Latest Posts

Università: Ghizzoni, test denunciano inadeguate politiche scolastiche e universitarie

“I test di ingresso non sono il problema, ma solo il campanello d’allarme della crisi del sistema della conoscenza causato delle inadeguate politiche scolastiche e universitarie degli ultimi anni. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati – Numero chiuso e programmato sembrano esse scelte determinate più da problemi organizzativi, che da valutazioni sulla capacità del mercato di assorbire nuovi laureati. In un contesto generato da politiche di tagli agli atenei e da norme poste per circoscrivere l’offerta formativa – spiega Ghizzoni – i test di ingresso sono la copertura per non risolvere alla radice alcuni i problemi dell’università e della scuola.

È da quest’ultima, infatti, che dovrebbe arrivare l’indirizzo all’orientamento sulla scelta universitaria: un ciclo formativo di cinque anni dovrebbe rappresentare un percorso capace di mettere a valore le attitudini degli studenti, di orientarli nella scelta adeguata anche attraverso iniziative di concerto con gli atenei.

Una scelta che, troppo spesso, rischierebbe di scontrarsi anche con la mancanza di risorse per la piena realizzazione del diritto allo studio.

Le carenze del sistema universitario nel fare fronte a problemi di carattere didattico e organizzativo, le assenza di forme di orientamento, e un vero e proprio buco nero del diritto allo studio – conclude la presidente Ghizzoni – sono le vere questioni di cui la classe politica dovrebbe farsi carico.”

"Due studenti su dieci non arrivano al diploma", di Mario Castagna

La dispersione scolastica italiana è tra le più alte in Europa. Peggio di noi solo Spagna, Portogallo e Malta. Tra classi pollaio e ritardi tutte le criticità. I primi a ricominciare saranno il 5 settembre gli studenti altoatesini ma il grosso degli alunni tornerà tra i banchi tra il 12 ed il 17 settembre. Ancora più difficile sarà ricominciare l’anno alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, dove il 19 maggio scorso un attentato ha provocato la morte di Melissa Bassi ed il ferimento di 9 sue compagne di scuola. «È stata un’estate particolare questa ci spiega Martina Carpani, presidentessa della consulta provinciale degli studenti di Brindisi con gli psicologi al lavoro per cercare di far superare ai ragazzi il trauma della morte a scuola». Per il primo giorno di scuola stanno organizzando un ricordo di Melissa, sicuramente un minuto di silenzio ma anche qualcosa di più. Quel giorno di maggio tutti si aspettavano un noioso giorno di scuola, come scritto in un instant book che raccoglieva i pensieri degli studenti brindisini dopo l’attentato e pubblicato anche sul sito del Miur. Quella noia purtroppo non c’è stata ed è arrivata la tragedia. «Il 19 maggio tutti avrebbero voluto quella solita noiosa giornata di scuola, ma oggi quella stessa noiosa giornata rischia di essere un problema – continua Martina parlandoci del metodo di studio e di insegnamento – si fa presto a parlare di educazione alla legalità e di scuola presidio di democrazia, ma se non riusciamo neanche ad aprire la scuola il pomeriggio, ai ragazzi offriamo solo la vecchia e noiosa lezione frontale».
Sarà difficile ricominciare anche tra le scuole terremotate dell’Emilia Romagna. Dei 429 edifici scolastici che hanno subito danni a causa del sisma nelle province emiliane, moltissimi sono quelli già messi in sicurezza e che riapriranno regolarmente tra qualche giorno. Sono una sessantina invece gli edifici che necessitano di lavori più lunghi e che riapriranno solamente tra uno o più anni. In molti comuni, come a Finale Emilia, è una corsa contro il tempo per cercare di inaugurare il nuovo anno scolastico, che si svolgerà nei prefabbricati, con il minor ritardo possibile, auspicabilmente entro i primi giorni di ottobre.
Difficile ricominciare se i grandi problemi si aggiungono ai problemi di sempre. Il caro-libri è uno di questi. Secondo l’osservatorio mensile Findomestic, quest’anno le famiglie italiane prevedono di spendere per le spese scolastiche in media 500 euro per figlio fino ad arrivare ai circa 700 euro nel caso di figli iscritti ad un liceo. Peccato che, secondo i tetti di spesa previsti ogni anno dal ministero, la spesa per i libri non dovrebbe superare i 250-300 euro a seconda dell’indirizzo prescelto. Purtroppo non si sta rilevando una soluzione il formato misto, cartaceo/e-book, che anzi ha fatto diventare improvvisamente non acquistabili molti volumi sul mercato dell’usato.
A superare le difficoltà ci prova lo spirito mutualistico degli studenti, con mercatini del libro usato che spuntano come al solito in quasi tutte le città italiane. In tempi di crisi sembra questa l’unica soluzione per avere lo stesso livello di servizi ad un costo inferiore.
Per elementari e medie la novità di quest’anno saranno le maxi-scuole, frutto degli accorpamenti voluti dal governo, con un numero minimo di mille alunni. Le maxi-scuole avranno anche maxi-classi, soprattutto per gli indirizzi di studio più richiesti. Insomma, le famose classi pollaio ormai sono una consuetudine, anche se la legge prevede il numero massimo, già altissimo, di 30 alunni per classe. Ma sono molti gli istituiti che non la rispettano. Anche in questo caso le leggi sono espressioni di un desiderio più che indicazioni da rispettare.
I problemi sembrano quelli di sempre, eppure ogni anno se ne aggiunge qualcuno. La notizia contenuta nel rapporto Istat «Noi Italia» è da far tremare i polsi: il 20% degli studenti italiani non arriva al diploma, lasciando prima la scuola. Uno su cinque, peggio di noi solo Spagna, Portogallo e Malta mentre la media Ue non raggiunge il 15%. Oltre allo spread finanziario c’è uno spread di opportunità tra i giovani italiani e i loro omologhi europei che fatica a riempire allo stesso modo le pagine dei giornali. Sullo sfondo si affacciano le prime proteste degli studenti che già annunciano le giornate di mobilitazione. Il 12 ottobre sarà la volta dell’Unione degli Studenti, ma sia la Federazione degli Studenti che la Rete degli Studenti Medi hanno in calendario mobilitazioni simili. Quest’anno poi arriva in discussione alla Camera il disegno di legge Aprea sul riordino delle istituzioni di governo delle scuole italiane e gli studenti già promettono battaglia. Tra sedicenti riforme e puntuali proteste, la scuola ricomincia anche quest’anno. Risolvere i suoi problemi sembra un’eterna fatica di Sisifo, ma ogni anno è sempre più difficile portare in cima il grande masso della formazione di tutti e per tutti. Per quanta simpatia abbia provocato il maestro D’Orta alle prese con i suoi innocenti alunni, «io speriamo che me la cavo» non può continuare ad essere il motto della scuola italiana.

L’Unità 04.09.12

"Due studenti su dieci non arrivano al diploma", di Mario Castagna

La dispersione scolastica italiana è tra le più alte in Europa. Peggio di noi solo Spagna, Portogallo e Malta. Tra classi pollaio e ritardi tutte le criticità. I primi a ricominciare saranno il 5 settembre gli studenti altoatesini ma il grosso degli alunni tornerà tra i banchi tra il 12 ed il 17 settembre. Ancora più difficile sarà ricominciare l’anno alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, dove il 19 maggio scorso un attentato ha provocato la morte di Melissa Bassi ed il ferimento di 9 sue compagne di scuola. «È stata un’estate particolare questa ci spiega Martina Carpani, presidentessa della consulta provinciale degli studenti di Brindisi con gli psicologi al lavoro per cercare di far superare ai ragazzi il trauma della morte a scuola». Per il primo giorno di scuola stanno organizzando un ricordo di Melissa, sicuramente un minuto di silenzio ma anche qualcosa di più. Quel giorno di maggio tutti si aspettavano un noioso giorno di scuola, come scritto in un instant book che raccoglieva i pensieri degli studenti brindisini dopo l’attentato e pubblicato anche sul sito del Miur. Quella noia purtroppo non c’è stata ed è arrivata la tragedia. «Il 19 maggio tutti avrebbero voluto quella solita noiosa giornata di scuola, ma oggi quella stessa noiosa giornata rischia di essere un problema – continua Martina parlandoci del metodo di studio e di insegnamento – si fa presto a parlare di educazione alla legalità e di scuola presidio di democrazia, ma se non riusciamo neanche ad aprire la scuola il pomeriggio, ai ragazzi offriamo solo la vecchia e noiosa lezione frontale».
Sarà difficile ricominciare anche tra le scuole terremotate dell’Emilia Romagna. Dei 429 edifici scolastici che hanno subito danni a causa del sisma nelle province emiliane, moltissimi sono quelli già messi in sicurezza e che riapriranno regolarmente tra qualche giorno. Sono una sessantina invece gli edifici che necessitano di lavori più lunghi e che riapriranno solamente tra uno o più anni. In molti comuni, come a Finale Emilia, è una corsa contro il tempo per cercare di inaugurare il nuovo anno scolastico, che si svolgerà nei prefabbricati, con il minor ritardo possibile, auspicabilmente entro i primi giorni di ottobre.
Difficile ricominciare se i grandi problemi si aggiungono ai problemi di sempre. Il caro-libri è uno di questi. Secondo l’osservatorio mensile Findomestic, quest’anno le famiglie italiane prevedono di spendere per le spese scolastiche in media 500 euro per figlio fino ad arrivare ai circa 700 euro nel caso di figli iscritti ad un liceo. Peccato che, secondo i tetti di spesa previsti ogni anno dal ministero, la spesa per i libri non dovrebbe superare i 250-300 euro a seconda dell’indirizzo prescelto. Purtroppo non si sta rilevando una soluzione il formato misto, cartaceo/e-book, che anzi ha fatto diventare improvvisamente non acquistabili molti volumi sul mercato dell’usato.
A superare le difficoltà ci prova lo spirito mutualistico degli studenti, con mercatini del libro usato che spuntano come al solito in quasi tutte le città italiane. In tempi di crisi sembra questa l’unica soluzione per avere lo stesso livello di servizi ad un costo inferiore.
Per elementari e medie la novità di quest’anno saranno le maxi-scuole, frutto degli accorpamenti voluti dal governo, con un numero minimo di mille alunni. Le maxi-scuole avranno anche maxi-classi, soprattutto per gli indirizzi di studio più richiesti. Insomma, le famose classi pollaio ormai sono una consuetudine, anche se la legge prevede il numero massimo, già altissimo, di 30 alunni per classe. Ma sono molti gli istituiti che non la rispettano. Anche in questo caso le leggi sono espressioni di un desiderio più che indicazioni da rispettare.
I problemi sembrano quelli di sempre, eppure ogni anno se ne aggiunge qualcuno. La notizia contenuta nel rapporto Istat «Noi Italia» è da far tremare i polsi: il 20% degli studenti italiani non arriva al diploma, lasciando prima la scuola. Uno su cinque, peggio di noi solo Spagna, Portogallo e Malta mentre la media Ue non raggiunge il 15%. Oltre allo spread finanziario c’è uno spread di opportunità tra i giovani italiani e i loro omologhi europei che fatica a riempire allo stesso modo le pagine dei giornali. Sullo sfondo si affacciano le prime proteste degli studenti che già annunciano le giornate di mobilitazione. Il 12 ottobre sarà la volta dell’Unione degli Studenti, ma sia la Federazione degli Studenti che la Rete degli Studenti Medi hanno in calendario mobilitazioni simili. Quest’anno poi arriva in discussione alla Camera il disegno di legge Aprea sul riordino delle istituzioni di governo delle scuole italiane e gli studenti già promettono battaglia. Tra sedicenti riforme e puntuali proteste, la scuola ricomincia anche quest’anno. Risolvere i suoi problemi sembra un’eterna fatica di Sisifo, ma ogni anno è sempre più difficile portare in cima il grande masso della formazione di tutti e per tutti. Per quanta simpatia abbia provocato il maestro D’Orta alle prese con i suoi innocenti alunni, «io speriamo che me la cavo» non può continuare ad essere il motto della scuola italiana.
L’Unità 04.09.12

"Io donna in gravidanza grazie alla legge 40", di Fabiana Pierbattista

Chi vi scrive è incinta di 15 settimana, una gravidanza avuto con l’accesso alla legge 40, o meglio, con quanto di umano di questa legge è stato ottenuto grazie alle sentenze dei giudici dei tribunali e della Corte Costituzionale. È grazie infatti ad una pronuncia della Suprema Corte, nello specifico quella che cancella l’obbligo d’impianto di tre embrioni, che mi sono sentita di poter accedere alla tecnica di fecondazione assistita e sempre grazie a quella pronuncia ho potuto opporre un netto rifiuto alla richiesta di impianto di tre embrioni, sulla scia di argomentazioni puramente statistiche, legate all’età della sottoscritta e alla risposta di un corpo, che invece, come molte donne sanno, ha leggi ben diverse da quelle meramente scientifiche. Il mio corpo era più che pronto per una gravidanza, non per due o tre, per una e una sola, perché non c’è alcun automatismo tra il volere un figlio e portarsene a casa tre, la scelta di una maternità consapevole passa anche per questa libertà di scelta. Ora vivo sospesa, in attesa dell’esito di un’altra sentenza, quella dell’amniocentesi, infatti, pur avendo 41 anni, non essendo né io né il mio compagno portatori di malattie genetiche, non abbiamo potuto accedere ad una diagnosi preimpianto, diversamente avremmo potuto fare in Belgio, dove lavora il mio compagno come anche in quasi tutto il resto d’Europa, ma le donne normali, che fanno lavori normali, ammesso ce l’abbiano, trovano alcune difficoltà logistiche di non poco conto a lasciare lavoro e figli per trasferire armi e bagagli altrove per almeno un mese, nella più rosea delle prospettive. Così rimango sospesa, con il mio bambino o bambina che già pensa di farmi le bolle nella pancia, in attesa di sapere se in quel mare di bolle posso immergere tutta me stessa, pancia, testa, cuore, due battiti in un solo respiro. La sentenza della Corte di Strasburgo, fa giustizia di tutto questo scempio, sana la palese contraddizione di una legge prigioniera di un furore ideologico, che scelse di non consentire la diagnosi preimpianto, vista la libertà riconosciuta da un’altra legge la 194, quella sì frutto di civiltà giuridica, di interrompere la gravidanza, come se per il corpo e il cuore di una donna sia la stessa cosa rinunciare all’impianto di un embrione malato o interrompere una gravidanza in uno stadio avanzato. Questo perché oggetto di tanto furore ideologico è ancora una volta il corpo della donna, o meglio quel potere antico di generare la vita, unico che non consente l’accesso ai maschi, che nel frattempo hanno ben pensato di depredare tutte le altre forme di potere. Un legislatore fintamente neutro, perché partecipato all’80% da uomini, ha pensato di scrivere quest’orrrore giuridico, condannando le donne con opportunità maggiori a forme di turismo procreativo e quelle con meno opportunità a sentirsi dire che il legittimo desiderio di avere un figlio sano si chiama eugenetica, parola quanto mai fuori luogo e contesto.
Eppure questa palese contraddizione, ripetutamente sottolineata da chi si opponeva all’approvazione di questa legge, non può essere semplicemente sfuggita, il sospetto dapprima strisciante e poi sempre più concreto leggendo le dichiarazioni di questi giorni, è che di questa contraddizione fossero ben consapevoli e che l’obiettivo ultimo di questo furore sia un’altra legge la 194 appunto, che ha garantito a milioni di donne l’accesso ad una maternità consapevole. Non è mancato chi, infatti, proprio in questi giorni ha pensato bene di sostenere che per sanare la contraddizione sottolineata dalla Corte europea, basti semplicemente porre mano alla 194.

Al Governo Monti, che pensa di fare ricorso contro questa sentenza mi pare opportuno suggerire di astenersi, anzitutto perché al momento si assiste ad una macroscopica violazione dell’art. 3 della Costituzione tra coppie sterili e portatrici di malattie genetiche, che grazie alle sentenze possono accedere alla diagnosi preimpianto e coppie fertili portatrici delle stesse malattie che alla diagnosi non possono accedere. Ma al di là delle argomentazioni di rango costituzionale, di esclusiva spettanza dei giudici della Suprema Corte, le ragioni di un’astensione da qualsiasi forma di ricorso a tutela dei brandelli di questa legge, risiedono in motivi squisitamente di opportunità politica. Alle forze politiche, invece, nuovamente confermate dal voto, il compito di assumersi la responsabilità di riscrivere questa legge, avendo ben chiaro che la crisi della democrazia rappresentativa è passata anche di qui, attraverso l’approvazione di disposizioni palesemente inique e persecutorie.

Vorrei ricordare che il 13 febbraio del 2011, le donne italiane sono scese in piazza, con la più grande manifestazione che il nostro Paese ricordi, per dire che la loro dignità era il limite invalicabile oltre il quale non era più consentito passare, salvando così tutti, cittadine, cittadini e istituzioni dalla rappresentazione oscena e senza vergogna che in quei giorni l’Italia intera subiva. Ebbene, si sappia che le donne italiane tutte, senza distinzione alcuna, con culture politiche diverse, laiche e cattoliche, tutte, se necessario, scenderanno nuovamente in piazza a difesa di un presidio di civiltà giuridica e tutte in una sola voce ripeteremo: non si passa.

L’Unità 04.09.12

"Io donna in gravidanza grazie alla legge 40", di Fabiana Pierbattista

Chi vi scrive è incinta di 15 settimana, una gravidanza avuto con l’accesso alla legge 40, o meglio, con quanto di umano di questa legge è stato ottenuto grazie alle sentenze dei giudici dei tribunali e della Corte Costituzionale. È grazie infatti ad una pronuncia della Suprema Corte, nello specifico quella che cancella l’obbligo d’impianto di tre embrioni, che mi sono sentita di poter accedere alla tecnica di fecondazione assistita e sempre grazie a quella pronuncia ho potuto opporre un netto rifiuto alla richiesta di impianto di tre embrioni, sulla scia di argomentazioni puramente statistiche, legate all’età della sottoscritta e alla risposta di un corpo, che invece, come molte donne sanno, ha leggi ben diverse da quelle meramente scientifiche. Il mio corpo era più che pronto per una gravidanza, non per due o tre, per una e una sola, perché non c’è alcun automatismo tra il volere un figlio e portarsene a casa tre, la scelta di una maternità consapevole passa anche per questa libertà di scelta. Ora vivo sospesa, in attesa dell’esito di un’altra sentenza, quella dell’amniocentesi, infatti, pur avendo 41 anni, non essendo né io né il mio compagno portatori di malattie genetiche, non abbiamo potuto accedere ad una diagnosi preimpianto, diversamente avremmo potuto fare in Belgio, dove lavora il mio compagno come anche in quasi tutto il resto d’Europa, ma le donne normali, che fanno lavori normali, ammesso ce l’abbiano, trovano alcune difficoltà logistiche di non poco conto a lasciare lavoro e figli per trasferire armi e bagagli altrove per almeno un mese, nella più rosea delle prospettive. Così rimango sospesa, con il mio bambino o bambina che già pensa di farmi le bolle nella pancia, in attesa di sapere se in quel mare di bolle posso immergere tutta me stessa, pancia, testa, cuore, due battiti in un solo respiro. La sentenza della Corte di Strasburgo, fa giustizia di tutto questo scempio, sana la palese contraddizione di una legge prigioniera di un furore ideologico, che scelse di non consentire la diagnosi preimpianto, vista la libertà riconosciuta da un’altra legge la 194, quella sì frutto di civiltà giuridica, di interrompere la gravidanza, come se per il corpo e il cuore di una donna sia la stessa cosa rinunciare all’impianto di un embrione malato o interrompere una gravidanza in uno stadio avanzato. Questo perché oggetto di tanto furore ideologico è ancora una volta il corpo della donna, o meglio quel potere antico di generare la vita, unico che non consente l’accesso ai maschi, che nel frattempo hanno ben pensato di depredare tutte le altre forme di potere. Un legislatore fintamente neutro, perché partecipato all’80% da uomini, ha pensato di scrivere quest’orrrore giuridico, condannando le donne con opportunità maggiori a forme di turismo procreativo e quelle con meno opportunità a sentirsi dire che il legittimo desiderio di avere un figlio sano si chiama eugenetica, parola quanto mai fuori luogo e contesto.
Eppure questa palese contraddizione, ripetutamente sottolineata da chi si opponeva all’approvazione di questa legge, non può essere semplicemente sfuggita, il sospetto dapprima strisciante e poi sempre più concreto leggendo le dichiarazioni di questi giorni, è che di questa contraddizione fossero ben consapevoli e che l’obiettivo ultimo di questo furore sia un’altra legge la 194 appunto, che ha garantito a milioni di donne l’accesso ad una maternità consapevole. Non è mancato chi, infatti, proprio in questi giorni ha pensato bene di sostenere che per sanare la contraddizione sottolineata dalla Corte europea, basti semplicemente porre mano alla 194.
Al Governo Monti, che pensa di fare ricorso contro questa sentenza mi pare opportuno suggerire di astenersi, anzitutto perché al momento si assiste ad una macroscopica violazione dell’art. 3 della Costituzione tra coppie sterili e portatrici di malattie genetiche, che grazie alle sentenze possono accedere alla diagnosi preimpianto e coppie fertili portatrici delle stesse malattie che alla diagnosi non possono accedere. Ma al di là delle argomentazioni di rango costituzionale, di esclusiva spettanza dei giudici della Suprema Corte, le ragioni di un’astensione da qualsiasi forma di ricorso a tutela dei brandelli di questa legge, risiedono in motivi squisitamente di opportunità politica. Alle forze politiche, invece, nuovamente confermate dal voto, il compito di assumersi la responsabilità di riscrivere questa legge, avendo ben chiaro che la crisi della democrazia rappresentativa è passata anche di qui, attraverso l’approvazione di disposizioni palesemente inique e persecutorie.
Vorrei ricordare che il 13 febbraio del 2011, le donne italiane sono scese in piazza, con la più grande manifestazione che il nostro Paese ricordi, per dire che la loro dignità era il limite invalicabile oltre il quale non era più consentito passare, salvando così tutti, cittadine, cittadini e istituzioni dalla rappresentazione oscena e senza vergogna che in quei giorni l’Italia intera subiva. Ebbene, si sappia che le donne italiane tutte, senza distinzione alcuna, con culture politiche diverse, laiche e cattoliche, tutte, se necessario, scenderanno nuovamente in piazza a difesa di un presidio di civiltà giuridica e tutte in una sola voce ripeteremo: non si passa.
L’Unità 04.09.12

"Il cortocircuito dell'istruzione", di Alessandra Ricciardi

Le prove per accedere ai tirocini abilitativi macchiate dagli errori della commissione che le ha predisposte (nominata dall’ex ministro dell’istruzione, tiene a precisare l’attuale), i concorsi per dirigenti annullati in varie regioni, con nomine prima autorizzate e poi bloccate, e ora il nuovo concorso per docenti, il cui bando è stato annunciato per fine settembre, ma che potrebbe slittare. E che intanto è già un osservato speciale: le prove che saranno predisposte, i criteri di accesso, i titoli da valutare, tutto sarà attentamente passato ai raggi x dal partito degli scontenti per far cadere anche questa selezione sotto i colpi della magistratura. Il nuovo anno si apre all’insegna dell’incertezza, incertezza che non riguarda solo le procedure per l’accesso alle professioni della scuola, ma anche le indicazioni nazionali, i nuovi programmi per la scuola dell’infanzia e primaria che vanno in vigore da quest’anno e che pure non sono ancora state comunicate ufficialmente agli istituti, bloccate per il parere al Consiglio di stato. Così come è ancora in alto mare il regolamento sulla valutazione delle scuole, di cui si è persa traccia dopo il primo via libera del consiglio di ministri. Intanto non mancano i problemi attuativi delle riforme più recenti: non si sa ancora che fine faranno i docenti dichiarati inidonei per motivi di salute all’insegnamento e che da quest’anno, causa spending review, dovevano essere ricollocati. Per non parlare dei prof inidonei andati in pensione, che si sono visti revocare il trattamento previdenziale dopo un anno, perché la certificazione di inidoneità non è valida. E poi c’è la questione in sospeso del pagamento degli scatti, la riduzione da fare degli organici ministeriali, l’accorpamento degli uffici scolastici provinciali e di quelli regionali… Anno nuovo quello che inizia, appesantito però dal cumularsi di problemi vecchi, che mostra un’amministrazione scolastica ormai alla corda, incapace, a dispetto dell’impegno di tanti, di tenere il passo delle novità legislative che si susseguono, di seguire l’ordinario disbrigo amministrativo, di fronteggiare le richieste molteplici, e a volte contrastanti, che giungono dai lavoratori della scuola, oltre un milione di persone. Non sono certo d’aiuto alcune dichiarazioni del ministro Francesco Profumo, che per esempio sul concorso per reclutare 11 mila nuovi docenti ha acceso la miccia della guerra tra vecchi e nuovi docenti: sarà un concorso aperto ai giovani, per svecchiare la scuola, diceva nelle prime ore Profumo, attirandosi le critiche dei precari storici, in attesa da decenni di un’assunzione e che l’ex ministro Mariastella Gelmini aveva stimato potessero essere assorbiti non prima del 2020: ma poi si scopre che, non avendo varato una nuova legge, al prossimo concorso potranno partecipare solo gli abilitati, e non i giovani laureati, e dunque chi è precario oggi: età media 35 anni. Del resto anche chi sta facendo il percorso dei Tfa per abilitarsi in questi mesi, e che non potrà partecipare la concorso, ha un’età che oscilla tra i 35 e i 39 anni: questi i dati della statistica elaborata dal Cineco, il consorzio delle università. Poi le dichirazioni sull’accesso alla scuola solo per concorso: la legge però prevede che il reclutamento avvenga per metà dalle graduatorie del concorso, altra metà da quelle permanenti, circa 200 mila docenti precari. La legge non è cambiata, ma è bastata la dichiarazione sui concorsi a gettare nuova benzina sul fuoco delle proteste di chi da anni lavora da precario e ora si sente messo da parte, considerato di serie B. Intanto il bando di gara, annunciato per il 24 settembre da Profumo, potrebbe slittare: i programmi di studio non sono stati stilati, le nuove tabelle di valutazione dei titoli devono ancora essere inviate per il parere al Cnpi. Poi ci sarà da gestire la preselezione, a cui tiene molto il ministro, la prova scritta e l’orale, con simulazione di una lezione. Candidati potenziali: tra i 300 e i 500 mila. Ma questa è un’altra storia a cui al ministero per il momento preferiscono non pensare.

da ItaliaOggi 04.09.12

"Il cortocircuito dell'istruzione", di Alessandra Ricciardi

Le prove per accedere ai tirocini abilitativi macchiate dagli errori della commissione che le ha predisposte (nominata dall’ex ministro dell’istruzione, tiene a precisare l’attuale), i concorsi per dirigenti annullati in varie regioni, con nomine prima autorizzate e poi bloccate, e ora il nuovo concorso per docenti, il cui bando è stato annunciato per fine settembre, ma che potrebbe slittare. E che intanto è già un osservato speciale: le prove che saranno predisposte, i criteri di accesso, i titoli da valutare, tutto sarà attentamente passato ai raggi x dal partito degli scontenti per far cadere anche questa selezione sotto i colpi della magistratura. Il nuovo anno si apre all’insegna dell’incertezza, incertezza che non riguarda solo le procedure per l’accesso alle professioni della scuola, ma anche le indicazioni nazionali, i nuovi programmi per la scuola dell’infanzia e primaria che vanno in vigore da quest’anno e che pure non sono ancora state comunicate ufficialmente agli istituti, bloccate per il parere al Consiglio di stato. Così come è ancora in alto mare il regolamento sulla valutazione delle scuole, di cui si è persa traccia dopo il primo via libera del consiglio di ministri. Intanto non mancano i problemi attuativi delle riforme più recenti: non si sa ancora che fine faranno i docenti dichiarati inidonei per motivi di salute all’insegnamento e che da quest’anno, causa spending review, dovevano essere ricollocati. Per non parlare dei prof inidonei andati in pensione, che si sono visti revocare il trattamento previdenziale dopo un anno, perché la certificazione di inidoneità non è valida. E poi c’è la questione in sospeso del pagamento degli scatti, la riduzione da fare degli organici ministeriali, l’accorpamento degli uffici scolastici provinciali e di quelli regionali… Anno nuovo quello che inizia, appesantito però dal cumularsi di problemi vecchi, che mostra un’amministrazione scolastica ormai alla corda, incapace, a dispetto dell’impegno di tanti, di tenere il passo delle novità legislative che si susseguono, di seguire l’ordinario disbrigo amministrativo, di fronteggiare le richieste molteplici, e a volte contrastanti, che giungono dai lavoratori della scuola, oltre un milione di persone. Non sono certo d’aiuto alcune dichiarazioni del ministro Francesco Profumo, che per esempio sul concorso per reclutare 11 mila nuovi docenti ha acceso la miccia della guerra tra vecchi e nuovi docenti: sarà un concorso aperto ai giovani, per svecchiare la scuola, diceva nelle prime ore Profumo, attirandosi le critiche dei precari storici, in attesa da decenni di un’assunzione e che l’ex ministro Mariastella Gelmini aveva stimato potessero essere assorbiti non prima del 2020: ma poi si scopre che, non avendo varato una nuova legge, al prossimo concorso potranno partecipare solo gli abilitati, e non i giovani laureati, e dunque chi è precario oggi: età media 35 anni. Del resto anche chi sta facendo il percorso dei Tfa per abilitarsi in questi mesi, e che non potrà partecipare la concorso, ha un’età che oscilla tra i 35 e i 39 anni: questi i dati della statistica elaborata dal Cineco, il consorzio delle università. Poi le dichirazioni sull’accesso alla scuola solo per concorso: la legge però prevede che il reclutamento avvenga per metà dalle graduatorie del concorso, altra metà da quelle permanenti, circa 200 mila docenti precari. La legge non è cambiata, ma è bastata la dichiarazione sui concorsi a gettare nuova benzina sul fuoco delle proteste di chi da anni lavora da precario e ora si sente messo da parte, considerato di serie B. Intanto il bando di gara, annunciato per il 24 settembre da Profumo, potrebbe slittare: i programmi di studio non sono stati stilati, le nuove tabelle di valutazione dei titoli devono ancora essere inviate per il parere al Cnpi. Poi ci sarà da gestire la preselezione, a cui tiene molto il ministro, la prova scritta e l’orale, con simulazione di una lezione. Candidati potenziali: tra i 300 e i 500 mila. Ma questa è un’altra storia a cui al ministero per il momento preferiscono non pensare.
da ItaliaOggi 04.09.12