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"A Isernia 7 persone condannate per aver cantato «Bella ciao», in Abruzzo strade intestate a gerarchi, e a Catanzaro…", di Roberto Rossi

Scriveva Luis Sepulveda che «un popolo senza memoria è un popolo senza futuro». La memoria aggrega, è il collante che unisce generazioni, la memoria è la base della storia e del civismo. Ma in Italia la memoria spesso cambia forma, muta la sua pelle, si plasma a seconda della forma e dei contesti. Lascia spazio, alle volte, a rigurgiti di nostalgia che in politica trovano terreno nei movimenti che si rifanno al fascismo. Che non solo vengono tollerati, ma che spesso sono incoraggiati anche dai pubblici amministratori e ufficiali.Come è successo a Isernia. Dove fra qualche settimana si discuterà l’appello contro una strana sentenza di condanna di cinque uomini e due donne avvenuta il 5 maggio scorso. Strana non tanto per l’entità della pena, otto giorni di reclusione poi trasformati in un’ammenda da 1350 euro per ciascun imputato, quanto per le aggravanti.
I fatti, in breve. Il 27 ottobre del 2011 nella città molisana si confrontano due gruppi. Da una parte Casa Pound e Gioventù Italiana del Molise, movimenti di estrema destra, dall’altra il Comitato antifascista molisano. Quest’ultimo protesta contro la decisione della Amministrazione provinciale di concedere l’uso di una sala pubblica «alle associazioni neofasciste» che hanno organizzato un incontro pubblico. Per questo chiede e ottiene il permesso dalla questura di poter organizzare un sit in davanti al palazzo della Provincia. C’è forte tensione quel giorno. Alimentata anche dai giornali locali che ipotizzano l’arrivo di black block. Eppure tutto fila liscio. Le disposizioni del comitato per l’Ordine pubblico sono rispettate alla lettera fino a quando un gruppo di antifascisti, circa quaranta, si stacca dal sit-in. Ma fanno pochi metri. Fronteggiati dalla polizia desistono e se ne vanno via cantando. I gruppi, dunque, non vengono a contatto. Ma tanto basta perché la questura identifichi sette del Comitato e li porti davanti a un giudice. La colpa? Aver disatteso le disposizioni della questura, con le aggravanti di aver gridato, come scrive il procuratore Federico Scioli nella richiesta di condanna, «slogan del tipo “il Molise è antifascista” e intonato la canzone “Bella Ciao”».
«Dunque dice il giuslavorista Carlo Smuraglia, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia nulla è successo se non che un gruppo di manifestanti si era appena mosso e soprattutto aveva cantato, ahimè, Bella Ciao». Ad Isernia, sostiene ancora Smuraglia, «lo Stato dimostra tolleranza per un movimento di fascisti sedicenti “del terzo millennio”, che in quanto tali sarebbero fuori dalla Costituzione, e poi fa la faccia feroce con gli antifascisti che protestano senza aver compiuto alcun atto di rilevanza penale». Ma in Molise non è solo senza memoria il giudice che ha condannato sette persone per aver cantato una canzone partigiana, non ricordando per altro che l’ideologia fascista in Italia è pur sempre un reato, ma anche la Regione e il suo presidente Michele Iorio. Il quale, il sette agosto scorso, si è affrettato ad assicurare il patrocinio del Molise, come si evince da una nota della presidenza con tanto di numero di protocollo, alla manifestazione commemorativa su «X settembre ’43 Isernia bombardata» promossa lo scorso otto settembre ancora una volta da Casa Pound e Gioventù Italiana. Una manifestazione che ha visto la partecipazione, tra gli altri, anche di un esponente della repubblica fascista di Salò. «Tutto questo spiega ancora il presidente dell’Anpi che lo scorso 25 luglio ha lanciato da Gattico (Reggio Emilia) una campagna di contrasto al neo fascismo trova le sue radici nel fatto che il nostro Paese non ha mai fatto i conti con il proprio passato, non ha mai fatto conoscere e analizzato a fondo il fascismo ed è stato troppo tiepido di fronte ai continui attacchi di revisionismo».
Che come un fiume carsico ogni tanto ritrova la superficie. Il caso di Affile, piccolo comune romano, e del mausoleo dedicato al criminale di guerra Rodolfo Graziani e sovvenzionato dalla regione Lazio con 170mila euro, è solo l’ultimo dei tanti casi. In Abruzzo, ad esempio, regione che pure vanta una tradizione partigiana di spessore (la Brigata Maiella tanto per fare un nome) negli ultimi mesi sono stati segnalati due episodi di revisionismo singolari. Il primo è avvenuto nel comune di Castellafiume (L’Aquila) dove una strada della frazione Pagliara è stata dedicata a Cornelio Di Marzio. Nella targa, una delle poche presenti nel paese dove le vie sono scritte sui muri, si celebrano le sue presunti doti di scrittore e poeta. Ma si omette di dire che Di Marzio è stato uno dei personaggi di spicco del fascismo sia in Italia sia all’estero, e soprattutto che è stato uno dei 100 firmatari delle leggi razziali. E questo sicuramente ha caratterizzato la vita di Cornelio Di Marzio più di quanto i suoi scritti, che nessuno conosce, abbiano mai fatto.
LO ZIO FAMOSO
Tutti conoscono, invece, Gianni Letta, per anni consigliere di Berlusconi nonché sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Letta lo scorso luglio è diventato cittadino onorario di un paese della Marsica che si chiama Aielli. Un omaggio che il sindaco Benedetto Di Censo ha voluto fare alle origini di un politico di spessore. Un atto di ossequio anticipato il 20 agosto 2011 dalla stessa amministrazione comunale che aveva rinominato la piazza principale del paese, piazza Risorgimento, intitolandola a Guido Letta, zio di Gianni, e piazzando a futura e imperituria memoria anche un busto di marmo. Eppure Guido Letta non è conosciuto solo per i suoi rapporti di parentela con l’ex sottosegretario del Consiglio ma anche per essere stato uno dei più ardenti sostenitori del fascismo in Italia. Anche lui figura tra gli autori delle leggi razziali emanate nel 1938 che furono causa di deportazione per migliaia di ebrei e che recentemente Mario Monti ha definito «infami e atroci». Tra l’altro il prefetto Letta fu anche membro della segreteria particolare di Benito Mussolini, e in quanto tale intermediò con il sicario del deputato socialista Giacomo Matteotti, Amerigo Dumini. Inoltre aderì alla Repubblica di Salò, fu nominato console della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale e collaborò attivamente con i tedeschi tanto da meritare l’Ordine dell’Aquila Tedesca, una speciale onorificenza istituita da Hitler nel 1937 assegnata a soli 9 prefetti su 322.
Ma nel Paese senza memoria una menzione la merita anche il presidente della Provincia di Catanzaro Wanda Ferro, un passato nell’Msi, poi An e infine Pdl. Lo scorso 14 settembre ha concesso all’Associazione Furor la Sala Consiliare della Provincia per la presentazione del libro «L’aquila ed il condor» di Stefano Delle Chiaie, noto neofascista degli anni di piombo. Ma il presidente non si è solo limitata a questo, ignorando che Catanzaro è stata sede del processo per la Strage di Piazza Fontana, ma ha anche preso parte attiva alla presentazione del libro cimentandosi in una ricostruzione particolare della storia, definendo quella della Resistenza, la lotta di liberazione dal nazifascismo, «una chiara manipolazione della verità».
«La presentazione del libro di Delle Chiaie, l’ospitalità e la presenza di Wanda Ferro all’iniziativa è un episodio che conferma le tendenze nostalgiche del presidente della Provincia di Catanzaro» spiega in una nota il segretario generale della Cgil di Catanzaro, Giuseppe Valentino. Tra l’altro il presidente Ferro fino a qualche tempo fa era affiancata nella sua giunta da Natale Giaimo segretario provinciale de «La Destra Fiamma tricolore», lo stesso che lo scorso agosto ha promosso il raduno presso la statua della Madonna a Monte Covello, eretta nel 1939 per osannare le gesta del regime dopo la costruzione della strada che da Girifalco porta alla montagna, in ricordo dei «martiri» fascisti.

L’Unità 09.10.12

"A Isernia 7 persone condannate per aver cantato «Bella ciao», in Abruzzo strade intestate a gerarchi, e a Catanzaro…", di Roberto Rossi

Scriveva Luis Sepulveda che «un popolo senza memoria è un popolo senza futuro». La memoria aggrega, è il collante che unisce generazioni, la memoria è la base della storia e del civismo. Ma in Italia la memoria spesso cambia forma, muta la sua pelle, si plasma a seconda della forma e dei contesti. Lascia spazio, alle volte, a rigurgiti di nostalgia che in politica trovano terreno nei movimenti che si rifanno al fascismo. Che non solo vengono tollerati, ma che spesso sono incoraggiati anche dai pubblici amministratori e ufficiali.Come è successo a Isernia. Dove fra qualche settimana si discuterà l’appello contro una strana sentenza di condanna di cinque uomini e due donne avvenuta il 5 maggio scorso. Strana non tanto per l’entità della pena, otto giorni di reclusione poi trasformati in un’ammenda da 1350 euro per ciascun imputato, quanto per le aggravanti.
I fatti, in breve. Il 27 ottobre del 2011 nella città molisana si confrontano due gruppi. Da una parte Casa Pound e Gioventù Italiana del Molise, movimenti di estrema destra, dall’altra il Comitato antifascista molisano. Quest’ultimo protesta contro la decisione della Amministrazione provinciale di concedere l’uso di una sala pubblica «alle associazioni neofasciste» che hanno organizzato un incontro pubblico. Per questo chiede e ottiene il permesso dalla questura di poter organizzare un sit in davanti al palazzo della Provincia. C’è forte tensione quel giorno. Alimentata anche dai giornali locali che ipotizzano l’arrivo di black block. Eppure tutto fila liscio. Le disposizioni del comitato per l’Ordine pubblico sono rispettate alla lettera fino a quando un gruppo di antifascisti, circa quaranta, si stacca dal sit-in. Ma fanno pochi metri. Fronteggiati dalla polizia desistono e se ne vanno via cantando. I gruppi, dunque, non vengono a contatto. Ma tanto basta perché la questura identifichi sette del Comitato e li porti davanti a un giudice. La colpa? Aver disatteso le disposizioni della questura, con le aggravanti di aver gridato, come scrive il procuratore Federico Scioli nella richiesta di condanna, «slogan del tipo “il Molise è antifascista” e intonato la canzone “Bella Ciao”».
«Dunque dice il giuslavorista Carlo Smuraglia, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia nulla è successo se non che un gruppo di manifestanti si era appena mosso e soprattutto aveva cantato, ahimè, Bella Ciao». Ad Isernia, sostiene ancora Smuraglia, «lo Stato dimostra tolleranza per un movimento di fascisti sedicenti “del terzo millennio”, che in quanto tali sarebbero fuori dalla Costituzione, e poi fa la faccia feroce con gli antifascisti che protestano senza aver compiuto alcun atto di rilevanza penale». Ma in Molise non è solo senza memoria il giudice che ha condannato sette persone per aver cantato una canzone partigiana, non ricordando per altro che l’ideologia fascista in Italia è pur sempre un reato, ma anche la Regione e il suo presidente Michele Iorio. Il quale, il sette agosto scorso, si è affrettato ad assicurare il patrocinio del Molise, come si evince da una nota della presidenza con tanto di numero di protocollo, alla manifestazione commemorativa su «X settembre ’43 Isernia bombardata» promossa lo scorso otto settembre ancora una volta da Casa Pound e Gioventù Italiana. Una manifestazione che ha visto la partecipazione, tra gli altri, anche di un esponente della repubblica fascista di Salò. «Tutto questo spiega ancora il presidente dell’Anpi che lo scorso 25 luglio ha lanciato da Gattico (Reggio Emilia) una campagna di contrasto al neo fascismo trova le sue radici nel fatto che il nostro Paese non ha mai fatto i conti con il proprio passato, non ha mai fatto conoscere e analizzato a fondo il fascismo ed è stato troppo tiepido di fronte ai continui attacchi di revisionismo».
Che come un fiume carsico ogni tanto ritrova la superficie. Il caso di Affile, piccolo comune romano, e del mausoleo dedicato al criminale di guerra Rodolfo Graziani e sovvenzionato dalla regione Lazio con 170mila euro, è solo l’ultimo dei tanti casi. In Abruzzo, ad esempio, regione che pure vanta una tradizione partigiana di spessore (la Brigata Maiella tanto per fare un nome) negli ultimi mesi sono stati segnalati due episodi di revisionismo singolari. Il primo è avvenuto nel comune di Castellafiume (L’Aquila) dove una strada della frazione Pagliara è stata dedicata a Cornelio Di Marzio. Nella targa, una delle poche presenti nel paese dove le vie sono scritte sui muri, si celebrano le sue presunti doti di scrittore e poeta. Ma si omette di dire che Di Marzio è stato uno dei personaggi di spicco del fascismo sia in Italia sia all’estero, e soprattutto che è stato uno dei 100 firmatari delle leggi razziali. E questo sicuramente ha caratterizzato la vita di Cornelio Di Marzio più di quanto i suoi scritti, che nessuno conosce, abbiano mai fatto.
LO ZIO FAMOSO
Tutti conoscono, invece, Gianni Letta, per anni consigliere di Berlusconi nonché sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Letta lo scorso luglio è diventato cittadino onorario di un paese della Marsica che si chiama Aielli. Un omaggio che il sindaco Benedetto Di Censo ha voluto fare alle origini di un politico di spessore. Un atto di ossequio anticipato il 20 agosto 2011 dalla stessa amministrazione comunale che aveva rinominato la piazza principale del paese, piazza Risorgimento, intitolandola a Guido Letta, zio di Gianni, e piazzando a futura e imperituria memoria anche un busto di marmo. Eppure Guido Letta non è conosciuto solo per i suoi rapporti di parentela con l’ex sottosegretario del Consiglio ma anche per essere stato uno dei più ardenti sostenitori del fascismo in Italia. Anche lui figura tra gli autori delle leggi razziali emanate nel 1938 che furono causa di deportazione per migliaia di ebrei e che recentemente Mario Monti ha definito «infami e atroci». Tra l’altro il prefetto Letta fu anche membro della segreteria particolare di Benito Mussolini, e in quanto tale intermediò con il sicario del deputato socialista Giacomo Matteotti, Amerigo Dumini. Inoltre aderì alla Repubblica di Salò, fu nominato console della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale e collaborò attivamente con i tedeschi tanto da meritare l’Ordine dell’Aquila Tedesca, una speciale onorificenza istituita da Hitler nel 1937 assegnata a soli 9 prefetti su 322.
Ma nel Paese senza memoria una menzione la merita anche il presidente della Provincia di Catanzaro Wanda Ferro, un passato nell’Msi, poi An e infine Pdl. Lo scorso 14 settembre ha concesso all’Associazione Furor la Sala Consiliare della Provincia per la presentazione del libro «L’aquila ed il condor» di Stefano Delle Chiaie, noto neofascista degli anni di piombo. Ma il presidente non si è solo limitata a questo, ignorando che Catanzaro è stata sede del processo per la Strage di Piazza Fontana, ma ha anche preso parte attiva alla presentazione del libro cimentandosi in una ricostruzione particolare della storia, definendo quella della Resistenza, la lotta di liberazione dal nazifascismo, «una chiara manipolazione della verità».
«La presentazione del libro di Delle Chiaie, l’ospitalità e la presenza di Wanda Ferro all’iniziativa è un episodio che conferma le tendenze nostalgiche del presidente della Provincia di Catanzaro» spiega in una nota il segretario generale della Cgil di Catanzaro, Giuseppe Valentino. Tra l’altro il presidente Ferro fino a qualche tempo fa era affiancata nella sua giunta da Natale Giaimo segretario provinciale de «La Destra Fiamma tricolore», lo stesso che lo scorso agosto ha promosso il raduno presso la statua della Madonna a Monte Covello, eretta nel 1939 per osannare le gesta del regime dopo la costruzione della strada che da Girifalco porta alla montagna, in ricordo dei «martiri» fascisti.
L’Unità 09.10.12

"Vita da prof: dopo 20 anni di lavoro record di disturbi psichiatrici", di Flavia Amabile

I prof andranno in pensione più tardi come tutti in Italia ma sappiamo a che cosa andranno incontro i nostri figli? La risposta è nel primo studio condotto in Italia sui docenti inidonei e sulle loro malattie realizzato da Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista che dal 1998 si sta occupando del Disagio Mentale Professionale negli insegnanti con pubblicazioni dale cifre sempre più chiare.

Gli inidonei sono i professori che hanno un esonero dall’insegnamento per malattia e che fino all’anno scorso hanno lavorato in segreterie e biblioteche e che ora il governo ha deciso di declassare a bidelli. Quello che emerge dallo studio è l’alta incidenza di diagnosi psichiatriche (il 64%) a dispetto del fatto che quella dei prof è considerata una professione a mezzo servizio, come sottolinea Vittorio Lodolo D’Oria nello studio. Questo lavoro continuato per cinque giorni, nell’arco di nove mesi l’anno comporta un’usura psicofisica: l’87% delle diagnosi si riferisce a problemi ansioso-depressivi, il 13% si divide tra disturbi di personalità e psicosi.
Un altro dato interessante è l’anzianità di servizio media al momento della diagnosi, circa 20 anni di lavoro continuativi in cattedra.

Non ci sono differenze sostanziali tra le varie zone d’Italia a conferma del fatto che non si tratta di malattie inventate ma che colpiscono tutti, indistintamente: al Nord il 37%; al centro il 30%; Sud e Isole 33%.
Dati analoghi si ritrovano anche all’estero a conferma che l’usura si riferisce al lavoro e non è una delle solite anomalie italiane. I prof sono la categoria a maggior rischio suicidio in Francia mentre in Inghilterra il rischio di suicidi è al 40%. In Baviera uno studio mostra come la maggior parte dei pre-pensionamenti per malattia fra i prof sia dovuta a disturbi psichiatrici. “Questo studio – spiega Lodolo D’Oria – dimostra che le patologie psichiatriche accusate dai docenti inidonei debbono essere ritenute patologie professionali. Il problema, comune ad altre nazioni – dove viene però affrontato con risolutezza – vede un Governo italiano distratto, che non attua studi epidemiologici su base nazionale, non valuta la salute della categoria professionale prima di licenziare le riforme previdenziali, ma al contrario penalizza i docenti (l’82% di questi sono donne) che si ammalano (decreto Brunetta, abolizione della causa di servizio, spending review).

I provvedimenti fin qui adottati dal Governo sono stati quelli di: allungare l’età pensionabile dei docenti senza prima aver valutato lo stato di salute della categoria; trascurare ad ogni effetto la preponderante componente femminile tra i docenti (le donne sono l’ 82%) e la diversa suscettibilità delle lavoratrici di fronte al rischio delle patologie psichiatriche professionali come prevede anche la legge; cancellare la possibilità di dispensa dal servizio per gli inidonei permanentemente all’insegnamento; abolire la Causa di Servizio per la Pubblica Amministrazione col D.L. 201/11; collocare d’ufficio gli inidonei per motivi di salute nel ruolo amministrativo demansionandoli e dequalificandoli. Una sorta di accanimento – ai limiti dell’incostituzionalità – sui “deboli”, resi tali da malattie tra l’altro sviluppate durante il lavoro, dopo aver tolto loro anche la possibilità di richiedere un indennizzo a titolo di risarcimento”.

La Stampa 09.10.12

"Vita da prof: dopo 20 anni di lavoro record di disturbi psichiatrici", di Flavia Amabile

I prof andranno in pensione più tardi come tutti in Italia ma sappiamo a che cosa andranno incontro i nostri figli? La risposta è nel primo studio condotto in Italia sui docenti inidonei e sulle loro malattie realizzato da Vittorio Lodolo D’Oria, medico specialista che dal 1998 si sta occupando del Disagio Mentale Professionale negli insegnanti con pubblicazioni dale cifre sempre più chiare.
Gli inidonei sono i professori che hanno un esonero dall’insegnamento per malattia e che fino all’anno scorso hanno lavorato in segreterie e biblioteche e che ora il governo ha deciso di declassare a bidelli. Quello che emerge dallo studio è l’alta incidenza di diagnosi psichiatriche (il 64%) a dispetto del fatto che quella dei prof è considerata una professione a mezzo servizio, come sottolinea Vittorio Lodolo D’Oria nello studio. Questo lavoro continuato per cinque giorni, nell’arco di nove mesi l’anno comporta un’usura psicofisica: l’87% delle diagnosi si riferisce a problemi ansioso-depressivi, il 13% si divide tra disturbi di personalità e psicosi.
Un altro dato interessante è l’anzianità di servizio media al momento della diagnosi, circa 20 anni di lavoro continuativi in cattedra.
Non ci sono differenze sostanziali tra le varie zone d’Italia a conferma del fatto che non si tratta di malattie inventate ma che colpiscono tutti, indistintamente: al Nord il 37%; al centro il 30%; Sud e Isole 33%.
Dati analoghi si ritrovano anche all’estero a conferma che l’usura si riferisce al lavoro e non è una delle solite anomalie italiane. I prof sono la categoria a maggior rischio suicidio in Francia mentre in Inghilterra il rischio di suicidi è al 40%. In Baviera uno studio mostra come la maggior parte dei pre-pensionamenti per malattia fra i prof sia dovuta a disturbi psichiatrici. “Questo studio – spiega Lodolo D’Oria – dimostra che le patologie psichiatriche accusate dai docenti inidonei debbono essere ritenute patologie professionali. Il problema, comune ad altre nazioni – dove viene però affrontato con risolutezza – vede un Governo italiano distratto, che non attua studi epidemiologici su base nazionale, non valuta la salute della categoria professionale prima di licenziare le riforme previdenziali, ma al contrario penalizza i docenti (l’82% di questi sono donne) che si ammalano (decreto Brunetta, abolizione della causa di servizio, spending review).
I provvedimenti fin qui adottati dal Governo sono stati quelli di: allungare l’età pensionabile dei docenti senza prima aver valutato lo stato di salute della categoria; trascurare ad ogni effetto la preponderante componente femminile tra i docenti (le donne sono l’ 82%) e la diversa suscettibilità delle lavoratrici di fronte al rischio delle patologie psichiatriche professionali come prevede anche la legge; cancellare la possibilità di dispensa dal servizio per gli inidonei permanentemente all’insegnamento; abolire la Causa di Servizio per la Pubblica Amministrazione col D.L. 201/11; collocare d’ufficio gli inidonei per motivi di salute nel ruolo amministrativo demansionandoli e dequalificandoli. Una sorta di accanimento – ai limiti dell’incostituzionalità – sui “deboli”, resi tali da malattie tra l’altro sviluppate durante il lavoro, dopo aver tolto loro anche la possibilità di richiedere un indennizzo a titolo di risarcimento”.
La Stampa 09.10.12

Scuola DDL Aprea, Ghizzoni: infondato parlare di privatizzazione, si rafforzano autonomia istituti e partecipazione", di Alessandra Migliozzi

“Voglio rassicurare i docenti, gli studenti e i genitori. La cosiddetta legge Aprea, che e’ stata ampiamente rivista in questi mesi, non prevede alcuna privatizzazione o aziendalizzazione della scuola pubblica. Il testo originale e’ stato profondamente modificato. Quella che voteremo nelle prossime ore e’ una legge che riforma la governance degli istituti, ovvero gli organi di governo delle scuole, che ha al centro l’autonomia delle istituzioni scolastiche connessa alla loro responsabilita’”. Manuela Ghizzoni, deputata del Pd e presidente della commissione Cultura della Camera, illustra alla DIRE i contenuti del disegno di legge che mette in allarme studenti, insegnanti e genitori. Una legge che ha mantenuto negli anni il nome della ormai ex deputata Valentina Aprea, oggi assessore in Lombardia. Ma che nei suoi lunghi mesi di gestazione ha cambiato pelle, trasformandosi oggi nel provvedimento che, a distanza di oltre trent’anni dall’ultima modifica, rimette mano agli organi collegiali e di governo delle scuole. Aprendo ad una stagione di riscrittura delle regole interne degli istituti che, secondo Ghizzoni, “puo’ essere una stagione di nuovo protagonismo
della stessa comunita’ scolastica”. Genitori e studenti compresi.
D: “Onorevole, venerdi’ gli studenti scenderanno in piazza e fra i punti della contestazione c’e’ la ex legge Aprea, ovvero la riforma della governance delle scuole. Da piu’ parti si parla di eccessive aperture ai privati. Cosa risponde a queste preoccupazioni?”

R: “La legge non prevede privatizzazioni o aziendalizzazioni della scuola pubblica. Chi parla in questi termini dice una cosa priva di fondamento. Testo alla mano, la legge spiega che nel Consiglio dell’autonomia (che sostituira’ Consigli di istituto e di circolo, ndr) se i 2/3 dei componenti sono d’accordo possono entrare anche due esterni alla scuola, ma senza potere di voto. L’idea e’ quella di una scuola aperta alla comunita’. La legge indica nel dettaglio chi possono essere questi esterni: possono fare parte di realta’ culturali, di volontariato, sociali, produttive. Parlando con alcuni studenti emerge sempre la paura che arrivino capitani di impresa che, a fronte di finanziamenti forti, ad esempio per strutture o laboratori, possano poi chiedere modifiche dell’offerta formativa. Ma va detto chiaramente che quest’ultima e’ decisa dal Consiglio dei docenti. E che gli ambiti di autonomia di cui godranno le scuole devono comunque stare dentro il confine delle leggi nazionali”.

D: “Insomma, chi parla di possibilita’ di stravolgimenti dei programmi o delle abituali regole di reclutamento del personale sbaglia?”
R: “Per quanto riguarda i programmi, il finanziamento alle scuole, il reclutamento degli insegnanti restano assolutamente ferme le leggi nazionali. Gia’ oggi, per esempio, sull’offerta formativa le scuole hanno un margine di autonomia del 20% che consente di aplimarla e variarla. E quella restera’, senza
ulteriori cambiamenti”.

D: “E i finanziamenti dai privati? La legge li prevede”.

R: “Quelli si possono ricevere anche ora. Le scuole possono accettare anche lasciti e donazioni. E questa legge non prevede assolutamente un arretramento delle responsabilita’ dello Stato nel dover garantire le risorse per il funzionamento delle scuole”.

D: “Dunque qual e’ il focus del provvedimento?”

R: “Il tema della legge e’ l’autonomia statutaria delle scuole che viene introdotta per la prima volta e la parteciazione della comunita’ scolastica alla vita delle scuole. Si rivede il governo degli istituti ponendo l’accento sull’automonia collegata pero’ alla responsabilita’ d’azione: le scuole dovranno compilare una rendicontazione, ad esempio, una sorta di bilancio sociale. Si parla anche di autovalutazione degli istituti, che e’ un modo per rimettere al centro lo studente e i suoi interessi, ovvero la qualita’ dell’istruzione”.

D: “I ragazzi temono di perdere momenti di aggregazione e confronto come le assemblee”.

R: “Comprendo questa preoccupazione degli studenti. Ma la commissione ha lavorato per apportare modifiche radicali al testo originario, proprio per garantire la partecipazione e rappresentanza degli studenti. E comunque auspico che al Senato
ci siano nuove audizioni e approfondimenti prima del voto finale. Ci sia un’opera di confronto sul nuovo testo che non e’ una brutta copia dell’ex legge Aprea. E poi si valuti se sono necessarie modifiche. Intanto noi abbiamo previsto un monitoraggio della norma per poterne valutare l’efficacia nel tempo. E’ ora che la politica impari a verificare se le sue leggi funzionano o meno.”

Agenzia Dire 09.10.12

Scuola DDL Aprea, Ghizzoni: infondato parlare di privatizzazione, si rafforzano autonomia istituti e partecipazione", di Alessandra Migliozzi

“Voglio rassicurare i docenti, gli studenti e i genitori. La cosiddetta legge Aprea, che e’ stata ampiamente rivista in questi mesi, non prevede alcuna privatizzazione o aziendalizzazione della scuola pubblica. Il testo originale e’ stato profondamente modificato. Quella che voteremo nelle prossime ore e’ una legge che riforma la governance degli istituti, ovvero gli organi di governo delle scuole, che ha al centro l’autonomia delle istituzioni scolastiche connessa alla loro responsabilita’”. Manuela Ghizzoni, deputata del Pd e presidente della commissione Cultura della Camera, illustra alla DIRE i contenuti del disegno di legge che mette in allarme studenti, insegnanti e genitori. Una legge che ha mantenuto negli anni il nome della ormai ex deputata Valentina Aprea, oggi assessore in Lombardia. Ma che nei suoi lunghi mesi di gestazione ha cambiato pelle, trasformandosi oggi nel provvedimento che, a distanza di oltre trent’anni dall’ultima modifica, rimette mano agli organi collegiali e di governo delle scuole. Aprendo ad una stagione di riscrittura delle regole interne degli istituti che, secondo Ghizzoni, “puo’ essere una stagione di nuovo protagonismo
della stessa comunita’ scolastica”. Genitori e studenti compresi.
D: “Onorevole, venerdi’ gli studenti scenderanno in piazza e fra i punti della contestazione c’e’ la ex legge Aprea, ovvero la riforma della governance delle scuole. Da piu’ parti si parla di eccessive aperture ai privati. Cosa risponde a queste preoccupazioni?”
R: “La legge non prevede privatizzazioni o aziendalizzazioni della scuola pubblica. Chi parla in questi termini dice una cosa priva di fondamento. Testo alla mano, la legge spiega che nel Consiglio dell’autonomia (che sostituira’ Consigli di istituto e di circolo, ndr) se i 2/3 dei componenti sono d’accordo possono entrare anche due esterni alla scuola, ma senza potere di voto. L’idea e’ quella di una scuola aperta alla comunita’. La legge indica nel dettaglio chi possono essere questi esterni: possono fare parte di realta’ culturali, di volontariato, sociali, produttive. Parlando con alcuni studenti emerge sempre la paura che arrivino capitani di impresa che, a fronte di finanziamenti forti, ad esempio per strutture o laboratori, possano poi chiedere modifiche dell’offerta formativa. Ma va detto chiaramente che quest’ultima e’ decisa dal Consiglio dei docenti. E che gli ambiti di autonomia di cui godranno le scuole devono comunque stare dentro il confine delle leggi nazionali”.
D: “Insomma, chi parla di possibilita’ di stravolgimenti dei programmi o delle abituali regole di reclutamento del personale sbaglia?”
R: “Per quanto riguarda i programmi, il finanziamento alle scuole, il reclutamento degli insegnanti restano assolutamente ferme le leggi nazionali. Gia’ oggi, per esempio, sull’offerta formativa le scuole hanno un margine di autonomia del 20% che consente di aplimarla e variarla. E quella restera’, senza
ulteriori cambiamenti”.
D: “E i finanziamenti dai privati? La legge li prevede”.
R: “Quelli si possono ricevere anche ora. Le scuole possono accettare anche lasciti e donazioni. E questa legge non prevede assolutamente un arretramento delle responsabilita’ dello Stato nel dover garantire le risorse per il funzionamento delle scuole”.
D: “Dunque qual e’ il focus del provvedimento?”
R: “Il tema della legge e’ l’autonomia statutaria delle scuole che viene introdotta per la prima volta e la parteciazione della comunita’ scolastica alla vita delle scuole. Si rivede il governo degli istituti ponendo l’accento sull’automonia collegata pero’ alla responsabilita’ d’azione: le scuole dovranno compilare una rendicontazione, ad esempio, una sorta di bilancio sociale. Si parla anche di autovalutazione degli istituti, che e’ un modo per rimettere al centro lo studente e i suoi interessi, ovvero la qualita’ dell’istruzione”.
D: “I ragazzi temono di perdere momenti di aggregazione e confronto come le assemblee”.
R: “Comprendo questa preoccupazione degli studenti. Ma la commissione ha lavorato per apportare modifiche radicali al testo originario, proprio per garantire la partecipazione e rappresentanza degli studenti. E comunque auspico che al Senato
ci siano nuove audizioni e approfondimenti prima del voto finale. Ci sia un’opera di confronto sul nuovo testo che non e’ una brutta copia dell’ex legge Aprea. E poi si valuti se sono necessarie modifiche. Intanto noi abbiamo previsto un monitoraggio della norma per poterne valutare l’efficacia nel tempo. E’ ora che la politica impari a verificare se le sue leggi funzionano o meno.”
Agenzia Dire 09.10.12

"E il Pdl ripropone l’emendamento Ruby", di Liana Milella

IL PDL non ha mantenuto la promessa fatta al Guardasigilli Severino. Le avevano garantito che avrebbero ritirato tutti gli emendamenti al ddl anticorruzione. Non è stato così. Tutt’altro. Hanno traccheggiato un intero pomeriggio, hanno fatto slittare il termine degli emendamenti in commissione al Senato. Alla fine ecco rispuntare le modifiche per salvare Berlusconi dal processo Ruby. Norme che cambiano e attenuano la concussione, firmate da Luigi Compagna (l’altra co-firmataria Alessandra Gallone si defila quando capisce di che si tratta). E pure l’anti-Fiorito, articolo scritto da Ghedini per punire i politici ladri e che lui assicura non essere affatto un doppione edulcorato del peculato (così sostiene il Pd). Per com’è scritto oggi l’articolo sulla corruzione per induzione già il processo può essere messo in crisi. Con le ulteriori modifiche del Pdl è definitivamente spacciato perché il reato cambia completamente. Ma non c’è solo questa mossa a terremotare la legge contro i corrotti. A sorpresa, da un’intera pagina del Messaggero, il sottosegretario alla Presidenza Catricalà lancia un siluro ben peggiore. Rivela di essere già d’accordo con il ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi per inserire nella legge la figura di un commissario anti-corruzione, nominato dal governo e con pieni poteri. Escono i giornali e si scatena la rissa nel governo. Catricalà, considerato a palazzo Chigi vicino al Pdl, viene subito scaricato da Patroni Griffi e poi da Severino. Ma si fa strada il sospetto che le due mosse — emendamenti salva-Berlusconi e ipotesi del commissario — siano due missili pilotati per rallentare, se non addirittura bloccare, il cammino della legge che oggi avrebbe dovuto essere chiusa dalla commissione e domani passare in aula. Ma la formula usata dai capigruppo — «in aula fatta salva la chiusura del dibattito in commissione» — apre la porta a un rinvio qualora la stessa commissione non abbia ultimato i lavori.
Un fatto è certo. Patroni Griffi reagisce come se l’avesse punto una vespa. Nega che lui e Catricalà fossero già d’accordo sul testo di un possibile emendamento, ridimensiona tutto a un «pour parler da corridoio», ma l’ex presidente dell’Antitrust conferma che l’intesa c’era. Adesso che si trova isolato dice che il super-commissario potrà anche finire nella legge di stabilità. Ma il danno resta. E se ne avvede Severino che, ormai a sera, ribadisce che «la legge va approvata in fretta» e che semmai della nuova figura del commissario «si potrà discutere in futuro».
Ma non c’è solo il Pdl a presentare modifiche mirate. C’è pure il Pd, su cui incombe lo spettro del caso Penati. L’ex presidente della Provincia di Milano ed ex braccio destro di Bersani, di buon mattino, chiarisce: «Se la nuova legge dovesse avere effetto su qualche reato sono pronto a rinunciare alla prescrizione». Certo che c’è un effetto, tutte e tre le concussioni che gli hanno contestato nel caso Falk sono destinate a cadere, due già quest’anno e una a febbraio prossimo. Il Pd si premunisce e presenta, firmato da tutti ex magistrati (Della Monica, D’Ambrosio, Casson, Carofiglio, Maritati) un lungo emendamento che allunga tutti i tempi di prescrizione raddoppiandoli e annullando gli effetti della famosa legge Cirielli. Ma è evidente che ormai una simile proposta è tardiva. Gli stessi vogliono aumentare la pena per la corruzione per induzione, la “pietra dello scandalo” di questa legge, il frutto della divisione in due della concussione. Punita da 4 a 12 anni, adesso scende da 3 a 8, prescrizione ridotta da 15 a 10 anni. Il Pd propone di aumentare di nuovo la pena, fino a 12 o almeno fino a 10 anni. Ma è chiaro che questo spaccherebbe la maggioranza. Inutilmente il capogruppo Finocchiaro vagheggia una legge «per abrogare la Cirielli, inasprire la concussione, reintrodurre il falso in bilancio». Tutto questo nella Alfano-Severino non c’è. Di Pietro la bolla come «acqua fresca», una legge che non ha dentro norme fondamentali come quelle sull’aumento della prescrizione, sull’auto-riciclaggio, su ritorno al vero falso in bilancio,
una legge che «illude i cittadini » perché non ha al suo interno le norme sulla non candidabilità dei condannati «ma solo una delega al governo». Il suo responsabile Giustizia Li Gotti corre ai ripari proponendo la figura del pentito della corruzione, colui che collabora con la giustizia e per questo evita i tre anni di pena previsti da Severino con il nuovo reato di corruzione per induzione, una norma che preoccupa moltissimo i magistrati e che rischia di chiudere i rubinetti delle future rivelazioni visto che chi parla sarà incriminato.
Dice Severino che tutti i grandi temi, prescrizione, falso in bilancio, reati societari, «vanno rivisti, ma in un provvedimento adeguato». In questo, nonostante sia in discussione da due anni, non s’è trovato l’accordo politico sufficiente. Tuttavia la legge resta un segnale. Per questo l’opinione pubblica continua a sottoscrivere l’appello lanciato da Repubblica, giunto ormai a 300mila firme. Firmano nomi di prestigio, Susanna Camusso, Innocenzo Cipolletta, Mogol, Nada e Mario Martone. Vogliono una vera legge contro la corruzione. Questa presenta delle falle, ma si può ancora migliorare in un punto strategico — due anni in più per la corruzione per induzione — per evitare almeno che saltino i processi.

La Repubblica 09.10.12