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"E il Pdl ripropone l’emendamento Ruby", di Liana Milella

IL PDL non ha mantenuto la promessa fatta al Guardasigilli Severino. Le avevano garantito che avrebbero ritirato tutti gli emendamenti al ddl anticorruzione. Non è stato così. Tutt’altro. Hanno traccheggiato un intero pomeriggio, hanno fatto slittare il termine degli emendamenti in commissione al Senato. Alla fine ecco rispuntare le modifiche per salvare Berlusconi dal processo Ruby. Norme che cambiano e attenuano la concussione, firmate da Luigi Compagna (l’altra co-firmataria Alessandra Gallone si defila quando capisce di che si tratta). E pure l’anti-Fiorito, articolo scritto da Ghedini per punire i politici ladri e che lui assicura non essere affatto un doppione edulcorato del peculato (così sostiene il Pd). Per com’è scritto oggi l’articolo sulla corruzione per induzione già il processo può essere messo in crisi. Con le ulteriori modifiche del Pdl è definitivamente spacciato perché il reato cambia completamente. Ma non c’è solo questa mossa a terremotare la legge contro i corrotti. A sorpresa, da un’intera pagina del Messaggero, il sottosegretario alla Presidenza Catricalà lancia un siluro ben peggiore. Rivela di essere già d’accordo con il ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi per inserire nella legge la figura di un commissario anti-corruzione, nominato dal governo e con pieni poteri. Escono i giornali e si scatena la rissa nel governo. Catricalà, considerato a palazzo Chigi vicino al Pdl, viene subito scaricato da Patroni Griffi e poi da Severino. Ma si fa strada il sospetto che le due mosse — emendamenti salva-Berlusconi e ipotesi del commissario — siano due missili pilotati per rallentare, se non addirittura bloccare, il cammino della legge che oggi avrebbe dovuto essere chiusa dalla commissione e domani passare in aula. Ma la formula usata dai capigruppo — «in aula fatta salva la chiusura del dibattito in commissione» — apre la porta a un rinvio qualora la stessa commissione non abbia ultimato i lavori.
Un fatto è certo. Patroni Griffi reagisce come se l’avesse punto una vespa. Nega che lui e Catricalà fossero già d’accordo sul testo di un possibile emendamento, ridimensiona tutto a un «pour parler da corridoio», ma l’ex presidente dell’Antitrust conferma che l’intesa c’era. Adesso che si trova isolato dice che il super-commissario potrà anche finire nella legge di stabilità. Ma il danno resta. E se ne avvede Severino che, ormai a sera, ribadisce che «la legge va approvata in fretta» e che semmai della nuova figura del commissario «si potrà discutere in futuro».
Ma non c’è solo il Pdl a presentare modifiche mirate. C’è pure il Pd, su cui incombe lo spettro del caso Penati. L’ex presidente della Provincia di Milano ed ex braccio destro di Bersani, di buon mattino, chiarisce: «Se la nuova legge dovesse avere effetto su qualche reato sono pronto a rinunciare alla prescrizione». Certo che c’è un effetto, tutte e tre le concussioni che gli hanno contestato nel caso Falk sono destinate a cadere, due già quest’anno e una a febbraio prossimo. Il Pd si premunisce e presenta, firmato da tutti ex magistrati (Della Monica, D’Ambrosio, Casson, Carofiglio, Maritati) un lungo emendamento che allunga tutti i tempi di prescrizione raddoppiandoli e annullando gli effetti della famosa legge Cirielli. Ma è evidente che ormai una simile proposta è tardiva. Gli stessi vogliono aumentare la pena per la corruzione per induzione, la “pietra dello scandalo” di questa legge, il frutto della divisione in due della concussione. Punita da 4 a 12 anni, adesso scende da 3 a 8, prescrizione ridotta da 15 a 10 anni. Il Pd propone di aumentare di nuovo la pena, fino a 12 o almeno fino a 10 anni. Ma è chiaro che questo spaccherebbe la maggioranza. Inutilmente il capogruppo Finocchiaro vagheggia una legge «per abrogare la Cirielli, inasprire la concussione, reintrodurre il falso in bilancio». Tutto questo nella Alfano-Severino non c’è. Di Pietro la bolla come «acqua fresca», una legge che non ha dentro norme fondamentali come quelle sull’aumento della prescrizione, sull’auto-riciclaggio, su ritorno al vero falso in bilancio,
una legge che «illude i cittadini » perché non ha al suo interno le norme sulla non candidabilità dei condannati «ma solo una delega al governo». Il suo responsabile Giustizia Li Gotti corre ai ripari proponendo la figura del pentito della corruzione, colui che collabora con la giustizia e per questo evita i tre anni di pena previsti da Severino con il nuovo reato di corruzione per induzione, una norma che preoccupa moltissimo i magistrati e che rischia di chiudere i rubinetti delle future rivelazioni visto che chi parla sarà incriminato.
Dice Severino che tutti i grandi temi, prescrizione, falso in bilancio, reati societari, «vanno rivisti, ma in un provvedimento adeguato». In questo, nonostante sia in discussione da due anni, non s’è trovato l’accordo politico sufficiente. Tuttavia la legge resta un segnale. Per questo l’opinione pubblica continua a sottoscrivere l’appello lanciato da Repubblica, giunto ormai a 300mila firme. Firmano nomi di prestigio, Susanna Camusso, Innocenzo Cipolletta, Mogol, Nada e Mario Martone. Vogliono una vera legge contro la corruzione. Questa presenta delle falle, ma si può ancora migliorare in un punto strategico — due anni in più per la corruzione per induzione — per evitare almeno che saltino i processi.

La Repubblica 09.10.12