attualità, cultura, politica italiana

"L'abbraccio velenoso", di Gianluigi Pellegrino

La solidarietà che Berlusconi manifesta al Capo dello Stato, nel conflitto innanzi alla Consulta, ha in realtà molto veleno nella coda. E anche nel corpo. Proclama il cavaliere: sto con Napolitano perché adesso lui sperimenta quello che ho subito io per intercettazioni penalmente irrilevanti. È la sinistra – fa eco ubbidiente Alfano – ad usare due pesi e due misure: oggi è con il Presidente ma allora non era con il premier.
In realtà l’equazione tra le intercettazioni di Berlusconi e quelle di Napolitano non regge a un elementare esame dell’ordinamento e dei fatti. Ed evocarla vuol dire sgambettare nel modo più subdolo il Capo dello Stato. Un bacio velenoso, un abbraccio che nasconde un attacco alle spalle.
È, infatti, la magistratura ordinaria che ai sensi dell’articolo 15 della Costituzione può disporre le intercettazioni.
Ma, mentre il premier politicamente e penalmente responsabile, è integralmente soggetto al controllo della giurisdizione ordinaria (cui appartiene anche il tribunale dei ministri) e quindi alle relative intercettazioni e alle connesse valutazioni di rilevanza, così invece assolutamente non è per il Capo dello Stato che, in ragione della sua irresponsabilità politica e per il magistero di garanzia e di unità nazionale che la Costituzione gli assegna, nell’esercizio delle sue funzioni non è mai sottoposto al giudice ordinario, ma solo alla Corte costituzionale, e al Parlamento quale organo di accusa. Coerentemente la legge dispone un divieto assoluto di intercettazione da parte del magistrato ordinario fino a quando il Presidente è in carica, persino per i due gravi reati funzionali per cui è imputabile. Ed anche per i reati comuni l’ipotesi di intercettazione è esclusa pure da coloro che li ritengono perseguibili durante il settennato. Peraltro la stessa magistratura inquirente nell’unico precedente (Scalfaro) ha ritenuto inibita qualsiasi valutazione e atto del giudice con riguardo al Presidente sino alla fine del mandato.
In ogni caso tale inibizione vale con riguardo alle comunicazioni del Capo dello Stato, atteso che in presenza di una norma che espressamente ne sancisce l’inviolabilità persino in ipotesi di attentato alla Costituzione o alto tradimento (sino alla sospensione dalla carica), uguale divieto è senz’altro operante per ipotesi minori. E a maggior ragione in assenza assoluta di sospetti sul Presidente quando le indagini nemmeno lo riguardano. È una scelta ordinamentale che ben si comprende, atteso che la pacifica inconoscibilità delle funzioni presidenziali da parte della magistratura ordinaria, non può che presupporre la radicale impossibilità per la stessa di violarne la corrispondenza o intercettarne le telefonate, dove certo non è distinguibile, tanto meno a priori, l’attività non funzionale. È qui il cuore del conflitto, avendo la magistratura ritenuto invece di poter sindacare in punto di rilevanza anche le comunicazioni del Capo dello Stato. Ed è proprio contro quest’architrave di principio del ricorso di Napolitano, che in realtà muove Berlusconi quando, per dare corpo ad un appiccicoso parallelismo con le sue vicende, motiva l’apparente solidarietà insistendo sui contenuti delle telefonate e sulla loro (peraltro pacifica) «irrilevanza penale», dimentico tra l’altro, il cavaliere, che invece le sue telefonate nelle inchieste che lo riguardano, sono assai rilevanti anche sul versante penale. In realtà se il punto fosse quello dei contenuti delle comunicazioni Napolitano-Mancino allora l’udienza che avevano ipotizzato i procuratori di Palermo, il riascolto delle telefonate e la loro valutazione sarebbero atti dovuti e Napolitano avrebbe torto.
Ma le ragioni del Presidente sono nelle radicali guarentigie che a tutela dei cittadini (come ha evidenziato Ezio Mauro) e dell’equilibrio costituzionale, differenziano l’unicità del Capo dello Stato nel suo ruolo di garanzia e privo di responsabilità politica, con conseguente esclusione in radice di ingerenze di altri poteri, compresa la magistratura ordinaria, sulle funzioni e quindi sulle sue comunicazioni e corrispondenza. Al che consegue la necessità di distruzione di ufficio di eventuali fortuite registrazioni, a prescindere in radice dai loro contenuti.
Opposte invece sono le norme applicabili alle inchieste che riguardano il cavaliere, atteso che il controllo di legalità della magistratura ordinaria (titolare del potere di intercettazione) sugli organi politici, amministrativi e di governo, a cominciare dal premier, è assoluto e completo.
Si compone così il mosaico costituzionale. Ogni tessera al suo posto, diversa da tutte le altre e in diversa relazione con le altre. Solo derive demagogiche o biechi interessi di bottega impediscono di vederlo. Conducendo ad equazioni appiccicose che mascherano goffe pulsioni eversive con stucchevoli effusioni.
La Repubblica 06.09.12