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"Scuola, ecco il concorsone precari sul piede di guerra", di Mario Castagna

Ieri il ministro Profumo ha illustrato alla commissione cultura della Camera dei Deputati il funzionamento del concorso per la scuola ma mentre il ministro parlava in aula, fuori scoppiava la protesta dei comitati dei precari. Reazioni durissime anche da parte della Cgil che ha annunciato mobilitazioni immediate in tutta Italia contro questa selezione. Tutto il processo si aprirà il prossimo 25 settembre con la pubblicazione del bando e si dovrebbe concludere entro agosto 2013. In questo modo circa 7.000 nuovi insegnanti potrebbero prendere servizio già dal prossimo anno scolastico mentre i restanti 4.000 a partire dal 2014.
LE NORME
Ma vediamo nel dettaglio le tappe di questo percorso Innanzitutto non tutti i laureati potranno partecipare al concorso. Dovranno essere già abilitati ma dal ministero fanno sapere che la volontà per il futuro è di allargare il più possibile la platea dei partecipanti. Per quest’anno quindi si va avanti con le vecchie norme sperando che in futuro sia molto più semplice accedere alle se- lezioni. A dicembre si svolgerà poi la prova preselettiva che consisterà nel rispondere in 50 minuti a 50 domande a risposta multipla. Per superare la prova si dovranno indovinare almeno 35 risposte. Il passaggio successivo sarà la prova scritta prevista per gennaio 2013 e consisterà, illustra il bando, in una «prova semi strutturata con griglia nazionale di valutazione composta da una serie di quesiti a risposta aperta finalizzata a valutare la padronanza delle discipline, anche attraverso gli opportuni riferimenti interdisciplinari». Come in un passaggio ad ostacoli, si arriverà poi alla prova conclusiva. L’orale si svolgerà in due fasi. Prima una lezione simulata e poi un colloquio individuale sulle materie comprese nella classe di concorso. Saranno abilitati solamente un numero di candidati pari alle cattedre messe a concorso cercando di mettere la parola fine alle graduatorie di abilitati in attesa dell’immissione in ruolo.
Se al ministero la volontà è quella di far ripartire una macchina, quella dell’ingresso di un grande numero di giovani tra le file degli insegnanti, non sono dello stesso avviso i precari storici che si sentono beffati dopo anni di attese. Infatti negli ultimi anni non sono mai state chiuse le graduatorie per le supplenze dalle quali attingevano gli istituti per coprire buchi più o meno lunghi e che garantivano, alla fine di una lunga attesa, un posto fisso. Negli anni questi insegnanti hanno maturato competenze ed esperienze preziose che vorrebbero fossero riconosciute dal ministero. Ma dal Miur rispondono che per loro rimane comunque aperto il canale del concorso, oltre che le graduatorie ad esaurimento da cui si continuerà ad attingere per le immissioni in ruolo.
Una doppia possibilità che però non basta a chi ha passato anni tra supplenze annuali e sedi disagiate. Inoltre si spera che le prove del prossimo concorso non siano come le prove per i per i presidi, piene di errori ed incertezze, perché a quel punto tutto il percorso sarà costellato di ricorsi. Ma su questo punto il ministro Profumo ha promesso di vigilare personalmente e durante l’audizione in commissione si è assunto, sin da oggi, tutta la responsabilità del percorso di selezione. «Il problema principale, prima delle modalità del concorso, è l’aumento dell’organico – commenta Manuela Ghizzoni, presidente Pd della commissione Cultura – Non si riesce a rispondere alle esigenze del scuole che richiedono più insegnanti. Purtroppo dobbiamo ancora fare i conti con i tagli di Tremonti e il conflitto tra i precari e il nuovo concorso sembra essere proprio una guerra tra poveri».
Nel frattempo sono partite le proteste organizzate da comitati spontanei di precari ma anche da sigle sindacali come la Cgil che, nel giorno in cui Cittadinanzattiva presenta il proprio rapporto sulla sicurezza degli edifici scolastici, denuncia quelle che secondo loro è solo propaganda. «Si vuole fare un concorso inutile e costoso ma non c’è alcun piano di edilizia scolastica e per la messa in sicurezza degli edifici scolastici», ha dichiarato Mimmo Pantaleo, segretario della Flc-Cgil denunciando contempo- raneamente come le modalità del concorso siano una farsa e e come l’apertura ai giovani sia solo di facciata, visto che nessuno dei neolaureati potrà partecipare al concorso.
Intanto a piazza Montecitorio gli in- segnanti precari utilizzavano più o meno le stesse parole d’ordine. «No al concorso truffa» si leggeva sui cartelli esposti in piazza mentre il ministro parlava alla commissione contento della scelta fatta. Ma non tutti sembrano essere d’accordo.
L’Unità 21.09.12

"Lo spazio dei progressisti", di Alfredo Reichlin

Se ho capito bene ciò che ha spinto Bersani a chiedere non solo agli organi dirigenti del suo partito ma a milioni di persone, a tutta l’Italia del centrosinistra, di legittimare la sua candidatura alla guida del paese non è l’ambizione personale. Almeno, credo.
È la consapevolezza che gli italiani sono di fronte a una scelta di portata storica alla quale non possono più sottrarsi. In poche parole: l’Italia così com’è non regge alle nuove sfide che derivano dal fatto del tutto inedito che stiamo entrando a far parte di una nuova costruzione europea. Se il Paese non si riforma e non si modernizza, sia come Stato che come nazione finirà ai margini della storia, come nel ‘600. È da qui che viene l’interrogativo (che è serio e non è solo italiano) sulla candidatura del Pd a guidare l’Italia in questo passaggio storico. Che poi tutto questo dia spazio anche a manovre, a manovrette, a calcoli personali e ridicole ambizioni, è normale. Ma il problema vero è l’altro. E sta qui il bisogno di un rinnovamento radicale di idee.
Sono passati cinque anni dall’inizio di una devastante crisi mondiale e non si vede una via d’uscita. Ma allora è sulla parola crisi che bisogna intendersi. È evidente che non si tratta di una normale crisi che si chiude dopo alcuni trimestri e poi la vita ricomincia come prima. In realtà noi siamo già di fronte a un nuovo processo di trasformazione dell’«ordine» mondiale. L’oligarchia finanziaria che fa capo a Wall Street e alla City conserva tutta la sua potenza ma non è più in grado di dettare il futuro del mondo. Valuteremo tra poche settimane i risultati e gli effetti delle elezioni americane. Saranno grandissimi. In Europa la crisi dell’Eurozona continua ma la moneta unica ha resistito e il grande tema politico di fare dell’euro lo strumento di una sorta di Stato federale europeo è venuto sul tappeto. Il fatto avrebbe conseguenze enormi e confermerebbe che un riequilibrio sulla distribuzione della ricchezza globale è in atto. Dice qualcosa che le economie emergenti detengono ormai la maggioranza delle riserve internazionali rispetto alle economie avanzate? In sostanza ciò che è in atto è molto di più di una crisi, è una transizione per cui il mondo di oggi è già molto diverso di quello di cinque anni fa. La grande illusione che il processo storico della globalizzazione si potesse governare dando mano libera ai mercati finanziari e riempiendo il mondo di debiti non è riproponibile. Wall Street conta. Ma nei Paesi emergenti si sta formando un gruppo di imprese multinazionali in grado di condizionare i flussi degli investimenti. E mi sembra sempre più difficile impedire l’evoluzione del sistema monetario internazionale da un modello in cui il dollaro era l’unica moneta di riferimento ad un regime dove, oltre al dollaro, avranno un ruolo crescente l’euro e la moneta cinese.
Bisognerebbe quindi guardare anche alle cose italiane con occhi un po’ diversi da quelli del miserabile baraccone politico e giornalistico italiano che rincretinisce la gente. La decadenza del Paese è del tutto evidente. Eppure io credo che la partita non è giocata. Anzi. Forse si riapre. Molte cose stanno cambiando anche se noi appena le intravediamo. Nella sostanza io credo che si sta allargando lo spazio per una forza popolare e progressista di stampo europeo che abbia l’ambizione di costituire il perno non solo di una svolta politica ma di una rinascita sociale e morale. Al di là dei suoi silenzi, delle sue risse inconcludenti e delle debolezze del suo scombinato gruppo dirigente, io mi ostino a credere che il Pd è la sola forza in grado di capire che nuove prospettive si aprono alle forze di progresso. Faccio un solo esempio. Finalmente si riapre la grande questione della «produttività». È giusto. Non si vive di solo spread.
Alla fine ciò che conta è la produttività del lavoro, compreso il lavoro dell’imprenditore. Ma allora il lavoro ritrova la sua dignità e centralità. Allora esiste anche il «capitale sociale» e non solo quello finanziario. Allora vi siete sbagliati. Non regge l’illusione del denaro fatto col denaro, del lavoro ridotto a puro prezzo , residuo, roba da usa e getta. Torna a contare non più solo il banchiere e dovete smetterla di guardare il Pd dall’alto, come un prodotto dialettale. Ma anche noi stiamo attenti a non montarci la testa. Noi non siamo il passato che ritorna. Un «neo-sinistrismo» sarebbe del tutto fuori dalla realtà. Così come un «neo-liberismo». Non si tornerà al mondo di ieri. L’economia finanziaria ha cambiato tutto. Ha coinvolto tutti: le imprese produttive come le famiglie come gli Stati e le istituzioni pubbliche. Ha cambiato non solo i confini del mondo ma il modo di essere della società umana. E in modo radicale. Per questo è così difficile uscire dalla crisi. Ma questo non deve scoraggiarci. La forza di un nuovo pensiero riformista, (e la sua radicalità) stanno proprio nel fatto che un nuovo assetto dell’economia comporta, necessariamente, un nuovo assetto della società, dei bisogni e dei valori. Dunque, la politica e la società tornano a contare. Devono entrate in scena nuovi attori, sia politici che sociali. Ma il mondo di ieri non tornerà più.
Il capitalismo globale non ha rappresentato solo un ampliamento senza più confini del sistema dell’economia di mercato. Esso ha rotto la vecchia trama su cui si era fatta la storia delle società umane, cioè la trama degli Stati, delle solidarietà sociali, della famiglia, delle religioni, insomma le cose all’interno delle quali si erano sviluppati i sistemi economici precedenti. E tuttavia non torneremo ai vecchi blocchi sociali. L’individuo ha assunto una nuova dimensione ma il suo apparente trionfo si è accompagnato allo smarrimento di quelle certezze che derivano da un rapporto meno squilibrato tra la potenza del denaro e il potere della società e delle istituzioni. La gravità della crisi italiana va letta anche così. La produttività italiana è diminuita per tante ragioni ma tra queste c’è la trasformazione del cittadino produttore in un consumatore.
Oggi misuriamo fino a che punto ciò ha distrutto l’antico sapere degli italiani e lo straordinario saper fare dei suoi lavoratori-imprenditori. Ma per fortuna le radici della pianta-uomo italiana non sono morte. Andate a vedere come l’Emilia risorge dal terremoto. È la cultura cooperativa: il mio successo dipende anche dal tuo successo, non dalla tua rovina. Non esiste ricchezza fondata sulla rovina degli altri. Questa è la nostra bandiera. Ma la novità è che questa non è più una affermazione astratta e ideologica. La novità è che l’Europa e il mondo non possono più far leva come nel passato sui consumi privati ma devono porsi il problema di nuovi bisogni e di una nuova domanda. E quindi il problema di nuove forme di vivere e di associarsi degli uomini tra loro.

L’Unità 21.09.12

"Lo spazio dei progressisti", di Alfredo Reichlin

Se ho capito bene ciò che ha spinto Bersani a chiedere non solo agli organi dirigenti del suo partito ma a milioni di persone, a tutta l’Italia del centrosinistra, di legittimare la sua candidatura alla guida del paese non è l’ambizione personale. Almeno, credo.
È la consapevolezza che gli italiani sono di fronte a una scelta di portata storica alla quale non possono più sottrarsi. In poche parole: l’Italia così com’è non regge alle nuove sfide che derivano dal fatto del tutto inedito che stiamo entrando a far parte di una nuova costruzione europea. Se il Paese non si riforma e non si modernizza, sia come Stato che come nazione finirà ai margini della storia, come nel ‘600. È da qui che viene l’interrogativo (che è serio e non è solo italiano) sulla candidatura del Pd a guidare l’Italia in questo passaggio storico. Che poi tutto questo dia spazio anche a manovre, a manovrette, a calcoli personali e ridicole ambizioni, è normale. Ma il problema vero è l’altro. E sta qui il bisogno di un rinnovamento radicale di idee.
Sono passati cinque anni dall’inizio di una devastante crisi mondiale e non si vede una via d’uscita. Ma allora è sulla parola crisi che bisogna intendersi. È evidente che non si tratta di una normale crisi che si chiude dopo alcuni trimestri e poi la vita ricomincia come prima. In realtà noi siamo già di fronte a un nuovo processo di trasformazione dell’«ordine» mondiale. L’oligarchia finanziaria che fa capo a Wall Street e alla City conserva tutta la sua potenza ma non è più in grado di dettare il futuro del mondo. Valuteremo tra poche settimane i risultati e gli effetti delle elezioni americane. Saranno grandissimi. In Europa la crisi dell’Eurozona continua ma la moneta unica ha resistito e il grande tema politico di fare dell’euro lo strumento di una sorta di Stato federale europeo è venuto sul tappeto. Il fatto avrebbe conseguenze enormi e confermerebbe che un riequilibrio sulla distribuzione della ricchezza globale è in atto. Dice qualcosa che le economie emergenti detengono ormai la maggioranza delle riserve internazionali rispetto alle economie avanzate? In sostanza ciò che è in atto è molto di più di una crisi, è una transizione per cui il mondo di oggi è già molto diverso di quello di cinque anni fa. La grande illusione che il processo storico della globalizzazione si potesse governare dando mano libera ai mercati finanziari e riempiendo il mondo di debiti non è riproponibile. Wall Street conta. Ma nei Paesi emergenti si sta formando un gruppo di imprese multinazionali in grado di condizionare i flussi degli investimenti. E mi sembra sempre più difficile impedire l’evoluzione del sistema monetario internazionale da un modello in cui il dollaro era l’unica moneta di riferimento ad un regime dove, oltre al dollaro, avranno un ruolo crescente l’euro e la moneta cinese.
Bisognerebbe quindi guardare anche alle cose italiane con occhi un po’ diversi da quelli del miserabile baraccone politico e giornalistico italiano che rincretinisce la gente. La decadenza del Paese è del tutto evidente. Eppure io credo che la partita non è giocata. Anzi. Forse si riapre. Molte cose stanno cambiando anche se noi appena le intravediamo. Nella sostanza io credo che si sta allargando lo spazio per una forza popolare e progressista di stampo europeo che abbia l’ambizione di costituire il perno non solo di una svolta politica ma di una rinascita sociale e morale. Al di là dei suoi silenzi, delle sue risse inconcludenti e delle debolezze del suo scombinato gruppo dirigente, io mi ostino a credere che il Pd è la sola forza in grado di capire che nuove prospettive si aprono alle forze di progresso. Faccio un solo esempio. Finalmente si riapre la grande questione della «produttività». È giusto. Non si vive di solo spread.
Alla fine ciò che conta è la produttività del lavoro, compreso il lavoro dell’imprenditore. Ma allora il lavoro ritrova la sua dignità e centralità. Allora esiste anche il «capitale sociale» e non solo quello finanziario. Allora vi siete sbagliati. Non regge l’illusione del denaro fatto col denaro, del lavoro ridotto a puro prezzo , residuo, roba da usa e getta. Torna a contare non più solo il banchiere e dovete smetterla di guardare il Pd dall’alto, come un prodotto dialettale. Ma anche noi stiamo attenti a non montarci la testa. Noi non siamo il passato che ritorna. Un «neo-sinistrismo» sarebbe del tutto fuori dalla realtà. Così come un «neo-liberismo». Non si tornerà al mondo di ieri. L’economia finanziaria ha cambiato tutto. Ha coinvolto tutti: le imprese produttive come le famiglie come gli Stati e le istituzioni pubbliche. Ha cambiato non solo i confini del mondo ma il modo di essere della società umana. E in modo radicale. Per questo è così difficile uscire dalla crisi. Ma questo non deve scoraggiarci. La forza di un nuovo pensiero riformista, (e la sua radicalità) stanno proprio nel fatto che un nuovo assetto dell’economia comporta, necessariamente, un nuovo assetto della società, dei bisogni e dei valori. Dunque, la politica e la società tornano a contare. Devono entrate in scena nuovi attori, sia politici che sociali. Ma il mondo di ieri non tornerà più.
Il capitalismo globale non ha rappresentato solo un ampliamento senza più confini del sistema dell’economia di mercato. Esso ha rotto la vecchia trama su cui si era fatta la storia delle società umane, cioè la trama degli Stati, delle solidarietà sociali, della famiglia, delle religioni, insomma le cose all’interno delle quali si erano sviluppati i sistemi economici precedenti. E tuttavia non torneremo ai vecchi blocchi sociali. L’individuo ha assunto una nuova dimensione ma il suo apparente trionfo si è accompagnato allo smarrimento di quelle certezze che derivano da un rapporto meno squilibrato tra la potenza del denaro e il potere della società e delle istituzioni. La gravità della crisi italiana va letta anche così. La produttività italiana è diminuita per tante ragioni ma tra queste c’è la trasformazione del cittadino produttore in un consumatore.
Oggi misuriamo fino a che punto ciò ha distrutto l’antico sapere degli italiani e lo straordinario saper fare dei suoi lavoratori-imprenditori. Ma per fortuna le radici della pianta-uomo italiana non sono morte. Andate a vedere come l’Emilia risorge dal terremoto. È la cultura cooperativa: il mio successo dipende anche dal tuo successo, non dalla tua rovina. Non esiste ricchezza fondata sulla rovina degli altri. Questa è la nostra bandiera. Ma la novità è che questa non è più una affermazione astratta e ideologica. La novità è che l’Europa e il mondo non possono più far leva come nel passato sui consumi privati ma devono porsi il problema di nuovi bisogni e di una nuova domanda. E quindi il problema di nuove forme di vivere e di associarsi degli uomini tra loro.
L’Unità 21.09.12

"La scuola riconquista i ragazzi scatta il piano anti-dispersione", di Conchita Sannino

Per una volta, è Scampia che battezza un “cantiere” nazionale: quello della coesione sociale, della scuola più avanzata che si allea con il terzo settore e mette alla porta i propri fallimenti per recuperare generazioni di «abbandonati», dentro o fuori le aule, anche molto lontano da queste piazze di spaccio, a Crotone come a Catania.
Si apre concretamente, a quattro mesi dall´annuncio, il bando contro la dispersione scolastica. Nella periferia nord arrivano dirigenti e formatori da Campania, ma anche Sicilia, Puglia e Calabria. Il sottosegretario del ministero dell´Istruzione Miur, Marco Rossi-Doria, e il ministro Fabrizio Barca, tornano tra le Vele – nell´istituto comprensivo Virgilio IV di via Labriola – tornano a dettare tempi certi, chiamare all´appello i naturali interlocutori del progetto che da oggi è sostenuto con complessivi 25 milioni di fondi europei, e a illustrare i criteri di trasparenza ed efficienza che guideranno selezione e gestione dei progetti. «Lo Stato a Scampia sta reagendo – sottolinea Barca – Ma più in generale bisogna convincere i ragazzi che vale la pena scommettere, che ci sono altre alternative più valide di quelle che prospettano i capiclan, che il crimine è una scelta demenziale perché ti dimezza la vita». Rossi-Doria, che mette a frutto il lungo radicamento nell´impegno sociale, anche come maestro di strada, analizza: «Cinquant´anni fa, lo aveva già visto a Barbiana don Milani: il principale problema della scuola risiede nei ragazzi che perde. E noi non possiamo permetterci di perdere un patrimonio umano». Ricominciare a lavorare, oggi, dice il sottosegretario, significa puntare «sull´esercito dei professori e su quello del privato sociale», ma con il rigoroso invito a «superare vecchi limiti, imparare dalle cose che abbiamo sbagliato in passato e cambiare metodo: rispondiamo a noi stessi (come questo governo ha sempre ribadito), ma anche al paese e alle valutazioni europee». Doverosamente in sintonia, e presenti ieri al tavolo, anche gli assessori degli enti locali: Miraglia e Nappi per la Regione, la Palmieri per il Comune, e Moschetti della Provincia.
L´obiettivo finale? Raggiungere nel 2020 il target del 10% di abbandono scolastico fissato a livello europeo. Dato ben distante dai picchi che, seppur con recenti miglioramenti, si toccano nelle quattro regioni del cosiddetto “obiettivo convergenza”: siamo al 25 % in Sicilia, al 22 in Campania, al 19 in Puglia e 18 in Calabria.
I destinatari. Il progetto, spiega Rossi-Doria, «è rivolto a scuole-capofila, cioè che siano in rete con altre scuole del territorio o con soggetti del privato sociale (associazioni, cooperative, centri sportivi, parrocchie o altro)». La prima data da segnarsi: le scuole hanno tempo fino al 15 ottobre per presentare progetti contro l´abbandono precoce degli allievi. Progetti che, se risulteranno vincitori, otterranno un finanziamento per il biennio 2012-2014, rinnovabile fino al 2021 attraverso la prossima programmazione dei fondi strutturali, già in corso presso il ministero per la Coesione territoriale. Seconda data: «Dal primo gennaio partirà il lavoro vero e proprio».
«Questo piano presenta cinque elementi di metodo che consideriamo fondamentali – sottolinea Barca – È un progetto che ha gambe solide su cui camminare, come la scuola e il privato sociale. È incentrato sulla pianificazione territoriale, così da permettere di scegliere gli interventi più opportuni da fare. Prevede l´esplicitazione in anticipo dei risultati attesi, anche se i target non devono diventare una gabbia». E ancora: «Contempla l´apprendimento, per rimotivare i protagonisti in un percorso che sarà lungo e i cui risultati potranno non arrivare subito, e la continuità: perché nulla ha senso se rischia di finire nel triennio coperto dalle risorse del progetto». Reazioni positive dal mondo della scuola e del privato sociale. Per Angela Cortese del Pd, «siamo alla prima pietra di una svolta davvero positiva. Oggi è una bella giornata per la Campania».

da repubblica.it

"La scuola riconquista i ragazzi scatta il piano anti-dispersione", di Conchita Sannino

Per una volta, è Scampia che battezza un “cantiere” nazionale: quello della coesione sociale, della scuola più avanzata che si allea con il terzo settore e mette alla porta i propri fallimenti per recuperare generazioni di «abbandonati», dentro o fuori le aule, anche molto lontano da queste piazze di spaccio, a Crotone come a Catania.
Si apre concretamente, a quattro mesi dall´annuncio, il bando contro la dispersione scolastica. Nella periferia nord arrivano dirigenti e formatori da Campania, ma anche Sicilia, Puglia e Calabria. Il sottosegretario del ministero dell´Istruzione Miur, Marco Rossi-Doria, e il ministro Fabrizio Barca, tornano tra le Vele – nell´istituto comprensivo Virgilio IV di via Labriola – tornano a dettare tempi certi, chiamare all´appello i naturali interlocutori del progetto che da oggi è sostenuto con complessivi 25 milioni di fondi europei, e a illustrare i criteri di trasparenza ed efficienza che guideranno selezione e gestione dei progetti. «Lo Stato a Scampia sta reagendo – sottolinea Barca – Ma più in generale bisogna convincere i ragazzi che vale la pena scommettere, che ci sono altre alternative più valide di quelle che prospettano i capiclan, che il crimine è una scelta demenziale perché ti dimezza la vita». Rossi-Doria, che mette a frutto il lungo radicamento nell´impegno sociale, anche come maestro di strada, analizza: «Cinquant´anni fa, lo aveva già visto a Barbiana don Milani: il principale problema della scuola risiede nei ragazzi che perde. E noi non possiamo permetterci di perdere un patrimonio umano». Ricominciare a lavorare, oggi, dice il sottosegretario, significa puntare «sull´esercito dei professori e su quello del privato sociale», ma con il rigoroso invito a «superare vecchi limiti, imparare dalle cose che abbiamo sbagliato in passato e cambiare metodo: rispondiamo a noi stessi (come questo governo ha sempre ribadito), ma anche al paese e alle valutazioni europee». Doverosamente in sintonia, e presenti ieri al tavolo, anche gli assessori degli enti locali: Miraglia e Nappi per la Regione, la Palmieri per il Comune, e Moschetti della Provincia.
L´obiettivo finale? Raggiungere nel 2020 il target del 10% di abbandono scolastico fissato a livello europeo. Dato ben distante dai picchi che, seppur con recenti miglioramenti, si toccano nelle quattro regioni del cosiddetto “obiettivo convergenza”: siamo al 25 % in Sicilia, al 22 in Campania, al 19 in Puglia e 18 in Calabria.
I destinatari. Il progetto, spiega Rossi-Doria, «è rivolto a scuole-capofila, cioè che siano in rete con altre scuole del territorio o con soggetti del privato sociale (associazioni, cooperative, centri sportivi, parrocchie o altro)». La prima data da segnarsi: le scuole hanno tempo fino al 15 ottobre per presentare progetti contro l´abbandono precoce degli allievi. Progetti che, se risulteranno vincitori, otterranno un finanziamento per il biennio 2012-2014, rinnovabile fino al 2021 attraverso la prossima programmazione dei fondi strutturali, già in corso presso il ministero per la Coesione territoriale. Seconda data: «Dal primo gennaio partirà il lavoro vero e proprio».
«Questo piano presenta cinque elementi di metodo che consideriamo fondamentali – sottolinea Barca – È un progetto che ha gambe solide su cui camminare, come la scuola e il privato sociale. È incentrato sulla pianificazione territoriale, così da permettere di scegliere gli interventi più opportuni da fare. Prevede l´esplicitazione in anticipo dei risultati attesi, anche se i target non devono diventare una gabbia». E ancora: «Contempla l´apprendimento, per rimotivare i protagonisti in un percorso che sarà lungo e i cui risultati potranno non arrivare subito, e la continuità: perché nulla ha senso se rischia di finire nel triennio coperto dalle risorse del progetto». Reazioni positive dal mondo della scuola e del privato sociale. Per Angela Cortese del Pd, «siamo alla prima pietra di una svolta davvero positiva. Oggi è una bella giornata per la Campania».
da repubblica.it

"Scuola, il paradosso di internet. 3800 istituti 'staccati' dal web", di Alessandra Longo

Connessione interrotta dal 20 ottobre per tutte le sedi scolastiche agganciate alla rete pubblica statale Spc. Se vogliono proseguire dovranno farlo con i propri fondi. Mentre il Ministero annuncia l’investimento di 40 milioni per la scuola digitale. Il piano Scuola digitale procede a zig zag: così, mentre il ministro del Miur Francesco Profumo annuncia 40 milioni per inondare le classi di strumenti digitali, arriva la doccia fredda per mezzo di una nota della Direzione generale per gli studi, la statistica e i sistemi informativi dello stesso Ministero: dal 20 ottobre per mancanza di fondi finisce il progetto Spc scuole con la conseguenza di tagliare la connessione da 3.8000 istituti. Sembra un paradosso, ma la spiegazione è semplice: la connessione al Sistema Pubblico di Connettività aveva permesso a tutte queste scuole di essere connesse con un operatore banda larga a spese dello Stato. Ma i fondi, appunto, sono finiti. La connessione verrà staccata a meno che le scuole non la confermino a priìoprie spese.

“Negli anni gli stanziamenti finanziari necessari a garantire la gestione e lo sviluppo dell’intero sistema informativo oltre che della rete dati- spiega la nota- hanno subito forti riduzioni mettendo in seria difficoltà questa Direzione la quale, suo malgrado, si trova costretta a perseguire un’opera di razionalizzazione per evitare l’aggravarsi di un’esposizione debitoria già pesante nei confronti del fornitore”.

Le contraddizioni e le difficoltà nel percorso della digitalizzazione delle scuole sono molte: internet è la materia prima del progetto Scuola digitale, portato avanti da Profumo. Già a dicembre 2011 ha lanciato “La scuola in chiaro” rendendo disponibili i recapiti e le caratteristiche principali

di 11 mila scuole italiane. Il Miur ha già stabilito che da quest’anno scolastico le iscrizioni si devono poter fare via internet; al via, non senza difficoltà, anche il registro in formato elettronico. Secondo il decreto Digitalia, previsto nel prossimo Consiglio dei ministri, “a decorrere dall’anno scolastico 2014-2015”, inoltre, “il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri nella versione digitale o mista, costituita da un testo in formato elettronico o cartaceo e da contenuti digitali integrativi, accessibili o acquistabili in rete anche in modo disgiunto” (si legge nell’ultima bozza). Ma secondo lo stesso ufficio statistico del Miur solo il 33 per cento delle classi è connessa a internet. Il 73 per cento delle scuole lo è, ma magari solo in un punto (biblioteca, segreteria) e quindi non potrebbe svolgere tutte le mansioni digitali previste.

“Lo sappiamo che ci sono scuole senza internet. Ma rimedieremo con il decreto Digitalia, con un piano di cablatura”, promette Giovanni Biondi, il responsabile del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur. È anche il responsabile di questi temi per la Cabina di regia che sta dando vita all’Agenda digitale italiana. “Il cablaggio di scuole e uffici pubblici deve essere la priorità assoluta”, dice il professore dell’Università Bicocca Paolo Ferri ad Agendadigitale.eu, consulente per l’innovazione del Miur. L’approccio di Profumo, “che si è trovato senza soldi e al cospetto di una situazione a macchia di leopardo, è da considerarsi positivo in termini di attenzione al tema e in un contesto in cui non si assiste a un intervento strutturale da 12 anni”, continua.

Passi avanti, a riguardo, potrebbero arrivare grazie a un accordo di 40 milioni di euro tra Miur e le Regioni, annunciato questa settimana. Risorse che permetteranno di mettere computer e internet in classe, dare un tablet a ogni insegnante e in certi casi a ogni alunno, lavagne interattive e predisporre contenuti didattici digitali. Ma solo in alcune regioni italiane e non in tutte le loro scuole.
L’idea che si sta affermando, per il progetto Scuola digitale come per altri temi dell’Agenda, è che a obiettivi così alti rischiano di non corrispondere adeguate risorse. Così si avanzerà a macchia di leopardo e con progetti parziali, cominciando dalle Regioni che hanno più risorse da dedicare a questi temi.

da repubblica.it

"Scuola, il paradosso di internet. 3800 istituti 'staccati' dal web", di Alessandra Longo

Connessione interrotta dal 20 ottobre per tutte le sedi scolastiche agganciate alla rete pubblica statale Spc. Se vogliono proseguire dovranno farlo con i propri fondi. Mentre il Ministero annuncia l’investimento di 40 milioni per la scuola digitale. Il piano Scuola digitale procede a zig zag: così, mentre il ministro del Miur Francesco Profumo annuncia 40 milioni per inondare le classi di strumenti digitali, arriva la doccia fredda per mezzo di una nota della Direzione generale per gli studi, la statistica e i sistemi informativi dello stesso Ministero: dal 20 ottobre per mancanza di fondi finisce il progetto Spc scuole con la conseguenza di tagliare la connessione da 3.8000 istituti. Sembra un paradosso, ma la spiegazione è semplice: la connessione al Sistema Pubblico di Connettività aveva permesso a tutte queste scuole di essere connesse con un operatore banda larga a spese dello Stato. Ma i fondi, appunto, sono finiti. La connessione verrà staccata a meno che le scuole non la confermino a priìoprie spese.
“Negli anni gli stanziamenti finanziari necessari a garantire la gestione e lo sviluppo dell’intero sistema informativo oltre che della rete dati- spiega la nota- hanno subito forti riduzioni mettendo in seria difficoltà questa Direzione la quale, suo malgrado, si trova costretta a perseguire un’opera di razionalizzazione per evitare l’aggravarsi di un’esposizione debitoria già pesante nei confronti del fornitore”.
Le contraddizioni e le difficoltà nel percorso della digitalizzazione delle scuole sono molte: internet è la materia prima del progetto Scuola digitale, portato avanti da Profumo. Già a dicembre 2011 ha lanciato “La scuola in chiaro” rendendo disponibili i recapiti e le caratteristiche principali
di 11 mila scuole italiane. Il Miur ha già stabilito che da quest’anno scolastico le iscrizioni si devono poter fare via internet; al via, non senza difficoltà, anche il registro in formato elettronico. Secondo il decreto Digitalia, previsto nel prossimo Consiglio dei ministri, “a decorrere dall’anno scolastico 2014-2015”, inoltre, “il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri nella versione digitale o mista, costituita da un testo in formato elettronico o cartaceo e da contenuti digitali integrativi, accessibili o acquistabili in rete anche in modo disgiunto” (si legge nell’ultima bozza). Ma secondo lo stesso ufficio statistico del Miur solo il 33 per cento delle classi è connessa a internet. Il 73 per cento delle scuole lo è, ma magari solo in un punto (biblioteca, segreteria) e quindi non potrebbe svolgere tutte le mansioni digitali previste.
“Lo sappiamo che ci sono scuole senza internet. Ma rimedieremo con il decreto Digitalia, con un piano di cablatura”, promette Giovanni Biondi, il responsabile del Dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Miur. È anche il responsabile di questi temi per la Cabina di regia che sta dando vita all’Agenda digitale italiana. “Il cablaggio di scuole e uffici pubblici deve essere la priorità assoluta”, dice il professore dell’Università Bicocca Paolo Ferri ad Agendadigitale.eu, consulente per l’innovazione del Miur. L’approccio di Profumo, “che si è trovato senza soldi e al cospetto di una situazione a macchia di leopardo, è da considerarsi positivo in termini di attenzione al tema e in un contesto in cui non si assiste a un intervento strutturale da 12 anni”, continua.
Passi avanti, a riguardo, potrebbero arrivare grazie a un accordo di 40 milioni di euro tra Miur e le Regioni, annunciato questa settimana. Risorse che permetteranno di mettere computer e internet in classe, dare un tablet a ogni insegnante e in certi casi a ogni alunno, lavagne interattive e predisporre contenuti didattici digitali. Ma solo in alcune regioni italiane e non in tutte le loro scuole.
L’idea che si sta affermando, per il progetto Scuola digitale come per altri temi dell’Agenda, è che a obiettivi così alti rischiano di non corrispondere adeguate risorse. Così si avanzerà a macchia di leopardo e con progetti parziali, cominciando dalle Regioni che hanno più risorse da dedicare a questi temi.
da repubblica.it