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“Quote rosa sempre più «sapienti»”, di Fabrizio Galimberti – Il Sole 24 Ore 12.04.15

La volta scorsa abbiamo parlato del “giacimento” del lavoro femminile, una fonte dormiente di crescita economica, una risorsa da sfruttare se si vuole continuare nella corsa al benessere – almeno a quello materiale. Ma qui è in gioco qualcosa di più del benessere materiale. Qual è lo scopo ultimo del sistema economico: produrre sempre di più, o dare a tutti quelli che vogliono lavorare un’occupazione?
Il mio parere personale è che la cosa più importante sia il lavoro. Lavoro non vuol dire solo guadagno e quindi acquisto di beni e servizi. Avere un lavoro è primariamente una questione di dignità, di indipendenza, di autonomia, di realizzazione di se stessi. Dare quindi a tutti, uomini e donne, la possibilità di lavorare vuol dire migliorare sia l’economia che la società. E, dato che la donna, storicamente, si è trovata in una situazione di minorità (vedi la conquista solo recente del voto alle donne, vedi le disparità nei tassi di occupazione e nel reddito medio di lavoratori e lavoratrici…) è di tanto più importante perseguire una politica di promozione dell’occupazione femminile.
Come abbiamo osservato la volta scorsa, l’occupazione femminile va avanti, e da molto tempo, per conto suo. Molti non sanno che in Italia, nell’ultimo terzo di secolo – dal 1980 a oggi – gli occupati uomini sono diminuiti, mentre gli occupati donne sono aumentati di tre milioni. Ma molto resta ancora da fare: il tasso di occupazione femminile (occupati in percentuale delle donne in età di lavoro) in Italia è ancora uno dei più bassi del mondo.
Per capire se e quanto l’occupazione femminile continuerà ad aumentare guardiamo al mondo giovanile: i giovani sono i lavoratori di domani, e nel mondo di oggi, dove domina “l’economia della conoscenza”, è importante valutare la scolarizzazione: il numero di anni di scuola e i risultati sono i principali fattori che spiegano la possibilità di trovare lavoro.
Qui ci attende una sorpresa. Una sorpresa che emerge da molti studi recenti; vedi, per tutti, i dati dell’Ocse (un organismo internazionale con sede a Parigi). “Il sesso debole” è un’espressione che tradizionalmente dipinge il mondo femminile. E per molti versi il sesso forte rimane quello maschile: il miglior tennista al mondo e il miglior pilota di Formula 1 saranno sempre uomini. La maggior massa muscolare del corpo maschile ha portato a una specializzazione per cui, nelle savane primitive, la caccia era riservata agli uomini che hanno così sviluppato riflessi più pronti e velocità più elevate. Ma, se si passa dai muscoli ad altri fattori dell’umana performance, le cose stanno cambiando con una rapidità che è perfino imbarazzante.
La presenza femminile nelle iscrizioni universitarie è superiore a quella maschile. Non solo: nelle medie superiori i voti delle ragazze sono in media superiori a quelli dei ragazzi. Come si vede dal grafico, questo è vero in tutti i Paesi, non solo in Italia. Il grafico mostra la percentuale di studenti che hanno cattivi voti – inferiori a una certa soglia – nelle materie sia umanistiche che scientifiche. E mostra che dappertutto la percentuale di studenti impreparati è maggiore fra i ragazzi rispetto alle ragazze. La prevalenza di questo fenomeno in Paesi tanto diversi – dal Perù all’Indonesia alla Svezia, dall’America al Giappone alla Turchia – è impressionante.
Questi dati sono ricavati dal PISA (niente a che fare con la torre pendente – è il “Program for International Student Assessment”, un’indagine triennale condotta dall’Ocse in 65 Paesi) e l’ultimo studio si riferisce al 2012. Certamente, il sesso maschile mantiene qualche vantaggio nella scuola. Se ci si limita alla matematica, in 37 Paesi su 65 i ragazzi sono più bravi, anche se il divario con le ragazze va diminuendo. E, guardando all’estremo opposto – i “bravissimi” – sono di più i ragazzi (eccetto nelle materie umanistiche). Ma nella lettura e e analisi dei testi, dove le ragazze stravincono, il divario con i “boys” aumenta nel tempo. Le ragioni sono anche psicologiche. Come riporta un bell’articolo dell’«Economist» del 7 marzo, il preside di una scuola di un quartiere malfamato di New York – il Bronx – dice: «C’è una mentalità per cui non è cool per i ragazzi far bene, non è cool essere bravi».
Le ragioni del cool non bastano però a spiegare un divario che, come detto, attraversa latitudini e longitudini. Ci devono essere anche altre ragioni. I dati del PISA mostrano che le ragazze studiano di più a casa: è maggiore il numero di ore dedicate ai compiti. Ma questo è ancora l’effetto di una causa più profonda. E forse la determinante principale è culturale: proprio perché le donne hanno cominciato ad acquistare più indipendenza, sono più motivate nella ricerca di un’autonomia, di un’affermazione, dopo secoli e millenni di minorità.
Quali sono le implicazioni per l’economia? Sono positive, in Italia come in altri Paesi. In giro per il mondo ci sono molti giacimenti, e il loro utilizzo dipende dai costi di estrazione e di lavorazione. Se c’è un “giacimento” di lavoro femminile potenziale che può essere utilizzato per sostenere crescita e occupazione, tutto quello che può facilitare la “estrazione” di questo lavoro rende più facile sfruttare il giacimento. E un maggiore grado di istruzione, così come un più alto grado di sana ambizione, rendono più facile il passaggio delle donne nella forza-lavoro.
Non ci sono controindicazioni a questa tendenza. Se non quella che forse, un giorno, quando il “sesso debole” diventerà il “sesso bravo”, ci dovremo preoccupare, dopo aver introdotto le “quote rosa”, di fare marcia indietro e lottare per l’adozione di “quote celesti”!