Latest Posts

"Il partito unico dei populisti", di Michele Prospero

Un agguerrito partito unico dei populisti attacca con determinazione militare il Colle con l’obiettivo esplicito di condizionare l’evoluzione della crisi e indirizzarla verso esiti catastrofici. Tutte le forze che sono uscite malconce dal declino della seconda Repubblica sono ora coalizzate alla rinfusa. Tra loro si abbandonano a scambi di favore per aggrapparsi all’ancora rimasta per non perire: agevolare la deriva dell’ordinamento repubblicano per riemergere dalla melma soffocante. Gli orfani dispersi di tutti i populismi raccolgono munizioni irregolari da destinare ad un furioso assalto a Napolitano. Il Quirinale viene puntato non già perché debole e ricattabile ma perché forte e autorevole. I populisti unificati sanno bene che l’antipolitica per sopravvivere ha bisogno della fulminea rottura delle mediazioni costituzionali. Solo nel caos di un sistema rimasto senza più custodi, e in cui si sono spezzate le funzioni istituzionali e infrante le regole, può tornare a danzare il populismo. Per questo la crisi costituzionale è invocata come una occasione propizia per ottenere una amnistia etico-politica che cancelli le colpe che la storia ha nitidamente scolpito.
Con il capo dello Stato viene infilzato un argine sicuro contro il declino, una figura che incarna i valori della continuità istituzionale. Nel suo difficile settennato, Napolitano ha dovuto gestire la dissoluzione dell’ordine bipolare. Dapprima si imbatté con l’implosione dell’Unione che, per un insano spirito di suicidio, si frantumò dopo pochi mesi. Ha poi dovuto apprendere il mestiere amaro della convivenza con Berlusconi, vincitore per la terza volta e fare i conti con lo sgretolamento dell’ampia maggioranza parlamentare del Cavaliere giunto proprio nel mezzo di una drammatica crisi economica, finanziaria e di credibilità internazionale. I tempi difficili che Napolitano ha gestito trascendono le semplici usure delle formule di governo e richiamano i tratti di una lacerante crisi di sistema, di soggetti politici, di tenuta sociale. Dopo il novembre nero del 2011, si è aperta una voragine che il Paese ha colmato confidando nell’azione di un presidente non di routine ma di innovazione, nel solco però delle regole parlamentari. Il ritrovato del governo tecnico (come ogni scelta istituzionale) può essere criticato politicamente ma non può certo essere contestato sotto il profilo della legittimità perché nasceva da circostanze che non consentivano altre soluzioni. Nell’emergenza conclamata, Berlusconi si era dimesso ma senza però aver ricevuto un formale voto di sfiducia. A lui quindi sarebbe toccato condurre il Paese al voto. Una sciagura. Ogni altra via era preclusa perché resisteva una ampia maggioranza di destra, almeno al Senato. Il ricorso al voto anticipato era inagibile perché l’ipotesi non aveva un sostegno maggioritario in Parlamento.
Il partito unico dei populisti si scaglia contro Napolitano proprio perché egli ha gestito con efficacia la crisi di sistema difendendo le prerogative costituzionali e gli spazi parlamentari. Il Quirinale ha inoltre saputo interpretare ansie e speranze conquistando un consenso popolare largo ai destini di una Repubblica fragile che riscopre la sua ciclica vulnerabilità dinanzi alle fasi critiche che richiedono governi di grande coalizione. Aristocratico non meno di Einaudi ma popolare non meno di Pertini, il presidente ha garantito la tenuta dell’ordinamento sottoposto a tensioni inaudite.
Nella guerra contro il Colle si distinguono in maniera nitida un fronte della lealtà costituzionale (Pd, Udc e Terzo polo, settori moderati, Sel, ma anche un giornale di destra politica come “Il Tempo” di Mario Sechi) e una armata di sbandati (Di Pietro, Grillo, Lega, Pasdaran berlusconiani) sorretta dal fuoco mediatico della triplice alleanza (Il Fatto, Il Giornale, Libero). La contesa è di quelle ardue, l’esito dello scontro appare nient’affatto scontato. Per fortuna (del Paese) il sostegno che la figura di Napolitano trova nell’opinione pubblica è assai più ampio di quello che gli assicura un Parlamento in cui la destra conserva la maggioranza. La vera posta in gioco della sfida è sin troppo trasparente: un serio rinnovamento della politica, nella linea della preservazione della costituzione repubblicana, oppure uno spirito di avventura che ricerca la caduta delle istituzioni per determinare una amnesia storica che cancelli le orme dei responsabili della decadenza.

L’Unità 01.09.12

"Il partito unico dei populisti", di Michele Prospero

Un agguerrito partito unico dei populisti attacca con determinazione militare il Colle con l’obiettivo esplicito di condizionare l’evoluzione della crisi e indirizzarla verso esiti catastrofici. Tutte le forze che sono uscite malconce dal declino della seconda Repubblica sono ora coalizzate alla rinfusa. Tra loro si abbandonano a scambi di favore per aggrapparsi all’ancora rimasta per non perire: agevolare la deriva dell’ordinamento repubblicano per riemergere dalla melma soffocante. Gli orfani dispersi di tutti i populismi raccolgono munizioni irregolari da destinare ad un furioso assalto a Napolitano. Il Quirinale viene puntato non già perché debole e ricattabile ma perché forte e autorevole. I populisti unificati sanno bene che l’antipolitica per sopravvivere ha bisogno della fulminea rottura delle mediazioni costituzionali. Solo nel caos di un sistema rimasto senza più custodi, e in cui si sono spezzate le funzioni istituzionali e infrante le regole, può tornare a danzare il populismo. Per questo la crisi costituzionale è invocata come una occasione propizia per ottenere una amnistia etico-politica che cancelli le colpe che la storia ha nitidamente scolpito.
Con il capo dello Stato viene infilzato un argine sicuro contro il declino, una figura che incarna i valori della continuità istituzionale. Nel suo difficile settennato, Napolitano ha dovuto gestire la dissoluzione dell’ordine bipolare. Dapprima si imbatté con l’implosione dell’Unione che, per un insano spirito di suicidio, si frantumò dopo pochi mesi. Ha poi dovuto apprendere il mestiere amaro della convivenza con Berlusconi, vincitore per la terza volta e fare i conti con lo sgretolamento dell’ampia maggioranza parlamentare del Cavaliere giunto proprio nel mezzo di una drammatica crisi economica, finanziaria e di credibilità internazionale. I tempi difficili che Napolitano ha gestito trascendono le semplici usure delle formule di governo e richiamano i tratti di una lacerante crisi di sistema, di soggetti politici, di tenuta sociale. Dopo il novembre nero del 2011, si è aperta una voragine che il Paese ha colmato confidando nell’azione di un presidente non di routine ma di innovazione, nel solco però delle regole parlamentari. Il ritrovato del governo tecnico (come ogni scelta istituzionale) può essere criticato politicamente ma non può certo essere contestato sotto il profilo della legittimità perché nasceva da circostanze che non consentivano altre soluzioni. Nell’emergenza conclamata, Berlusconi si era dimesso ma senza però aver ricevuto un formale voto di sfiducia. A lui quindi sarebbe toccato condurre il Paese al voto. Una sciagura. Ogni altra via era preclusa perché resisteva una ampia maggioranza di destra, almeno al Senato. Il ricorso al voto anticipato era inagibile perché l’ipotesi non aveva un sostegno maggioritario in Parlamento.
Il partito unico dei populisti si scaglia contro Napolitano proprio perché egli ha gestito con efficacia la crisi di sistema difendendo le prerogative costituzionali e gli spazi parlamentari. Il Quirinale ha inoltre saputo interpretare ansie e speranze conquistando un consenso popolare largo ai destini di una Repubblica fragile che riscopre la sua ciclica vulnerabilità dinanzi alle fasi critiche che richiedono governi di grande coalizione. Aristocratico non meno di Einaudi ma popolare non meno di Pertini, il presidente ha garantito la tenuta dell’ordinamento sottoposto a tensioni inaudite.
Nella guerra contro il Colle si distinguono in maniera nitida un fronte della lealtà costituzionale (Pd, Udc e Terzo polo, settori moderati, Sel, ma anche un giornale di destra politica come “Il Tempo” di Mario Sechi) e una armata di sbandati (Di Pietro, Grillo, Lega, Pasdaran berlusconiani) sorretta dal fuoco mediatico della triplice alleanza (Il Fatto, Il Giornale, Libero). La contesa è di quelle ardue, l’esito dello scontro appare nient’affatto scontato. Per fortuna (del Paese) il sostegno che la figura di Napolitano trova nell’opinione pubblica è assai più ampio di quello che gli assicura un Parlamento in cui la destra conserva la maggioranza. La vera posta in gioco della sfida è sin troppo trasparente: un serio rinnovamento della politica, nella linea della preservazione della costituzione repubblicana, oppure uno spirito di avventura che ricerca la caduta delle istituzioni per determinare una amnesia storica che cancelli le orme dei responsabili della decadenza.
L’Unità 01.09.12

"Ecco perché la crisi va spiegata ai ragazzi", di Gustavo Pietropolli Charmet

Fra poche settimane i ragazzi tornano a scuola. Non sarà un inizio d’anno come gli altri. La crisi ha coinvolto molte famiglie. I padri di alcuni di loro hanno perduto il posto di lavoro; molti hanno dovuto ridurre il tempo e i consumi delle vacanze. A tutti è giunta notizia che il governo e il Parlamento stanno occupandosi del loro futuro perché la crisi potrebbe compromettere la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. Il futuro dell’intera Europa è incerto. E la scuola cosa dirà? Parlerà di ciò che sta succedendo? Li aiuterà a capire e a studiare i possibili scenari futuri?
I giovani attuali, a conclusione del periodo di formazione, si inseriranno in una società chiamata ad assumere decisioni importanti per la salvezza non solo dell’economia ma dell’intero pianeta. Sta diventando cruciale la diffusione della consapevolezza che i grandi problemi della condizione umana (il degrado ambientale, il caos climatico, la distribuzione ineguale delle risorse, la salute e le malattie, i dilemmi bioetici, il confronto fra politiche e religioni, la ricerca di una nuova qualità di vita e di un nuovo modello di sviluppo) saranno affrontati nel corso dei prossimi anni proprio dai giovani che frequentano ora la scuola.
È evidente la necessità di mettere a loro disposizione competenze e strumenti di indagine all’altezza del compito che li attende. Bisogna che dispongano delle coordinate spaziali e temporali necessarie per comprendere la loro collocazione rispetto agli spazi e ai tempi della storia e della geografia umana, come suggeriscono le indicazioni per il curriculo, del 2006.
È indispensabile che la scuola li aiuti a capire che non si apprestano a essere le vittime di una regressione globale della qualità di vita e delle possibilità di esprimersi socialmente attraverso il lavoro, ma stanno per assumersi il compito di trovare la soluzione che renda compatibile lo sviluppo con l’ambiente in cui vivranno.
È indispensabile che la scuola li prepari a diventare membri competenti e solidali di una società in profondissima trasformazione alla ricerca di un modello che garantisca la sopravvivenza.
Per ottenere questo obiettivo bisogna che la scuola metta al centro della propria azione educativa lo studente che vive qui e ora e che solleva precise domande esistenziali e che individui delle aree tematiche da affrontare con un approccio multidisciplinare.
Aiutare i giovani a studiare il futuro per imparare a gestirlo è diverso dall’insegnare loro la storia della cultura e dello sviluppo della nostra specie. Per capire quanto sia essenziale che sentano di avere un comune destino europeo e planetario è necessario che le singole discipline che attualmente dominano la scena della scuola con i loro programmi indipendenti riconoscano la necessità di ricomporre la conoscenza, superino la frammentazione dell’attuale didattica e si integrino in un nuovo quadro di insieme.
L’attuale gravissima crisi deve essere presentata dalla scuola ai propri studenti anche come una grande occasione di cambiamento e di realizzazione individuale e collettiva.
I docenti devono riuscire a garantire ai giovani che affollano l’aula che non è possibile rubare loro il futuro, che le grandi crisi sociali comportano sofferenza e confusione ma sono anche il segno della necessità assoluta di un radicale cambiamento. Tocca loro attuarlo, individuando le linee essenziali del nuovo modello di sviluppo di cui diventare protagonisti. Pertanto occorre studiare ciò che sta succedendo e le sue intrinseche contraddizioni utilizzando gli strumenti di tutte le discipline distraendole dalla loro devozione al passato.
Sarebbe grave che la scuola tacesse e non dimostrasse interesse attivo per ciò che sta succedendo ai propri studenti. Non può lasciarli alle prese con le nere profezie di chi annuncia che lo sforzo di studiare è inutile poiché non c’è più lavoro, denaro, pensioni, sicurezza sociale. Per i giovani non credere che esista un tempo in cui si realizzerà il progetto e la vocazione personale è fonte di intenso dolore: chi annuncia loro che il futuro è morto compie un’azione antieducativa gravissima. Chi, avendo la possibilità e il compito di aiutare i giovani a costruire futuro e a riorganizzare la speranza che esista il tempo della realizzazione, omette di farlo, rischia di essere complice di chi mortifica il valore primario della giovinezza, la crescita e lo sviluppo del sé.
Nel corso di questa crisi la scuola darebbe un contributo inestimabile se riuscisse — oltre che a insegnare agli studenti il passato — ad aiutarli anche a studiare il futuro per esserne i protagonisti e non le vittime innocenti e inconsapevoli.

Il Corriere della Sera 01.09.12

"Ecco perché la crisi va spiegata ai ragazzi", di Gustavo Pietropolli Charmet

Fra poche settimane i ragazzi tornano a scuola. Non sarà un inizio d’anno come gli altri. La crisi ha coinvolto molte famiglie. I padri di alcuni di loro hanno perduto il posto di lavoro; molti hanno dovuto ridurre il tempo e i consumi delle vacanze. A tutti è giunta notizia che il governo e il Parlamento stanno occupandosi del loro futuro perché la crisi potrebbe compromettere la possibilità di creare nuovi posti di lavoro. Il futuro dell’intera Europa è incerto. E la scuola cosa dirà? Parlerà di ciò che sta succedendo? Li aiuterà a capire e a studiare i possibili scenari futuri?
I giovani attuali, a conclusione del periodo di formazione, si inseriranno in una società chiamata ad assumere decisioni importanti per la salvezza non solo dell’economia ma dell’intero pianeta. Sta diventando cruciale la diffusione della consapevolezza che i grandi problemi della condizione umana (il degrado ambientale, il caos climatico, la distribuzione ineguale delle risorse, la salute e le malattie, i dilemmi bioetici, il confronto fra politiche e religioni, la ricerca di una nuova qualità di vita e di un nuovo modello di sviluppo) saranno affrontati nel corso dei prossimi anni proprio dai giovani che frequentano ora la scuola.
È evidente la necessità di mettere a loro disposizione competenze e strumenti di indagine all’altezza del compito che li attende. Bisogna che dispongano delle coordinate spaziali e temporali necessarie per comprendere la loro collocazione rispetto agli spazi e ai tempi della storia e della geografia umana, come suggeriscono le indicazioni per il curriculo, del 2006.
È indispensabile che la scuola li aiuti a capire che non si apprestano a essere le vittime di una regressione globale della qualità di vita e delle possibilità di esprimersi socialmente attraverso il lavoro, ma stanno per assumersi il compito di trovare la soluzione che renda compatibile lo sviluppo con l’ambiente in cui vivranno.
È indispensabile che la scuola li prepari a diventare membri competenti e solidali di una società in profondissima trasformazione alla ricerca di un modello che garantisca la sopravvivenza.
Per ottenere questo obiettivo bisogna che la scuola metta al centro della propria azione educativa lo studente che vive qui e ora e che solleva precise domande esistenziali e che individui delle aree tematiche da affrontare con un approccio multidisciplinare.
Aiutare i giovani a studiare il futuro per imparare a gestirlo è diverso dall’insegnare loro la storia della cultura e dello sviluppo della nostra specie. Per capire quanto sia essenziale che sentano di avere un comune destino europeo e planetario è necessario che le singole discipline che attualmente dominano la scena della scuola con i loro programmi indipendenti riconoscano la necessità di ricomporre la conoscenza, superino la frammentazione dell’attuale didattica e si integrino in un nuovo quadro di insieme.
L’attuale gravissima crisi deve essere presentata dalla scuola ai propri studenti anche come una grande occasione di cambiamento e di realizzazione individuale e collettiva.
I docenti devono riuscire a garantire ai giovani che affollano l’aula che non è possibile rubare loro il futuro, che le grandi crisi sociali comportano sofferenza e confusione ma sono anche il segno della necessità assoluta di un radicale cambiamento. Tocca loro attuarlo, individuando le linee essenziali del nuovo modello di sviluppo di cui diventare protagonisti. Pertanto occorre studiare ciò che sta succedendo e le sue intrinseche contraddizioni utilizzando gli strumenti di tutte le discipline distraendole dalla loro devozione al passato.
Sarebbe grave che la scuola tacesse e non dimostrasse interesse attivo per ciò che sta succedendo ai propri studenti. Non può lasciarli alle prese con le nere profezie di chi annuncia che lo sforzo di studiare è inutile poiché non c’è più lavoro, denaro, pensioni, sicurezza sociale. Per i giovani non credere che esista un tempo in cui si realizzerà il progetto e la vocazione personale è fonte di intenso dolore: chi annuncia loro che il futuro è morto compie un’azione antieducativa gravissima. Chi, avendo la possibilità e il compito di aiutare i giovani a costruire futuro e a riorganizzare la speranza che esista il tempo della realizzazione, omette di farlo, rischia di essere complice di chi mortifica il valore primario della giovinezza, la crescita e lo sviluppo del sé.
Nel corso di questa crisi la scuola darebbe un contributo inestimabile se riuscisse — oltre che a insegnare agli studenti il passato — ad aiutarli anche a studiare il futuro per esserne i protagonisti e non le vittime innocenti e inconsapevoli.
Il Corriere della Sera 01.09.12

"Il giornalismo dei falsi d'autore", di Giovanni Valentini

Sotto la direzione del fondatore, Lamberto Sechi, un tempo «Panorama» si fregiava dello slogan «I fatti separati dalle opinioni». Con minori pretese, oggi il settimanale della Mondadori berlusconiana potrebbe convertirlo in quello più dimesso «Le notizie confuse con le invenzioni».
La pubblicazione delle presunte intercettazioni, senza virgolette e quindi non testuali, delle telefonate fra il presidente Giorgio Napolitano e l´ex ministro Nicola Mancino in ordine alla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia, inaugura un genere tanto inedito quanto inattendibile. Quello delle rivelazioni impossibili. O peggio, delle rivelazioni incontrollate e incontrollabili. Le rivelazioni-patacca.
Nei rischi del nostro imprevedibile mestiere, può capitare a volte – per fretta o trascuratezza – di dare notizie inesatte, infondate, non veritiere. E in genere, quando un errore viene commesso in buona fede, si usa farne pubblica ammenda. Ma qui il caso è tutto affatto diverso: senza voler giudicare la deontologia professionale di nessuno, siamo di fronte a un modello di giornalismo dichiaratamente immaginifico, ipotetico, fantasioso. Un giornalismo al di fuori della realtà.
Lo «scoop» fasullo del settimanale mondadoriano dischiude quindi nuovi orizzonti e scenari inesplorati alla nostra controversa professione. D´ora in poi, lungo questa china, chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a inventare qualsiasi cosa. Pensate, per esempio, a un colloquio riservato tra Silvio Berlusconi e la cancelliera Angela Merkel: impossibile, impensabile, irreale. Oppure a una telefonata indiscreta fra l´ex presidente del Consiglio e l´ex ministro Umberto Bossi, assistito magari dal figlio per la traduzione simultanea dal lumbàrd all´italiano. O ancora, a una conversazione intima fra il Cavaliere e la consigliera regionale Nicole Minetti: una barzelletta spinta, una storiella a luci rosse.
In tutto questo non può certamente essere trascurato il fatto che il giornale in questione appartiene al Gruppo editoriale del medesimo Berlusconi. E allora, come ha scritto ieri il direttore del nostro giornale, ecco che la verità viene sopraffatta dalla demagogia sotto l´influsso di quel «ribellismo populista» che punta a sovvertire il precario equilibrio di governo, minacciando gli assetti istituzionali. La denuncia del cosiddetto «ricatto» al presidente della Repubblica risulta perciò opportunistica e strumentale: anzi, rischia di tradursi essa stessa in un ricatto.
La torbida vicenda delle intercettazioni sulla trattativa Stato-mafia s´intreccia così con il messianico annuncio del ritorno in campo del Cavaliere; con l´irresponsabile richiesta di elezioni anticipate e infine con il maldestro tentativo di baratto sulla riforma elettorale da parte di ciò che resta del centrodestra. Una manovra politica chiaramente destabilizzante, avventurosa e avventurista, sulla pelle del Paese.
Sono falsi d´autore, dunque, quelli che il settimanale della Mondadori propina all´opinione pubblica, con tanto di firma autografa. Falsi sottoscritti e autenticati da un potere che non si rassegna alla propria sconfitta e al proprio irreversibile declino. Ma il nome e cognome dell’autore sono in calce agli ultimi orribili vent´anni della storia italiana.

La Repubblica 01.09.12

"Il giornalismo dei falsi d'autore", di Giovanni Valentini

Sotto la direzione del fondatore, Lamberto Sechi, un tempo «Panorama» si fregiava dello slogan «I fatti separati dalle opinioni». Con minori pretese, oggi il settimanale della Mondadori berlusconiana potrebbe convertirlo in quello più dimesso «Le notizie confuse con le invenzioni».
La pubblicazione delle presunte intercettazioni, senza virgolette e quindi non testuali, delle telefonate fra il presidente Giorgio Napolitano e l´ex ministro Nicola Mancino in ordine alla presunta trattativa fra lo Stato e la mafia, inaugura un genere tanto inedito quanto inattendibile. Quello delle rivelazioni impossibili. O peggio, delle rivelazioni incontrollate e incontrollabili. Le rivelazioni-patacca.
Nei rischi del nostro imprevedibile mestiere, può capitare a volte – per fretta o trascuratezza – di dare notizie inesatte, infondate, non veritiere. E in genere, quando un errore viene commesso in buona fede, si usa farne pubblica ammenda. Ma qui il caso è tutto affatto diverso: senza voler giudicare la deontologia professionale di nessuno, siamo di fronte a un modello di giornalismo dichiaratamente immaginifico, ipotetico, fantasioso. Un giornalismo al di fuori della realtà.
Lo «scoop» fasullo del settimanale mondadoriano dischiude quindi nuovi orizzonti e scenari inesplorati alla nostra controversa professione. D´ora in poi, lungo questa china, chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a inventare qualsiasi cosa. Pensate, per esempio, a un colloquio riservato tra Silvio Berlusconi e la cancelliera Angela Merkel: impossibile, impensabile, irreale. Oppure a una telefonata indiscreta fra l´ex presidente del Consiglio e l´ex ministro Umberto Bossi, assistito magari dal figlio per la traduzione simultanea dal lumbàrd all´italiano. O ancora, a una conversazione intima fra il Cavaliere e la consigliera regionale Nicole Minetti: una barzelletta spinta, una storiella a luci rosse.
In tutto questo non può certamente essere trascurato il fatto che il giornale in questione appartiene al Gruppo editoriale del medesimo Berlusconi. E allora, come ha scritto ieri il direttore del nostro giornale, ecco che la verità viene sopraffatta dalla demagogia sotto l´influsso di quel «ribellismo populista» che punta a sovvertire il precario equilibrio di governo, minacciando gli assetti istituzionali. La denuncia del cosiddetto «ricatto» al presidente della Repubblica risulta perciò opportunistica e strumentale: anzi, rischia di tradursi essa stessa in un ricatto.
La torbida vicenda delle intercettazioni sulla trattativa Stato-mafia s´intreccia così con il messianico annuncio del ritorno in campo del Cavaliere; con l´irresponsabile richiesta di elezioni anticipate e infine con il maldestro tentativo di baratto sulla riforma elettorale da parte di ciò che resta del centrodestra. Una manovra politica chiaramente destabilizzante, avventurosa e avventurista, sulla pelle del Paese.
Sono falsi d´autore, dunque, quelli che il settimanale della Mondadori propina all´opinione pubblica, con tanto di firma autografa. Falsi sottoscritti e autenticati da un potere che non si rassegna alla propria sconfitta e al proprio irreversibile declino. Ma il nome e cognome dell’autore sono in calce agli ultimi orribili vent´anni della storia italiana.
La Repubblica 01.09.12

"Lavoro e crescita: Monti convoca aziende e sindacati", di Bianca di Giovanni

Sul tavolo dei sindacati tra una decina di giorni ci saranno quelle 18 pagine che Mario Monti ha elaborato nel primo consiglio della ripresa. Ovvero, l’agenda degli ultimi mesi di legislatura, centrata prevalentemente sull’attuazione delle misure già varate e sulla crescita. Sarà questo lo schema con cui il premier affronterà l’incontro con i rappresentanti dei lavoratori, convocati ieri per l’11 settembre alle 16,30. Una settimana prima, il 5 settembre alle ore 12, il governo vedrà le associazioni datoriali, che avevano chiesto un incontro a inizio agosto. L’iniziativa è partita nella mattinata di ieri, dopo «diverse riunioni interministeriali per approfondire alcuni temi di rilevanza per l’attività di governo di questi giorni», riferisce un comunicato di Palazzo Chigi. «Saltato» il consiglio dei ministri che avrebbe dovuto varare il decreto Sanità, il premier ha tenuto comunque un giro di tavolo con i colleghi più coinvolti nelle iniziative d’autunno, da Corrado Passera a Elsa Fornero, da Filippo Patroni Griffi a Vittorio Grilli e Antonio Catricalà. In quella sede si è deciso di convocare anche i sindacati, «per sollecitare un dialogo che conduca a miglioramenti della produttività nelle imprese, nell’ambito del quadro predisposto dal governo con le nuove iniziative per la crescita e le riforme strutturali volte al miglioramento della competitività», prosegue il comunicato. documento unico La stessa nota annuncia anche un percorso accelerato per la realizzazione del «documento unificato» che comprenderà «la carta d’identità elettronica e la carta nazionale servizi e costituirà così l’infrastruttura necessaria per offrire tutta una serie di servizi pubblici on line (ivi compresa la tessera sanitaria)», spiegano da Palazzo Chigi. La convocazione piomba ai piani alti delle Confederazioni sindacali nel giorno in cui l’Istat dirama dati inequivocabili sulla crisi profonda del lavoro e dell’occupazione. E anche dopo l’apertura di Passera, che in un’intervista aveva auspicato un patto per la produttività. Raffaele Bonanni si dichiara soddisfatto, visto che da sempre aveva auspicato l’apertura di un dialogo. Superata, dunque, la polemica sulla concertazione scoppiata qualche tempo fa? Per ora sembra di sì, anche se è assai probabile che l’incontro programmato non vada oltre una semplice informativa sulle direttrici che il governo intende assumere. Si sta lavorando all’attuazione delle misure adottate, e a almeno due nuove iniziative: il «pacchetto» Passera-Patroni Griffi su digitale e semplificazione, e la legge di Stabilità che arriverà a fine settembre. Ma dall’Economia continuano ad arrivare segnali negativi sull’effettiva disponibilità di risorse per nuove iniziative. È probabile che si punti a qualche misura per la povertà assoluta, o per le famiglie numerose. Ma tutto questo non sembra coinvolgere la produttività. Tanto che la reazione della Cgil è gelida. «Ci auguriamo che questa convocazione rappresenti un deciso e netto cambiamento dell’agenda – si legge in un comunicato di Corso d’Italia – Anche perché al momento, sui temi della crescita, non è affatto chiaro cosa abbia in programma il governo». Non sembra un plauso. «Ribadiamo – si sottolinea inoltre – che per noi il lavoro è la vera e non più rimandabile emergenza da affrontare per arrestare un inesorabile declino, come i dati di oggi ancora una volta dimostrano. Ci auguriamo, visto che nulla abbiamo visto fin’ora, che finalmente il governo ci mostri le proposte, e le novità se le ha, per affrontare le vere emergenze del Paese». Insomma, Susanna Camusso chiede un cambiamento di passo. In quale direzione? «Si agisca sulla leva fiscale per i lavoratori e i pensionati», dichiara il segretario in un’intervista alla Stampa. Quanto alla competitività, il segretario ricorda che è materia di trattativa tra le parti, e che è già stato affrontato nell’intesa di fine 2011. Cosa potrà mai arrivare di nuovo, se non più risorse per il lavoro? Anche le imprese chiedono interventi fiscali, a partire dall’abbassamento dell’accise sui carburanti.