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Enrico Rossi: «Per le primarie non basta un camper. Ci vogliono regole», di Vladimiro Fruletti

Il presidente della Toscana condivide la proposta di Marini: «Sì all’albo degli elettori e al doppio turno Renzi sbaglia a non fare i conti col berlusconismo». Subito le regole, albo degli elettori e doppio turno, perché non c’è più tempo da perdere». Il presidente della Toscana, Enrico Rossi, il Pd e la coalizione a stabilire il prima possibile i termini della gara delle primarie e fa proprie le proposte che Franco Marini ha fatto su l’Unità. Quanto ai concorrenti boccia senza appello, «inadatto», il sindaco di Firenze Renzi che accusa di sparare «a palle incatenate contro il Pd».
La corsa per le primarie è partita…
«Una ben strana gara».
Perché?
«Non esiste una gara per cui uno decida per proprio conto di partire senza le regole. A Colle Val d’Elsa, in Toscana, nel senese c’è il distretto nazionale della camperistica. Non vorrei che senza regole molti pensassero che basti prendere un camper in affitto per iscriversi alla corsa. Magari questo farà bene al settore, ma non certo al Pd».
Ce l’ha con Renzi?
«Non ce l’ho con nessuno, ma credo che sia singolare che si allestiscano camper e si fissino date di campagna elettorale senza un minimo di regole. Ad esempio sul tetto per le spese».
Che rischi vede?
«Di trovarci in una situazione nella quale il leader del centrosinistra viene scelto con la partecipazione determinante degli elettori di del centrodestra. E non vorrei ritrovarmi in situazioni imbarazzanti come quelle di Palermo o Napoli. Si minerebbe la credibilità del nostro partito. Non c’è più tempo da perdere». Quali regole vorrebbe?
«Quelle che propone il presidente Marini le trovo molto sensate. Formare rapidamente un albo degli elettori di centrosinistra e doppio turno».
Con l’albo degli elettori non sarà più difficile la partecipazione dei cittadini?
«No, non credo. Chi è interessato davvero a partecipare può farlo assumendosi fino in fondo le proprie responsabilità. Qui in gioco del resto c’è una posta decisiva per la sinistra e il Paese. Non ci è dato di sbagliare».
Cosa teme?
«Mi pare che molti hanno interesse a indebolire il Pd e la candidatura Bersani che è l’unica che può evitare che si producano divisioni e sbandamenti». Renzi no?
«Mi pare difficile che Vendola ad esempio possa starci. Bersani è l’unico che può tenere insieme i progressisti e trovare un accordo col centro. Questa è la sola strada per battere le soluzioni tecnocratiche sia di chi pensa alla grande coalizione anche dopo il voto, sia di chi ritiene che un premier politico sia una scelta sbagliata».
E per lei Renzi non sarebbe adatto?
«Non lo so se è adeguato. Per qualsiasi ruolo oltre al talento serve anche una certa esperienza e a me non risulta che Renzi abbia mai fatto esperienze nazionali. E ancor meno mi convince quando sostiene che tutti quelli prima di lui hanno fallito. Renzi non vuole fare i conti col berlusconismo. Anzi si rifiuta apertamente di attaccarlo. A volte si ha la sensazione che abbia voluto costruirsi una fortuna sparando a palle incatenate sul Pd».
Il rinnovamento al Pd non serve?
«È necessario e dovrà essere profondo perché è giunta a conclusione l’esperienza di un gruppo dirigente. Ma un conto è questo, un conto è correre il rischio di favorire oggettivamente il centrodestra indebolendo il Pd. Io sono d’accordo con Renzi per applicare la regola sul limite dei 15 anni in Parlamento, ma anche sulla regola per cui chi ha ricevuto un mandato diretto dagli elettori, come un sindaco, lo rispetti fino in fondo. In giro fra la gente sento molta rabbia e non per le primarie».
Che vuol dire?
«Che ha ragione Bersani. Il Pd deve occuparsi del lavoro che non c’è, del credito alle imprese. Guai a noi se dessimo l’idea di essere ripiegati in battaglie personali».
E che dovrebbe fare il Pd?
«Rilancerei la proposta Camusso di detassare le 13esime, trovando le risorse nella lotta all’evasione fiscale. Serve un gesto forte almeno quanto quello che il Pdl manda ai suoi elettori quando s’oppone alla patrimoniale».

l’Unità 05.09.12

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“Primarie ad alto rischio per il Partito democratico. Se la sfida è tra «vecchio e nuovo», e non tra diverse idee di rinnovamento, perdono tutti”, di Francesco Cundari

La campagna per le primarie è cominciata subito e senza troppi complimenti, almeno in quello che verosimilmente ne sarà l’epicentro: il Partito democratico. Tanto che si fatica a ricordare che di primarie di coalzione si tratta, convocate cioè per scegliere il candidato del centrosinistra a Palazzo Chigi, non il segretario del Pd.
Almeno in questi primi giorni, infatti, su tutto si è concentrato il dibattito, le dichiarazioni dei protagonisti, i titoli dei giornali, i commenti degli osservatori, meno che sul programma di governo e i problemi del Paese, il modo di affrontare la crisi dell’euro che tiene l’Italia in bilico sui mercati internazionali e le crisi industriali che minacciano migliaia di lavoratori. Anzi, quando a Renzi i cronisti hanno chiesto dell’Ilva o dei minatori del Sulcis, il sindaco ha replicato stizzito che non era un jukebox da dichiarazioni e non potevano fargli domande su tutto. Mentre Pier Luigi Bersani, nella conferenza stampa seguita ieri all’incontro con i lavoratori dell’Alcoa, all’inevitabile domanda sulle primarie, rispondeva: «Oggi ci occupiamo di lavoro». Ma non dovrebbe essere proprio questo il primo e il principale tema della campagna per le primarie, assai più che la composizione del gruppo dirigente del Pd, il suo maggiore o minore grado di rinnovamento, e quanta e quale parte di esso meriterebbe di entrare nella futura eventuale squadra di governo? Eppure è questo il tema delle primarie, del dibattito interno al Pd, dei commenti e dei resoconti sulla stampa.
Se però la sfida delle primarie diviene una sfida tra vecchio e nuovo, invece che tra diverse opzioni politiche, ugualmente legittime, ciascuna portatrice di una propria idea di rinnovamento, è molto alta la probabilità che a perdere, comunque vada, sia il Partito democratico, e con esso tutto il centrosinistra. Se la sfida per una leadership e un progetto di governo del Paese si riduce a una battaglia interna a un partito, per di più tutta incentrata sugli organigrammi, l’anzianità e le biografie personali, è evidente che il risultato non può in nessun caso essere positivo né per il partito, né per la coalizione. Non per niente, su tutti i giornali già si sprecano maliziosi paralleli tra Renzi e Grillo, dove al sindaco di Firenze spetterebbe alle primarie la parte che alle elezioni è attribuita
all’ex comico: il nuovo contro il vecchio, senza tante distinzioni di merito.
Bersani avrebbe naturalmente tutto l’interesse a uscire quanto prima da questo schema. Il problema è che tanto nella competizione delle primarie quanto in quella delle politiche il segretario del Pd deve fare i conti con mille vincoli, non solo esterni. Deciso a farsi carico fino in fondo della responsabilità di sostenere il governo Monti assieme al Pdl, Bersani paga il prezzo più alto a questa condizione di sostanziale sospensione della fisiologica dialettica politica destra-sinistra: condizione che non fa che offrire sempre nuovi argomenti ai sostenitori della teoria che «sono tutti uguali», e pertanto tutti ugualmente da rottamare. Un vantaggio per Renzi, nell’immediato, che però il sindaco può sfruttare fino a un certo punto, pena il rischio di ritrovarsi a capo di un esercito magari numeroso, ma percepito dal corpo del suo partito e del suo elettorato sempre più come straniero in patria, per non dire nemico. Anzi, da questo punto di vista, le insidiose e spesso provocatorie dichiarazioni a suo sostegno da parte di esponenti del centrodestra rappresentano una minaccia prima di tutto per lui.
Al termine di una competizione interna fondata sulla delegittimazione reciproca non ci sarebbero vincitori, solo vinti. Per dimostrare però che in gioco non ci sono soltanto ambizioni personali, ma diverse idee sul futuro dell’Italia, tutte ugualmente legittime, queste idee andrebbero rese esplicite, messe a confronto, discusse. E questo non è semplice né scontato. Anzi, a giudicare dal dibattito di questi mesi sul governo Monti e il «rischio» di un «ritorno della politica», non sembra scontato nemmeno che possano esistere idee diverse sul futuro dell’Italia; che cioè l’Italia e gli italiani, in sostanza, abbiano ancora il diritto di concepire idea alcuna sul proprio futuro. Ma se l’unico compito della politica consiste nel fare bene «compiti a casa» assegnati da altri, e il ruolo del leader si riduce al recitare un unico copione, scritto altrove e identico per tutti, non c’è da stupirsi se gli elettori si rivolgono a un commediante.

L’Unirà 05.09.12