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"Primarie, parte la sfida. Bersani: la cosa più bella" di Simone Collini

«Non si governa senza popolo, il prossimo giro». Per questo Bersani è sempre più convinto che le primarie per scegliere il candidato premier del centrosinistra siano la scelta giusta. «Oggi governare non è facile ma non possiamo deludere il Paese», dice nel giorno in cui viene presentata la carta d’intenti dal titolo «Italia. Bene comune», che disegna la cornice valoriale della coalizione dei progressisti e dei democratici. Il messaggio è rivolto ai compagni di strada Vendola e Nencini, arrivati a Roma per questo appuntamento che di fatto dà il via alla campagna elettorale del centrosinistra, ma anche a una platea di elettori sempre più distante dalla politica, che il leader del Pd conta di riavvicinare mettendo a disposizione uno strumento di partecipazione come quello delle primarie, che si svolgeranno il 25 novembre con eventuale secondo turno la domenica successiva.
«Le primarie sono la più grande e bella cosa che la politica possa offrire oggi in Italia, e noi ne siamo orgogliosi», dice Bersani tra gli applausi di militanti e simpatizzanti venuti per assistere a questa prima uscita pubblica della coalizione che si presenterà alle elezioni di primavera.
E così se da Prato Pier Ferdinando Casini fa sapere di essere «preoccupato» per l’operazione avviata da dal leader del Pd insieme a quello di Sel e al segretario del Psi, Bersani invita il leader dell’Udc a non preoccuparsi «perché è una bella giornata questa, non solo per noi ma per l’Italia», perché si sta «mettendo in piedi un percorso inedito da noi e in Europa», perché la convocazione ai gazebo è il primo atto di un progetto che proseguirà nel 2013 e poi oltre («dovremo trovare gli strumenti, oltre quelli classici, tradizionali, per capire come la pensa la gente») e perché Pd, Sel e Psi si stanno prendendo «un rischio e una responsabilità» in vista delle politiche prima, e della sfida di governo poi.
PATTO VINCOLANTE
Insieme a Vendola, che definisce le primarie «il primo atto sociale antiberlusconiano che dobbiamo e vogliamo costruire», e Nencini, che dice «siamo arrivati per ultimi sulla Tobin tax, l’Italia non sia l’ultima anche sulla patrimoniale per le grandi ricchezze», Bersani ha siglato una serie di «impegni reciproci» perché, spiega il leader del Pd, «serve un patto di coalizione vincolante per non ripetere gli errori del passato».
E infatti l’ultimo punto della «carta», titolato «responsabilità», prevede che nella prossima legislatura, in caso di controversie, i diversi gruppi parlamentari decidano «a maggioranza» come votare tutti insieme, la «lealtà» agli «impegni internazionali» e il «sostegno leale» al premier scelto con le primarie per tutta la legislatura.
Tutti «impegni vincolanti» che erano nella «carta d’intenti» preparata da Bersani prima dell’estate e che sono stati accettati dagli altri due leader. Quel che invece manca, rispetto a quel testo, è un esplicito riferimento all’operato di Monti, del quale si sottolineava l’«autorevolezza».
Bersani rimane convinto che il rigore e la serietà dimostrati dall’attuale premier siano «un punto di non ritorno» anche per il prossimo esecutivo, ma di fronte alle spinte di Vendola per citare il Professore in chiave negativa, l’accordo si è trovato nel non citarlo proprio. D’altro canto lo stesso leader del Pd è convinto che accanto all’austerità e alla necessità del riequilibrio dei conti, sia al livello nazionale che a quello comunitario, si debbano perseguire obiettivi come maggiore equità, redistribuzione delle ricchezze, maggiore occupazione, tutti richiamati nella «carta». La quale, nonostante Vendola ci tenga a sottolineare il suo carattere «alternativo ai pensieri conservatori di Casini», presenta un passaggio di apertura ai moderati che era tutt’altro che scontato fino al giorno vigilia: «I democratici e i progressisti s’impegnano a promuovere un accordo di legislatura con le forze del centro liberale». Un passaggio che non basta però a Beppe Fioroni, per il quale «questa alleanza non basta né per vincere bene né per governare, servono i moderati e Monti».
Così come non piace l’assenza di riferimenti espliciti all’operato dell’attuale premier a Marco Follini, che parla di «un grande buco nero nella strategia del Pd», e a Paolo Gentiloni, che dice: «Addio Monti… nelle intenzioni del patto Pd-Sel-Psi. Sarà difficile nascondere agli elettori che noi l’abbiamo sostenuto e Vendola no».
Aggiunge Walter Verini: «La carta è poco in sintonia con quello che pensa tanta parte dell’Italia, dell’Europa e del mondo» Sono però uscite che non preoccupano Bersani, che presentata la «carta d’intenti» e chiusa la fase della definizione delle regole per le primarie (contestate dal fronte renziano), vuole ora partire con una campagna elettorale che più che alla sfida ai gazebo guarda già a quella per Palazzo Chigi.
Oggi il leader del Pd sarà a Bettola, suo paese natale. E più precisamente parlerà nel piazzale dove c’è la pompa di benzina che gestiva suo padre Giuseppe, da un piccolo palco con su scritto lo slogan: «Il coraggio dell’Italia». Apprezzamenti alla Carta giungono intanto dagli esponenti più attenti alla questione dei diritti civili, come Ignazio Marino: «Finalmente si formalizza l’impegno a dare traduzione normativa al principio, già riconosciuto dalla nostra Costituzione, per cui una coppia omosessuale ha pari dignità e diritti delle altre coppie».
L’Unità 14.10.12
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Le 10 regole della consultazione
1) Le primarie si svolgeranno domeni- ca 25 novembre 2012. Qualora nessun candidato raggiunga al primo turno il 50% più uno dei voti, si procederà a un turno di ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggiore numero di voti. L’eventuale ballottaggio si svolge- rà domenica 2 dicembre 2012.
2) La partecipazione alle primarie è aperta a tutte le elettrici e gli elettori, in possesso dei requisiti previsti dalle leg- ge, ai cittadini immigrati in possesso di carta d’identità e di permesso di soggior- no, che dichiarano di riconoscersi nella Carta d’intenti, versano un contributo di almeno 2 euro e si impegnano a sostene- re il centrosinistra alle politiche del 2013, sottoscrivendo un appello pubbli- co e iscrivendosi all’Albo degli elettori.
3) Il Regolamento per lo svolgimento delle primarie, approvato dal Collegio dei Garanti entro il 21-10, disciplina le modalità organizzative volte a garantire: a) il carattere aperto delle primarie; b) la registrazione, dal 4 novembre fino al giorno del voto, con la sottoscrizione dell’Appello pubblico, l’iscrizione all’Al- bo delle elettrici e degli elettori, e la con- segna a ciascun elettore del “Certificato di elettore del centrosinistra per l’Italia
Bene Comune”. Tale registrazione do- vrà avvenire con procedure distinte dal- le operazioni e dall’esercizio del voto. Le iscritte e gli iscritti all’Albo costituiran- no la base elettorale delle primarie e avranno automaticamente diritto di voto all’eventuale secondo turno. Il Collegio dei Garanti disciplinerà le modalità di iscrizione all’Albo da parte di coloro che si sono trovati nell’impossibilità di regi- strarsi nel periodo dal 4 al 25 novembre. c) il corretto e trasparente svolgimento delle operazioni di voto.
4) All’atto del deposito della candida- tura, ciascun candidato/a alle primarie sottoscrive l’impegno a rispettarne l’esi- to, a collaborare pienamente e lealmen- te, in campagna elettorale e per tutta la legislatura, con il candidato premier scel- to dalle primarie, ad attenersi ai contenu- ti della Carta d’intenti.
5) Per essere ammessi alle primarie, i candidati devono depositare, entro il 25 ottobre, almeno 20.000 firme di sotto- scrittori che contestualmente si dichiari- no elettori del centrosinistra, di cui non più di 2000 in ogni Regione.
6) Il Codice di comportamento dei can- didati, emanato dal Collegio dei Garanti, si ispira ai principi della comune respon-
sabilità rispetto al progetto «Italia Bene Comune», della correttezza reciproca, della trasparenza e sobrietà nella raccol- ta e nell’uso delle risorse.
7) Ciascun candidato/a ha l’obbligo di comunicare al Consiglio dei Garanti e di pubblicare online, con cadenza settima- nale, ogni contributo, diretto o indiretto, superiore ai 500 euro, nonché di rende- re disponibile al Consiglio dei Garanti tutta la documentazione relativa alle en- trate e alle spese. È vietato per i candida- ti e i loro sostenitori ricorrere a qualsiasi forma di pubblicità a pagamento, come spot su radio, tv, giornali, internet, o affit- to di spazi su cartelloni pubblicitari.
8) Il Collegio dei Garanti vigila sul ri- spetto del Codice di comportamento dei candidati e sanziona eventuali comporta- menti difformi.
9) Il Collegio dei Garanti nomina un coordinamento operativo incaricato di promuovere e monitorare le diverse fasi di organizzazione delle primarie. Ai lavo- ri del coordinamento partecipa un dele- gato/a per ciascun candidato/a.
10) Con apposito Regolamento il Con- siglio dei Garanti disciplina le modalità di utilizzo dell’Albo pubblico delle elettri- ci ed elettori del centrosinistra.
L’Unità 14.10.12

"Non ripetere i vecchi errori", di Claudio Sardo

La crisi che stiamo vivendo è persino più grave di quella del ’93 e del ’94. Perché più pesanti sono i costi sociali della recessione, più diffusa è la corruzione, più grandi sono la sfiducia, lo smarrimento e la rabbia dei cittadini, più fragili appaiono le stesse istituzioni. La cosiddetta seconda Repubblica è arrivata al capolinea, siamo davanti ad un passaggio storico e avvertiamo chiaramente il pericolo di restare intrappolati nelle macerie. Bisogna reagire. Ci sono le forze per reagire. Ci sono le donne e gli uomini capaci di costruire riscossa civica e reti di solidarietà. E ci sono persone che nelle istituzioni e nella società hanno tenuto la schiena dritta, con senso del dovere e del bene comune.Bersani, Vendola e Nencini hanno presentato ieri la Carta d’Intenti, che costituisce la base ideale del progetto di governo del centrosinistra. Non è solo il perimetro del campo di gioco delle primarie. È una sfida con se stessi, con i propri partiti, con i limiti della politica a tutti evidenti. Le primarie non sono un fine ma uno strumento. Non possono diventare un concorso di bellezza, slegato dai contenuti e dagli impegni scomodi, perché altrimenti si rinuncerebbe al cambiamento più importante rispetto alla stagione berlusconiana. Le primarie non debbono trasformarsi neppure in un congresso del Pd, magari allargato, perché il tema è il governo dell’Italia e il nostro contributo al necessario mutamento delle politiche europee. Ma ci sono altri errori da non ripetere. L’esperienza dell’Unione del 2006 brucia ancora, eccome. Eppure quell’esperienza partì con le primarie di Prodi, le più partecipate ed entusiaste. C’è oggi come allora una grande domanda di partecipazione e di rinnovamento tra i cittadini: guai a deluderla sottraendosi al rischio di un confronto aperto. Tuttavia, non ci sarà un vero rinnovamento senza un’idea, senza un progetto coerente di trasformazione. E senza una innovazione politica capace di lasciare un segno anche culturale nella nostra società delusa e invecchiata. La memoria corre indietro di un paio di decenni: il centrosinistra deve stare attento a non ricalcare le orme del ’94 e di quella che fu la «gioiosa macchina da guerra». La fine della prima Repubblica ha molte somiglianze con quella della seconda. Ma ora bisogna evitare che si ripeta il suicidio delle forze progressiste. Sarebbe un errore imperdonabile immaginare che al Pd e al centrosinistra di oggi basti farsi trascinare dall’inerzia per vincere. Anche perché il fallimento del partito-Pdl, seguito al fallimento del governo Berlusconi, non ha affatto cancellato il bacino elettorale del centro- destra. Non pensi il centrosinistra di essere esentato dal compiere scelte difficili, di poter vivere in una presuntuosa autosufficienza. Non pensi neppure che bastino la sobrietà e l’efficacia della Carta presentata ieri. La «gioiosa macchina» confidava nella forma della coalizione di allora. Ieri invece i partecipanti alle primarie hanno sottoscritto un documento nel quale auspicano una collaborazione più ampia con «le forze del centro liberale», forze che «sulla base della loro ispirazione costituzionale ed europeista» possono assumere «una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni».
È uno dei punti qualificanti della Carta e del progetto di governo che essa esprime. Tanto più è importante in quanto non è legato ad una determinata legge elettorale (speriamo tutti che cambi, ma non è ancora chiaro il destino). Il centrosinistra di governo deve legare la propria impresa ad un cambiamento reale del Paese. Vuole andare oltre Monti non perché considera il governo tecnico una parentesi, ma proprio perché gli ha dato il valore di una svolta. E la risalita dal baratro del berlusconismo si interromperebbe se l’Italia fosse condannata ad una soluzione tecnocratica o oligarchica.

I nomi del cambiamento sono messi in fila nella dichiarazione che dovranno firmare gli elettori delle primarie: pace, libertà, eguaglianza, laicità, giustizia, progresso, solidarietà. Ma questo cambiamento non è la rivincita di un pezzo di società contro un’altra. È anch’esso un progetto aperto, che chiede partecipazione e che deve condurre anche ad un rinnovamento di uomini. Non è una chiusura autoreferenziale, né una blindatura della sinistra. Semmai è il modo per rendere attuale, nella drammatica crisi di oggi, la vocazione nazionale della sinistra, quella che contribuì alla fattura della Costituzione e poi a far crescere la democrazia e i diritti nel nostro Paese.
Nessuna chiusura, dunque. Alleanza anzitutto con le forze progressiste e democratiche europee. Perché il cambiamento o sarà europeo, o non sarà. Alleanza con i movimenti civici e sociali: c’è bisogno di una grande ricostruzione del civismo italiano. Non più la società civile separata dalla politica, secondo la nefasta ideologia della seconda Repubblica. Bensì una riscossa civica che attraversi tutti i corpi intermedi, a partire dai partiti che devono riconoscere i loro limiti, a cominciare dal non invadere la società e le istituzioni pubbliche per scopi di riproduzione del consenso.
È importante che la Carta, che parte dall’Europa, sia stata sottoscritta da Bersani, Vendola e Nencini. Anche a sinistra porta un chiarimento importante tra chi ha avuto il coraggio della sfida e chi invece è rimasto a guardare, puntando su un altro fallimento. Chi ha firmato ha preso l’impegno di cedere parte della sovranità di partito in nome del progetto di governo comune. È un primo passo, a cui speriamo ne seguano altri. Forse, al di là delle convenienze della legge elettorale, questa convergenza meriterebbe di trovare presto l’approdo nel medesimo partito. Sarebbe un grande segno di innovazione. Che rafforzerebbe l’impresa. Abbiamo bisogno di partiti più grandi per rivitalizzare la democrazia, per renderli più trasparenti e, dunque, per dare maggiore potere ai cittadini. Abbiamo bisogno di ponti robusti per uscire da questa gabbia della seconda Repubblica.

L’Unità 14.10.12

"Non ripetere i vecchi errori", di Claudio Sardo

La crisi che stiamo vivendo è persino più grave di quella del ’93 e del ’94. Perché più pesanti sono i costi sociali della recessione, più diffusa è la corruzione, più grandi sono la sfiducia, lo smarrimento e la rabbia dei cittadini, più fragili appaiono le stesse istituzioni. La cosiddetta seconda Repubblica è arrivata al capolinea, siamo davanti ad un passaggio storico e avvertiamo chiaramente il pericolo di restare intrappolati nelle macerie. Bisogna reagire. Ci sono le forze per reagire. Ci sono le donne e gli uomini capaci di costruire riscossa civica e reti di solidarietà. E ci sono persone che nelle istituzioni e nella società hanno tenuto la schiena dritta, con senso del dovere e del bene comune.Bersani, Vendola e Nencini hanno presentato ieri la Carta d’Intenti, che costituisce la base ideale del progetto di governo del centrosinistra. Non è solo il perimetro del campo di gioco delle primarie. È una sfida con se stessi, con i propri partiti, con i limiti della politica a tutti evidenti. Le primarie non sono un fine ma uno strumento. Non possono diventare un concorso di bellezza, slegato dai contenuti e dagli impegni scomodi, perché altrimenti si rinuncerebbe al cambiamento più importante rispetto alla stagione berlusconiana. Le primarie non debbono trasformarsi neppure in un congresso del Pd, magari allargato, perché il tema è il governo dell’Italia e il nostro contributo al necessario mutamento delle politiche europee. Ma ci sono altri errori da non ripetere. L’esperienza dell’Unione del 2006 brucia ancora, eccome. Eppure quell’esperienza partì con le primarie di Prodi, le più partecipate ed entusiaste. C’è oggi come allora una grande domanda di partecipazione e di rinnovamento tra i cittadini: guai a deluderla sottraendosi al rischio di un confronto aperto. Tuttavia, non ci sarà un vero rinnovamento senza un’idea, senza un progetto coerente di trasformazione. E senza una innovazione politica capace di lasciare un segno anche culturale nella nostra società delusa e invecchiata. La memoria corre indietro di un paio di decenni: il centrosinistra deve stare attento a non ricalcare le orme del ’94 e di quella che fu la «gioiosa macchina da guerra». La fine della prima Repubblica ha molte somiglianze con quella della seconda. Ma ora bisogna evitare che si ripeta il suicidio delle forze progressiste. Sarebbe un errore imperdonabile immaginare che al Pd e al centrosinistra di oggi basti farsi trascinare dall’inerzia per vincere. Anche perché il fallimento del partito-Pdl, seguito al fallimento del governo Berlusconi, non ha affatto cancellato il bacino elettorale del centro- destra. Non pensi il centrosinistra di essere esentato dal compiere scelte difficili, di poter vivere in una presuntuosa autosufficienza. Non pensi neppure che bastino la sobrietà e l’efficacia della Carta presentata ieri. La «gioiosa macchina» confidava nella forma della coalizione di allora. Ieri invece i partecipanti alle primarie hanno sottoscritto un documento nel quale auspicano una collaborazione più ampia con «le forze del centro liberale», forze che «sulla base della loro ispirazione costituzionale ed europeista» possono assumere «una responsabilità comune di fronte al passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno affrontare nei prossimi anni».
È uno dei punti qualificanti della Carta e del progetto di governo che essa esprime. Tanto più è importante in quanto non è legato ad una determinata legge elettorale (speriamo tutti che cambi, ma non è ancora chiaro il destino). Il centrosinistra di governo deve legare la propria impresa ad un cambiamento reale del Paese. Vuole andare oltre Monti non perché considera il governo tecnico una parentesi, ma proprio perché gli ha dato il valore di una svolta. E la risalita dal baratro del berlusconismo si interromperebbe se l’Italia fosse condannata ad una soluzione tecnocratica o oligarchica.
I nomi del cambiamento sono messi in fila nella dichiarazione che dovranno firmare gli elettori delle primarie: pace, libertà, eguaglianza, laicità, giustizia, progresso, solidarietà. Ma questo cambiamento non è la rivincita di un pezzo di società contro un’altra. È anch’esso un progetto aperto, che chiede partecipazione e che deve condurre anche ad un rinnovamento di uomini. Non è una chiusura autoreferenziale, né una blindatura della sinistra. Semmai è il modo per rendere attuale, nella drammatica crisi di oggi, la vocazione nazionale della sinistra, quella che contribuì alla fattura della Costituzione e poi a far crescere la democrazia e i diritti nel nostro Paese.
Nessuna chiusura, dunque. Alleanza anzitutto con le forze progressiste e democratiche europee. Perché il cambiamento o sarà europeo, o non sarà. Alleanza con i movimenti civici e sociali: c’è bisogno di una grande ricostruzione del civismo italiano. Non più la società civile separata dalla politica, secondo la nefasta ideologia della seconda Repubblica. Bensì una riscossa civica che attraversi tutti i corpi intermedi, a partire dai partiti che devono riconoscere i loro limiti, a cominciare dal non invadere la società e le istituzioni pubbliche per scopi di riproduzione del consenso.
È importante che la Carta, che parte dall’Europa, sia stata sottoscritta da Bersani, Vendola e Nencini. Anche a sinistra porta un chiarimento importante tra chi ha avuto il coraggio della sfida e chi invece è rimasto a guardare, puntando su un altro fallimento. Chi ha firmato ha preso l’impegno di cedere parte della sovranità di partito in nome del progetto di governo comune. È un primo passo, a cui speriamo ne seguano altri. Forse, al di là delle convenienze della legge elettorale, questa convergenza meriterebbe di trovare presto l’approdo nel medesimo partito. Sarebbe un grande segno di innovazione. Che rafforzerebbe l’impresa. Abbiamo bisogno di partiti più grandi per rivitalizzare la democrazia, per renderli più trasparenti e, dunque, per dare maggiore potere ai cittadini. Abbiamo bisogno di ponti robusti per uscire da questa gabbia della seconda Repubblica.
L’Unità 14.10.12

"Oltre al danno ai Prof, si aumentano le ore di lezione senza un progetto educativo?", di Giuseppe Grasso

Un genio del male impazza fra gli insigni tecnici di questo governo che si affaccenda ad aumentare il carico lavorativo dei docenti, un folletto insolente che sembra voler infierire, con ostinato e perverso accanimento, contro il mondo della conoscenza. E il bello è che l’aumento delle ore da 18 a 24, ormai semi-ufficiale, viene mascherato dall’invocazione di un «atto di generosità». Come se i docenti non fossero stati depredati abbastanza in questi ultimi decenni. Non si potrà infatti parlare, fino al 2014, di incrementi degli stipendi, congelati dal 2009, ma si potrà chiedere da subito, guarda caso, «una crescita dell’impegno sull’insegnamento, soprattutto fuori dalle classi».
Grazie ai soldi accantonati con le ore di supplenza, non più necessarie, si potrà così investire, ha dichiarato il ministro Profumo a «repubblica», sulla «formazione degli stessi docenti» e sull’«edilizia scolastica». Ma che bella trovata. Bisogna davvero complimentarsi con tanta sapienza, per essere riuscita nel duplice intento di capitalizzare in formazione e in edilizia sulla pelle dei lavoratori. E poi in un periodo di recessione. Ma non è tutto.
Il ministro ha aggiunto, per di più, che non è sua intenzione alimentare l’odiosa vulgata secondo la quale gli insegnanti italiani «guadagnano poco e lavorano poco». Si potranno pertanto «differenziare gli stipendi più bassi», suggerisce il titolare di viale Trastevere, «per chi vuole lavorare solo la mattina». La «retribuzione piena», invece, andrà a «chi accetta l’aumento delle ore». Quindi chi farà le 24 ore lavorerà ad incremento zero, ossia a parità di stipendio, e chi vorrà fare le 18 ore attuali lavorerà ad incremento sotto zero. I privilegi, però, le prebende, i congrui benefici di parlamentari, consiglieri regionali, ministri e via di seguito, gli sprechi, le regalie, i favoritismi più disparati e tanto altro ancora, tutto ciò rimane ben saldo nelle mani della casta… Il mondo della conoscenza italiano, stando così le cose, sta vivendo uno dei giorni più oscuri e foschi della propria democrazia.
Ma il ministro conosce la scuola? Sa forse come funziona? Lo sa che le ore di insegnamento di una materia per ogni classe non sono divisibili? Che le 6 ore in più non possono essere «spezzate» in 6 diversi insegnanti? Si tratta, oltre che di una situazione tecnicamente impraticabile, anche lesiva nei confronti di tutti quei precari che aspirano ad entrare nel mondo della scuola e che potrebbero dire addio, dal prossimo anno scolastico, ad ogni futura prospettiva. Senza contare che i lavoratori interessati sono tutelati da un Contratto Collettivo Nazionale e che, per legge, non dovrebbe essere ammissibile una simile iniziativa volta a modificare radicalmente l’orario di lavoro. E infine il ministro Profumo dovrebbe sapere che l’anno scolastico inizia il 1, non il 10 settembre. Non lo ha ancora imparato dopo l’insegnamento dei pensionandi scolastici di Quota 96?
Benedetto Vertecchi, in un articolo apparso oggi su «L’Unità», ha denunciato questa «sortita estemporanea» di voler aumentare l’orario nella scuola, sortita che costituisce una riprova ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, dell’«improvvisazione con la quale si interviene, o si dichiara di intervenire, sul funzionamento del sistema scolastico». Anche se si dovesse giudicare inadeguato l’orario attuale, non sarebbe possibile modificarlo ex abrupto, senza tener conto di quelle imprescindibili «considerazioni» che riguardano i «modelli formativi e didattici dell’attività educativa». Quel che serve, insomma, commenta il noto pedagogista, «è elaborare un’idea dell’educazione, e effettuare scelte coerenti con essa». La «logica dei rattoppi», infatti, non può produrre, per definizione e per principio, «nulla di buono». Comportandosi in tal modo si finisce per attenuare il «rapporto di fiducia sul quale si fonda l’attività delle scuole» e gli insegnanti stessi potrebbero mettersi a rincorrere intenti «che non sanno quanto siano condivisi». Manca, in definitiva, una vera e propria «politica per l’educazione».
Il Pd, l’unico partito ad essere intervenuto finora in difesa dei lavoratori della conoscenza, ha stigmatizzato questi ultimi provvedimenti con alcuni comunicati di Rosy Bindi, di Francesca Puglisi e di Manuela Ghizzoni.
Ma il problema dell’orario di lavoro, di una complessità e sostenibilità didattico/gestionale non indifferente, richiede un confronto molto ragionato con esperti e parti sociali, e non può certo essere liquidato unilateralmente da un esecutivo non tanto tecnico quanto politico, da un esecutivo che ha fatto di tutto per mortificare ed affossare il mondo dell’educazione. Serve una presa di posizione molto chiara e incisiva, anche da parte di tutti gli altri partiti, che ponga fine a queste abbozzate modifiche di legge e metta il governo alle strette minacciandolo di togliere, ma stavolta per davvero, la fiducia in parlamento.

La Tecnica della Scuola 14.10.12

"Oltre al danno ai Prof, si aumentano le ore di lezione senza un progetto educativo?", di Giuseppe Grasso

Un genio del male impazza fra gli insigni tecnici di questo governo che si affaccenda ad aumentare il carico lavorativo dei docenti, un folletto insolente che sembra voler infierire, con ostinato e perverso accanimento, contro il mondo della conoscenza. E il bello è che l’aumento delle ore da 18 a 24, ormai semi-ufficiale, viene mascherato dall’invocazione di un «atto di generosità». Come se i docenti non fossero stati depredati abbastanza in questi ultimi decenni. Non si potrà infatti parlare, fino al 2014, di incrementi degli stipendi, congelati dal 2009, ma si potrà chiedere da subito, guarda caso, «una crescita dell’impegno sull’insegnamento, soprattutto fuori dalle classi».
Grazie ai soldi accantonati con le ore di supplenza, non più necessarie, si potrà così investire, ha dichiarato il ministro Profumo a «repubblica», sulla «formazione degli stessi docenti» e sull’«edilizia scolastica». Ma che bella trovata. Bisogna davvero complimentarsi con tanta sapienza, per essere riuscita nel duplice intento di capitalizzare in formazione e in edilizia sulla pelle dei lavoratori. E poi in un periodo di recessione. Ma non è tutto.
Il ministro ha aggiunto, per di più, che non è sua intenzione alimentare l’odiosa vulgata secondo la quale gli insegnanti italiani «guadagnano poco e lavorano poco». Si potranno pertanto «differenziare gli stipendi più bassi», suggerisce il titolare di viale Trastevere, «per chi vuole lavorare solo la mattina». La «retribuzione piena», invece, andrà a «chi accetta l’aumento delle ore». Quindi chi farà le 24 ore lavorerà ad incremento zero, ossia a parità di stipendio, e chi vorrà fare le 18 ore attuali lavorerà ad incremento sotto zero. I privilegi, però, le prebende, i congrui benefici di parlamentari, consiglieri regionali, ministri e via di seguito, gli sprechi, le regalie, i favoritismi più disparati e tanto altro ancora, tutto ciò rimane ben saldo nelle mani della casta… Il mondo della conoscenza italiano, stando così le cose, sta vivendo uno dei giorni più oscuri e foschi della propria democrazia.
Ma il ministro conosce la scuola? Sa forse come funziona? Lo sa che le ore di insegnamento di una materia per ogni classe non sono divisibili? Che le 6 ore in più non possono essere «spezzate» in 6 diversi insegnanti? Si tratta, oltre che di una situazione tecnicamente impraticabile, anche lesiva nei confronti di tutti quei precari che aspirano ad entrare nel mondo della scuola e che potrebbero dire addio, dal prossimo anno scolastico, ad ogni futura prospettiva. Senza contare che i lavoratori interessati sono tutelati da un Contratto Collettivo Nazionale e che, per legge, non dovrebbe essere ammissibile una simile iniziativa volta a modificare radicalmente l’orario di lavoro. E infine il ministro Profumo dovrebbe sapere che l’anno scolastico inizia il 1, non il 10 settembre. Non lo ha ancora imparato dopo l’insegnamento dei pensionandi scolastici di Quota 96?
Benedetto Vertecchi, in un articolo apparso oggi su «L’Unità», ha denunciato questa «sortita estemporanea» di voler aumentare l’orario nella scuola, sortita che costituisce una riprova ulteriore, se mai ce ne fosse bisogno, dell’«improvvisazione con la quale si interviene, o si dichiara di intervenire, sul funzionamento del sistema scolastico». Anche se si dovesse giudicare inadeguato l’orario attuale, non sarebbe possibile modificarlo ex abrupto, senza tener conto di quelle imprescindibili «considerazioni» che riguardano i «modelli formativi e didattici dell’attività educativa». Quel che serve, insomma, commenta il noto pedagogista, «è elaborare un’idea dell’educazione, e effettuare scelte coerenti con essa». La «logica dei rattoppi», infatti, non può produrre, per definizione e per principio, «nulla di buono». Comportandosi in tal modo si finisce per attenuare il «rapporto di fiducia sul quale si fonda l’attività delle scuole» e gli insegnanti stessi potrebbero mettersi a rincorrere intenti «che non sanno quanto siano condivisi». Manca, in definitiva, una vera e propria «politica per l’educazione».
Il Pd, l’unico partito ad essere intervenuto finora in difesa dei lavoratori della conoscenza, ha stigmatizzato questi ultimi provvedimenti con alcuni comunicati di Rosy Bindi, di Francesca Puglisi e di Manuela Ghizzoni.
Ma il problema dell’orario di lavoro, di una complessità e sostenibilità didattico/gestionale non indifferente, richiede un confronto molto ragionato con esperti e parti sociali, e non può certo essere liquidato unilateralmente da un esecutivo non tanto tecnico quanto politico, da un esecutivo che ha fatto di tutto per mortificare ed affossare il mondo dell’educazione. Serve una presa di posizione molto chiara e incisiva, anche da parte di tutti gli altri partiti, che ponga fine a queste abbozzate modifiche di legge e metta il governo alle strette minacciandolo di togliere, ma stavolta per davvero, la fiducia in parlamento.
La Tecnica della Scuola 14.10.12

"Legge di stabilità, per chi rimane a 18 ore stipendio ridotto", di Alessandro Giuliani

È ciò che si deduce da una frase pronunciata dal ministro Profumo, dopo aver sottolineato che non vi saranno aumenti: “si potranno differenziare gli stipendi: più bassi per chi vuole lavorare solo la mattina, retribuzione piena per chi accetta l’aumento delle ore”. La categoria è già in fermento: si prevedono proteste vibranti. E per i parlamentari non sarà facile dire sì ad un progetto così crudele. Ora dopo ora, comincia a delinearsi la filosofia che avrebbe spinto il Governo Monti a voler incrementare, attraverso un decreto severissimo e inaspettato, l’orario dei docenti italiani. A far intendere dove vuole si vuole arrivare è il responsabile del Miur, Francesco Profumo, nel corso di un intervista al quotidiano “La Repubblica”: il Ministro sostiene che è ora di finirla di “ coltivare il luogo comune degli insegnanti italiani che guadagnano poco e lavorano poco: chiedo solo che siano più flessibili ”. Poi aggiunge la frasi chiave: “ Si potranno differenziare gli stipendi: più bassi per chi vuole lavorare solo la mattina, retribuzione piena per chi accetta l’aumento delle ore ”.
Se a queste parole sommiamo quelle dette pronunciate poco prima, a proposito della volontà di attuare aumenti ai prof in busta paga (“ legittimi ma per ora impossibili per il Paese ”), è evidente l’intenzione quindi l’intenzione del Governo di varare una rivoluzione epocale della scuola italiana senza un euro di investimento. E qui il cerchio sembra chiudersi. Con una doppia penalizzazione per i docenti. Se il cinico disegno andrà in porto, i prof che si ritroveranno per 24 ore a settimana in classe continueranno infatti a mantenere il magro stipendio attuale (già tra i più bassi dell’area Ocse), mentre quelli che rimarranno a 18 ore si ritroveranno di fatto in una posizione di part time. Questi ultima, in pratica, continueranno a fare quello che hanno fatto sino ad oggi, ma con un perdita secca di alcune centinaia di euro mensili in busta paga. Insomma, nel predire che si va verso un docente medio italiano tra i meno pagati d’Europa e però costretto a rimanere in classe (con in media 25 alunni) per più tempo di tutti, non ci siamo sbagliati.
Su un punto ci siamo però abbiamo peccato in ottimismo: non avevamo considerato la possibilità che il Governo da questo aumento forzato di euro sembrerebbe volerci addirittura guadagnare due volte. Sottraendo ai supplenti tra le 6mila e le 29mila cattedre e costringendo una non certo limitata percentuale di docenti (soprattutto i più stanchi) a rimanere alle attuali 18 ore. Riscuotendo così una parte del loro stipendio.
Ogni commento appare a questo punto superfluo. Ogni docente farà il suo. Molti lo esprimeranno a voce alta. Le vibranti proteste, anche di piazza (con i sindacati già pronti a ricompattarsi), arriveranno sicuramente alle orecchie dei politici che siedono in Parlamento: onorevoli e senatori che nelle prossime settimane saranno chiamati a votare la Legge di Stabilità. I prof diranno loro che si tratta di un sopruso, di un’ingiustizia, che il lavoro del docente non si limita di certo alle lezioni frontali con gli alunni. Ma che oltre al tempo passato in classe ci sono una miriade di impegni: da quelli collegiali alla preparazione delle lezioni, dalla correzione dei compiti alla formazione. Per non dimenticare gli interminabili contatti e colloqui con le famiglie.
Farebbero bene ricordare loro, ai politici, che quello dei docenti è anche il settore che rappresenta più personale tra la pubblica amministrazione: un “esercito” di 700 unità. Che hanno di fronte sette-otto milioni di alunni. E di famiglie. Accanirsi contro i loro insegnanti potrebbe creare non pochi contraccolpi. Già dalle elezioni politiche della prossima primavera.

da La Tecnica della Scuola 14.10.12

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“Ministro, così la scuola muore”, di Fabio Luppino

Cambiano i governi, ma l’attacco alla scuola resta sistematico, micidiale. Il perbenismo del ministro Profumo diventa un’aggravante. Tremonti-Gelmini avevano un’idea precisa: tagliare, ridimensionare, marginalizzare. Il mondo della scuola sapeva di avere un nemico. Il tecnico dal passo felpato si dice amico dell’istruzione, conoscitore, «ho insegnato anch’io». Ecco, dove e in che tempi, signor ministro?

Profumo ha confermato ogni cosa della terribile riforma Gelmini e, anzi, prosegue in perfetta consonanza. L’idea di portare a 24 ore (senza alcun incremento retributivo) l’orario settimanale dei professori discende semplicemente da una ragione contabile e porterà, se dovesse trovare un Parlamento prono al momento dell’approvazione della legge di stabilità, enormi drammi sociali. Il risparmio quantificato è pari a un miliardo, Tremonti ne fece 8 in tre anni, siamo lì.
La Cgil parla di effetti devastanti. Vediamo perché.

Volgarmente si dice che gli insegnanti lavorino poco e anche il ministro che chiede più collaborazione avvalora questo luogo comune. L’orario attuale è di 18 ore: restano fuori le preparazioni dei compiti, la correzione degli stessi, la preparazione delle lezioni, le riunioni di dipartimento, i collegi dei docenti, il ricevimento genitori, i consigli di classe.

Vogliamo quantificare? L’arma letale delle sei ore in più si configura in due modi. 1)Per non avvalersi dei supplenti; 2) Conferendo gli spezzoni di ore agli insegnanti di ruolo, 18 +6. Sia nel primo, sia nel secondo caso si ha la cancellazione dei precari dalla scuola. Nel secondo caso, quando le 24 ore diventerebbero “frontali” la scuola tutta verrebbe a perderci. Il termine frontale è utilizzato dai professori per definire le ore passate in classe con gli alunni. Un insegnante di lingue con una classe in media tra i 27-30 alunni in cui svolge, grazie a Gelmini solo due ore per classe, si troverebbe ad avere, in caso di ore frontali, 360 alunni. Bene, caro ministro, ci spieghi lei come dovrebbe collaborare secondo la sua visione delle cose… I professori sono tenuti a fare addirittura dei piani alunno per alunno. Ci spieghi ancora, ministro con 360 alunni… A tutti i docenti è demandato il compito di individuare eventuali dislessie, disgrafie, disprassie. E elaborare percorsi formativi ad hoc. In una scuola in cui gli insegnanti di sostegno non ci sono quasi più e che ha deciso che per questi disturbi specifici dell’apprendimento non ci debba essere un professore ad hoc. Ma si immagina, signor ministro, se poi tutto questo si colloca in un contesto sociale difficile dove anche tutti gli altri hanno bisogno di essere recuperati esistenzialmente…

Con le 24 ore si creeranno disoccupati tra i professori di ruolo, uno su quattro: prima perdenti posto, poi in mobilità. Poi fuori. Lo sa questo Profumo? Così come vuole abolire i diplomifici vietando lo spostamento da Torino a Reggio Calabria. Ma lo sa che i diplomi si pagano e che i professori nelle scuole paritarie si sfruttano a 8 euro l’ora? E ancora. Lasciare fuori i precari dalla scuola e indire demagogicamente un concorso. Perché? Ci sono soldi, forse, per fare un concorso inutile e dannoso? La sua lontananza dalla cosa delicata che amministra, signor ministro, è il colpo più grave per la scuola pubblica di oggi.

da Pubblico giornale

"Legge di stabilità, per chi rimane a 18 ore stipendio ridotto", di Alessandro Giuliani

È ciò che si deduce da una frase pronunciata dal ministro Profumo, dopo aver sottolineato che non vi saranno aumenti: “si potranno differenziare gli stipendi: più bassi per chi vuole lavorare solo la mattina, retribuzione piena per chi accetta l’aumento delle ore”. La categoria è già in fermento: si prevedono proteste vibranti. E per i parlamentari non sarà facile dire sì ad un progetto così crudele. Ora dopo ora, comincia a delinearsi la filosofia che avrebbe spinto il Governo Monti a voler incrementare, attraverso un decreto severissimo e inaspettato, l’orario dei docenti italiani. A far intendere dove vuole si vuole arrivare è il responsabile del Miur, Francesco Profumo, nel corso di un intervista al quotidiano “La Repubblica”: il Ministro sostiene che è ora di finirla di “ coltivare il luogo comune degli insegnanti italiani che guadagnano poco e lavorano poco: chiedo solo che siano più flessibili ”. Poi aggiunge la frasi chiave: “ Si potranno differenziare gli stipendi: più bassi per chi vuole lavorare solo la mattina, retribuzione piena per chi accetta l’aumento delle ore ”.
Se a queste parole sommiamo quelle dette pronunciate poco prima, a proposito della volontà di attuare aumenti ai prof in busta paga (“ legittimi ma per ora impossibili per il Paese ”), è evidente l’intenzione quindi l’intenzione del Governo di varare una rivoluzione epocale della scuola italiana senza un euro di investimento. E qui il cerchio sembra chiudersi. Con una doppia penalizzazione per i docenti. Se il cinico disegno andrà in porto, i prof che si ritroveranno per 24 ore a settimana in classe continueranno infatti a mantenere il magro stipendio attuale (già tra i più bassi dell’area Ocse), mentre quelli che rimarranno a 18 ore si ritroveranno di fatto in una posizione di part time. Questi ultima, in pratica, continueranno a fare quello che hanno fatto sino ad oggi, ma con un perdita secca di alcune centinaia di euro mensili in busta paga. Insomma, nel predire che si va verso un docente medio italiano tra i meno pagati d’Europa e però costretto a rimanere in classe (con in media 25 alunni) per più tempo di tutti, non ci siamo sbagliati.
Su un punto ci siamo però abbiamo peccato in ottimismo: non avevamo considerato la possibilità che il Governo da questo aumento forzato di euro sembrerebbe volerci addirittura guadagnare due volte. Sottraendo ai supplenti tra le 6mila e le 29mila cattedre e costringendo una non certo limitata percentuale di docenti (soprattutto i più stanchi) a rimanere alle attuali 18 ore. Riscuotendo così una parte del loro stipendio.
Ogni commento appare a questo punto superfluo. Ogni docente farà il suo. Molti lo esprimeranno a voce alta. Le vibranti proteste, anche di piazza (con i sindacati già pronti a ricompattarsi), arriveranno sicuramente alle orecchie dei politici che siedono in Parlamento: onorevoli e senatori che nelle prossime settimane saranno chiamati a votare la Legge di Stabilità. I prof diranno loro che si tratta di un sopruso, di un’ingiustizia, che il lavoro del docente non si limita di certo alle lezioni frontali con gli alunni. Ma che oltre al tempo passato in classe ci sono una miriade di impegni: da quelli collegiali alla preparazione delle lezioni, dalla correzione dei compiti alla formazione. Per non dimenticare gli interminabili contatti e colloqui con le famiglie.
Farebbero bene ricordare loro, ai politici, che quello dei docenti è anche il settore che rappresenta più personale tra la pubblica amministrazione: un “esercito” di 700 unità. Che hanno di fronte sette-otto milioni di alunni. E di famiglie. Accanirsi contro i loro insegnanti potrebbe creare non pochi contraccolpi. Già dalle elezioni politiche della prossima primavera.
da La Tecnica della Scuola 14.10.12
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“Ministro, così la scuola muore”, di Fabio Luppino
Cambiano i governi, ma l’attacco alla scuola resta sistematico, micidiale. Il perbenismo del ministro Profumo diventa un’aggravante. Tremonti-Gelmini avevano un’idea precisa: tagliare, ridimensionare, marginalizzare. Il mondo della scuola sapeva di avere un nemico. Il tecnico dal passo felpato si dice amico dell’istruzione, conoscitore, «ho insegnato anch’io». Ecco, dove e in che tempi, signor ministro?
Profumo ha confermato ogni cosa della terribile riforma Gelmini e, anzi, prosegue in perfetta consonanza. L’idea di portare a 24 ore (senza alcun incremento retributivo) l’orario settimanale dei professori discende semplicemente da una ragione contabile e porterà, se dovesse trovare un Parlamento prono al momento dell’approvazione della legge di stabilità, enormi drammi sociali. Il risparmio quantificato è pari a un miliardo, Tremonti ne fece 8 in tre anni, siamo lì.
La Cgil parla di effetti devastanti. Vediamo perché.
Volgarmente si dice che gli insegnanti lavorino poco e anche il ministro che chiede più collaborazione avvalora questo luogo comune. L’orario attuale è di 18 ore: restano fuori le preparazioni dei compiti, la correzione degli stessi, la preparazione delle lezioni, le riunioni di dipartimento, i collegi dei docenti, il ricevimento genitori, i consigli di classe.
Vogliamo quantificare? L’arma letale delle sei ore in più si configura in due modi. 1)Per non avvalersi dei supplenti; 2) Conferendo gli spezzoni di ore agli insegnanti di ruolo, 18 +6. Sia nel primo, sia nel secondo caso si ha la cancellazione dei precari dalla scuola. Nel secondo caso, quando le 24 ore diventerebbero “frontali” la scuola tutta verrebbe a perderci. Il termine frontale è utilizzato dai professori per definire le ore passate in classe con gli alunni. Un insegnante di lingue con una classe in media tra i 27-30 alunni in cui svolge, grazie a Gelmini solo due ore per classe, si troverebbe ad avere, in caso di ore frontali, 360 alunni. Bene, caro ministro, ci spieghi lei come dovrebbe collaborare secondo la sua visione delle cose… I professori sono tenuti a fare addirittura dei piani alunno per alunno. Ci spieghi ancora, ministro con 360 alunni… A tutti i docenti è demandato il compito di individuare eventuali dislessie, disgrafie, disprassie. E elaborare percorsi formativi ad hoc. In una scuola in cui gli insegnanti di sostegno non ci sono quasi più e che ha deciso che per questi disturbi specifici dell’apprendimento non ci debba essere un professore ad hoc. Ma si immagina, signor ministro, se poi tutto questo si colloca in un contesto sociale difficile dove anche tutti gli altri hanno bisogno di essere recuperati esistenzialmente…
Con le 24 ore si creeranno disoccupati tra i professori di ruolo, uno su quattro: prima perdenti posto, poi in mobilità. Poi fuori. Lo sa questo Profumo? Così come vuole abolire i diplomifici vietando lo spostamento da Torino a Reggio Calabria. Ma lo sa che i diplomi si pagano e che i professori nelle scuole paritarie si sfruttano a 8 euro l’ora? E ancora. Lasciare fuori i precari dalla scuola e indire demagogicamente un concorso. Perché? Ci sono soldi, forse, per fare un concorso inutile e dannoso? La sua lontananza dalla cosa delicata che amministra, signor ministro, è il colpo più grave per la scuola pubblica di oggi.
da Pubblico giornale