziaria non fa eccezione. Se ha costretto l’Italia a rimettere in discussione la politica come elemento frenante dell’economia, sta costringendo la Germania a mettere in discussione l’economia come principio legittimante dello Stato. E costringerà la Francia a rimettere in discussione lo Stato nazionale come principio legittimante della politica. Non sono processi brevi, ma alla fine il cerchio si dovrà chiudere per il bene di tutti gli europei.
La Repubblica 19.10.12
«Ora approvare subito il falso in bilancio», di Claudia Fusani
Orlando, come definirebbe la legge anticorruzione?
«Un piccolo passo avanti lungo la strada che deve portare alla costruzione degli strumenti per prevenire e colpire la corruzione. Un passo che ci avvicina ai paesi più evoluti, ci rende più competitivi e risponde ad alcune indicazioni delle convenzioni internazionali».
In sostanza una piccola legge?
«Piccola è un concetto sbagliato. Direi che è utile anche se incompleta».
E cosa le dà la certezza che questo sia “il primo pezzo”?
«L’impegno del ministro Paola Severino a mettere in agenda la reintroduzione del reato di falso in bilancio. Il Guardasigilli si è impegnata in questo senso, un testo – presentato dall’Idv e sottoscritto dal Pd – è già incardinato in Commissione Giustizia alla Camera e abbiamo il tempo per farlo in questa legisla- tura. L’obiettivo del Pd è anche quello del ministro: lavorare da subito per portarlo in aula».
Ottimista?
«Il ministro ha dato la sua parola. E finora non abbiamo avuto motivo di dubitarne»
Non si poteva spingere fin da subito per questo reato? Come si fa a combattere la corruzione se non si combatte la provvista, il nero, per pagare tangenti e altre utilità?
«A noi è molto chiara l’importanza di un reato come il falso in bilancio.Infatti abbiamo presentato emendamenti in tal senso. Ma serve e realismo. E il realismo impone di ricordare che questo è il Parlamento dove Pdl e Lega se vogliono hanno ancora la maggioranza e possono bloccare tutto. Come hanno fatto con questa legge il cui cammino è iniziato nel 2010».
L’ex ministro alla Giustizia Angelino Alfano rivendica a sè la legge contro la corruzione.
«Il testo di cui parla Alfano non prevedeva nulla circa la repressione dei reati. Era solo una simpatica novena di buoni comportamenti per i pubblici funzionari. Posso dirlo?»
Prego
«Era una favola inutile, velleitario. Non c’erano le pene, le punizioni. Mancava un pezzo importante. Che è stato introdotto non appena il ministro Severino, anche su nostra indicazione, ha messo mano al testo».
Introdurre reati nuovi, come ha fatto Se- verino, senza mettere mano alla disciplina delle prescrizioni non è altrettanto velleitario?
«Sarebbe stata la prima cosa da fare. Ma non era possibile. Non ci possiamo scordare che questo Parlamento è quello che ha sancito, con tanto di voto in aula, che Ruby era la nipote di Muba- rak. E con gli stessi rapporti di forze che nel 2005 approvarono la Cirielli che ha dimezzato i tempi della prescrizione».
Girano voci di possibili modifiche alla Camera quando il testo arriverà per l’approvazione definitiva.
«Impossibile. L’anticorruzione deve essere approvato subito. È urgente che il governo eserciti la delega per la non candidabilità dei corrotti condannati in via definitiva. È fondamentale che sia pronta per le prossime urne, siano essere le regionali in Lazio e Lombardia o l’election day in aprile».
Anche l’incandidabilità rischia di essere un miraggio: saranno esclusi dalle liste solo i condannati dai 2 anni in su. Ma quasi il 90% dei processi per i reati contro la pubblica amministrazione hanno condanne sotto i due anni.
«Ancora una volta diciamo: intanto cominciamo da qui. L’ottimo è nemico del bene. Finora non esistono divieti. Il parametro, l’unità di misura per valutare questa legge, deve essere quanti passi in avanti consente di fare. E i passi avanti sono tanti».
A sentire le dichiarazioni di voto al Senato mercoledì veniva da sorridere. Tutti i gruppi hanno dichiarato che il testo è insufficiente.
«Oggi molti sono saliti sul palco per elencare i pezzi mancanti. Li divido in due gruppi. Quelli che lo hanno fatto in buona fede e che però mi sembrano marziani perchè dimenticano che questo Parlamento può ancora avere la stessa maggioranza Lega-Pdl che ha votato le leggi ad personam».
E il secondo gruppo?
«Sono quelli in cattiva fede che nelle ultime settimane hanno tentato, e ancora lo faranno, il gioco “aggiungiamo un pezzo” con l’unico intento di far saltare tutto».
Ad esempio chi ha cercato all’ultimo di introdurre il Commissario Anti-corruzio- ne?
«Non faccio nomi. I conigli dal cilindro sono stati molti, ad esempio per evitare il divieto per i giudici di seguire gli arbitrati».
Gli agguati contro la norma sulle toghe fuori ruolo non sono stati un bello spettacolo.
«Ancora una volta, e lo dico all’amico Giachetti, abbiamo fatto un passo verso la normalità. Prima di questo c’era il nulla».
L’Unità 19.10.12
"Un Governo "prudente" non fa mai il passo più lungo della gamba" di Mario Piemontese
Il 16 ottobre il Governo ha presentato alla Camera il testo del disegno di legge di stabilità 2013 ( C. 5534 ). Il testo è accompagnato come al solito dalla relazione tecnica. La parte che riguarda la scuola si trova a partire da pagina 147. In particolare ci occuperemo di quanto si legge a proposito del comma 42 dell’articolo 3 del disegno di legge. Ecco come il Governo intende utilizzare i docenti della scuola secondaria nelle 6 ore settimanali da aggiungere alle attuali 18 senza prevedere naturalmente nessun compenso, altrimenti non ci sarebbe nessun risparmio.
Spezzoni orario coperti con ore eccedenti strutturali
Si tratta degli spezzoni fino a 6 ore che i dirigenti scolastici assegnano ai docenti già in servizio nella scuola oppure in subordine a docenti precari utilizzando le graduatorie di istituto.
Nella relazione si legge quanto segue:
“All’incremento di sei ore settimanali dell’orario di servizio consegue naturalmente l’azzeramento delle ore eccedenti l’orario d’obbligo affidate al personale docente nominato sui posti dell’organico di diritto. Infatti le ore eccedenti sono assegnate dal dirigente scolastico a personale che si rende disponibile già in servizio nella medesima istituzione scolastica in cui il relativo spezzone deve essere coperto. Il personale in questione sarà d’ora in poi obbligato alla copertura dello spezzone senza ricevere più una remunerazione aggiuntiva per questo .” .
Questa prima operazione produrrà un risparmio di circa 120 milioni di euro per anno scolastico. Non viene fatta nessuna previsione di riduzione di posti perché si ipotizza che tali spezzoni siano abitualmente assegnati esclusivamente a docenti già in servizio nella medesima istituzione scolastica.
Spezzoni orario coperti con supplenze sino al termine delle attività didattiche
Gli spezzoni orario costituiti con un numero di ore superiore a 6, rapportati a cattedre intere, attualmente equivalgono a 7.365 posti per la secondaria di primo grado e 13.397 posti per la secondaria di secondo grado. Tali spezzoni sono assegnati esclusivamente a docenti precari.
Nella relazione si legge quanto segue:
“La norma comporterà naturalmente la possibilità di coprire detti spezzoni con le ore aggiunte all’orario di insegnamento con conseguente riduzione del fabbisogno di supplenti sino al termine delle attività didattiche .” .
Questa seconda operazione produrrà la riduzione di 3.404 posti nella secondaria di primo grado e di 5.865 posti nella secondaria di secondo grado, con un risparmio per anno scolastico di 98 milioni di euro per il primo grado e 168 milioni per il secondo. Complessivamente 9.269 posti in meno con un risparmio per anno scolastico di 266 milioni di euro .
Docenti di sostegno
I docenti di sostegno della secondaria passeranno da 18 a 24 ore settimanali, sempre a parità di retribuzione.
Nella relazione tecnica si legge che i docenti di sostegno sono nell’anno scolastico 2012/2013 26.642 per la secondaria di primo grado e 19.211 per la secondaria di secondo grado, e che “Le circostanze sopra elencate fanno si che la riduzione nel fabbisogno possa essere pari a 6/24mi dell’organico di fatto attuale nella scuola secondaria.” .
Questa terza operazione produrrà la riduzione di 6.660 posti nella secondaria di primo grado e di 4.802 posti nella secondaria di secondo grado, con un risparmio per anno scolastico di 191 milioni di euro per il primo grado e 138 milioni per il secondo. Complessivamente 11.462 posti in meno con un risparmio per anno scolastico di 329 milioni di euro .
In tutto quindi 20.731 posti in meno e un risparmio per anno scolastico di 715 milioni di euro.
Gli effetti sono sottostimati, infatti nella relazione tecnica si legge:
“…. si è scelto a fini prudenziali di non addurre effetti positivi sui saldi di finanza pubblica all’utilizzo delle ore aggiuntive di insegnamento per la copertura delle supplenze brevi e saltuarie, sebbene alla norma conseguirà certamente una riduzione del relativo fabbisogno. Tali effetti potranno essere verificati a consuntivo.
Sempre ai fini di un prudente conteggio delle riduzioni di spesa attese, per escludere il rischio di conteggiare due volte il venir meno della necessità di coprire un medesimo spezzone orario di sostegno con supplenti, si è scelto nel seguito di non attribuire riduzione di spesa in capo alla norma ove prevede che le ore aggiuntive dei docenti non di sostegno possano essere utilizzate per coprire spezzoni di sostegno. Infatti gli stessi spezzoni possono essere coperti con le ore aggiuntive dei docenti di sostegno. Ciò comporta una ulteriore prudente sottostima dei risparmi attesi” .
Un Governo “prudente” non fa mai il passo più lungo della gamba.
da Rete Scuola 19.10.12
"Un Governo "prudente" non fa mai il passo più lungo della gamba" di Mario Piemontese
Il 16 ottobre il Governo ha presentato alla Camera il testo del disegno di legge di stabilità 2013 ( C. 5534 ). Il testo è accompagnato come al solito dalla relazione tecnica. La parte che riguarda la scuola si trova a partire da pagina 147. In particolare ci occuperemo di quanto si legge a proposito del comma 42 dell’articolo 3 del disegno di legge. Ecco come il Governo intende utilizzare i docenti della scuola secondaria nelle 6 ore settimanali da aggiungere alle attuali 18 senza prevedere naturalmente nessun compenso, altrimenti non ci sarebbe nessun risparmio.
Spezzoni orario coperti con ore eccedenti strutturali
Si tratta degli spezzoni fino a 6 ore che i dirigenti scolastici assegnano ai docenti già in servizio nella scuola oppure in subordine a docenti precari utilizzando le graduatorie di istituto.
Nella relazione si legge quanto segue:
“All’incremento di sei ore settimanali dell’orario di servizio consegue naturalmente l’azzeramento delle ore eccedenti l’orario d’obbligo affidate al personale docente nominato sui posti dell’organico di diritto. Infatti le ore eccedenti sono assegnate dal dirigente scolastico a personale che si rende disponibile già in servizio nella medesima istituzione scolastica in cui il relativo spezzone deve essere coperto. Il personale in questione sarà d’ora in poi obbligato alla copertura dello spezzone senza ricevere più una remunerazione aggiuntiva per questo .” .
Questa prima operazione produrrà un risparmio di circa 120 milioni di euro per anno scolastico. Non viene fatta nessuna previsione di riduzione di posti perché si ipotizza che tali spezzoni siano abitualmente assegnati esclusivamente a docenti già in servizio nella medesima istituzione scolastica.
Spezzoni orario coperti con supplenze sino al termine delle attività didattiche
Gli spezzoni orario costituiti con un numero di ore superiore a 6, rapportati a cattedre intere, attualmente equivalgono a 7.365 posti per la secondaria di primo grado e 13.397 posti per la secondaria di secondo grado. Tali spezzoni sono assegnati esclusivamente a docenti precari.
Nella relazione si legge quanto segue:
“La norma comporterà naturalmente la possibilità di coprire detti spezzoni con le ore aggiunte all’orario di insegnamento con conseguente riduzione del fabbisogno di supplenti sino al termine delle attività didattiche .” .
Questa seconda operazione produrrà la riduzione di 3.404 posti nella secondaria di primo grado e di 5.865 posti nella secondaria di secondo grado, con un risparmio per anno scolastico di 98 milioni di euro per il primo grado e 168 milioni per il secondo. Complessivamente 9.269 posti in meno con un risparmio per anno scolastico di 266 milioni di euro .
Docenti di sostegno
I docenti di sostegno della secondaria passeranno da 18 a 24 ore settimanali, sempre a parità di retribuzione.
Nella relazione tecnica si legge che i docenti di sostegno sono nell’anno scolastico 2012/2013 26.642 per la secondaria di primo grado e 19.211 per la secondaria di secondo grado, e che “Le circostanze sopra elencate fanno si che la riduzione nel fabbisogno possa essere pari a 6/24mi dell’organico di fatto attuale nella scuola secondaria.” .
Questa terza operazione produrrà la riduzione di 6.660 posti nella secondaria di primo grado e di 4.802 posti nella secondaria di secondo grado, con un risparmio per anno scolastico di 191 milioni di euro per il primo grado e 138 milioni per il secondo. Complessivamente 11.462 posti in meno con un risparmio per anno scolastico di 329 milioni di euro .
In tutto quindi 20.731 posti in meno e un risparmio per anno scolastico di 715 milioni di euro.
Gli effetti sono sottostimati, infatti nella relazione tecnica si legge:
“…. si è scelto a fini prudenziali di non addurre effetti positivi sui saldi di finanza pubblica all’utilizzo delle ore aggiuntive di insegnamento per la copertura delle supplenze brevi e saltuarie, sebbene alla norma conseguirà certamente una riduzione del relativo fabbisogno. Tali effetti potranno essere verificati a consuntivo.
Sempre ai fini di un prudente conteggio delle riduzioni di spesa attese, per escludere il rischio di conteggiare due volte il venir meno della necessità di coprire un medesimo spezzone orario di sostegno con supplenti, si è scelto nel seguito di non attribuire riduzione di spesa in capo alla norma ove prevede che le ore aggiuntive dei docenti non di sostegno possano essere utilizzate per coprire spezzoni di sostegno. Infatti gli stessi spezzoni possono essere coperti con le ore aggiuntive dei docenti di sostegno. Ciò comporta una ulteriore prudente sottostima dei risparmi attesi” .
Un Governo “prudente” non fa mai il passo più lungo della gamba.
da Rete Scuola 19.10.12
"Bersani: ora la sfida su lavoro e crisi", di Simone Collini
«Chiudiamo qua la questione e occupiamoci dei problemi dell’Italia». Pier Luigi Bersani è soddisfatto per come si è conclusa la discussione sulle ricandida ture dei big del Pd, e in particolare di Massimo D’Alema. Dopo le parole del presidente del Copasir, il segretario democratico è convinto che Matteo Renzi non potrà più continuare a fare la campagna per le primarie insistendo come ha fatto finora sul tasto della «rottamazione» (quello di D’Alema è per Bersani «un gesto generoso e rigoroso»: «Come ho sempre detto non c’è bisogno di essere parlamentari per essere protagonisti»).
E in effetti ieri lo stesso sindaco di Firenze ha fatto sapere che per quel che lo riguarda «la fase uno della rottamazione è finita» e da parte sua «non ci sarà più mezza parola su questo argomento, adesso che il presidente D’Alema ha deciso di non ricandidarsi per le prossime elezioni in Parlamento». Al di là del fatto che il presidente del Copasir ha detto che non si ripresenterà se sarà Bersani a vincere le primarie, quel che è certo è che dopo le uscite di Walter Veltroni e di D’Alema, Renzi dovrà rivedere la sua strategia mettendo in secondo piano il tema delle ricandidature.
PARTENZA DA GINEVRA
È ciò a cui puntava Bersani, che ora vuole un confronto con il sindaco di Firenze sui temi della crisi economica, del lavoro, della produttività. Oggi il leader del Pd, dopo la «prepartenza» da Bettola («dovevo prima dire chi sono, da dove vengo») sarà al Cern di Ginevra. Il laboratorio di fisica delle particelle è stato scelto come partenza della campagna per le primarie perché è un luogo dell’eccellenza italiana (sono molti i nostri ricercatori che lavorano lì), mentre nelle prossime settimane ci saranno tappe riservate ai luoghi dell’emergenza, e in fatti in agenda c’è L’Aquila, città simbolo della necessità di ricostruire.
Ma Bersani sta anche lavorando per accreditarsi presso le cancellerie dell’Unione europea, per spiegare che il centrosinistra è l’unica coalizione che può garantire il rispetto degli impegni europei. Giovedì vedrà all’Eliseo François Hollande, per riprendere il filo di un discorso avviato la scorsa primavera: il leader del Pd a marzo era infatti volato a Parigi per siglare insieme al segretario della Spd tedesca Sigmar Gabriel il «manifesto dei progressisti europei» e sostenere la candidatura di Hollande per la corsa all’Eliseo contro Nicolas Sarkozy.
L’incontro di giovedì prossimo servirà a Bersani per alzare il livello della discussione, spiegando che non è questione di «agenda Monti» o «agenda Bersani» ma di «un’agenda per l’Italia e per l’Europa» che chiuda con l’austerità fine a se stessa e indichi la strada per la crescita, come unica soluzione in grado di far superare la crisi. Argomenti di cui il leader del Pd discuterà anche con i socialisti francesi, riuniti a congresso a Tolosa dal 26 al 28, e con il segretario della Spd Gabriel, che verrà a Roma martedì. A questo punto, per Bersani, il confronto in vista delle primarie del 25 novembre deve concentrarsi sui temi che interessano agli italiani ben più delle candidature per il Parlamento o il livello di continuità con l’agenda dell’attuale esecutivo. Dice da Palermo, dov’è andato per la campagna elettorale delle regionali siciliane: «Ogni giorno mi misurano il tasso di montismo. Ma io dico che la situazione è esplosiva, difficile, in tutto il Paese. Occorre comprendere che dobbiamo concentrarci sulla leva di fondo che si chiama lavoro. Il cambiamento che rivendichiamo va in questo senso, attrezzare meglio le istituzioni e la politica per affrontare la questione so- ciale. A fronte di questi problemi le riforme devono essere più incisive, la scossa deve essere più profonda, il cambiamento più forte». Su questi temi Bersani vuole confrontarsi con gli altri candidati delle primarie. E se dal fronte pro-Renzi si continua a contestare le regole decise per la sfida ai gazebo (il regolamento lo sta mettendo a punto il collegio dei garanti, che sta ancora discutendo su chi possa votare al secondo turno), il leader del Pd invita tutti a smetterla con questa po- lemica. «Basta vittimismo. Me ne sono inventate tutte per aprire la consultazio- ne delle primarie. Qui nessuno fa trucchetti. Qui si parla del Paese e della ditta, che per me è il Pd. Basta con queste critiche. Mi stupisce questo attacco alle regole senza comprenderne la portata. Chi frequenta la direzione, per chi la frequenta, lo comprende».
L’Unità 19.10.12
E non ci vuole molto per capire che il riferimento è a chi (leggi Renzi) ha diser- tato le riunioni in cui si decideva e poi si votava una deroga allo Statuto che ha permesso a tutti gli iscritti al Pd di candi- darsi alle primarie.