La bassa competitività del sistema Paese inizia dal basso, dalla scuola. Che, nonostante i miglioramenti dell’ultimo ventennio, mostra di essere ingessata rispetto alla sfide del sistema globale e soprattutto di aver rinunciato alla mission che l’aveva caratterizzata negli anni del boom economico, quella di fare da ascensore sociale.
L’atto di accusa è dell’Ocse, che nell’ultimo rapporto sull’educazione evidenzia investimenti inferiori alla media dei paesi europei, alti tassi di disoccupazione giovanile combinati ad alti tassi di dispersione scolastica. E poi, insegnanti mal pagati e per giunta in avanti con gli anni. Il premier Mario Monti ieri, in un momento di estrema sincerità nel confronto con le parti sociali sulla crisi, ha ammesso che le politiche di rigore inferte dal suo esecutivo hanno certamente peggiorato la recessione. Ma che è stata una scelta inevitabile per tenere sotto controllo il debito pubblico.
La scuola è stata, da ben prima di Monti, il terreno privilegiato delle politiche restrittive della spesa dello stato. La manovra più consistente è stata quella dell’ultimo governo Berlusconi: con il decreto legge 112/2008 il ministro dell’economia Giulio Tremonti dettò in pratica la riforma della scuola di Mariastella Gelmini, che doveva raggiungere l’obiettivo di ridurre di 8 miliardi la spesa dello stato, eliminando 120 mila posti di lavoro. E così l’Ocse fotografa come l’anno dopo (la ricerca infatti è riferiva ai dati del 2009) l’Italia sia stata penultima per investimenti, con una spesa pubblica pari al 4,7% del Pil, inferiore di quasi un punto percentuale rispetto alla media Ocse (5,8%), ovvero tra i 15 e i 16 miliardi di euro in meno. Il trend? Negativo, tra il 2002 e il 2009 la spesa dello stato è sempre diminuita. É aumentata invece la spesa dei privati. A differenza però di altri paesi, l’Italia investe sull’infanzia: i bambini di tre anni per il 93% vanno a scuola, contro il 66% delle media Ocse. La situazione peggiora con le medie e poi le superiori, che segnano l’inizio del disastro della dispersione scolastica: il 23% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni appartiene alla generazione dei NEET, ovvero non studia, ma neppure lavora, rispetto a una media Ocse del 16%, e in crescita con la crisi del 2008 dopo il calo che si era registrato all’inizio degli anni Duemila. Il rapporto segnala anche la difficoltà per i laureati (che sono il 15%, contro la media Ocse del 31%) di trovare lavoro: il tasso di occupazione è sceso tra il 2002 e il 2010 dall’82,2% al 78,3%. Tra l’altro i figli di genitori con bassi livelli di istruzione non riescono a migliorare: solo il 9% dei ragazzi con genitori neanche diplomati riesce ad agguantare una laurea. L’ascensore sociale si è bloccato. «Troppi giovani scelgono percorsi destinati alla disoccupazione», commenta il vicepresidente di Confindustria per l’education, Ivan Lo Bello, «e troppe aziende non trovano i tecnici che cercano. Siamo ancora troppo condizionati dagli stereotipi del passato». Il problema è quello di un sistema che resta ingessato nella scelta dei licei e dà ancora poco spazio a tecnici e professionali. L’esperienza degli Its, gli istituti tecnici superiori, voluti dall’ex ministro Beppe Fioroni, stenta a decollare: dovevano essere l’avvio di un sistema di formazione altamente specializzato e indirizzato nei programmi da stato e imprese insieme. Sull’esempio del modello tedesco, che proprio nella formazione tecnica ha trovato una delle leve della crescita economica. A rendere più pesante il percorso di innovazione del sistema scolastico, dice l’Ocse, contribuisce l’età media dei docenti nostrani: gli insegnanti under 30 sono meno dello 0,5% in tutti i gradi di scuola, contro una media Ocse che arriva al 14% nella scuola primaria (nel Regno Unito sono addirittura il 31,7%). E anche gli under 40 scarseggiano: sono il 16,6% alla primaria, l’11,6% alle medie, il 7,9% alle superiori. Da noi la porzione più cospicua di insegnanti si piazza nella fascia 50-59 anni: sono il 39,3% alla primaria, il 50% alle medie, e altrettanti alle superiori. Nella scuola secondaria la quota di over 60 sfiora il 10%. Una situazione che il ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, avrebbe voluto momigliorare con l’iniezione di docenti giovani da reclutare con l’emanando concorso. Ma svecchiare la scuola non è operazione semplice: la legge prevede che per partecipare il candidato debba essere abilitato, l’età media dei papabili così sale tra i 30 e i 40 anni, a seconda della classe di concorso. Sotto la media sono anche gli stipendi dei docenti che in Italia arrivano al top del salario dopo 35 anni di carriera, ovvero alle soglie della pensione, spiega l’Ocse. E anche raggiunto l’obiettivo si resta sotto la media dei colleghi esteri: 39.762 dollari in Italia, oltre 45mila mediamente negli altri paesi.
da ItaliaOggi 12.09.12
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«Noi ragazzi in cattedra gratis», di Giusi Fasano
A Novi di Modena e nella frazione di Rovereto la scuola sarà anche questa. Alessandro, Alice, Federica e Laura proveranno a far innamorare della matematica i bambini delle elementari e i ragazzini delle medie. E lo faranno gratis. Due-tre lezioni alla settimana nelle non-scuole di Novi e Rovereto, sotto le tensostrutture. Niente contemplazione di numeri e formule, solo laboratori e strumenti che faranno la gioia di centinaia di studenti.
Laureati o dottorandi, età compresa fra i 26 e i 30 anni, questi quattro professori speciali hanno in comune la passione per la matematica e l’esperienza di Formath, società e sito internet che si occupa di divulgazione e formazione scientifica anche per gli insegnanti.
Il loro punto forte è insegnare diventando un po’ bambini, con i loro strumenti «strani», con la matematica «fatta», più che spiegata. Se chiedi a un bambino perché una bolla di sapone viene rotonda la risposta più classica è «perché esce da un cerchietto». Quegli stessi bambini restano incantati, e magari si appassionano alla spiegazione, se verificano che comunque, anche da un telaietto quadrato, si produce sempre una bolla tonda. Ecco. È di questi dettagli che gli studenti possono innamorarsi. Oppure di figure come gli animali-origami, oggetti minuscoli che hanno un grandissimo pregio: «Educare alla visione spaziale», per dirla con il referente scientifico dei Formath Giorgio Bolondi, e stimolare l’esplorazione e la conoscenza delle trasformazioni geometriche.
Gli occhi degli studenti planeranno su mondi e linguaggi sconosciuti: per esempio il sistema di scrittura dei numeri degli antichi come gli incas e gli egizi. Per capire meglio la nostra scrittura dei numeri e studiare insieme un po’ matematica e un po’ storia. «Si può fare matematica in modo più leggero» è convinto il professor Bolondi. «Questi ragazzi sono preparati e coinvolgenti perché riescono a far lavorare gli studenti e far capire che la matematica non è soltanto fare i conti». Volevano dare una mano da volontari ai bambini del terremoto, hanno messo in moto un passaparola finché qualcuno non ha accolto il loro desiderio. «Gli studenti sarebbero felici di conoscervi» si sono sentiti dire. Almeno questo è sicuro. È matematico.
Il Corriere della Sera 12.09.12
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«Noi ragazzi in cattedra gratis», di Giusi Fasano
Qualcuno si ritroverà in una stanza d’albergo, qualcun altro farà lezione in un bar, c’è chi comincerà sotto le tende della protezione civile e chi avrà come tetto il telo di una tensostruttura o il soffitto di un palasport, altri ancora faranno lezione in parrocchia o su campi da tennis adattati per l’occasione. In alcuni casi si dovranno fare dei turni: il mattino un gruppo di studenti, il pomeriggio un altro.
Benvenuti nelle scuole nonostante tutto. Nell’Emilia del dopo-terremoto si ricomincia l’anno scolastico come si può e (salvo rare eccezioni) lunedì prossimo, quando suonerà la prima campanella, tutti gli studenti emiliani saranno davanti a un banco. Magari in una non-scuola, appunto. In attesa che siano pronti i moduli o i prefabbricati oppure che finiscano i lavori di risistemazione delle scuole che non hanno subito danni gravi. «Ne sono state danneggiate 450 — premette l’assessore regionale all’istruzione Patrizio Bianchi — e, con uno sforzo e un orgoglio che non scorderò mai, siamo riusciti ad aprire tutti i cantieri e i lavori finiranno fra il 15 settembre e il 15 ottobre». Un rapporto diffuso ieri da Save The Children rivela che gli edifici scolastici inagibili sono oggi 165 e che più di 17 mila tra bambini e adolescenti torneranno in classi organizzate all’interno di 1.530 strutture e moduli provvisori. I moduli, in affitto, saranno operativi per il massimo di un anno durante il quale si risistemeranno le scuole, le strutture prefabbricate, invece, sono destinate a una vita ben più lunga.
Nel Mantovano, unica provincia lombarda colpita dal terremoto, le scuole ripartono oggi ma la situazione è simile a quella emiliana. «Riusciamo a far ripartire tutti gli studenti dei comuni che hanno avuto danni dal sisma — annuncia il presidente della Provincia Alessandro Pastaccin —, magari per i primi giorni qualcuno si dovrà adattare a luoghi non proprio scolastici come le sale civiche oppure dovrà fare i turni. Ma fra fine settembre e inizio ottobre tutti i container e i prefabbricati saranno pronti».
A Cavezzo, diventato Comune simbolo del terremoto per essere stato uno dei più distrutti, si ricomincia in emergenza con la consegna di moduli e prefabbricati programmata in tempi diversi. «Si comincia il 17 sotto le tensostrutture o in edifici che possono ospitare i ragazzi in condizioni di sicurezza. Ma sulla questione scuola non mi lamento» dice il sindaco Stefano Draghetti. «Vista la situazione sarà un po’ complicata la partenza. Abbiamo attrezzato come scuola anche un centro sportivo comunale che è sostanzialmente un bar molto bello e poi due campi da tennis coperti. Sono convinto che con un po’ di pazienza si supererà tutto».
A Medolla procedono spediti i lavori di ristrutturazione delle scuole dai danni contenuti e (mentre si allestiscono i moduli) per i bambini delle materne il Comune ha deciso due cose: chiedere una mano alla parrocchia perché li ospiti finché la loro scuola provvisoria non sarà montata e utilizzare per altri studenti le tende della Protezione civile usate finora per gli sfollati. Decisamente più complicata la situazione del Comune di Cento dove la riapertura di materne, elementari e medie non avverrà prima del 25 settembre, con non poche polemiche di genitori che si sono organizzati in comitati per proporre e studiare soluzioni diverse da quelle messe in conto dall’amministrazione. Dal sito del Comune arriva comunque un messaggio rassicurante: «Solo in pochi casi si farà ricorso a turni pomeridiani e dal 17 di ottobre si entrerà a regime, con l’inaugurazione di due nuovi plessi scolastici».
A Finale Emilia la soluzione più veloce per dare un banco in tempo a tutti gli studenti è stata scegliere come sede (fra le altre) un albergo antisismico. «Ci mettiamo una parte delle scuole elementari, medie, liceo e istituto tecnico» spiega il sindaco Fernando Ferioli. «Lo paghiamo con le donazioni e utilizziamo una cinquantina di stanze e poi locali pensati come sale meeting. Escluse le scuole d’infanzia, che siamo riusciti a riaprire, dalle elementari alle superiori nessuno dei nostri 2.200 studenti potrà purtroppo fare lezione in una scuola vera. La parola d’ordine è arrangiarsi e dobbiamo farlo».
Anche nel Comune di Novi di Modena (e nella frazione di Rovereto) i primi a partire sono i piccoli dell’infanzia. «Ho chiesto la deroga di una settimana per cominciare — dice la preside Rossella Garuti — perché siamo indietro con i moduli e i prefabbricati. I bambini della prima elementare condivideranno gli spazi con quelli della materna, ci aiuteranno le parrocchie e le tensostrutture. In qualche modo faremo». È una promessa ma assomiglia a una certezza.
Il Corriere della Sera 12.09.12
Scuola: Ghizzoni, turnover insegnanti per tornare a livelli europei
“Il pensionamento immediato per chi ne ha conseguito i diritti è una delle soluzioni per riallineare la scuola italiana con quella degli altri Paesi dell’area Ocse. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura, Scienza e d Istruzione della Camera dei Deputati, commentando i risultati del rapporto Ocse “Education at a glance 2012” – Purtroppo dobbiamo registrare uno scivolamento verso il basso della scuola italiana, e non solo per la spesa pubblica che, se non si considerasse la spesa degli Enti Locali, rappresenterebbe un dato palesemente negativo e destinato a peggiorare. Il rapporto – spiega Ghizzoni – rileva un innalzamento dell’età degli insegnanti della scuola secondaria che porta l’Italia a detenere il record di nazione con i professori più anziani. Un segnale preoccupante del divario anagrafico tra docente e discente che può avere conseguenze anche sulla mancata capacità di innovazione dei metodi della didattica. Nella realtà della scuola, però, gli insegnanti giovani ci sono, ma sono precari. È dunque necessario che chi ha responsabilità di governo permetta il pensionamento di tutti quegli insegnanti che hanno maturato i diritti di legge nel corso dell’anno scolastico, e che sono stati penalizzati a causa della Riforma Fornero che non ha tenuto conto della specificità della scuola, e, contemporaneamente, intraprenda una strategia di più ampio respiro per potenziare gli organici e garantire una programmazione certa delle immissioni in ruolo.”
Scuola: Ghizzoni, sicurezza è priorità anche durante la crisi
Scuola pubblica di qualità deve partire dalla sicurezza. “La sicurezza scolastica è una priorità e non può essere subordinata alle politiche economiche, seppur in tempo di crisi. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commisisone Cultura, Scienze e Istruzione della Camera dei Deputati, alla notizia del crollo del soffitto di una scuola elementare a Cordenons – Le politiche per l’edilizia scolastica hanno seguito, finora, un approccio verticistico che ha esautorato gli Enti Locali dalla programmazione e non ha dato certezze nei tempi e nei modi dell’erogazione dei finanziamenti, anche quando previsti.
Il centralismo e l’emergenzialismo hanno fallito – osserva Ghizzoni – è arrivato il momento di cambiare rotta: le leggi ordinarie esistenti, come la legge Masini, se finanziate funzionano bene e migliorano la sicurezza scolastica.
Non servono interventi straordinari del governo quando le tragedie sono ormai accadute, è invece necessario il ripristino della manutenzione e messa in sicurezza ordinaria, svolta con continuità da Provincie e Comuni e adeguata alle esigenze territoriali. Se la politica vorrà assicurare una scuola pubblica di qualità ai suoi cittadini – conclude Ghizzoni – dovrà partire proprio dalla garanzia di sicurezza.”
Scuola: Ghizzoni, Fornero e Profumo garantiscano equità
“Eliminare l’evidente e iniqua disparità di trattamento riservata ai lavoratori della scuola che, nonostante abbiano maturato il diritto alla pensione, saranno costretti ad iniziare l’anno scolastico. – è quanto richiesto da Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura Scienza e Istruzione, in una interrogazione al Ministro del Lavoro e al Ministro dell’istruzione. – La riforma Fornero – spiega Ghizzoni – non differenzia in alcun modo la normativa previdenziale relativa al comparto scuola rispetto a quella degli altri settori pubblici e privati, non tenendo in conto che i lavoratori della scuola possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1 settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti. È un vulnus che è stato riconosciuto anche dai Giudici del Lavoro dei Tribunali di Oristano, di Torino, di Venezia e Siena, che hanno accertato il diritto dei lavoratori ad essere collocati in quiescenza dal 31 agosto 2012. La “finestra speciale”, di cui hanno sempre beneficiato i lavoratori della scuola nelle precedenti normative, è legata alla salvaguardia della qualità e continuità del servizio scolastico e per questo non un privilegio di pochi ma un esigenza legata ad un bene comune: l’istruzione dei nostri alunni. I ministri Fornero e Profumo sono chiamati a intervenire – conclude la Presidente Ghizzoni – per garantire il rispetto della specificità della condizione del personale della scuola e conseguentemente l’equità di trattamento tra tutti i lavoratori in relazione ai requisiti per il pensionamento, consentendo anche di incrementare le immissioni di docenti giovani all’interno della scuola, riducendo il precariato e contrastando un’anomalia propria dell’Italia, che risulta essere il Paese dell’Unione europea con la percentuale più alta di insegnanti ultra cinquantenni e quella più bassa di insegnanti al di sotto dei 30 anni.”
"Chi boicotta la legge elettorale", di Claudio Sardo
C’è di che preoccuparsi di fronte ai ritardi, ai tatticismi, alle incertezze che minacciano di far saltare la riforma elettorale. In tanti giocano con il fuoco. Quelli che il Porcellum non è poi così male. Quelli che è meglio che si sfasci tutto. Quelli che una nuova legge potrebbe andare, purché renda improbabile una maggioranza politica e trattenga così l’Italia nella palude.
Non si rendono conto questi signori che, se il Parlamento non fosse in grado di modificare la legge Calderoli, l’ondata di discredito potrebbe travolgere le stesse istituzioni democratiche, mentre l’Europa sarà ancora alle prese con la durezza sociale della crisi economica e solo una politica più forte può produrre il necessario cambiamento di rotta. Non si rendono neppure conto che, se le elezioni avessero un esito nullo, l’eventuale nuovo mandato ad un governo simil-tecnico avrebbe un effetto di delegittimazione sulla legislatura.
Non è in palio soltanto una vittoria contingente (purtroppo, non si dovrebbero pensare le riforme elettorali con l’intento di manipolare le consultazioni successive).Cancellare il Porcellum è una necessità vitale della nostra democrazia. Perché quella legge ha prodotto un carico insopportabile di fallimenti e di sfiducia. Le liste bloccate hanno allargato a dismisura la distanza tra elettori ed eletti. E la promessa di coalizioni stabili è stata smentita clamorosamente, tanto nella legislatura del centrosinistra di Prodi che in quella del centrodestra di Berlusconi. Altro che cittadino-arbitro: il super-premio alle coalizioni è servito per prendere in giro gli elettori e per ridurre il loro potere di decisione. Quel premio era un imbroglio incostituzionale: ha favorito la frammentazione e non la stabilità, ha creato l’illusione del premier eletto direttamente ma il risultato più evidente è stato l’alterazione degli equilibri istituzionali.
La riforma elettorale peraltro era l’impegno principale assunto dal Parlamento, mentre il Capo dello Stato affidava a Mario Monti e al suo esecutivo il compito di guidare il Paese nell’emergenza e di rimontare la china del discredito su cui ci aveva spinto Berlusconi. Fallire oggi è una catastrofe politica e democratica. Per quanto la legge elettorale appaia distante dagli interessi materiali e dalle sofferenze sociali dei lavoratori, delle imprese, delle famiglie, ritornare alle elezioni con un sistema che tutti giudicano indecoroso e inaccettabile sarebbe quasi un suicidio.
Purtroppo qualcuno pensa di avvantaggiarsi dal fallimento. Lo pensano quelle forze nel Pdl e nella Lega che sembrano ormai animate da un solo scopo: impedire che il Pd possa formare un governo di centrosinistra. Lo pensano le forze che cavalcano il populismo di sinistra: anche loro preferiscono un Monti-bis o qualcosa di simile per poter dire che «sono tutti uguali». Calcoli drammaticamente miopi. Ma, siccome la riforma elettorale non può che nascere da una larga convergenza parlamentare, bisogna sperare che prevalgano ovunque le forze più ragionevoli.
Il Pd deve essere disposto a rinunciare a qualcosa pur di raggiungere un compromesso accettabile. Ma, appunto, il compromesso deve avere una dignità e una solidità. Ad esempio, si torna a parlare a sproposito di modello tedesco: ma si omette che la legge tedesca non contiene le preferenze, bensì l’uninominale-maggioritario per il 50% dei seggi. E che quella legge è accompagnata da solidi meccanismi di stabilizzazione dei governi: sfiducia costruttiva e regolamenti parlamentari che impediscono il passaggio da un gruppo all’altro. Da noi invece Pdl e Lega hanno fatto saltare la bozza Violante e hanno votato a sfregio per una riforma presidenziale con l’obiettivo di impedire l’introduzione della sfiducia costruttiva.
È chiaro a tutti che non si potrà modificare il Porcellum senza ripristinare una scelta diretta dei cittadini sui loro rappresentanti. Si può prendere la strada dei collegi o quella delle preferenze: ma chi pone veti o diktat, vuole boicottare l’intesa. In Germania, il mix tra uninominale-maggioritario e compensazione proporzionale consente una composizione virtuosa del Parlamento, dove il gruppo di maggioranza, quello su cui si regge il governo, è composto in prevalenza dai vincitori dei collegi mentre invece i gruppi minori e le opposizioni sono in prevalenza formati da parlamentari eletti nelle liste. È un equilibrio che consente di far pesare di più i territori nella politica della maggioranza. Il collegio elettorale è una risorsa, che i cittadini hanno già mostrato di apprezzare.
La riforma tuttavia è possibile solo se rende realmente competitive le elezioni. Se favorisce, come avviene ovunque, la formazione di un governo attorno al partito che ha raccolto il maggior numero di voti. Il premio del Porcellum è incostituzionale. Ma è possibile – senza stravolgere gli equilibri, anzi rafforzando il ruolo del Parlamento – assegnare un premio del 10-12% per dare al vincitore la possibilità di formare coalizione omogenee. Qualora di decidesse di dare il premio al partito, probabilmente invertiremmo quella tendenza alla frammentazione e al trasformismo che ha segnato la Seconda Repubblica: e, magari, già alle prossime elezioni potremmo avere i due maggiori partiti che si contendono il primato attorno a una cifra più vicina al 40%.
Perché la destra dovrebbe favorire una riforma nel momento in cui considera il Pd favorito? Perché dovrebbe favorirla la borghesia italiana, quella che strizza l’occhio a Grillo e al tempo stesso tifa per il Monti-bis? Perché il funzionamento della democrazia è un bene comune. E la Seconda Repubblica è causa non secondaria del fatto che la crisi italiana sia più grave che altrove. Con le forze di destra e di centro disposte ad un confronto leale, si potrebbe arrivare ad un comune impegno: dopo la riforma elettorale di oggi, aprire nella prossima legislatura un cantiere costituente. Non per cambiare la struttura della nostra Carta, ma per decidere insieme gli aggiustamenti della seconda parte. Era l’idea originaria dell’Ulivo. Oggi questa responsabilità è ancora più grande: senza riforma, l’Italia potrebbe non farcela.
L’Unità 12.09.12
"Chi boicotta la legge elettorale", di Claudio Sardo
C’è di che preoccuparsi di fronte ai ritardi, ai tatticismi, alle incertezze che minacciano di far saltare la riforma elettorale. In tanti giocano con il fuoco. Quelli che il Porcellum non è poi così male. Quelli che è meglio che si sfasci tutto. Quelli che una nuova legge potrebbe andare, purché renda improbabile una maggioranza politica e trattenga così l’Italia nella palude.
Non si rendono conto questi signori che, se il Parlamento non fosse in grado di modificare la legge Calderoli, l’ondata di discredito potrebbe travolgere le stesse istituzioni democratiche, mentre l’Europa sarà ancora alle prese con la durezza sociale della crisi economica e solo una politica più forte può produrre il necessario cambiamento di rotta. Non si rendono neppure conto che, se le elezioni avessero un esito nullo, l’eventuale nuovo mandato ad un governo simil-tecnico avrebbe un effetto di delegittimazione sulla legislatura.
Non è in palio soltanto una vittoria contingente (purtroppo, non si dovrebbero pensare le riforme elettorali con l’intento di manipolare le consultazioni successive).Cancellare il Porcellum è una necessità vitale della nostra democrazia. Perché quella legge ha prodotto un carico insopportabile di fallimenti e di sfiducia. Le liste bloccate hanno allargato a dismisura la distanza tra elettori ed eletti. E la promessa di coalizioni stabili è stata smentita clamorosamente, tanto nella legislatura del centrosinistra di Prodi che in quella del centrodestra di Berlusconi. Altro che cittadino-arbitro: il super-premio alle coalizioni è servito per prendere in giro gli elettori e per ridurre il loro potere di decisione. Quel premio era un imbroglio incostituzionale: ha favorito la frammentazione e non la stabilità, ha creato l’illusione del premier eletto direttamente ma il risultato più evidente è stato l’alterazione degli equilibri istituzionali.
La riforma elettorale peraltro era l’impegno principale assunto dal Parlamento, mentre il Capo dello Stato affidava a Mario Monti e al suo esecutivo il compito di guidare il Paese nell’emergenza e di rimontare la china del discredito su cui ci aveva spinto Berlusconi. Fallire oggi è una catastrofe politica e democratica. Per quanto la legge elettorale appaia distante dagli interessi materiali e dalle sofferenze sociali dei lavoratori, delle imprese, delle famiglie, ritornare alle elezioni con un sistema che tutti giudicano indecoroso e inaccettabile sarebbe quasi un suicidio.
Purtroppo qualcuno pensa di avvantaggiarsi dal fallimento. Lo pensano quelle forze nel Pdl e nella Lega che sembrano ormai animate da un solo scopo: impedire che il Pd possa formare un governo di centrosinistra. Lo pensano le forze che cavalcano il populismo di sinistra: anche loro preferiscono un Monti-bis o qualcosa di simile per poter dire che «sono tutti uguali». Calcoli drammaticamente miopi. Ma, siccome la riforma elettorale non può che nascere da una larga convergenza parlamentare, bisogna sperare che prevalgano ovunque le forze più ragionevoli.
Il Pd deve essere disposto a rinunciare a qualcosa pur di raggiungere un compromesso accettabile. Ma, appunto, il compromesso deve avere una dignità e una solidità. Ad esempio, si torna a parlare a sproposito di modello tedesco: ma si omette che la legge tedesca non contiene le preferenze, bensì l’uninominale-maggioritario per il 50% dei seggi. E che quella legge è accompagnata da solidi meccanismi di stabilizzazione dei governi: sfiducia costruttiva e regolamenti parlamentari che impediscono il passaggio da un gruppo all’altro. Da noi invece Pdl e Lega hanno fatto saltare la bozza Violante e hanno votato a sfregio per una riforma presidenziale con l’obiettivo di impedire l’introduzione della sfiducia costruttiva.
È chiaro a tutti che non si potrà modificare il Porcellum senza ripristinare una scelta diretta dei cittadini sui loro rappresentanti. Si può prendere la strada dei collegi o quella delle preferenze: ma chi pone veti o diktat, vuole boicottare l’intesa. In Germania, il mix tra uninominale-maggioritario e compensazione proporzionale consente una composizione virtuosa del Parlamento, dove il gruppo di maggioranza, quello su cui si regge il governo, è composto in prevalenza dai vincitori dei collegi mentre invece i gruppi minori e le opposizioni sono in prevalenza formati da parlamentari eletti nelle liste. È un equilibrio che consente di far pesare di più i territori nella politica della maggioranza. Il collegio elettorale è una risorsa, che i cittadini hanno già mostrato di apprezzare.
La riforma tuttavia è possibile solo se rende realmente competitive le elezioni. Se favorisce, come avviene ovunque, la formazione di un governo attorno al partito che ha raccolto il maggior numero di voti. Il premio del Porcellum è incostituzionale. Ma è possibile – senza stravolgere gli equilibri, anzi rafforzando il ruolo del Parlamento – assegnare un premio del 10-12% per dare al vincitore la possibilità di formare coalizione omogenee. Qualora di decidesse di dare il premio al partito, probabilmente invertiremmo quella tendenza alla frammentazione e al trasformismo che ha segnato la Seconda Repubblica: e, magari, già alle prossime elezioni potremmo avere i due maggiori partiti che si contendono il primato attorno a una cifra più vicina al 40%.
Perché la destra dovrebbe favorire una riforma nel momento in cui considera il Pd favorito? Perché dovrebbe favorirla la borghesia italiana, quella che strizza l’occhio a Grillo e al tempo stesso tifa per il Monti-bis? Perché il funzionamento della democrazia è un bene comune. E la Seconda Repubblica è causa non secondaria del fatto che la crisi italiana sia più grave che altrove. Con le forze di destra e di centro disposte ad un confronto leale, si potrebbe arrivare ad un comune impegno: dopo la riforma elettorale di oggi, aprire nella prossima legislatura un cantiere costituente. Non per cambiare la struttura della nostra Carta, ma per decidere insieme gli aggiustamenti della seconda parte. Era l’idea originaria dell’Ulivo. Oggi questa responsabilità è ancora più grande: senza riforma, l’Italia potrebbe non farcela.
L’Unità 12.09.12
