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"Ritornare al sogno", di Barbara Spinelli

Fu una di quelle opere – l’unità fra europei edificata nel dopoguerra – che gli uomini compiono quando sull’orlo dei baratri decidono di conoscere se stessi: quando vedono i disastri di cui sono stati capaci, esplorano le ragioni d’una fallibilità troppo incallita per esser feconda.
E tuttavia non si fanno sopraffare dall’indolenza smagata che secondo Paul Valéry fu la malattia dello spirito europeo all’indomani del ’14-18: la «noia di ricominciare il passato», l’inattitudine a riprendersi e ri-apprendere. Il Nobel della pace è stato dato ieri a quel ricominciamento della storia, e alla svolta che fu la riconciliazione tra Francia e Germania, che in soli 70 anni avevano combattuto tre guerre. Dalla messa in comune di risorse vitali per i due paesi – il carbone e l’acciaio, fonti di ricchezza e morte – nacque l’Unione che abbiamo oggi. Mai era apparso così chiaro, nell’attribuzione dei Nobel, il nesso fra pace, democrazia, diritto. Come se l’invenzione d’Europa fosse la conferma vivente che firmare le tregue non è fare la pace.
Che per tenere insieme su scala continentale i tre obiettivi – pace, democrazia, diritto – occorre andare oltre i trattati fra Stati, oltre la non belligeranza fra sovrani che non riconoscono potere alcuno, né legge, sopra di sé.
Quando propose e creò la Comunità del carbone e dell’acciaio, Jean Monnet spiegò il ragionamento che lo aveva ispirato: «Quando si guarda al passato e si prende coscienza dell’enorme disastro che gli europei hanno provocato a se stessi negli ultimi due secoli, si rimane letteralmente annichiliti. Il motivo è molto semplice: ciascuno ha cercato di realizzare il suo destino, o quello che credeva essere il suo destino, applicando le proprie regole». Fu grazie a questa consapevolezza che l’unità degli europei divenne un modello, e per gran parte del mondo ancora lo è: dalle stragi etniche o razziali, dagli scontri fra culture o religioni, si esce solo se gli Stati nazione smettono l’illusione di bastare a se stessi – la regola della sovranità assoluta – e creano comuni istituzioni politiche che realizzino il destino di più paesi associati, non di uno soltanto. In Asia, in Medio Oriente, il metodo comunitario resta la via aurea per superare i nazionalismi: molto più della solitaria potenza americana.
Fu una sorta di conversione, quella sperimentata dagli Europei. Al posto dello sguardo nazionale, lo sguardo cosmopolita; al posto dei trattati fra Stati, un’unione sin da principio parzialmente federale, cui le vecchie sovranità assolute venivano delegate. L’Europa è un sogno antico, ma è nel ’900 che diventa progetto pratico, necessità, dando vita a un’istituzione statuale. Un’istituzione che affianca Stati che si riconoscono non solo fallibili ma pericolosi per se stessi, se consegnati alle dismisure nazionaliste. Solo dopo la propria guerra dei trent’anni (quella che dal 1914 va al 1945) il continente scopre che non basta deporre le armi ma che urge capire perché insorgono i conflitti di sangue. «Insorgono a causa della facilità con cui gli Stati rimettono in causa il funzionamento delle loro istituzioni», disse ancora Monnet. Bene saperlo fin d’ora: le guerre divorano le democrazie, ma è il degradare delle democrazie e delle loro istituzioni che getta popoli senza più nocchieri nelle guerre.
Si trattava dunque di cessare i conflitti bellici e al tempo stesso di ridar forza alle istituzioni, di renderle meno discontinue. L’unità nasce dicendo no ai nazionalismi ma anche a quel che li fa impazzire: la povertà, la democrazia corrosa, il rarefarsi dello Stato di diritto prima ancora che dei diritti umani.
Conferito in questi giorni, il premio è singolare. Quasi sembra che faccia dell’ironia, anche se difficilmente immaginiamo una giuria ironica. È come se non suggellasse un progresso, ma indicasse come rischiamo di perderlo. Mostra quel che l’Europa ha voluto essere, e non è ancora o non è più. Gli scontri sull’euro, la Grecia trasformata in capro espiatorio, il peso abnorme di un solo Stato (Germania): non è l’unione cui si è aspirato per decenni, ma una costruzione che si decostruisce e arretra invece di completarsi. È come se la giuria ci dicesse, fra le righe: «Voi europei avete inventato qualcosa di grande, ma non siete all’altezza di quel che oggi premiamo. Siete una terra promessa, ma voi abitate ancora il deserto come gli ebrei fuggiti dall’Egitto». Se l’Europa si compiacerà del premio vorrà dire che dell’evento avrà visto solo la superficie celebrativa, non il caos che ribolle sotto la superficie.
Un premio così non si riceve soltanto. Lo si medita, lo si interroga, come nella Grecia antica s’interpellava l’oracolo di Delfi. Anche perché il responso non muta, nei millenni: conosci te stesso, ripeterà. Conosci il tradimento delle promesse iniziali e il ridicolo delle tue apoteosi. Prova a capire come mai l’Unione non sveglia più speranze ma diffidenza, paura, a volte ribrezzo.
Rimasta a metà cammino, l’Europa non è ancora l’istituzione sovranazionale che preserva la democrazia e lo Stato sociale. Viene identificata con uno dei suoi
mezzi – l’euro – come se la moneta e le misure fin qui congegnate fossero la sua
finalità, il suo orizzonte di civiltà. La fissazione sui piani di salvataggio finanziario e il rifiuto di ogni via alternativa hanno fatto perdere di vista la democrazia, e la solidarietà, e l’idea di un’Europa che, unita, diventa potenza nel mondo.
L’ideale sarebbe se l’Europa non andasse a prendere il premio, e comunicasse al Comitato Nobel che i propri cittadini (non gli Stati, ben poco meritevoli) verranno a ritirarlo quando l’opera sarà davvero voluta, e di conseguenza compiuta. Quando avremo finalmente una Costituzione che – come nella Federazione americana – cominci con le parole «Noi, cittadini….». Quando ci si rimetterà all’opera, e ci si spoglierà della noia di ricominciare la storia. I sotterfugi tecnici non durano: durano solo le istituzioni. La svolta è politica, mentale, e proprio come nel 1945, è la massima di sant’Agostino che toccherà adottare:
Factus eram ipse mihi magna quaestio – Io stesso ero divenuto per me un grosso problema, e un grosso enigma.
La Repubblica 13.10.12

La classe non è acqua

Gli studenti scendono in piazza in tutta Italia, ma questa volta insieme ai professori. Cento cortei per protestare contro le misure del governo che taglia posti di lavoro e penalizza i precari. “Il governo ascolti le ragioni della protesta e dia risposte concrete ad insegnanti e studenti”. E’ il monito di Francesca Puglisi, responsabile Scuola del PD. “Il Partito democratico vuole bene alla scuola pubblica e la difende – ha aggiunto – non voterà mai i nuovi tagli all’istruzione contenuti nella legge di stabilità. Il contributo di generosità venga chiesto stavolta a chi non ha mai pagato la crisi. Lo scambio tra ferie e giorni di lavoro in più è una truffa per licenziare altri insegnanti”.

Sul concorso pubblico indetto dal ministro della Scuola, Puglisi ha dichiarato: “Avevamo chiesto che il concorso fosse bandito esclusivamente sulle classi di concorso esaurite o in via di esaurimento così, invece, si trasforma in una lotta fra precari e non in una apertura di credito verso i giovani. Ora serve un nuovo piano pluriennale di esaurimento delle graduatorie per eliminare la precarietà dalla scuola e offrire la necessaria continuità didattica agli studenti”.

Riguardo la proposta di Legge Aprea (953), che prende il nome dall’omonima deputata forzista Valentina Aprea, la responsabile Scuola ha le idee chiare: “La 953 non è ancora legge. Siamo consapevoli dei nodi ancora da sciogliere, per questo chiederemo di aprire nuove consultazioni con l’associazionismo scolastico per le necessarie modifiche, ma basta con le bugie: è grazie alla battaglia dei parlamentari PD se la chiamata diretta è stata stralciata e le scuole non possono più essere trasformate in fondazioni”.

Nell’intervento su L’Unità di ieri: “Ancora bastonate agli insegnanti”, Puglisi aveva denunciato che “si profila un nuovo taglio di circa 6500 posti di lavoro e di 183.000 di euro, ottenuti facendo lavorare più ore gli insegnanti di sostegno delle scuole secondarie e facendo utilizzare durante l’anno scolastico le ore estive a disposizione degli insegnanti, a contratto invariato”.

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“Ho la sensazione che al ministro Profumo occorra una pausa di riflessione per tenere sulla scuola una linea sobria, che non lo porti improvvisamente ad avere una rivolta di tutti contro tutto”. Beppe Fioroni ha messo così in guardia il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo sui rischi delle misure annunciate sulla scuola.

“Dopo avere sollevato – ha sostenuto Fioroni – un caso sull’ora di religione,Profumo passa a confondere le scuole paritarie cattoliche con i diplomifici e ipotizza di legare l’iscrizione alla residenzialità e non alla scelta formativa. Questo è un vulnus costituzionale”.

Duro poi l’esponente del PD sulla riforma dell’orario dei docenti: “Invece che pagare gli scatti di anzianità bloccati da tre anni da pastoie burocratiche e risolvere i tagli con poche ore di supplenza ipotizza di aumentare di un terzo le ore di servizio a parità di remunerazione”.

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“Se dovessero permanere i provvedimenti previsti dalla legge di stabilità non sarà solo il cielo ad essere oscurato, ma anche il
futuro della scuola”, dichiarato Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei deputati.

“Negli ultimi 15 anni alla scuola è già stato chiesto tanto: tantissimo in termini finanziari, con la sensibile riduzione di risorse per il funzionamento e per gli organici, tantissimo ai lavoratori, il cui contratto non è rinnovato e gli scatti stipendiali sono congelati. È stato chiesto troppo per pensare di non comprometterne il funzionamento, a scapito della qualità offerta agli studenti. Neppure in una fase recessiva – ha proseguito Ghizzoni – si può pensare di venir meno ad un diritto costituzionalmente sancito come il diritto allo studio: proprio in un momento di crisi il dovere della politica è garantire un futuro luminoso almeno ai giovani. È dunque auspicabile – ha concluso la presidente Ghizzoni – un ripensamento del governo, in caso contrario sarà il Parlamento, che può e deve svolgere il suo ruolo in autonomia dagli altri poteri dello Stato, a sanare una situazione divenuta insostenibile per gli insegnanti, per gli studenti e per la scuola tutta.”

da www.partitodemocratico.it

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“24 ore settimanali e 15 giorni in più di ferie. Ecco le norme che fanno discutere”, da Tuttoscuola.it

La legge di stabilità, secondo una bozza diffusa dai sindacati in attesa di definitiva convalida, prevede che “ dal 10 settembre 2013 l’orario di servizio del personale docente della scuola primaria e secondaria di primo e di secondo grado, incluso quello di sostegno, è di 24 ore settimanali. Nelle sei ore eccedenti l’orario di cattedra il personale docente non di sostegno della scuola secondaria titolare su posto comune è utilizzato per la copertura di spezzoni orario disponibili nell’istituzione scolastica di titolarità e per l’attribuzione di supplenze temporanee per tutte le classi di concorso per cui abbia titolo nonché per posti di sostegno, purché in possesso del relativo diploma di specializzazione. Le 24 ore di servizio del personale docente di sostegno sono dedicate interamente ad attività di sostegno ”.

Per quanto riguarda le ferie la bozza stabilisce anche che “ il periodo di ferie retribuito del personale docente di tutti i gradi di istruzione è incrementato di 15 giorni su base annua. Il personale docente fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali ad esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attività valutative. Durante la rimanente parte dell’anno la fruizione delle ferie è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche” .
Contro queste norme, se saranno confermate, il Codacons e l’Anief hanno già preannunciato il ricorso alla Corte costituzionale.

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“Monti inciampa sulla scuola”, di Anna Maria Bellesia da La Tecnica della scuola

Basta leggere le ultime news per capire che con l’attuale legge di stabilità nel settore scuola il governo Monti ha superato il segno. È un fuoco incrociato da tutti i fronti. La parola più ricorrente è “follia”, quella più leggera “gravissimo” o “irresponsabile”. L’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso e provocato un sollevamento generale è l’“atto di generosità”, per dirla con le parole del ministro Profumo, chiesto/imposto ai docenti della secondaria, ovvero l’aumento per legge di 6 ore dell’orario di lavoro a parità di stipendio, anzi con la prospettiva realistica di una decurtazione per chi volesse continuare l’orario vigente. Una gran bella pensata che ci avvicina alla Grecia e che dimostra quanto sia tenuto in conto il settore istruzione e chi ci lavora.
Ad aprire il fuoco ha cominciato la Cgil, già protagonista dello sciopero del 12 ottobre, che accusa il Governo di difendere solo gli interessi delle banche e della speculazione finanziaria, affossando i diritti dei lavoratori e lo stato sociale. Nella scuola – dice la Cgil – non sono bastati gli otto miliardi della legge 133/2008, i continui interventi legislativi, il blocco dei contratti e degli scatti di anzianità, la cancellazione della indennità di vacanza contrattuale, adesso “ siamo all’accanimento e alla barbarie ”.
D’altra parte, è di ieri il comunicato con cui il “moderato” Marco Nigi, segretario generale dello Snals-Confsal, ha esordito dicendo “ Basta alla follia di questo governo e al suo disprezzo per scuola e insegnanti ”. La Cisl non è da meno: “ Il Governo e il Ministro dell’Istruzione stanno dando in queste ore una prova di irresponsabilità che lascia allibiti ”. “ È fuori da ogni immaginazione la superficialità con cui si mette mano all’orario di servizio dei docenti ”. In effetti neppure Brunetta, con le sue norme imperative, si era intromesso nella materia specificamente contrattuale della definizione dell’orario di lavoro. “ La Cisl – continua il comunicato – è un sindacato serio e responsabile, esige che lo siano anche i suoi interlocutori, a partire dal Ministro ”.
Da parte della Uil, ci si augura che sull’orario di lavoro dei docenti non ci sia un “ impazzimento ”. Mentre la Gilda degli insegnanti parla di un “ vero e proprio abuso ”.
Insomma parole quanto mai dure. Se seguiranno i fatti, con un fronte sindacale compatto, il Governo avrebbe da temere, non tanto per l’affossamento delle norme di stabilità proposte, quanto per la stabilità stessa di chi governa il Ministero.
La Scuola è sempre stata un settore insidioso per i Governi. Non a caso l’ex ministro Fioroni a Profumo gliel’ha già detto: occorre una pausa di riflessione, oppure sarà rivolta di tutti contro tutti.
Intanto in sede parlamentare si moltiplicano gli altolà da parte del Pd. Da Francesca Puglisi, responsabile scuola del partito, alla senatrice Mariangela Bastico, per finire con Rosi Bindi, presidente del Pd e vicepresidente della Camera, si annuncia l’indisponibilità a votare “ tagli mascherati e misure che disattendono i legittimi diritti degli insegnanti ”. In effetti, risulta difficile oggi per il Pd avvallare quanto prospettato con l’ultima manovra finanziaria (bis, ter o quater?) soprannominata “legge di stabilità”, come quella di prima si chiamava “spending review”, giusto per far dimenticare agli italiani le rassicurazioni ripetute più volte da Monti che “ non ci saranno altre manovre ”.
Su una cosa tuttavia il ministro Profumo ha ragione: “ in Italia ci vuole più bastone che carota ”, ma è ora che il bastone vada a colpire dove serve davvero.

La Tecnica della Scuola 13.10.12

Legge stabilità: Pd "no ennesimo scippo a sistema scolastico"

“Siamo solidali con i lavoratori del mondo e con gli studenti che oggi hanno manifestato in tutta Italia contro i tagli che il governo vorrebbe ancora infliggere alla scuola. La scuola ha gia’ dato, fin troppo, e si trova adesso in una situazione molto complessa e difficile. I dati dell’Ocse parlano chiaro: siamo il fanalino di coda del mondo occidentale in termini di investimento in istruzione. Questa situazione va ribaltata, per questo chiediamo con forza al ministro Profumo di non sottovalutare le ragioni della protesta e ripensare le norme nella legge di stabilita’. E’ chiaro che noi non le voteremo, le consideriamo un vero e proprio colpo di mano, l’ennesimo scippo al nostro sistema di istruzione”. Cosi’ la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della Camera, Maria Coscia.

Legge stabilità: Pd "no ennesimo scippo a sistema scolastico"

“Siamo solidali con i lavoratori del mondo e con gli studenti che oggi hanno manifestato in tutta Italia contro i tagli che il governo vorrebbe ancora infliggere alla scuola. La scuola ha gia’ dato, fin troppo, e si trova adesso in una situazione molto complessa e difficile. I dati dell’Ocse parlano chiaro: siamo il fanalino di coda del mondo occidentale in termini di investimento in istruzione. Questa situazione va ribaltata, per questo chiediamo con forza al ministro Profumo di non sottovalutare le ragioni della protesta e ripensare le norme nella legge di stabilita’. E’ chiaro che noi non le voteremo, le consideriamo un vero e proprio colpo di mano, l’ennesimo scippo al nostro sistema di istruzione”. Cosi’ la capogruppo del Pd nella commissione Cultura della Camera, Maria Coscia.

"Il PD pronto ad opporsi contro l'ennesima batosta dell'orario di lavoro da 18 a 24 ore", di Giuseppe Grasso

Dopo il “no” a votare l’aumento del carico di lavoro ai professori, contenuto nella Legge di stabilità, di Rosy Bindi e di Tonino Russo, arriva anche quello di Manuela Ghizzioni e di Dario Franceschini. L’ultimo attacco alla scuola pubblica è stato assestato dal governo Monti. Si legge in una bozza della prossima legge di stabilità che riguarda la scuola – e che è stata pubblicata su più quotidiani on line di settore – che «a decorrere dal 10 settembre 2013 l’orario di servizio del personale docente della scuola primaria e secondaria di primo e di secondo grado, incluso quello di sostegno, è di 24 ore settimanali».
Poi si aggiunge, per soprammercato, che nelle «sei ore eccedenti l’orario di cattedra il personale docente non di sostegno della scuola secondaria titolare su posto comune è utilizzato per la copertura di spezzoni orario disponibili nell’istituzione scolastica di titolarità e per l’attribuzione di supplenze temporanee per tutte le classi di concorso per cui abbia titolo nonché per posti di sostegno, purché in possesso del relativo diploma di specializzazione». Il che vuol dire che i titolari di cattedra con un orario di lavoro di 18 ore, sancito da un Contatto Nazionale Collettivo, dovranno lavorarne fino a 24 a parità di salari per andare a coprire gli «spezzoni» che si renderanno disponibili per ogni classe di concorso per la quale abbiano il titolo.
Non è una boutade né uno scherzo di cattivo gusto. È, stando alle notizie fin qui comunicate, e sperando siano speciose o che vengano al più presto corrette, una notizia caratterizzata giuridicamente che mira a tagliare, se ce ne fosse ancora bisogno, proprio quel settore che ha contribuito a dare più di altri del pubblico impiego negli ultimi decenni. L’ultimo tentativo di revisione della spesa fra i più penalizzanti e irrispettosi per la scuola statale.
È ignominioso che si possa solo minimamente pensare di aumentare di un terzo il carico del lavoro dei professionisti della conoscenza – il che richiederebbe almeno 500/600 euro come controvalore – con i 15 miseri giorni di ferie offerti a compensazione. Le motivazioni che hanno condotto a congegnare un simile, farraginoso provvedimento non sono difficili da intendere. Il provvedimento non è stato guidato da nobili intenti pedagogici ma dal semplice motivo che questo governo deve far cassa e lo fa sempre con gli stessi modi insolenti che ha usato finora per smantellare lo stato sociale.
La bozza, già di per sé lesiva per principio, contiene anche una sorpresina per il prossimo Natale, una sorta di controvalore non in denaro ma in giorni di ferie. Per quanto riguarda «il periodo di ferie retribuito del personale docente di tutti i gradi di istruzione», si legge infatti nella bozza di legge, questo viene «incrementato di 15 giorni su base annua». E già, perché l’esoso provvedimento non manca di contemplare, con tanta industriosa munificenza, anche un cadeau di non poco conto.
Il discorso appare abbastanza chiaro. Si tratta di un ulteriore, offensivo espediente consumato in silenzio, senza alcuna concertazione con il mondo sindacale o politico, contro i lavoratori della conoscenza. Come è possibile far calare dall’alto, senza il consenso delle parti sociali e bypassando il Contratto Collettivo Nazionale, un simile artificio che oltraggia e demotiva i lavoratori che ne sono interessati? Non si era forse detto che la scuola aveva già dato e che era tempo, per lei, di ricevere? Ecco i risultati, che sono del tutto sconsolanti e ingiuriosi. Ecco le risposte del governo tecnico alla richiesta, ribadita da più partiti, anche fra quelli che lo sostengono, di investire in cultura e istruzione. Se così stanno veramente le cose, oggi sarebbe un giorno brutto per nostro paese. Siamo in Italia, infatti, non in Francia o in Germania, dove si fa a gara per investire in scuola e cultura.
Ma qualcosa, nel frattempo, si è mosso per il mondo dell’educazione. Dobbiamo infatti registrare un intervento incisivo di poco fa, diramato dall’Ansa e firmato da Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura alla Camera, nel quale si criticano aspramente gli ultimi provvedimenti emanati e si ribadisce con forza che, con simili azioni legislative, è a rischio il «futuro» dell’istruzione pubblica. «Se dovessero permanere i provvedimenti previsti dalla legge di stabilità – scrive la deputata democratica – non sarà solo il cielo ad essere oscurato, ma anche il futuro della scuola».
La quale poi continua, con spirito combattivo e con toni anche aspri contro il governo, con queste significative asserzioni: «Negli ultimi 15 anni alla scuola è già stato chiesto tanto: tantissimo in termini finanziari, con la sensibile riduzione di risorse per il funzionamento e per gli organici, tantissimo ai lavoratori, il cui contratto non è rinnovato e gli scatti stipendiali sono congelati. È stato chiesto troppo per pensare di non comprometterne il funzionamento, a scapito della qualità offerta agli studenti. Neppure in una fase recessiva si può pensare di venir meno ad un diritto costituzionalmente sancito come il diritto allo studio: proprio in un momento di crisi il dovere della politica è garantire un futuro luminoso almeno ai giovani.
È dunque auspicabile un ripensamento del governo, in caso contrario sarà il Parlamento, che può e deve svolgere il suo ruolo in autonomia dagli altri poteri dello Stato, a sanare una situazione divenuta insostenibile per gli insegnanti, per gli studenti e per la scuola tutta».
L’impegno e la passione civile profusi da Manuela Ghizzoni al servizio della scuola – dimostrati anche nei confronti dei pensionandi di Quota 96 – sono fuori discussione e dovrebbero servire a dissipare, proprio nel giorno dello sciopero contro il governo Monti, voluto dalla Cgil, i tanti malumori che si trascinano rischiando di far esplodere una democrazia già così tanto provata. È chiaro che una dichiarazione di questo tenore e di questa responsabilità politica può servire a tranquillizzare gli animi dei lavoratori della conoscenza ma non può bastare. Essa deve essere accompagnata da un necessario e denso dibattito all’interno del Pd che porti ad un nuovo corso etico/sociale di cambiamento. La dichiarazione di Dario Franceschini, diramata anch’essa poco fa da Pdnews, lascia ben sperare: «In Italia il potere legislativo è ancora del parlamento. La legge di stabilità non è equa, dalla parte fiscale alla scuola. La cambieremo».

La Tecnica della Scuola.it

"Il PD pronto ad opporsi contro l'ennesima batosta dell'orario di lavoro da 18 a 24 ore", di Giuseppe Grasso

Dopo il “no” a votare l’aumento del carico di lavoro ai professori, contenuto nella Legge di stabilità, di Rosy Bindi e di Tonino Russo, arriva anche quello di Manuela Ghizzioni e di Dario Franceschini. L’ultimo attacco alla scuola pubblica è stato assestato dal governo Monti. Si legge in una bozza della prossima legge di stabilità che riguarda la scuola – e che è stata pubblicata su più quotidiani on line di settore – che «a decorrere dal 10 settembre 2013 l’orario di servizio del personale docente della scuola primaria e secondaria di primo e di secondo grado, incluso quello di sostegno, è di 24 ore settimanali».
Poi si aggiunge, per soprammercato, che nelle «sei ore eccedenti l’orario di cattedra il personale docente non di sostegno della scuola secondaria titolare su posto comune è utilizzato per la copertura di spezzoni orario disponibili nell’istituzione scolastica di titolarità e per l’attribuzione di supplenze temporanee per tutte le classi di concorso per cui abbia titolo nonché per posti di sostegno, purché in possesso del relativo diploma di specializzazione». Il che vuol dire che i titolari di cattedra con un orario di lavoro di 18 ore, sancito da un Contatto Nazionale Collettivo, dovranno lavorarne fino a 24 a parità di salari per andare a coprire gli «spezzoni» che si renderanno disponibili per ogni classe di concorso per la quale abbiano il titolo.
Non è una boutade né uno scherzo di cattivo gusto. È, stando alle notizie fin qui comunicate, e sperando siano speciose o che vengano al più presto corrette, una notizia caratterizzata giuridicamente che mira a tagliare, se ce ne fosse ancora bisogno, proprio quel settore che ha contribuito a dare più di altri del pubblico impiego negli ultimi decenni. L’ultimo tentativo di revisione della spesa fra i più penalizzanti e irrispettosi per la scuola statale.
È ignominioso che si possa solo minimamente pensare di aumentare di un terzo il carico del lavoro dei professionisti della conoscenza – il che richiederebbe almeno 500/600 euro come controvalore – con i 15 miseri giorni di ferie offerti a compensazione. Le motivazioni che hanno condotto a congegnare un simile, farraginoso provvedimento non sono difficili da intendere. Il provvedimento non è stato guidato da nobili intenti pedagogici ma dal semplice motivo che questo governo deve far cassa e lo fa sempre con gli stessi modi insolenti che ha usato finora per smantellare lo stato sociale.
La bozza, già di per sé lesiva per principio, contiene anche una sorpresina per il prossimo Natale, una sorta di controvalore non in denaro ma in giorni di ferie. Per quanto riguarda «il periodo di ferie retribuito del personale docente di tutti i gradi di istruzione», si legge infatti nella bozza di legge, questo viene «incrementato di 15 giorni su base annua». E già, perché l’esoso provvedimento non manca di contemplare, con tanta industriosa munificenza, anche un cadeau di non poco conto.
Il discorso appare abbastanza chiaro. Si tratta di un ulteriore, offensivo espediente consumato in silenzio, senza alcuna concertazione con il mondo sindacale o politico, contro i lavoratori della conoscenza. Come è possibile far calare dall’alto, senza il consenso delle parti sociali e bypassando il Contratto Collettivo Nazionale, un simile artificio che oltraggia e demotiva i lavoratori che ne sono interessati? Non si era forse detto che la scuola aveva già dato e che era tempo, per lei, di ricevere? Ecco i risultati, che sono del tutto sconsolanti e ingiuriosi. Ecco le risposte del governo tecnico alla richiesta, ribadita da più partiti, anche fra quelli che lo sostengono, di investire in cultura e istruzione. Se così stanno veramente le cose, oggi sarebbe un giorno brutto per nostro paese. Siamo in Italia, infatti, non in Francia o in Germania, dove si fa a gara per investire in scuola e cultura.
Ma qualcosa, nel frattempo, si è mosso per il mondo dell’educazione. Dobbiamo infatti registrare un intervento incisivo di poco fa, diramato dall’Ansa e firmato da Manuela Ghizzoni, Presidente della Commissione Cultura alla Camera, nel quale si criticano aspramente gli ultimi provvedimenti emanati e si ribadisce con forza che, con simili azioni legislative, è a rischio il «futuro» dell’istruzione pubblica. «Se dovessero permanere i provvedimenti previsti dalla legge di stabilità – scrive la deputata democratica – non sarà solo il cielo ad essere oscurato, ma anche il futuro della scuola».
La quale poi continua, con spirito combattivo e con toni anche aspri contro il governo, con queste significative asserzioni: «Negli ultimi 15 anni alla scuola è già stato chiesto tanto: tantissimo in termini finanziari, con la sensibile riduzione di risorse per il funzionamento e per gli organici, tantissimo ai lavoratori, il cui contratto non è rinnovato e gli scatti stipendiali sono congelati. È stato chiesto troppo per pensare di non comprometterne il funzionamento, a scapito della qualità offerta agli studenti. Neppure in una fase recessiva si può pensare di venir meno ad un diritto costituzionalmente sancito come il diritto allo studio: proprio in un momento di crisi il dovere della politica è garantire un futuro luminoso almeno ai giovani.
È dunque auspicabile un ripensamento del governo, in caso contrario sarà il Parlamento, che può e deve svolgere il suo ruolo in autonomia dagli altri poteri dello Stato, a sanare una situazione divenuta insostenibile per gli insegnanti, per gli studenti e per la scuola tutta».
L’impegno e la passione civile profusi da Manuela Ghizzoni al servizio della scuola – dimostrati anche nei confronti dei pensionandi di Quota 96 – sono fuori discussione e dovrebbero servire a dissipare, proprio nel giorno dello sciopero contro il governo Monti, voluto dalla Cgil, i tanti malumori che si trascinano rischiando di far esplodere una democrazia già così tanto provata. È chiaro che una dichiarazione di questo tenore e di questa responsabilità politica può servire a tranquillizzare gli animi dei lavoratori della conoscenza ma non può bastare. Essa deve essere accompagnata da un necessario e denso dibattito all’interno del Pd che porti ad un nuovo corso etico/sociale di cambiamento. La dichiarazione di Dario Franceschini, diramata anch’essa poco fa da Pdnews, lascia ben sperare: «In Italia il potere legislativo è ancora del parlamento. La legge di stabilità non è equa, dalla parte fiscale alla scuola. La cambieremo».
La Tecnica della Scuola.it