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"L'abbraccio velenoso", di Gianluigi Pellegrino

La solidarietà che Berlusconi manifesta al Capo dello Stato, nel conflitto innanzi alla Consulta, ha in realtà molto veleno nella coda. E anche nel corpo. Proclama il cavaliere: sto con Napolitano perché adesso lui sperimenta quello che ho subito io per intercettazioni penalmente irrilevanti. È la sinistra – fa eco ubbidiente Alfano – ad usare due pesi e due misure: oggi è con il Presidente ma allora non era con il premier.
In realtà l’equazione tra le intercettazioni di Berlusconi e quelle di Napolitano non regge a un elementare esame dell’ordinamento e dei fatti. Ed evocarla vuol dire sgambettare nel modo più subdolo il Capo dello Stato. Un bacio velenoso, un abbraccio che nasconde un attacco alle spalle.
È, infatti, la magistratura ordinaria che ai sensi dell’articolo 15 della Costituzione può disporre le intercettazioni.
Ma, mentre il premier politicamente e penalmente responsabile, è integralmente soggetto al controllo della giurisdizione ordinaria (cui appartiene anche il tribunale dei ministri) e quindi alle relative intercettazioni e alle connesse valutazioni di rilevanza, così invece assolutamente non è per il Capo dello Stato che, in ragione della sua irresponsabilità politica e per il magistero di garanzia e di unità nazionale che la Costituzione gli assegna, nell’esercizio delle sue funzioni non è mai sottoposto al giudice ordinario, ma solo alla Corte costituzionale, e al Parlamento quale organo di accusa. Coerentemente la legge dispone un divieto assoluto di intercettazione da parte del magistrato ordinario fino a quando il Presidente è in carica, persino per i due gravi reati funzionali per cui è imputabile. Ed anche per i reati comuni l’ipotesi di intercettazione è esclusa pure da coloro che li ritengono perseguibili durante il settennato. Peraltro la stessa magistratura inquirente nell’unico precedente (Scalfaro) ha ritenuto inibita qualsiasi valutazione e atto del giudice con riguardo al Presidente sino alla fine del mandato.
In ogni caso tale inibizione vale con riguardo alle comunicazioni del Capo dello Stato, atteso che in presenza di una norma che espressamente ne sancisce l’inviolabilità persino in ipotesi di attentato alla Costituzione o alto tradimento (sino alla sospensione dalla carica), uguale divieto è senz’altro operante per ipotesi minori. E a maggior ragione in assenza assoluta di sospetti sul Presidente quando le indagini nemmeno lo riguardano. È una scelta ordinamentale che ben si comprende, atteso che la pacifica inconoscibilità delle funzioni presidenziali da parte della magistratura ordinaria, non può che presupporre la radicale impossibilità per la stessa di violarne la corrispondenza o intercettarne le telefonate, dove certo non è distinguibile, tanto meno a priori, l’attività non funzionale. È qui il cuore del conflitto, avendo la magistratura ritenuto invece di poter sindacare in punto di rilevanza anche le comunicazioni del Capo dello Stato. Ed è proprio contro quest’architrave di principio del ricorso di Napolitano, che in realtà muove Berlusconi quando, per dare corpo ad un appiccicoso parallelismo con le sue vicende, motiva l’apparente solidarietà insistendo sui contenuti delle telefonate e sulla loro (peraltro pacifica) «irrilevanza penale», dimentico tra l’altro, il cavaliere, che invece le sue telefonate nelle inchieste che lo riguardano, sono assai rilevanti anche sul versante penale. In realtà se il punto fosse quello dei contenuti delle comunicazioni Napolitano-Mancino allora l’udienza che avevano ipotizzato i procuratori di Palermo, il riascolto delle telefonate e la loro valutazione sarebbero atti dovuti e Napolitano avrebbe torto.
Ma le ragioni del Presidente sono nelle radicali guarentigie che a tutela dei cittadini (come ha evidenziato Ezio Mauro) e dell’equilibrio costituzionale, differenziano l’unicità del Capo dello Stato nel suo ruolo di garanzia e privo di responsabilità politica, con conseguente esclusione in radice di ingerenze di altri poteri, compresa la magistratura ordinaria, sulle funzioni e quindi sulle sue comunicazioni e corrispondenza. Al che consegue la necessità di distruzione di ufficio di eventuali fortuite registrazioni, a prescindere in radice dai loro contenuti.
Opposte invece sono le norme applicabili alle inchieste che riguardano il cavaliere, atteso che il controllo di legalità della magistratura ordinaria (titolare del potere di intercettazione) sugli organi politici, amministrativi e di governo, a cominciare dal premier, è assoluto e completo.
Si compone così il mosaico costituzionale. Ogni tessera al suo posto, diversa da tutte le altre e in diversa relazione con le altre. Solo derive demagogiche o biechi interessi di bottega impediscono di vederlo. Conducendo ad equazioni appiccicose che mascherano goffe pulsioni eversive con stucchevoli effusioni.
La Repubblica 06.09.12

"Tagliamo i costi dell`energia, l`acquirente si troverà", intervista a Stefano Fassina di A. Custodero

«No. L`Alcoa non va chiusa». Stefano Fassina, responsabile “economia e lavoro” per il Pd – domani sarà in visita allo stabilimento di Portovesme – indica «una soluzione di mercato con operatori privati».
Fassina, gli americani dell`Alcoa hanno deciso di chiudere lo stabilimento in Italia perché non più competitivo. Lei è contrario, perché?
«Perché è l`unico produttore italiano di alluminio».
Cosa può fare il governo per evitare la chiusura?
«Incentivare l` ingresso di un altro operatore privato».

Quale?
«In questi giorni la Glencore, multinazionale svizzera che ha gli stabilimenti accanto all`Alcoa, sta valutando la possibilità di acquisto».

Ma se la produzione di alluminio non è competitiva per Alcoa, come può diventarlo per Glencore?
«È ovvio che il subentro di un altro operatore privato è possibile solo se il governo può garantire condizioni di contesto produttive che siano competitive con quelle europee. Mi riferisco in particolare al costo dell`energia, essendo quella di alluminio una produzione ad alto consumo energetico».

Abbassare il costo dell`energia elettrica riguarda tutte le imprese, non solo l`Alcoa.
«È un problema generale che implica una strategia energetica nazionale. Al ministero dello Sviluppo economico ci stanno lavorando. Purtroppo abbiamo perso 4 anni del governo Berlusconi che s`era imbarcato sull`ipotesi nucleare stoppata dal referendum. Poi, anziché concentrarci sulle politiche industriali abbiamo perso sei mesi a parlare di articolo 18».

Come ridurre il costo dell`energia per rendere Portovesme appetibile sul mercato senza, però, incorrere nelle sanzioni europee per “agevolazioni di Stato” come avvenuto in passato?
«Il governo sta lavorando per portare il costo dell`energia, che in Italia è de1 30% più oneroso che nel resto d`Europa, a livelli sostenibili. Le soluzioni in campo sono diverse, alcune di tipo transitorio, altre di lungo periodo che comprendono anche l`innovazione della centrale elettrica a ridosso dello stabilimento».

Quali sono le soluzioni al vaglio?
«Occorre diversificare le fonti di energia, creare una rete europea, sviluppare politiche di risparmio energetico e puntare sulle fonti rinnovabili».

In extrema ratio, per evitare la chiusura ci può essere una acquisizione da parte dello Stato stile vecchio Iri?
«L`intervento pubblico è uno strumento che va utilizzato in modo selettivo. Ma la regola è: soluzioni di mercato con operatori privati».
L`elettricità da noi costa il 30 per cento in più che nel resto d`Europa. Ma una nuova Iri non ci serve

"Tagliamo i costi dell`energia, l`acquirente si troverà", intervista a Stefano Fassina di A. Custodero

«No. L`Alcoa non va chiusa». Stefano Fassina, responsabile “economia e lavoro” per il Pd – domani sarà in visita allo stabilimento di Portovesme – indica «una soluzione di mercato con operatori privati».
Fassina, gli americani dell`Alcoa hanno deciso di chiudere lo stabilimento in Italia perché non più competitivo. Lei è contrario, perché?
«Perché è l`unico produttore italiano di alluminio».
Cosa può fare il governo per evitare la chiusura?
«Incentivare l` ingresso di un altro operatore privato».
Quale?
«In questi giorni la Glencore, multinazionale svizzera che ha gli stabilimenti accanto all`Alcoa, sta valutando la possibilità di acquisto».
Ma se la produzione di alluminio non è competitiva per Alcoa, come può diventarlo per Glencore?
«È ovvio che il subentro di un altro operatore privato è possibile solo se il governo può garantire condizioni di contesto produttive che siano competitive con quelle europee. Mi riferisco in particolare al costo dell`energia, essendo quella di alluminio una produzione ad alto consumo energetico».
Abbassare il costo dell`energia elettrica riguarda tutte le imprese, non solo l`Alcoa.
«È un problema generale che implica una strategia energetica nazionale. Al ministero dello Sviluppo economico ci stanno lavorando. Purtroppo abbiamo perso 4 anni del governo Berlusconi che s`era imbarcato sull`ipotesi nucleare stoppata dal referendum. Poi, anziché concentrarci sulle politiche industriali abbiamo perso sei mesi a parlare di articolo 18».
Come ridurre il costo dell`energia per rendere Portovesme appetibile sul mercato senza, però, incorrere nelle sanzioni europee per “agevolazioni di Stato” come avvenuto in passato?
«Il governo sta lavorando per portare il costo dell`energia, che in Italia è de1 30% più oneroso che nel resto d`Europa, a livelli sostenibili. Le soluzioni in campo sono diverse, alcune di tipo transitorio, altre di lungo periodo che comprendono anche l`innovazione della centrale elettrica a ridosso dello stabilimento».
Quali sono le soluzioni al vaglio?
«Occorre diversificare le fonti di energia, creare una rete europea, sviluppare politiche di risparmio energetico e puntare sulle fonti rinnovabili».
In extrema ratio, per evitare la chiusura ci può essere una acquisizione da parte dello Stato stile vecchio Iri?
«L`intervento pubblico è uno strumento che va utilizzato in modo selettivo. Ma la regola è: soluzioni di mercato con operatori privati».
L`elettricità da noi costa il 30 per cento in più che nel resto d`Europa. Ma una nuova Iri non ci serve

"La buona politica è possibile", di Pier Luigi Bersani

L’uccisione di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica, è una ferita ancora aperta nella memoria del Paese. Angelo era un sindaco onesto e capace. Seppe lavorare con spirito di servizio per affermare i principi della legalità, valorizzando le risorse migliori del territorio e testimoniando così, con il proprio impegno, e al prezzo della propria vita, la volontà di costruire un futuro diverso per la propria terra. Due anni fa, la sera del 5 settembre del 2010, fu barbaramente ucciso. Purtroppo ancora non è stata fatta luce su quell’omicidio. Rinnovo il cordoglio e l’umana vicinanza alla moglie e ai figli di Angelo. E ribadisco oggi il nostro sostegno alle forze dell’ordine e alla magistratura perché gli assassini di Vassallo siano assicurati alla giustizia.

Nello stesso tempo penso che la politica debba trarre dall’esempio e dalla morte di Vassallo l’impegno a non lasciare soli i tanti amministratori che nel Mezzogiorno, con fatica e anche a rischio della propria vita, ogni giorno cercano di lavorare per offrire alla propria comunità un futuro.

Sul Mezzogiorno circolano purtroppo stereotipi dannosi, che rendono ancora più difficile la vita di tanta brava gente che ci sta provando, amministratori che cercano di fare bene in condizioni estreme e che corrono anche rischi gravi personali. Molti sono del Partito democratico. A loro deve andare il nostro aiuto e il nostro sostegno. Vassallo non era un eroe isolato, ma quello che oggi possiamo indicare come il capofila di una serie di amministratori che stanno sul fronte della buona politica, che fanno tutti i giorni i conti con i problemi, con le difficoltà, perfino con la criminalità organizzata.

Noi non li lasceremo soli. A testimonianza del nostro impegno ricordo i numerosi circoli che i militanti del Pd hanno deciso di intestare a Vassallo e la dedica della più importante iniziativa di formazione che un partito abbia mai tentato in Europa, quella di mettere per un anno duemila giovani del Sud in un percorso di studio e di confronto.

I frutti di questa iniziativa si vedranno nel tempo e arricchiranno il Mezzogiorno. A Vassallo e a tutti gli amministratori che oggi sono sul fronte e che pur a rischio personale intendono lavorare per la propria comunità il Partito democratico ha infine dedicato la Festa democratica nazionale che si sta svolgendo a Reggio Emilia.

Credo che l’impegno concreto perché vinca la buona politica e per sostenere coloro che sono sul fronte nel Mezzogiorno, e non solo, sia il modo migliore per ricordare il sindaco pescatore.

L’Unità 05.09.12

"La buona politica è possibile", di Pier Luigi Bersani

L’uccisione di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica, è una ferita ancora aperta nella memoria del Paese. Angelo era un sindaco onesto e capace. Seppe lavorare con spirito di servizio per affermare i principi della legalità, valorizzando le risorse migliori del territorio e testimoniando così, con il proprio impegno, e al prezzo della propria vita, la volontà di costruire un futuro diverso per la propria terra. Due anni fa, la sera del 5 settembre del 2010, fu barbaramente ucciso. Purtroppo ancora non è stata fatta luce su quell’omicidio. Rinnovo il cordoglio e l’umana vicinanza alla moglie e ai figli di Angelo. E ribadisco oggi il nostro sostegno alle forze dell’ordine e alla magistratura perché gli assassini di Vassallo siano assicurati alla giustizia.
Nello stesso tempo penso che la politica debba trarre dall’esempio e dalla morte di Vassallo l’impegno a non lasciare soli i tanti amministratori che nel Mezzogiorno, con fatica e anche a rischio della propria vita, ogni giorno cercano di lavorare per offrire alla propria comunità un futuro.
Sul Mezzogiorno circolano purtroppo stereotipi dannosi, che rendono ancora più difficile la vita di tanta brava gente che ci sta provando, amministratori che cercano di fare bene in condizioni estreme e che corrono anche rischi gravi personali. Molti sono del Partito democratico. A loro deve andare il nostro aiuto e il nostro sostegno. Vassallo non era un eroe isolato, ma quello che oggi possiamo indicare come il capofila di una serie di amministratori che stanno sul fronte della buona politica, che fanno tutti i giorni i conti con i problemi, con le difficoltà, perfino con la criminalità organizzata.
Noi non li lasceremo soli. A testimonianza del nostro impegno ricordo i numerosi circoli che i militanti del Pd hanno deciso di intestare a Vassallo e la dedica della più importante iniziativa di formazione che un partito abbia mai tentato in Europa, quella di mettere per un anno duemila giovani del Sud in un percorso di studio e di confronto.
I frutti di questa iniziativa si vedranno nel tempo e arricchiranno il Mezzogiorno. A Vassallo e a tutti gli amministratori che oggi sono sul fronte e che pur a rischio personale intendono lavorare per la propria comunità il Partito democratico ha infine dedicato la Festa democratica nazionale che si sta svolgendo a Reggio Emilia.
Credo che l’impegno concreto perché vinca la buona politica e per sostenere coloro che sono sul fronte nel Mezzogiorno, e non solo, sia il modo migliore per ricordare il sindaco pescatore.
L’Unità 05.09.12

Enrico Rossi: «Per le primarie non basta un camper. Ci vogliono regole», di Vladimiro Fruletti

Il presidente della Toscana condivide la proposta di Marini: «Sì all’albo degli elettori e al doppio turno Renzi sbaglia a non fare i conti col berlusconismo». Subito le regole, albo degli elettori e doppio turno, perché non c’è più tempo da perdere». Il presidente della Toscana, Enrico Rossi, il Pd e la coalizione a stabilire il prima possibile i termini della gara delle primarie e fa proprie le proposte che Franco Marini ha fatto su l’Unità. Quanto ai concorrenti boccia senza appello, «inadatto», il sindaco di Firenze Renzi che accusa di sparare «a palle incatenate contro il Pd».
La corsa per le primarie è partita…
«Una ben strana gara».
Perché?
«Non esiste una gara per cui uno decida per proprio conto di partire senza le regole. A Colle Val d’Elsa, in Toscana, nel senese c’è il distretto nazionale della camperistica. Non vorrei che senza regole molti pensassero che basti prendere un camper in affitto per iscriversi alla corsa. Magari questo farà bene al settore, ma non certo al Pd».
Ce l’ha con Renzi?
«Non ce l’ho con nessuno, ma credo che sia singolare che si allestiscano camper e si fissino date di campagna elettorale senza un minimo di regole. Ad esempio sul tetto per le spese».
Che rischi vede?
«Di trovarci in una situazione nella quale il leader del centrosinistra viene scelto con la partecipazione determinante degli elettori di del centrodestra. E non vorrei ritrovarmi in situazioni imbarazzanti come quelle di Palermo o Napoli. Si minerebbe la credibilità del nostro partito. Non c’è più tempo da perdere». Quali regole vorrebbe?
«Quelle che propone il presidente Marini le trovo molto sensate. Formare rapidamente un albo degli elettori di centrosinistra e doppio turno».
Con l’albo degli elettori non sarà più difficile la partecipazione dei cittadini?
«No, non credo. Chi è interessato davvero a partecipare può farlo assumendosi fino in fondo le proprie responsabilità. Qui in gioco del resto c’è una posta decisiva per la sinistra e il Paese. Non ci è dato di sbagliare».
Cosa teme?
«Mi pare che molti hanno interesse a indebolire il Pd e la candidatura Bersani che è l’unica che può evitare che si producano divisioni e sbandamenti». Renzi no?
«Mi pare difficile che Vendola ad esempio possa starci. Bersani è l’unico che può tenere insieme i progressisti e trovare un accordo col centro. Questa è la sola strada per battere le soluzioni tecnocratiche sia di chi pensa alla grande coalizione anche dopo il voto, sia di chi ritiene che un premier politico sia una scelta sbagliata».
E per lei Renzi non sarebbe adatto?
«Non lo so se è adeguato. Per qualsiasi ruolo oltre al talento serve anche una certa esperienza e a me non risulta che Renzi abbia mai fatto esperienze nazionali. E ancor meno mi convince quando sostiene che tutti quelli prima di lui hanno fallito. Renzi non vuole fare i conti col berlusconismo. Anzi si rifiuta apertamente di attaccarlo. A volte si ha la sensazione che abbia voluto costruirsi una fortuna sparando a palle incatenate sul Pd».
Il rinnovamento al Pd non serve?
«È necessario e dovrà essere profondo perché è giunta a conclusione l’esperienza di un gruppo dirigente. Ma un conto è questo, un conto è correre il rischio di favorire oggettivamente il centrodestra indebolendo il Pd. Io sono d’accordo con Renzi per applicare la regola sul limite dei 15 anni in Parlamento, ma anche sulla regola per cui chi ha ricevuto un mandato diretto dagli elettori, come un sindaco, lo rispetti fino in fondo. In giro fra la gente sento molta rabbia e non per le primarie».
Che vuol dire?
«Che ha ragione Bersani. Il Pd deve occuparsi del lavoro che non c’è, del credito alle imprese. Guai a noi se dessimo l’idea di essere ripiegati in battaglie personali».
E che dovrebbe fare il Pd?
«Rilancerei la proposta Camusso di detassare le 13esime, trovando le risorse nella lotta all’evasione fiscale. Serve un gesto forte almeno quanto quello che il Pdl manda ai suoi elettori quando s’oppone alla patrimoniale».

l’Unità 05.09.12

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“Primarie ad alto rischio per il Partito democratico. Se la sfida è tra «vecchio e nuovo», e non tra diverse idee di rinnovamento, perdono tutti”, di Francesco Cundari

La campagna per le primarie è cominciata subito e senza troppi complimenti, almeno in quello che verosimilmente ne sarà l’epicentro: il Partito democratico. Tanto che si fatica a ricordare che di primarie di coalzione si tratta, convocate cioè per scegliere il candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi, non il segretario del Pd.
Almeno in questi primi giorni, infatti, su tutto si è concentrato il dibattito, le dichiarazioni dei protagonisti, i titoli dei giornali, i commenti degli osservatori, meno che sul programma di governo e i problemi del Paese, il modo di affrontare la crisi dell’euro che tiene l’Italia in bilico sui mercati internazionali e le crisi industriali che minacciano migliaia di lavoratori. Anzi, quando a Renzi i cronisti hanno chiesto dell’Ilva o dei minatori del Sulcis, il sindaco ha replicato stizzito che non era un jukebox da dichiarazioni e non potevano fargli domande su tutto. Mentre Pier Luigi Bersani, nella conferenza stampa seguita ieri all’incontro con i lavoratori dell’Alcoa, all’inevitabile domanda sulle primarie, rispondeva: «Oggi ci occupiamo di lavoro». Ma non dovrebbe essere proprio questo il primo e il principale tema della campagna per le primarie, assai più che la composizione del gruppo dirigente del Pd, il suo maggiore o minore grado di rinnovamento, e quanta e quale parte di esso meriterebbe di entrare nella futura eventuale squadra di governo? Eppure è questo il tema delle primarie, del dibattito interno al Pd, dei commenti e dei resoconti sulla stampa.
Se però la sfida delle primarie diviene una sfida tra vecchio e nuovo, invece che tra diverse opzioni politiche, ugualmente legittime, ciascuna portatrice di una propria idea di rinnovamento, è molto alta la probabilità che a perdere, comunque vada, sia il Partito democratico, e con esso tutto il centrosinistra. Se la sfida per una leadership e un progetto di governo del Paese si riduce a una battaglia interna a un partito, per di più tutta incentrata sugli organigrammi, l’anzianità e le biografie personali, è evidente che il risultato non può in nessun caso essere positivo né per il partito, né per la coalizione. Non per niente, su tutti i giornali già si sprecano maliziosi paralleli tra Renzi e Grillo, dove al sindaco di Firenze spetterebbe alle primarie la parte che alle elezioni è attribuita
all’ex comico: il nuovo contro il vecchio, senza tante distinzioni di merito.
Bersani avrebbe naturalmente tutto l’interesse a uscire quanto prima da questo schema. Il problema è che tanto nella competizione delle primarie quanto in quella delle politiche il segretario del Pd deve fare i conti con mille vincoli, non solo esterni. Deciso a farsi carico fino in fondo della responsabilità di sostenere il governo Monti assieme al Pdl, Bersani paga il prezzo più alto a questa condizione di sostanziale sospensione della fisiologica dialettica politica destra-sinistra: condizione che non fa che offrire sempre nuovi argomenti ai sostenitori della teoria che «sono tutti uguali», e pertanto tutti ugualmente da rottamare. Un vantaggio per Renzi, nell’immediato, che però il sindaco può sfruttare fino a un certo punto, pena il rischio di ritrovarsi a capo di un esercito magari numeroso, ma percepito dal corpo del suo partito e del suo elettorato sempre più come straniero in patria, per non dire nemico. Anzi, da questo punto di vista, le insidiose e spesso provocatorie dichiarazioni a suo sostegno da parte di esponenti del centrodestra rappresentano una minaccia prima di tutto per lui.
Al termine di una competizione interna fondata sulla delegittimazione reciproca non ci sarebbero vincitori, solo vinti. Per dimostrare però che in gioco non ci sono soltanto ambizioni personali, ma diverse idee sul futuro dell’Italia, tutte ugualmente legittime, queste idee andrebbero rese esplicite, messe a confronto, discusse. E questo non è semplice né scontato. Anzi, a giudicare dal dibattito di questi mesi sul governo Monti e il «rischio» di un «ritorno della politica», non sembra scontato nemmeno che possano esistere idee diverse sul futuro dell’Italia; che cioè l’Italia e gli italiani, in sostanza, abbiano ancora il diritto di concepire idea alcuna sul proprio futuro. Ma se l’unico compito della politica consiste nel fare bene «compiti a casa» assegnati da altri, e il ruolo del leader si riduce al recitare un unico copione, scritto altrove e identico per tutti, non c’è da stupirsi se gli elettori si rivolgono a un commediante.

L’Unirà 05.09.12

"Ai docenti universitari servono criteri flessibili", di Eugenio Mazzarella

Dopo il peregrino esito dei test per il Tfa e il flop del concorso a dirigente scolastico, si annuncia un altro probabile fallimento per le abilitazioni a professore universitario. Nel vizio di costituzionalità eccepito dal professor Onida sui criteri per l’accesso all’abilitazione, fondamentalmente l’aver previsto ora per allora criteri privilegiati per l’accesso alla carriera universitaria, ci sono i presupposti dei binari sbagliati su cui verrà posto il futuro della ricerca italiana. I criteri, se recepiti in modo stabile, determineranno un potente effetto di conformismo della ricerca scientifica: ci si costruirà la carriera sui parametri e gli indicatori di presunto merito indicati ex ante: tutti avranno interesse a pubblicare nelle stesse riviste e collane, e ad adeguarsi agli indirizzi culturali e di ricerca che diventeranno dominanti. Più che concentrarsi sull’innovazione della ricerca, ci si concentrerà sul sistema di relazioni che serve a costruire un curriculum tipo Anvur. L’effetto depressivo per il sistema è prevedibile, e ben noto con la retromarcia a livello internazionale che si sta facendo sulla valutazione bibliometrica, o a essa assimilabile, dove è stata applicata. Ma a parte questo rilievo, i criteri Anvur realizzano effetti paradossali. Guardiamo ai settori umanistici. Dovendosi superare una soglia di produttività articolata su tre tipologie di «prodotto» (monografie, articoli e capitoli di libro, articoli su riviste «eccellenti»), ed essendo la mediana per la fascia A bassissima, mediamente 1, spesso 0, in pochi casi 2, si può dare il caso che un ordinario con un solo articolo in una rivista di fascia A possa essere commissario, e non possa esserlo un collega con 4 monografie nel decennio e 20 articoli standard. Idem per i candidati. Se si voleva evitare la presenza fra i commissari o i candidati di studiosi considerati “inattivi”, si legittima precisamente il contrario: se si appartiene a un buon sistema di relazioni accademiche basta pochissimo per essere in commissione o per presentarsi all’abilitazione. Ciò dà un colpo fortissimo alla reputazione dell’università italiana, e genera un paradosso più generale: i candidati all’abilitazione che hanno superato le mediane sono per definizione, dal punto di vista assunto dall’Anvur, già migliori, quanto meno perché più produttivi delle migliaia di ordinari di ruolo che non potranno candidarsi a commissario, non avendo raggiunto le soglie delle mediane. Allora perché dovrebbero anche essere giudicati in un concorso per diventare di fatto semplici abilitati a un ruolo che altri da decenni coprono con titoli inferiori ai loro?

Il Sole 24 Ore 05.09.12