«Chiudiamo qua la questione e occupiamoci dei problemi dell’Italia». Pier Luigi Bersani è soddisfatto per come si è conclusa la discussione sulle ricandida ture dei big del Pd, e in particolare di Massimo D’Alema. Dopo le parole del presidente del Copasir, il segretario democratico è convinto che Matteo Renzi non potrà più continuare a fare la campagna per le primarie insistendo come ha fatto finora sul tasto della «rottamazione» (quello di D’Alema è per Bersani «un gesto generoso e rigoroso»: «Come ho sempre detto non c’è bisogno di essere parlamentari per essere protagonisti»).
E in effetti ieri lo stesso sindaco di Firenze ha fatto sapere che per quel che lo riguarda «la fase uno della rottamazione è finita» e da parte sua «non ci sarà più mezza parola su questo argomento, adesso che il presidente D’Alema ha deciso di non ricandidarsi per le prossime elezioni in Parlamento». Al di là del fatto che il presidente del Copasir ha detto che non si ripresenterà se sarà Bersani a vincere le primarie, quel che è certo è che dopo le uscite di Walter Veltroni e di D’Alema, Renzi dovrà rivedere la sua strategia mettendo in secondo piano il tema delle ricandidature.
PARTENZA DA GINEVRA
È ciò a cui puntava Bersani, che ora vuole un confronto con il sindaco di Firenze sui temi della crisi economica, del lavoro, della produttività. Oggi il leader del Pd, dopo la «prepartenza» da Bettola («dovevo prima dire chi sono, da dove vengo») sarà al Cern di Ginevra. Il laboratorio di fisica delle particelle è stato scelto come partenza della campagna per le primarie perché è un luogo dell’eccellenza italiana (sono molti i nostri ricercatori che lavorano lì), mentre nelle prossime settimane ci saranno tappe riservate ai luoghi dell’emergenza, e in fatti in agenda c’è L’Aquila, città simbolo della necessità di ricostruire.
Ma Bersani sta anche lavorando per accreditarsi presso le cancellerie dell’Unione europea, per spiegare che il centrosinistra è l’unica coalizione che può garantire il rispetto degli impegni europei. Giovedì vedrà all’Eliseo François Hollande, per riprendere il filo di un discorso avviato la scorsa primavera: il leader del Pd a marzo era infatti volato a Parigi per siglare insieme al segretario della Spd tedesca Sigmar Gabriel il «manifesto dei progressisti europei» e sostenere la candidatura di Hollande per la corsa all’Eliseo contro Nicolas Sarkozy.
L’incontro di giovedì prossimo servirà a Bersani per alzare il livello della discussione, spiegando che non è questione di «agenda Monti» o «agenda Bersani» ma di «un’agenda per l’Italia e per l’Europa» che chiuda con l’austerità fine a se stessa e indichi la strada per la crescita, come unica soluzione in grado di far superare la crisi. Argomenti di cui il leader del Pd discuterà anche con i socialisti francesi, riuniti a congresso a Tolosa dal 26 al 28, e con il segretario della Spd Gabriel, che verrà a Roma martedì. A questo punto, per Bersani, il confronto in vista delle primarie del 25 novembre deve concentrarsi sui temi che interessano agli italiani ben più delle candidature per il Parlamento o il livello di continuità con l’agenda dell’attuale esecutivo. Dice da Palermo, dov’è andato per la campagna elettorale delle regionali siciliane: «Ogni giorno mi misurano il tasso di montismo. Ma io dico che la situazione è esplosiva, difficile, in tutto il Paese. Occorre comprendere che dobbiamo concentrarci sulla leva di fondo che si chiama lavoro. Il cambiamento che rivendichiamo va in questo senso, attrezzare meglio le istituzioni e la politica per affrontare la questione so- ciale. A fronte di questi problemi le riforme devono essere più incisive, la scossa deve essere più profonda, il cambiamento più forte». Su questi temi Bersani vuole confrontarsi con gli altri candidati delle primarie. E se dal fronte pro-Renzi si continua a contestare le regole decise per la sfida ai gazebo (il regolamento lo sta mettendo a punto il collegio dei garanti, che sta ancora discutendo su chi possa votare al secondo turno), il leader del Pd invita tutti a smetterla con questa po- lemica. «Basta vittimismo. Me ne sono inventate tutte per aprire la consultazio- ne delle primarie. Qui nessuno fa trucchetti. Qui si parla del Paese e della ditta, che per me è il Pd. Basta con queste critiche. Mi stupisce questo attacco alle regole senza comprenderne la portata. Chi frequenta la direzione, per chi la frequenta, lo comprende».
L’Unità 19.10.12
E non ci vuole molto per capire che il riferimento è a chi (leggi Renzi) ha diser- tato le riunioni in cui si decideva e poi si votava una deroga allo Statuto che ha permesso a tutti gli iscritti al Pd di candi- darsi alle primarie.
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"Corruzione i passi mancanti", di Vladimiro Zagrebelsky
Il testo di norme anticorruzione, per far approvare il quale il governo ha dovuto porre la questione di fiducia in Senato e così superare incredibili resistenze, ha subito incontrato forti critiche. Insufficiente ed anche controproducente, si è detto, con qualche buona ragione. E’ il versante penale di quel testo che giustifica le critiche. Il fatto del pubblico ufficiale che abusa dei propri poteri o qualità per indurre altri a dare o promettere denaro o altra utilità, non sarà più punito come concussione con la pena massima di dodici anni, ma con quella minore di otto anni di reclusione.
La pena massima non ha in generale grande importanza nelle sentenze di condanna, essendo estremamente raro che i giudici fissino la pena sul massimo. Ma conta invece per stabilire i termini di prescrizione, che, per effetto della diminuzione della pena, si riducono da quindici a dieci anni. Nel sistema italiano, che già ha lunghi tempi processuali, la prescrizione del reato comincia a correre dal momento in cui questo è commesso (e non da quando se ne ha notizia e iniziano le indagini) e questo tipo di reati resta solitamente a lungo sommerso e viene a galla occasionalmente, nel corso di altre indagini, a distanza di tempo. Si comprende quindi la gravità dell’abbreviazione dei termini di prescrizione, che favorisce il loro maturare prima che si esauriscano tutti i gradi del giudizio. Non solo, ma le leggi più favorevoli agli imputati si applicano immediatamente anche ai fatti precedenti, con il risultato che gravi processi in corso finiranno nel nulla. Dalle convenzioni internazionali cui l’Italia è legata, pare ricavarsi che, come per la corruzione, occorra punire anche chi, indotto ma non costretto, paga il pubblico ufficiale concussore. E ciò è stato previsto dalla nuova norma.
Ma tutti gli organismi internazionali chiedono insistentemente all’Italia di punire «efficacemente» corruzione e concussione e deplorano l’alta percentuale di prescrizioni, che rendono nulla la repressione di questi crimini. Rispetto a quest’obbligo che ci deriva dagli impegni internazionali (ma non dovrebbe essere necessario il richiamo esterno!), la riforma peggiora il problema. E l’esito che produrrà sui processi in corso giustificherà polemiche velenose. Per il futuro è possibile che la nuova norma spinga verso qualche distorsione applicativa e che per non punire il privato concusso (e così indurlo a collaborare e non coprire il concussore) si tenda a vedere una «costrizione» in quella che invece potrebbe essere solo una robusta «induzione» e contestare quindi il più grave reato di concussione per costrizione. La riforma ora introdotta sarebbe senza effetto, ma lascerebbe il danno di discussioni senza fine e forse un problema in più nelle mani dei giudici.
Quanto alle varie ipotesi di corruzione, le pene massime sono state aumentate, cosicché d’ora innanzi per tutte sarà ammesso l’essenziale mezzo d’indagine rappresentato dalle intercettazioni. Alla pena massima, infatti, è legata anche la possibilità o il divieto di ricorrere alle intercettazioni. Ma non si è provveduto a reintrodurre un’efficace repressione penale del falso in bilancio. Il falso in bilancio consente di creare le disponibilità di denaro «in nero», necessarie per corrompere. Le indagini e l’efficace repressione della corruzione passano quindi anche per quelle del falso in bilancio.
Infine l’introduzione nel sistema penale italiano del reato di «traffico di influenze illecite» non sembra poter contrastare efficacemente un fenomeno deleterio. Si tratta del fatto di chi sfrutta le sue relazioni con il pubblico ufficiale per fungere da intermediario in relazione ad atti che questi deve compiere nei confronti di altri. Ma per la punizione è stato richiesto che il mediatore si faccia pagare o promettere qualche vantaggio patrimoniale. Che debba trattarsi di vantaggio patrimoniale costituisce un limite molto forte, poiché esclude il semplice scambio di favori, magari non contemporanei e non previsti, esclude l’essere «a disposizione». Esclude la raccomandazione. Ed è condizione non richiesta dalla Convenzione penale contro la corruzione del 1999 che l’Italia ha finalmente ratificato nel giugno scorso e che parla semplicemente di «vantaggio indebito». Si può capire che il Parlamento fosse preoccupato di far della raccomandazione e della intermediazione un reato. Quanta parte dell’attività di «cura del collegio elettorale» si traduce proprio in questo, per mantenere ed allargare il consenso elettorale? Ma l’estensione della corruzione, grande e piccola, eccezionale o quotidiana, mette radici proprio nel costume di forzare, aggirare le regole eguali per tutti e trasformare i poteri pubblici in occasione per gratificare gli amici o gli amici degli amici.
E’ passata praticamente inosservata la parte del testo approvato dal Senato che non riguarda la materia penale e che pure potrebbe rivelarsi di grande importanza. Si tratta di una minuziosa previsione di modifiche e integrazioni delle norme che regolano il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. E’ impossibile qui dar conto di tutte le innovazioni. Esse si raggruppano in vari filoni che riflettono la volontà di assicurare trasparenza all’agire dell’amministrazione pubblica, di tutelare in qualche modo il pubblico dipendente che segnala gli illeciti che sono commessi nell’amministrazione, di rendere i dirigenti responsabili dell’attuazione di piani di prevenzione della corruzione. Si vieta poi che i funzionari pubblici assumano incarichi in conflitto d’interesse rispetto all’amministrazione cui sono addetti, e si escludono dalla nomina a posizioni di dirigente pubblico e dalle commissioni per l’accesso ai pubblici uffici o per la gestione di fondi pubblici coloro che hanno subito condanne anche non definitive per reati contro la pubblica amministrazione ed anche, per un certo periodo, chi ha svolto funzioni politiche. Si prevede infine la incandidabilità per un certo lasso di tempo al Parlamento o in enti locali in conseguenza di certe condanne passate in giudicato.
Una parte di queste nuove disposizioni di legge sarebbero inutili se elementari criteri di buona amministrazione e di correttezza intervenissero spontaneamente. Ciò vale evidentemente ad esempio per le candidature al Parlamento proposte dai partiti. Non tutto ciò che le leggi consentono è, oltre che legale, anche lecito e opportuno. Quello ora introdotto è un insieme di norme molto complesso, che rischia di appesantire il funzionamento della amministrazione pubblica, se si ridurrà a un’attuazione puramente burocratica. Ma è possibile invece che contribuisca a «drammatizzare» una questione, quella della lotta quotidiana alla corruzione, che deve proprio essere sentita come una drammatica questione nazionale, che riguarda la democrazia, il rispetto per i cittadini, la dignità del servizio pubblico. Non solo, come ora si usa sottolineare, per l’impatto che ha sul Pil, importante, ma non unico metro della qualità di una società.
La Stampa 19.10.12
"Corruzione i passi mancanti", di Vladimiro Zagrebelsky
Il testo di norme anticorruzione, per far approvare il quale il governo ha dovuto porre la questione di fiducia in Senato e così superare incredibili resistenze, ha subito incontrato forti critiche. Insufficiente ed anche controproducente, si è detto, con qualche buona ragione. E’ il versante penale di quel testo che giustifica le critiche. Il fatto del pubblico ufficiale che abusa dei propri poteri o qualità per indurre altri a dare o promettere denaro o altra utilità, non sarà più punito come concussione con la pena massima di dodici anni, ma con quella minore di otto anni di reclusione.
La pena massima non ha in generale grande importanza nelle sentenze di condanna, essendo estremamente raro che i giudici fissino la pena sul massimo. Ma conta invece per stabilire i termini di prescrizione, che, per effetto della diminuzione della pena, si riducono da quindici a dieci anni. Nel sistema italiano, che già ha lunghi tempi processuali, la prescrizione del reato comincia a correre dal momento in cui questo è commesso (e non da quando se ne ha notizia e iniziano le indagini) e questo tipo di reati resta solitamente a lungo sommerso e viene a galla occasionalmente, nel corso di altre indagini, a distanza di tempo. Si comprende quindi la gravità dell’abbreviazione dei termini di prescrizione, che favorisce il loro maturare prima che si esauriscano tutti i gradi del giudizio. Non solo, ma le leggi più favorevoli agli imputati si applicano immediatamente anche ai fatti precedenti, con il risultato che gravi processi in corso finiranno nel nulla. Dalle convenzioni internazionali cui l’Italia è legata, pare ricavarsi che, come per la corruzione, occorra punire anche chi, indotto ma non costretto, paga il pubblico ufficiale concussore. E ciò è stato previsto dalla nuova norma.
Ma tutti gli organismi internazionali chiedono insistentemente all’Italia di punire «efficacemente» corruzione e concussione e deplorano l’alta percentuale di prescrizioni, che rendono nulla la repressione di questi crimini. Rispetto a quest’obbligo che ci deriva dagli impegni internazionali (ma non dovrebbe essere necessario il richiamo esterno!), la riforma peggiora il problema. E l’esito che produrrà sui processi in corso giustificherà polemiche velenose. Per il futuro è possibile che la nuova norma spinga verso qualche distorsione applicativa e che per non punire il privato concusso (e così indurlo a collaborare e non coprire il concussore) si tenda a vedere una «costrizione» in quella che invece potrebbe essere solo una robusta «induzione» e contestare quindi il più grave reato di concussione per costrizione. La riforma ora introdotta sarebbe senza effetto, ma lascerebbe il danno di discussioni senza fine e forse un problema in più nelle mani dei giudici.
Quanto alle varie ipotesi di corruzione, le pene massime sono state aumentate, cosicché d’ora innanzi per tutte sarà ammesso l’essenziale mezzo d’indagine rappresentato dalle intercettazioni. Alla pena massima, infatti, è legata anche la possibilità o il divieto di ricorrere alle intercettazioni. Ma non si è provveduto a reintrodurre un’efficace repressione penale del falso in bilancio. Il falso in bilancio consente di creare le disponibilità di denaro «in nero», necessarie per corrompere. Le indagini e l’efficace repressione della corruzione passano quindi anche per quelle del falso in bilancio.
Infine l’introduzione nel sistema penale italiano del reato di «traffico di influenze illecite» non sembra poter contrastare efficacemente un fenomeno deleterio. Si tratta del fatto di chi sfrutta le sue relazioni con il pubblico ufficiale per fungere da intermediario in relazione ad atti che questi deve compiere nei confronti di altri. Ma per la punizione è stato richiesto che il mediatore si faccia pagare o promettere qualche vantaggio patrimoniale. Che debba trattarsi di vantaggio patrimoniale costituisce un limite molto forte, poiché esclude il semplice scambio di favori, magari non contemporanei e non previsti, esclude l’essere «a disposizione». Esclude la raccomandazione. Ed è condizione non richiesta dalla Convenzione penale contro la corruzione del 1999 che l’Italia ha finalmente ratificato nel giugno scorso e che parla semplicemente di «vantaggio indebito». Si può capire che il Parlamento fosse preoccupato di far della raccomandazione e della intermediazione un reato. Quanta parte dell’attività di «cura del collegio elettorale» si traduce proprio in questo, per mantenere ed allargare il consenso elettorale? Ma l’estensione della corruzione, grande e piccola, eccezionale o quotidiana, mette radici proprio nel costume di forzare, aggirare le regole eguali per tutti e trasformare i poteri pubblici in occasione per gratificare gli amici o gli amici degli amici.
E’ passata praticamente inosservata la parte del testo approvato dal Senato che non riguarda la materia penale e che pure potrebbe rivelarsi di grande importanza. Si tratta di una minuziosa previsione di modifiche e integrazioni delle norme che regolano il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. E’ impossibile qui dar conto di tutte le innovazioni. Esse si raggruppano in vari filoni che riflettono la volontà di assicurare trasparenza all’agire dell’amministrazione pubblica, di tutelare in qualche modo il pubblico dipendente che segnala gli illeciti che sono commessi nell’amministrazione, di rendere i dirigenti responsabili dell’attuazione di piani di prevenzione della corruzione. Si vieta poi che i funzionari pubblici assumano incarichi in conflitto d’interesse rispetto all’amministrazione cui sono addetti, e si escludono dalla nomina a posizioni di dirigente pubblico e dalle commissioni per l’accesso ai pubblici uffici o per la gestione di fondi pubblici coloro che hanno subito condanne anche non definitive per reati contro la pubblica amministrazione ed anche, per un certo periodo, chi ha svolto funzioni politiche. Si prevede infine la incandidabilità per un certo lasso di tempo al Parlamento o in enti locali in conseguenza di certe condanne passate in giudicato.
Una parte di queste nuove disposizioni di legge sarebbero inutili se elementari criteri di buona amministrazione e di correttezza intervenissero spontaneamente. Ciò vale evidentemente ad esempio per le candidature al Parlamento proposte dai partiti. Non tutto ciò che le leggi consentono è, oltre che legale, anche lecito e opportuno. Quello ora introdotto è un insieme di norme molto complesso, che rischia di appesantire il funzionamento della amministrazione pubblica, se si ridurrà a un’attuazione puramente burocratica. Ma è possibile invece che contribuisca a «drammatizzare» una questione, quella della lotta quotidiana alla corruzione, che deve proprio essere sentita come una drammatica questione nazionale, che riguarda la democrazia, il rispetto per i cittadini, la dignità del servizio pubblico. Non solo, come ora si usa sottolineare, per l’impatto che ha sul Pil, importante, ma non unico metro della qualità di una società.
La Stampa 19.10.12
"Sui fondi per il sisma un antico pregiudizio", di Marco Imarisio
L’ennesimo severo monito dell’Europa, questa volta sotto forma di «indagine approfondita» sulle agevolazioni concesse dall’Italia alle imprese colpite da disastri naturali, non dice nulla di nuovo sulle nostre vergogne. Quando il ditino alzato serve a scoprire l’acqua calda, produce uno sgradevole effetto collaterale. L’ennesimo severo monito dell’Europa, questa volta sotto forma di «indagine approfondita» sulle agevolazioni concesse dall’Italia alle imprese colpite da disastri naturali, non dice nulla di nuovo sulle nostre vergogne. Non aggiunge niente a quel che già sapevamo. L’Antitrust di Bruxelles, bontà sua, si concentra su leggi, leggine e codicilli che hanno consentito aiuti in zone colpite da eventi naturali a partire dal 1990.
Nel comunicato ufficiale della Commissione viene espresso il «timore» che non tutte le aziende beneficiarie di quelle risorse abbiano subito danni reali. A Bruxelles non hanno mai sentito parlare di Scisciano, un piccolo Comune in provincia di Napoli che ancora quest’anno ha ricevuto duecentomila euro di incentivi per danni mai subiti durante il terremoto del 1980. Altrimenti non ci girerebbero troppo intorno, con quei timori e quei pudori. Forse non conoscono la storia dei comuni dell’Irpinia devastati dal sisma che furono trasformati in succursali di grandi aziende del Nord, attirate dai finanziamenti pubblici. Vennero, percepirono le sovvenzioni statali, e un attimo dopo chiusero gli stabilimenti. La nostra coazione a ripetere il peggio ci ha resi celebri non solo in Europa. Anche il terremoto dell’Aquila si sta rivelando un caso di scuola all’incontrario, con decreti d’urgenza uno via l’altro, che hanno generato decine di assunzioni inutili, milioni di euro gettati al vento e una ricostruzione mai avvenuta.
Non siamo innocenti insomma. Il lancio della prima pietra non è certo nelle nostre possibilità. Ma almeno in questo campo siamo consapevoli della nostra lunga tradizione di errori. L’inchiesta di Bruxelles arriva pochi giorni dopo la firma sui finanziamenti alle aziende colpite dal terremoto dello scorso maggio-giugno, nel mezzo di una ricostruzione divenuta parte integrante dei «compiti a casa» fatti in questi mesi alla ricerca di una nuova faccia e di una nuova credibilità italiana.
Il Corriere della Sera 18.10.12
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“L’Europa indaga sugli aiuti alle imprese terremotate Il sospetto: violazione della normativa sulla concorrenza”, Virginia Piccolillo
Non erano agevolazioni per danni da calamità, ma aiuti di Stato per diverse centinaia di milioni di euro. Con il sospetto di violazioni delle regole della concorrenza e del mercato, l’Unione europea ha intimato ieri all’Italia di sospendere, da subito, tutte le agevolazioni fiscali e previdenziali concesse alle imprese dal 2002 al 2011. Misure che l’Italia avrebbe dovuto notificare all’Ue, ma non lo ha fatto. E che includono quelle prese tra il 2002 e il 2003 in favore delle aree terremotate della Sicilia e di quelle alluvionate del Piemonte, entrambe degli anni 90, e quelle adottate tra il 2007 e il 2011 in favore di Umbria, Marche, Molise, Puglia e Abruzzo. Esclusi da questa procedura i provvedimenti per le zone terremotate dell’Emilia Romagna.
L’Ue non dice nulla di specifico riguardo ai lavoratori autonomi. Ma proprio ieri in un question time alla Camera il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha confermato che i terremotati dell’Aquila e dintorni dovranno ricominciare a pagare a Inps e Inail i contributi. E restituire quelli non pagati fino a dicembre 2012, trattenendo solo il 40%, per evitare che l’Unione europea consideri anche questa misura tra gli aiuti di Stato. Anche se è utile ricordare che i cosiddetti piccoli aiuti, di ammontare inferiore a 200.000 euro nel giro di 3 anni, sono esenti di notificazione alla commissione e non sono considerati aiuto di stato.
Per i contributi erogati alle aziende invece l’ingiunzione di sospensione arriva direttamente da Bruxelles. Il dubbio dell’Antitrust Ue è che non sia stata rispettata la regola base, prevista dal trattato: ovvero che a beneficiare degli aiuti previsti per le aziende vittima di calamità naturali non siano state solo le imprese che hanno davvero subito danni. O che quei danni siano stati causati da altro. O che il livello della compensazione fiscale ricevuta superi il danno effettivamente subito, o magari ripianato dall’assicurazione. Dovranno essere bloccati anche i ricorsi di fronte ai tribunali amministrativi delle imprese che chiedevano compensazioni fiscali e previdenziali sulla base di quelle norme. Ma è solo il primo passo. Se alla fine dell’indagine i dubbi Ue risulteranno confermati l’Italia sarà obbligata a recuperare dalle aziende che ne hanno beneficiato la somma ricevuta.
L’indagine è scattata nel 2011, quando una richiesta di informazioni proveniente da un tribunale italiano ha attirato l’attenzione della Commissione sull’esistenza dal 2002 in Italia di una serie di riduzioni delle imposte e dei contributi previdenziali e assicurativi. Nel mirino sono finite agevolazioni distribuite a pioggia in zone colpite da calamità naturali dopo il terremoto in Sicilia e l’alluvione in Piemonte degli anni 90 che riducono del 90% il debito fiscale e contributivo delle società interessate. La Corte di Cassazione, a più riprese, ha poi stabilito che tutte le persone colpite dalle calamità naturali in Sicilia e in Italia settentrionale avevano diritto a queste agevolazioni anche se avevano già versato gli oneri. Per questo le imprese che lo avevano già fatto si sono rivolte ai tribunali. Tra il 2007 e il 2011 agevolazioni del 60% a favore di Umbria e Marche (1997), Molise e Puglia (2002), e Abruzzo (2009), e del 50% a quelle situate nell’area siciliana colpita dall’eruzione e dal terremoto del 2002. L’avvio di un’indagine formale permette alla Commissione di esaminare più attentamente le misure e alle parti interessate di presentare osservazioni. Al termine si deciderà se aprire una procedura di infrazione.
Il Corriere della Sera 18.10.12
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«Restituire quei soldi significherebbe chiudere» Gli imprenditori dell’Aquila: abbiamo investito dando per acquisiti gli sgravi fiscali già concessi, Giusi Fasano
Antonio Cappelli, direttore aquilano di Confindustria, va dritto al punto: «Una tragedia enorme», dice. E se non fosse stato abbastanza chiaro aggiunge: «Questo è un altro terremoto, la botta finale per l’Aquila».
Interpreta l’umore dei suoi associati, il dottor Cappelli. Che «sono ovviamente preoccupati anche perché non stiamo parlando di pochi spiccioli. In alcuni casi sono milioni di euro…»
Soldi. Somme anche ingenti (dipende dalle dimensioni delle imprese) che gli imprenditori aquilani consideravano ormai acquisite e che invece — sorpresa — dovranno ridare allo Stato. O almeno così sembra stando alla circolare con la quale l’Inps ha sollevato la questione. L’istituto ha infatti già chiesto alle aziende di restituire gli importi sospesi nel 2009, l’anno del terremoto che fece 310 morti e che mise in ginocchio l’economia dell’Abruzzo, in particolare della provincia dell’Aquila.
La sospensione pensata dallo Stato per aiutare le imprese riguardava il 60% di contributi e imposte dovuti quell’anno. In pratica: un imprenditore che doveva 100 ha avuto uno «sconto» di 60 e ha cominciato a pagare gli altri 40 soltanto a partire dal 2010 e a rate (per dieci anni).
Adesso siamo al contrordine. L’Unione europea, che di tutto questo non sapeva nulla, vuole indagare sulla faccenda e intanto l’Inps, con la circolare notificata agli aquilani, ha precorso i tempi chiedendo i soldi prima dell’esito dell’inchiesta Ue. La richiesta non lascia spazio a dubbi: «Restituire quel 60 per cento a cominciare da subito, in 120 rate».
«L’unico modo per evitare questa tragedia è una sana discussione politica con l’Unione europea», dice Cappelli. «Ci affidiamo al premier Monti…»
«Inutile negare che la sospensione di contributi e Iva per noi sia stata importante», dice Ezio Rainaldi, a capo di un’azienda che si occupa di capannoni industriali e che ha 80 dipendenti. «Se ora si rimangiano le promesse e rivogliono indietro quegli aiuti il nostro futuro diventa incerto. Abbiamo investito, avevamo delle garanzie. Se ci limitiamo a fare i conti dell’Iva da restituire, rischio di perdere di colpo centinaia di migliaia di euro…». Si dichiara «preoccupato» anche il suo collega Guido Cantalini, presidente delle piccole e medie imprese di Confindustria dell’Aquila. Alla guida di un’impresa impiantistica da 25 lavoratori, Cantalini sa che «la richiesta immediata e brutale della restituzione di quei soldi per tanti di noi vorrebbe dire chiudere». Gli fa eco Corrado Martignoni, 35 dipendenti che producono pellicole plastiche per condensatori elettrici. «Preoccupato, certo», esordisce. «Ma che le devo dire? La prendo con filosofia perché vivo in un Paese dove valgono tutto e il contrario di tutto, certezze non ce ne sono».
Il Corriere della Sera 18.10.12
"Sui fondi per il sisma un antico pregiudizio", di Marco Imarisio
L’ennesimo severo monito dell’Europa, questa volta sotto forma di «indagine approfondita» sulle agevolazioni concesse dall’Italia alle imprese colpite da disastri naturali, non dice nulla di nuovo sulle nostre vergogne. Quando il ditino alzato serve a scoprire l’acqua calda, produce uno sgradevole effetto collaterale. L’ennesimo severo monito dell’Europa, questa volta sotto forma di «indagine approfondita» sulle agevolazioni concesse dall’Italia alle imprese colpite da disastri naturali, non dice nulla di nuovo sulle nostre vergogne. Non aggiunge niente a quel che già sapevamo. L’Antitrust di Bruxelles, bontà sua, si concentra su leggi, leggine e codicilli che hanno consentito aiuti in zone colpite da eventi naturali a partire dal 1990.
Nel comunicato ufficiale della Commissione viene espresso il «timore» che non tutte le aziende beneficiarie di quelle risorse abbiano subito danni reali. A Bruxelles non hanno mai sentito parlare di Scisciano, un piccolo Comune in provincia di Napoli che ancora quest’anno ha ricevuto duecentomila euro di incentivi per danni mai subiti durante il terremoto del 1980. Altrimenti non ci girerebbero troppo intorno, con quei timori e quei pudori. Forse non conoscono la storia dei comuni dell’Irpinia devastati dal sisma che furono trasformati in succursali di grandi aziende del Nord, attirate dai finanziamenti pubblici. Vennero, percepirono le sovvenzioni statali, e un attimo dopo chiusero gli stabilimenti. La nostra coazione a ripetere il peggio ci ha resi celebri non solo in Europa. Anche il terremoto dell’Aquila si sta rivelando un caso di scuola all’incontrario, con decreti d’urgenza uno via l’altro, che hanno generato decine di assunzioni inutili, milioni di euro gettati al vento e una ricostruzione mai avvenuta.
Non siamo innocenti insomma. Il lancio della prima pietra non è certo nelle nostre possibilità. Ma almeno in questo campo siamo consapevoli della nostra lunga tradizione di errori. L’inchiesta di Bruxelles arriva pochi giorni dopo la firma sui finanziamenti alle aziende colpite dal terremoto dello scorso maggio-giugno, nel mezzo di una ricostruzione divenuta parte integrante dei «compiti a casa» fatti in questi mesi alla ricerca di una nuova faccia e di una nuova credibilità italiana.
Il Corriere della Sera 18.10.12
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“L’Europa indaga sugli aiuti alle imprese terremotate Il sospetto: violazione della normativa sulla concorrenza”, Virginia Piccolillo
Non erano agevolazioni per danni da calamità, ma aiuti di Stato per diverse centinaia di milioni di euro. Con il sospetto di violazioni delle regole della concorrenza e del mercato, l’Unione europea ha intimato ieri all’Italia di sospendere, da subito, tutte le agevolazioni fiscali e previdenziali concesse alle imprese dal 2002 al 2011. Misure che l’Italia avrebbe dovuto notificare all’Ue, ma non lo ha fatto. E che includono quelle prese tra il 2002 e il 2003 in favore delle aree terremotate della Sicilia e di quelle alluvionate del Piemonte, entrambe degli anni 90, e quelle adottate tra il 2007 e il 2011 in favore di Umbria, Marche, Molise, Puglia e Abruzzo. Esclusi da questa procedura i provvedimenti per le zone terremotate dell’Emilia Romagna.
L’Ue non dice nulla di specifico riguardo ai lavoratori autonomi. Ma proprio ieri in un question time alla Camera il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha confermato che i terremotati dell’Aquila e dintorni dovranno ricominciare a pagare a Inps e Inail i contributi. E restituire quelli non pagati fino a dicembre 2012, trattenendo solo il 40%, per evitare che l’Unione europea consideri anche questa misura tra gli aiuti di Stato. Anche se è utile ricordare che i cosiddetti piccoli aiuti, di ammontare inferiore a 200.000 euro nel giro di 3 anni, sono esenti di notificazione alla commissione e non sono considerati aiuto di stato.
Per i contributi erogati alle aziende invece l’ingiunzione di sospensione arriva direttamente da Bruxelles. Il dubbio dell’Antitrust Ue è che non sia stata rispettata la regola base, prevista dal trattato: ovvero che a beneficiare degli aiuti previsti per le aziende vittima di calamità naturali non siano state solo le imprese che hanno davvero subito danni. O che quei danni siano stati causati da altro. O che il livello della compensazione fiscale ricevuta superi il danno effettivamente subito, o magari ripianato dall’assicurazione. Dovranno essere bloccati anche i ricorsi di fronte ai tribunali amministrativi delle imprese che chiedevano compensazioni fiscali e previdenziali sulla base di quelle norme. Ma è solo il primo passo. Se alla fine dell’indagine i dubbi Ue risulteranno confermati l’Italia sarà obbligata a recuperare dalle aziende che ne hanno beneficiato la somma ricevuta.
L’indagine è scattata nel 2011, quando una richiesta di informazioni proveniente da un tribunale italiano ha attirato l’attenzione della Commissione sull’esistenza dal 2002 in Italia di una serie di riduzioni delle imposte e dei contributi previdenziali e assicurativi. Nel mirino sono finite agevolazioni distribuite a pioggia in zone colpite da calamità naturali dopo il terremoto in Sicilia e l’alluvione in Piemonte degli anni 90 che riducono del 90% il debito fiscale e contributivo delle società interessate. La Corte di Cassazione, a più riprese, ha poi stabilito che tutte le persone colpite dalle calamità naturali in Sicilia e in Italia settentrionale avevano diritto a queste agevolazioni anche se avevano già versato gli oneri. Per questo le imprese che lo avevano già fatto si sono rivolte ai tribunali. Tra il 2007 e il 2011 agevolazioni del 60% a favore di Umbria e Marche (1997), Molise e Puglia (2002), e Abruzzo (2009), e del 50% a quelle situate nell’area siciliana colpita dall’eruzione e dal terremoto del 2002. L’avvio di un’indagine formale permette alla Commissione di esaminare più attentamente le misure e alle parti interessate di presentare osservazioni. Al termine si deciderà se aprire una procedura di infrazione.
Il Corriere della Sera 18.10.12
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«Restituire quei soldi significherebbe chiudere» Gli imprenditori dell’Aquila: abbiamo investito dando per acquisiti gli sgravi fiscali già concessi, Giusi Fasano
Antonio Cappelli, direttore aquilano di Confindustria, va dritto al punto: «Una tragedia enorme», dice. E se non fosse stato abbastanza chiaro aggiunge: «Questo è un altro terremoto, la botta finale per l’Aquila».
Interpreta l’umore dei suoi associati, il dottor Cappelli. Che «sono ovviamente preoccupati anche perché non stiamo parlando di pochi spiccioli. In alcuni casi sono milioni di euro…»
Soldi. Somme anche ingenti (dipende dalle dimensioni delle imprese) che gli imprenditori aquilani consideravano ormai acquisite e che invece — sorpresa — dovranno ridare allo Stato. O almeno così sembra stando alla circolare con la quale l’Inps ha sollevato la questione. L’istituto ha infatti già chiesto alle aziende di restituire gli importi sospesi nel 2009, l’anno del terremoto che fece 310 morti e che mise in ginocchio l’economia dell’Abruzzo, in particolare della provincia dell’Aquila.
La sospensione pensata dallo Stato per aiutare le imprese riguardava il 60% di contributi e imposte dovuti quell’anno. In pratica: un imprenditore che doveva 100 ha avuto uno «sconto» di 60 e ha cominciato a pagare gli altri 40 soltanto a partire dal 2010 e a rate (per dieci anni).
Adesso siamo al contrordine. L’Unione europea, che di tutto questo non sapeva nulla, vuole indagare sulla faccenda e intanto l’Inps, con la circolare notificata agli aquilani, ha precorso i tempi chiedendo i soldi prima dell’esito dell’inchiesta Ue. La richiesta non lascia spazio a dubbi: «Restituire quel 60 per cento a cominciare da subito, in 120 rate».
«L’unico modo per evitare questa tragedia è una sana discussione politica con l’Unione europea», dice Cappelli. «Ci affidiamo al premier Monti…»
«Inutile negare che la sospensione di contributi e Iva per noi sia stata importante», dice Ezio Rainaldi, a capo di un’azienda che si occupa di capannoni industriali e che ha 80 dipendenti. «Se ora si rimangiano le promesse e rivogliono indietro quegli aiuti il nostro futuro diventa incerto. Abbiamo investito, avevamo delle garanzie. Se ci limitiamo a fare i conti dell’Iva da restituire, rischio di perdere di colpo centinaia di migliaia di euro…». Si dichiara «preoccupato» anche il suo collega Guido Cantalini, presidente delle piccole e medie imprese di Confindustria dell’Aquila. Alla guida di un’impresa impiantistica da 25 lavoratori, Cantalini sa che «la richiesta immediata e brutale della restituzione di quei soldi per tanti di noi vorrebbe dire chiudere». Gli fa eco Corrado Martignoni, 35 dipendenti che producono pellicole plastiche per condensatori elettrici. «Preoccupato, certo», esordisce. «Ma che le devo dire? La prendo con filosofia perché vivo in un Paese dove valgono tutto e il contrario di tutto, certezze non ce ne sono».
Il Corriere della Sera 18.10.12
"Anticorruzione, un sì con tanti ma", Gabriella Monteleone
Via al senato con fiducia, ora la camera. Il Pd: bene, ma il compito non è finito
immagine documentoTutto sta a vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Non c’è dubbio che il governo, con il ministro Severino, e con il premier Monti presente ieri in aula al senato, considerino il disegno di legge anticorruzione approvato in serata con la fiducia (228 sì e 33 no) un buon risultato, quantomeno perché non era scontato dati i due anni che ci sono voluti (e in attesa del via libero dalla camera). Ai neofiti della politica, e ai critici a prescindere, il guardasigilli ieri ha ribattuto punto per punto, difendendo non solo “l’onore” del governo – «nessun inciucio, siamo persone oneste» – ma ammettendo le difficoltà di trovare un punto di equilibrio quando si ha a che fare con la nota “strana maggioranza” che ti sostiene: «È una legge indispensabile per il paese, è il primo intervento dopo Mani pulite – ha detto la Severino – fare i grilli parlanti è uno sport molto diffuso, anche io appartenevo a questa categoria ma bisogna passare qui dentro per capire la fatica che c’è dietro ad ogni provvedimento».
Lo sa bene il Pd che per quanto da mesi segnali la necessità, per un efficace contrasto alla corruzione, di inserire anche il falso in bilancio (che è già in aula alla camera e potrebbe essere approvato rapidamente, vero Fini?), il voto di scambio, l’autoriciclaggio e la nuova prescrizione – e che mancano nel provvedimento approvato ieri – da qualche settimana, vista la mala parata, ha chiesto al governo di andare avanti comunque e porre la fiducia, cosa che poi è avvenuta. Lasciando però soddisfatti a metà: «È un passo avanti significativo ma vediamo se ci sono cose da aggiustare, non è finito il compito», ha detto Bersani facendo eco a Casson: «Meglio poco che niente. E la responsabilità è di una parte della maggioranza». Ed anche la Bongiorno, per Fli, punta il dito contro il Pdl a cui addebita «l’occasione persa» in particolare sul falso in bilancio.
Ha avuto coraggio infatti, ieri Alfano, da Bucarest, a dirsi «contento» che il governo avesse posto la fiducia per poi intestarsi l’approvazione di un provvedimento che il Pdl ha osteggiato in tutti i modi a suon di ricatti su «pacchetti» da approvare in toto. Ma il governo è stato determinato, anche perché il costo della corruzione lievita di 60 miliardi l’anno (Corte dei conti) e l’immagine del paese, con gli scandali degli ultimi mesi, è compromessa. Per questo il segnale doveva essere immediato, blindando il testo che pure affronta meritoriamente, per la prima volta, il tema della trasparenza della Pa. E anche quello dei magistrati fuori ruolo, oggetto di una lunga mediazione che ha fruttato però una serie di eccezioni che di fatto “svuotano” il discusso emendamento di Giachetti del Pd: tra l’altro, tutte le toghe con incarichi al Quirinale, alla Consulta e al Csm – anche se vi lavorano da più di dieci anni – non saranno toccate per altri dieci.
Restano fuori, invece, altre questioni come l’incandidabilità dei condannati pure in via definitiva: su questo e altro il ministro della giustizia si è impegnata a intervenire «con assoluta tempestività». Apprezza Anna Finocchiaro, capogruppo Pd, che subito rilancia perché il governo eserciti la delega «entro un mese» e non sei come previsto, dato che il voto e la formazione delle liste sono alle porte. E a questo proposito stride il j’accuse di Carlo Vizzini: «Se il ministro è pronta ad intervenire sul reato del voto di scambio se ci sarà una sollecitazione del parlamento, vuol dire che qualcuno gli ha detto di non farlo». Chi? Vizzini esclude il Pd, che ha presentato un emendamento ad hoc. Per Monti comunque sarà «un fattore per sbloccare la crescita» questo ddl, su cui, dice, ci ha «messo la faccia».
da Europa Quotidiano 18.10.12
"Anticorruzione, un sì con tanti ma", Gabriella Monteleone
Via al senato con fiducia, ora la camera. Il Pd: bene, ma il compito non è finito
immagine documentoTutto sta a vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Non c’è dubbio che il governo, con il ministro Severino, e con il premier Monti presente ieri in aula al senato, considerino il disegno di legge anticorruzione approvato in serata con la fiducia (228 sì e 33 no) un buon risultato, quantomeno perché non era scontato dati i due anni che ci sono voluti (e in attesa del via libero dalla camera). Ai neofiti della politica, e ai critici a prescindere, il guardasigilli ieri ha ribattuto punto per punto, difendendo non solo “l’onore” del governo – «nessun inciucio, siamo persone oneste» – ma ammettendo le difficoltà di trovare un punto di equilibrio quando si ha a che fare con la nota “strana maggioranza” che ti sostiene: «È una legge indispensabile per il paese, è il primo intervento dopo Mani pulite – ha detto la Severino – fare i grilli parlanti è uno sport molto diffuso, anche io appartenevo a questa categoria ma bisogna passare qui dentro per capire la fatica che c’è dietro ad ogni provvedimento».
Lo sa bene il Pd che per quanto da mesi segnali la necessità, per un efficace contrasto alla corruzione, di inserire anche il falso in bilancio (che è già in aula alla camera e potrebbe essere approvato rapidamente, vero Fini?), il voto di scambio, l’autoriciclaggio e la nuova prescrizione – e che mancano nel provvedimento approvato ieri – da qualche settimana, vista la mala parata, ha chiesto al governo di andare avanti comunque e porre la fiducia, cosa che poi è avvenuta. Lasciando però soddisfatti a metà: «È un passo avanti significativo ma vediamo se ci sono cose da aggiustare, non è finito il compito», ha detto Bersani facendo eco a Casson: «Meglio poco che niente. E la responsabilità è di una parte della maggioranza». Ed anche la Bongiorno, per Fli, punta il dito contro il Pdl a cui addebita «l’occasione persa» in particolare sul falso in bilancio.
Ha avuto coraggio infatti, ieri Alfano, da Bucarest, a dirsi «contento» che il governo avesse posto la fiducia per poi intestarsi l’approvazione di un provvedimento che il Pdl ha osteggiato in tutti i modi a suon di ricatti su «pacchetti» da approvare in toto. Ma il governo è stato determinato, anche perché il costo della corruzione lievita di 60 miliardi l’anno (Corte dei conti) e l’immagine del paese, con gli scandali degli ultimi mesi, è compromessa. Per questo il segnale doveva essere immediato, blindando il testo che pure affronta meritoriamente, per la prima volta, il tema della trasparenza della Pa. E anche quello dei magistrati fuori ruolo, oggetto di una lunga mediazione che ha fruttato però una serie di eccezioni che di fatto “svuotano” il discusso emendamento di Giachetti del Pd: tra l’altro, tutte le toghe con incarichi al Quirinale, alla Consulta e al Csm – anche se vi lavorano da più di dieci anni – non saranno toccate per altri dieci.
Restano fuori, invece, altre questioni come l’incandidabilità dei condannati pure in via definitiva: su questo e altro il ministro della giustizia si è impegnata a intervenire «con assoluta tempestività». Apprezza Anna Finocchiaro, capogruppo Pd, che subito rilancia perché il governo eserciti la delega «entro un mese» e non sei come previsto, dato che il voto e la formazione delle liste sono alle porte. E a questo proposito stride il j’accuse di Carlo Vizzini: «Se il ministro è pronta ad intervenire sul reato del voto di scambio se ci sarà una sollecitazione del parlamento, vuol dire che qualcuno gli ha detto di non farlo». Chi? Vizzini esclude il Pd, che ha presentato un emendamento ad hoc. Per Monti comunque sarà «un fattore per sbloccare la crescita» questo ddl, su cui, dice, ci ha «messo la faccia».
da Europa Quotidiano 18.10.12