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"E' l'ora di una grande politica", di Alfredo Reichlin

L’Italia non si farà travolgere dalla speculazione finanziaria. Siamo un grande paese in grado di difendersi in questa lotta feroce innestata (non dimentichiamolo) dalle convulsioni di un sistema che è potente ma non più in grado di governare il mondo. La sinistra deve assumere le nuove ì responsabilità e una più alta coscienza di sé. La proposta politica del Pd è forte perché prima di tutto è un appello alle risorse profonde del Paese, e sono grandi come dimostrano tante cose tra cui la magnifica risposta
dell’Emilia al terremoto. È una chiamata alle armi delle forze democratiche, non solo di sinistra. Ma è anche una scommessa sulla forza e sulla coesione di un partito che deve reggere al peso di ardue responsabilità. C’è poco da dire, siamo noi che garantiamo già oggi in larganparte la tenuta del Paese. È da decenni che io non ricordo un peso che una responsabilità così grandi. Dobbiamo quindi essere molto chiari. Dalla strada del rigore sui conti pubblici e del risanamento dello Stato non si può tornare indietro. Il vecchio Stato italiano non regge da ben prima dell’avvento di Monti. E non regge non solo perché è inefficiente e clientelare, ma perché è esposto alle scorribande di poteri sconosciuti e di disegni eversivi. A cui si aggiunge il fatto che il suo sistema economico è gravato da un coacervo di «consorterie» dove si annida una troppo grande corruzione. Mi pare anche chiaro il senso degli attacchi a Napolitano. È il vertice della Repubblica che si vuole colpire perché sta lì la garanzia
non solo dell’unità nazionale ma delle libertà democratiche. Si tocca l’indipendenza e il prestigio delle istituzioni. Chi getta fango non è innocente.
E alla luce di questa visione del Paese e del nostro rapporto con l’Europa che io misuro il ruolo che ha svolto il governo Monti. Il Professore ha difeso gli interessi nazionali. Non è poco.Ma è su questa stessa base che io misuro anche i limiti e gli errori di questo governo.
Non sto almanaccando sulle combinazioni politiche e future. Il problema che pongo è se non sia giunto il momento di avviare una discussione più chiara sul «dove andiamo».
Che cosa intende il governatore della Banca d’Italia quando ci dice che su 500 punti di divario dai titoli tedeschi solo 200 sono colpa dei nostri guai? E gli altri da dove vengono?
Qui sta il problema. Un problema che i tecnici esitano a chiamare con il loro nome, ma che investe in pieno la responsablità della politica.
La quale, più le cose si complicano, non può sottrarsi al compito di mettere in campo un’idea chiara sul dove va questo Paese e quindi il perché dei sacrifici necessari.
Capita anche ame di partecipare ai dibattiti e agli incontri popolari. È lì che si tocca con mano il fatto più inquietante. Che non è solo o tanto l’impoverimento del Paese ma è il carico di sfiducia che si è accumulato, è l’oscuramento del futuro, soprattutto per i figli. È un
senso di smarrimento e di paura. Un partito
che vuole governare l’Italia non può non partire
da qui, non può stare in attesa della signora
Merkel. Il primato della politica, la sua funzione
storica sta nell’indicare una prospettivaprospettiva.
Questo io penso. Insieme alle giuste proposte
immediate che sono in campo, bisogna
cominciare a indicare quelle che sono le vie
nuove e le condizioni, non solo economiche,
dello sviluppo per un Paese come il nostro in
una possibile trasformazione dell’Europa.
Concordo con molte idee esposte su questo
giornale da Roberto Gualtieri.
La nostra arma più grande è dare un’anima
al movimento politico e ideale che si raccoglie
intorno ai partiti socialisti e democratici.
Ma al di là delle proposte istituzionali e dei
dialoghi politici è necessario mettere in campo
un movimento reale più profondo che cominci
a farsi popolo. E dico popolo non perché
pensi che si possano annullare le grandi
diversità che solcano il vecchio continente,
ma perché confido in un salto, come avvenne
negli anni Trenta con la formazione di una
coscienza antifascista europea. Non impedì
la guerra ma fu quella passione antifascista
che spinse anche i civili a prendere le armi e a
vincere. Ecco cosa intendo quando parlo della
prospettiva di dare un nuovo orientamento
collettivo a grandi masse, spingerle a schierarsi.
Non dobbiamo avere paura di dire che dopotutto
l’Italia non è solo un grande Paese
ma uno dei popoli che hanno fatto la storia
del mondo.Èil luogo dove sono nate due civiltà
universali: Roma e il Rinascimento. L’Italia
non è misurabile col rating di un’agenzia
americana che agisce per conto di determinate
grandi banche che manipolano il movimento
dei capitali e falsificano persino il tasso di
riferimento per i mercati interbancari. Si tratta
di uno scandalo enorme. Riguarda operazioni
il cui valore complessivo ammonta a migliaia
di miliardi di dollari. Non c’è bisogno di
essere un esperto per capire quali poteri sono
in gioco. E quindi perché l’Euro è sotto
attacco ed è così ostacolato il progetto di trasformare
l’Europa in un soggetto politico unitario
con una moneta forte. Sarebbe una rivoluzione.
Verrebbero rimesse in discussione
tante cose. Sono solo accenni, mi rendo conto.
Ma al fondo c’è una esigenza fondamentale.
Quella di dare un nuovo orizzonte alla sinistra
europea. Spingerla a prendere atto che
viviamo nell’epoca del «capitalismo globale».
Una forza che finanzia e guida anche nuovi
grandi processi di sviluppo ma tende (questa
è la sua logica) a rompere la trama su cui si
sono sviluppati finora i diritti politici e sociali.
La trama degli Stati sovrani, delle istituzioni
rappresentative, dei corpi intermedi, di tutto
ciò che è innervato le società fino a ieri.
Dunque? Dunque bisogna prendere atto che
questo è il terreno nuovo della lotta, quello
sul quale si definiscono le forze del progresso
e quelle della reazione.Eallora?Eallora bisogna
aggiungere che questo apre anche nuove
prospettive. Perché è così che si sta creando
anche una mondializzazione della società
umana. Cresce ovunque la coscienza sociale
e con la consapevolezza delle interdipendenze
nasce il bisogno di nuove forme di associazione
e di rappresentanza democratica, e
quindi il bisogno di una politica più lungimirante
e più aperta che sia garante della libertà
degli uomini di esprimere le proprie capacità
creative e di darsi un futuro, un destino.
Questo è il tema su cui un nuovo partito
europeo dovrebbe cominciare a muoversi. È
il tema del ruolo civile dell’Europa rispetto
alla dittatura del denaro fatto col denaro. È
l’orizzonte su cui pensare la ricostruzione
dell’Italia.

l’Unità 24.07.12

"Gli esuberi? Trasferiamoli sull'autonomia", di Francesca Puglisi

La speidng review può essere migliorata. Il Partito Democratico ha presentato al Senato una serie di emendamenti al decreto legge di revisione della spesa per salvaguardare la qualitá della scuola pubblica e circa 15.000 posti di lavoratori precari. Il provvedimento più grave riguarda il collocamento di 10.000 docenti in esubero, causati dai tagli triennali della 133 del 2008, che dovrebbero iniziare ad insegnare materie, a prescindere dall’ordine di scuola e dalla classe di concorso per cui sono abilitati ad insegnare, tagliando fuori altrettanti contratti annuali di docenti specializzati.

Viene così affermato il principio assai grave per cui è sufficiente un titolo di studio idoneo. Come ben aveva raccontato Italia Oggi da subito, questo significa che un docente di economia aziendale potrebbe trovarsi ad insegnare geografia alle medie e una maestra di scuola primaria potrebbe dover insegnare alla scuola dell’infanzia;non avendo alcuna considerazione dell’impatto che ciò avrà sulla qualità della scuola e degli apprendimenti. Come dire che d’ora in poi un oculista può operare al cuore, tanto è laureato in medicina! Dobbiamo tristemente constatare che una certa disinvoltura da parte del Miur nel trattare le classi di concorso l’abbiamo già verificata con il loro riordino. Per esempio nei licei artistici -indirizzo audiovisivo e multimediale- con un inappropriato accorpamento delle classi di concorso, si rischia di perdere proprio la specificità per cui quegli istituti sono nati, producendo anche un grave danno per la nostra industria cinematografica. Abbiamo proposto che gli insegnanti in esubero possano essere utilizzati per rafforzare quell’organico dell’autonomia e di rete di scuole che, nato con il decreto semplificazioni, è rimasto lettera morta o tenere in vita laboratori che la Gelmini aveva chiuso.

Il secondo emendamento riguarda i 3565 insegnanti inidonei che oggi continuano a dare il proprio contributo, spesso tenendo vive le biblioteche scolastiche. Anche per loro nella spending review viene previsto il collocamento nelle segreterie scolastiche, generando questa volta nuovi risparmi, a scapito di altrettanti contratti a termine. Evidentemente si pensa che siano indifferenti competenze e professionalità per l’efficiente lavoro nelle segreterie scolastiche. Abbiamo proposto di salvaguardare i progetti di qualità curati dagli insegnanti inidonei e la possibilità per chi vuole di andare in pensione con i criteri pre-Fornero o con l’istituto della dispensa, visto che si tratta di persone con gravi patologie psichiatriche o che deve seguire terapie chemioterapiche.

Infine per i docenti delle scuole italiane all’estero, vogliamo ricordare che il totale degli insegnanti di ruolo e del personale Ata in servizio all’estero ammonta a 1.053 unitá.

Su questo totale è giá prevista per il prossimo anno scolastico una riduzione di 59 unitá. La Francia invia all’estero 6.500 insegnanti di ruolo, la Germania 1992. Questi numeri, da soli, dovrebbero far riflettere sull’importanza di mantenere una presenza qualificata nella promozione della lingua e della cultura all’estero. Dalla spending review ci aspettiamo il taglio della spesa corrente per l’acquisto di beni e servizi delle amministrazioni dello Stato Centrale, per liberare risorse per il più grande e urgente investimento per il futuro del nostro Paese: la scuola pubblica.

da ItaliaOggi 24.07.12

"Dirigenti, concorso stop and go", di Mario D'Adamo

Ha portato male al concorso a posti di dirigente scolastico della Lombardia avere previsto che i vincitori parteciperanno a un corso di formazione dal 27 al 29 agosto prossimi, organizzato da quell’ufficio scolastico regionale e pubblicizzato sul sito. Non ci saranno, almeno per il momento, vincitori destinati a parteciparvi. Nell’imminenza della pubblicazione della graduatoria di merito (gli orali si sono conclusi il 29 giugno scorso), infatti, il Tribunale amministrativo regionale lombardo ha annullato gli atti relativi alle prove scritte, svoltesi il 14 e il 15 dicembre 2011, accogliendo i ricorsi di alcuni concorrenti che avevano contestato la violazione dell’anonimato. Non si è dimostrato accorto né tanto meno economico avere messo a disposizione dei candidati e della commissione buste confezionate con carta sottile, quasi trasparente, e prive di fodera interna, per racchiudervi il cartoncino con le generalità di ciascun concorrente da tenere nascoste fino alla conclusione di tutte le operazioni di revisione degli elaborati, così come dispongono le norme sullo svolgimento dei concorsi pubblici, decreto del Presidente della repubblica n. 487 del 1994. Cognome e nome si sarebbero potuti leggere in controluce anche prima, hanno affermato i giudici meneghini che si erano fatti consegnare le buste «dall’amministrazione resistente» e che hanno verbalizzato l’esito della verifica. Non che effettivamente qualche commissario abbia potuto conoscere il nominativo del concorrente del quale stava correggendo la prova, non ci sono prove che lo dimostrino, ma basta la sola astratta possibilità che le generalità dei concorrenti siano conoscibili prima dell’apertura delle buste a invalidare l’intera fase della procedura relativa allo svolgimento delle prove scritte. Concorso da rifare, dunque. Difficile che i concorrenti che hanno superato anche la prova orale si possano salvare come i dirigenti scolastici siciliani, che, una volta assunti, si sono visti dopo tre anni di servizio annullare per irregolarità il concorso, quello riservato del 2004, il cui superamento aveva costituito il presupposto della loro nomina. Caduto il piedistallo su cui stava appoggiata è caduta anche la statua, ma una provvidenziale legge di fine 2010 ha tentato di rimetterla in piedi, consentendo si rifacesse il concorso, riaprendo per tutti i termini di partecipazione e ammettendo direttamente all’orale i dirigenti in servizio. Tra parentesi, quel concorso è ancora in fase di svolgimento-ripetizione così come il parallelo concorso ordinario, omologo a quello lombardo, relativamente al quale la correzione degli scritti non è ancora terminata. Oltre alla Sicilia, solo la Campania è in ritardo e dove il termine della revisione degli elaborati potrebbe slittare addirittura al prossimo mese di ottobre, tanto per l’anno scolastico 2012/2013 non ci sarebbero posti da assegnare. A un anno dal suo avvio con la pubblicazione del bando il 13 luglio 2011, il concorso a posti di dirigente scolastico non è dunque terminato. Sono solo sette le regioni nelle quali le graduatorie di merito sono state pubblicate: Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Marche, Piemonte, Umbria e Veneto, e nelle quali, dimensionamento permettendo, una parte dei vincitori potrà assumere servizio già con il prossimo primo settembre e gli altri con l’inizio dei successivi anni scolastici. Anche se si tratta di quasi metà delle regioni, i posti in gioco sono poco più di un quarto, 601 su 2386. In Umbria c’è anche il rischio si debba fare un passo indietro: il concorso è stato sospeso dal Tar per consentire alla commissione di motivare i punteggi attribuiti.

Nelle altre regioni sono terminati gli orali, con l’eccezione della regione Abruzzo nella quale gli orali inizieranno il 3 settembre prossimo e la Toscana dove si concludono il prossimo 28 luglio, ma sono ancora in corso gli adempimenti relativi alle graduatorie di merito. Nel Molise, la prima regione ad aver concluso gli orali, il concorso è stato congelato da un’ordinanza del Tar, che ha sospeso in via cautelare tutte le operazioni fino alla decisione di merito su un ricorso, decisione che verrà presa il 22 novembre prossimo. I concorsi di Lombardia, Molise e Umbria non sono gli unici a essere stati coinvolti in decisioni della magistratura, vuoi amministrativa vuoi ordinaria. Una brutta figura l’ha rimediata il Piemonte, dove la commissione aveva previsto per la seconda prova scritta punteggi parziali la cui somma dava un totale superiore a 30, il massimo attribuibile a ciascuna prova scritta. Ma il Tar Piemonte, che ha respinto il ricorso presentato da alcuni candidati esclusi, ha dato loro torto, giacché se di errore s’è trattato, questo ha riguardato tutti e non ha avvantaggiato nessuno. Il Tar del Lazio dovrà decidere sull’incompatibilità di alcuni commissari, anche lì quindi il concorso è a rischio. E poi interrogazioni parlamentari, lettere, sospetti di incompatibilità di commissari (candidati, poi risultati ammessi agli orali, preparati da un presidente di commissione) e addirittura di ubiquità (un presidente che sarebbe stato contemporaneamente in commissione e a fare lezione), procedure difformi tra una regione e l’altra. Insomma, l’esito scontato di una procedura che con tutta evidenza ha fatto il suo tempo.

da ItaliaOggi 24.07.12

"L'armonia perduta della concertazione", di Nadia Urbinati

La concertazione è stata al centro della conversazione politica in queste ultime settimane. Al di là degli intenti polemici, è un fatto che su questa pratica di gestione dei conflitti sociali non si è mai avuta unanimità. Per esempio, gli Stati Uniti l’hanno tradizionalmente respinta, come hanno per lungo tempo resistito a riconoscere come legittime le contrattazioni collettive nel mondo del lavoro, mentre la Germania ha ricostruito la sua economia e la sua democrazia su questa base. L’Italia ha tenuto una via intermedia, alternando periodi di concertazione a periodi di decisionismo a prescindere dal consenso sociale. Ma che cosa è esattamente la concertazione? La concertazione è una strategia e una pratica politica orientata alla soluzione dei problemi sociali ed economici attraverso il confronto democratico, e in vista di raggiungere un accordo, tra le parti sociali – per esempio gli imprenditori e i lavoratori – che vada al di là della decisione d’autorità. È una pratica opposta a quella del conflitto da un lato e della decisione politica di imperio dall’altro. Se si cerca soluzione concertata è perché si mira non a una soluzione semplicemente, ma a una soluzione che raccolga il consenso delle parti interessate, soprattutto quando si tratta di parti opposte negli interessi. La ricerca di un punto di equilibrio è realizzata molto spesso con la regia del governo – un mediatore super partes che svolge il ruolo del direttore d’orchestra.
Questo metodo ha incontrato durissime resistenze. Nell’Inghilterra dell’Ottocento, dove e quando la lotta tra le classi si materializzò con stupefacente vigore, ci fu una caparbia ostilità da parte dei liberali della “vecchia scuola”. Furono i liberali della “nuova scuola”, come per esempio John Stuart Mill, a contestare il dogma della contrattazione individuale e difendere l’unione dei lavoratori proprio per rimediare allo squilibrio di potere tra le classi. La contrattazione non era solo necessaria, ma introduceva un elemento democratico nella dinamica sociale: consentiva una discussione aperta e la possibilità di risolvere i conflitti con decisioni che non decretavano vincitori e perdenti in assoluto. Concertare sulle ragioni del conflitto era un modo per tenere aperta la possibilità di rivedere ogni decisione presa, ma anche una via per co-responsabilizzare tutti. L’accettazione della concertazione passò quindi attraverso il riconoscimento del diritto di associazione sindacale e di sciopero. Per questo, incontrò l’ostilità spesso radicale della classe padronale che in alcuni casi, come nell’Europa degli anni ’20 e ’‘30, sostenne regimi autoritari (che alla concertazione opposero il corporativismo). Con la fine dei fascismi e il riconoscimento costituzionale del diritto sindacale e di sciopero, si è aperta una fase più coerentemente democratica nella quale i diritti politici si sono estesi oltre il diritto di voto per includere quello di organizzarsi in sindacati e partiti al fine di concorrere alla definizione della politica nazionale. A questo punto, la concertazione è entrata a fare parte della grammatica politica. Il compromesso tra democrazia e capitalismo è stato siglato da questa idea larga di partecipazione, alla base della quale vi era la convinzione che concertare comportasse garantire il governo migliore della forza-lavoro, e che a questo miglioramento contribuissero direttamente i lavoratori e le lavoratrici. Questa strategia “socialdemocratica” o “riformista” ha avuto due critici, situati a due opposti schieramenti: i liberisti, che vedevano nella concertazione un’interferenza nelle scelte economiche; e gli estremisti antagonisti, convinti che ogni forma di dialogo togliesse autonomia di potere alla classe operaia, proiettandola nell’alveo del compromesso invece che in quello del conflitto radicale.
Il Paese nel quale più si è affermata la politica della concertazione e più si è scongiurato il conflitto sociale è stata la Germania. Vale la pena ricordare che in questa nazione, oggi economicamente dominante in Europa, è nata la teoria della democrazia deliberativa, un’idealizzazione della pratica di relazioni sociali basate sullo scambio delle ragioni tra le parti fino a trovare una convergenza ampia su posizioni alle quali tutti hanno contribuito e che, per questo, tutti sentono come proprie. Jürgen Habermas ha messo in filosofia l’ethos della concertazione come superamento degli squilibri di potere nelle decisioni collettive. “Concertazione” fa pensare a una metafora di armonia, e infatti nella visione di Habermas il dialogo sociale è la superficie di un consenso politico profondo sul quale riposa la stabilità della costituzione democratica. Interrompere la concertazione non significa violare le regole democratiche. Significa però restringerne l’uso alla sfera politica, tenendo fuori quella sociale e delle relazioni economiche. Questa è la sfida che le democrazie europee si apprestano ad affrontare oggi.
Non è un caso che si torni a rilanciare l’utopia tecnocratica, per la quale la politica è spesso un problema più che una risorsa perché vive di mediazione e di compromesso. Migliore metodo sarebbe la scienza, per esempio quella aziendale, che tratta la società come un corpo nel quale ciascun organo deve fare il proprio lavoro, senza confusione di ruoli. Non siamo lontani dal mito del nocchiero esaltato da Platone nella Repubblica: a chi spetta, si chiedeva il grande filosofo, di pilotare la nave, a chi la possiede, a chi rema o a chi conosce il cielo e la direzione dei venti? Se il competente deve guidare la nave, la discussione e la concertazione perdono di senso. Il rischio è che una volta rotto il nodo alchemico dell’equilibrio delle forze, quando e se il nocchiero non riesce a portare la nave verso un porto sicuro, alle parti in causa non resti altro che il conflitto diretto, avendo ormai smesso di praticare l’arte del dialogo pacificatore e della mediazione concertata.

La Repubblica 24.07.12

"Oggi in duemila davanti al Senato. "Dal 2007 chiesti ai Comuni 22 miliardi di contributi"", di Francesco Semprini

Duemila in piazza. I sindaci di tutta Italia si mobilitano per protestare contro i tagli previsti dalla «spending review». Davanti al Senato oggi, avrebbero dovuto manifestare appena in sessantina, tanti quanti i membri del comitato direttivo dell’Associazione dei Comuni italiani. Ma l’adesione alla protesta è cresciuta giorno dopo giorno tanto che alle 11 a piazza Sant’Andrea della Valle i sindaci potrebbero essere un paio di migliaia. «Riceviamo continue telefonate di adesione – dice Graziano Delrio, primo cittadino di Reggio Emilia e presidente dell’Anci -. La sofferenza è forte e alta l’aspetta per l’appuntamento, tutti comprendono la delicatezza e l’importanza del passaggio: la “spending review”, se approvata così com’è, rischia di essere letale per molti Comuni». Per il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris si tratta di una forma di «resistenza democratica» contro politiche del governo che rischiano di portare a una «sospensione della Costituzione e della piena democrazia».

Il timore è un crac finanziario per molte amministrazioni: «Dal 2007 al 2013 tra tagli e risparmi sono già stati chiesti ai Comuni 22 miliardi di contributi», avverte Delrio, secondo cui il testo del decreto configurando «tagli lineari e non interventi mirati su sprechi farebbe schizzare al 23% il taglio sulla spesa complessiva». Da qui la necessità di una mobilitazione massiccia da parte dei sindaci pronti a discutere col presidente del Senato, Renato Schifani, e il ministro per i rapporti col Parlamento, Piero Giarda i passaggi chiave del decreto e gli aspetti da affrontare nell’incontro con l’esecutivo fissato tra due mesi.

«Il governo sa bene che certi errori non può permetterseli spiega Delrio -. Per questo abbiamo concordato da tempo di sederci a un tavolo a settembre per fare una verifica sui dati più significativi e su parametri certi e tentare di individuare dove poter intervenire per ridurre le spese».

A dar manforte ai primi cittadini sono i sindacati della Funzione pubblica, per i quali il decreto va cambiato radicalmente: «I Comuni sono, insieme al Servizio sanitario nazionale, i più grandi produttori di servizi del Paese, garantiscono diritti di cittadinanza, danno lavoro, offrono coesione sociale: colpire loro, come colpire il lavoro, è come colpire il cuore del Paese».

Intanto prosegue l’iter parlamentare del decreto il cui esame in aula è previsto per giovedì: «Arriveranno solo nella giornata di domani gli emendamenti dei relatori, d’intesa con il governo», riferisce Paolo Giaretta, relatore del Pd in Commissione bilancio del Senato.

Tra i temi più spinosi c’è quello dell’Imu come fa notare Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno, parlando di «anno orribile per la finanza locale dei Comuni». «Siamo allo stremo», dice il primo cittadino marchigiano, secondo cui alcune amministrazioni rischiano il «default» a causa del combinato tra il taglio di 500 milioni di euro agli enti locali e di quello che, alle prime analisi, sembra un ammanco di un miliardo e mezzo sul gettito programmato dell’Imu in arrivo agli enti locali.

La Stampa 24.07.12

Scuole, l’allarme delle Province “Con i tagli salta la riapertura”, di Silvio Buzzanca

Metà delle Province al dissesto e migliaia di scuole che non apriranno i battenti. Effetto immediato dei 500 milioni “tagliati” dal governo. Comuni quelli di Roma, Salerno, Napoli e Palermo in grande sofferenza. Anche per questo l’Anci e migliaia di sindaci con la loro bella fascia tricolore “assedieranno” oggi i senatori impegnati a discutere della spending review. E dunque anche dei 500 milioni di euro che dovrebbero sparire quest’anno dai bilanci dei comuni.
Un taglio “lineare” che non convince neanche Piero Giarda. Al punto che il ministro per i Rapporti con il Parlamento scrive al vicepresidente dell’Unione delle Province: «Ho cercato invano di far cambiare quella norma. È contraria a tutto quello che ho sempre pensato in materia di finanza locale. Speriamo che il Senato sia più saggio del governo».
Saggezza cercasi, dunque, a Palazzo Madama. Con incontri a raffica, vertici, attese. Ieri pomeriggio il presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione alla testa di una delegazione ha incontrato il ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi.
Ma hanno parlato dei problemi connessi al funzionamento delle future città metropolitane e delle competenze delle Province che resteranno dopo gli accorpamenti.
Dei soldi, di quelli che servono per aprirle a settembre le scuole, se ne parlerà oggi. Perché, causa spread, il Senato ha fretta e vorrebbe anticipare a mercoledì il sì al provvedimento. E dunque i due relatori potrebbero presentare già oggi il loro pacchetto di modifiche. E in quelle modifiche sperano Province e Comuni. «Noi diciamo, e non esageriamo, che non riapriremo le nostre istituzioni scolastiche. Non si potrà riaprire il nuovo anno scolastico con questi tagli che sono per noi insostenibili e lo abbiamo detto al governo con grande determinazione », dice Castiglione.
Il presidente dell’Upi si spinge anche oltre. Quel taglio, spiega, «porterà la metà delle Province in dissesto. Anzi tecnicamente lo siamo già». Quadro drammatico, che suscita ogni tipo di reazione. Così Massimo Ferrarese, presidente della provincia di Brindisi, destinata a scomparire, invita, «tutti i cittadini pugliesi ad apporre la firma per abrogare i 3.500 euro al mese di diaria dei parlamentari». E le Province del Nord minacciano di sfrattare le Prefetture.
L’allarme che arriva dall’Anci, l’associazione dei comuni, non è più roseo di quello dell’Upi. Graziano Del Rio, sindaco di Reggio Emilia e presidente dei sindaci, dice senza mezzi termini: «C’è un problema di crisi di liquidità dei comuni. C’è un problema di cassa. Come le imprese faticano a trovare denaro, così i comuni. Molti comuni hanno problemi di crediti non riscossi, come il comune di Napoli».
Un allarme che non risparmia Roma. Anche la capitale, dice Del Rio, «andrà in grande sofferenza, almeno per le notizie che abbiamo noi da Alemanno. Si rischia che arrivi un commissario che faccia una serie di provvedimenti, come l’aumento delle tasse e la sospensione del Consiglio ». In serata, però Del Rio spiegherà che si tratta solo «di un esempio generico». Ma problemi simili sembrano avere anche Palermo e Salerno.
Così oggi, dopo la manifestazione, l’Anci sarà ricevuta da Schifani. Anche se, secondo i sindaci, la questione non si chiude con l’approvazione della spendig review. I primi cittadini
vogliono riprendere il discorso con il governo a settembre. Discutendo su dati certi e scientifici. Anche perché per il 2012 il taglio è di 500 milioni. Per il 2013 dovrebbe essere di un miliardo. Come per le Province. Per il momento i sindaci chiedono «di tagliare sprechi con azioni efficaci. Un metodo nuovo contro gli sprechi, senza mandare in dissesto i comuni».

La Repubblica 24.07.12

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I presidi: “È in pericolo la sicurezza” E la Cgil chiede l’intervento di Profumo, di Salvo Intravaia

Mondo della scuola in apprensione dopo l’allarme lanciato dal presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione. I tagli che la spending review opera ai bilanci delle province, secondo, Castiglione, metteranno a rischio l’avvio dell’anno scolastico. La Cgil si dice molto preoccupata e chiede al ministro della Pubblica Istruzione, Alessandro Profumo, di intervenire; i presidi temono per la sicurezza degli edifici scolastici e i genitori sono quasi rassegnati all’ennesimo taglio dei servizi agli alunni.
«L’allarme che si leva dalle province è preoccupante – dice il leader della Flc Cgil Domenico Pantaleo – perché le difficoltà degli enti locali si sommano ai tagli della spending review sulla scuola e a quelli operati dal precedente governo, che continueranno. In questo contesto già difficile occorre capire — continua — come il governo intende garantire l’avvio dell’anno scolastico. Sarebbe il caso che il ministro Profumo pronunciasse una parola chiara in merito». I dirigenti scolastici temono per l’incolumità di alunni e personale. «Il timore espresso dal presidente dell’Upi — dichiara Giorgio Rembado, presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale presidi — è fondato e ci preoccupa. Penso — aggiunge — soprattutto alla messa in sicurezza delle scuole che potrebbe subire una ulteriore battuta d’arresto». I rappresentanti delle famiglie sono quasi rassegnati. «Ormai — spiega Angela Nava, presidente del Coordinamento genitori democratici — abbiamo imparato che di fronte ai tagli ai bilanci e ai trasferimenti alle scuole occorre chinare la testa. La scuola, nonostante tutto, regge. Ma per quanto? Già in tempi di vacche grasse gli istituti erano costretti a sudarsi l’assistenza ai disabili, che ottenevano dopo mille proteste. Adesso le cose possono solo peggiorare. E per quanto attiene all’edilizia scolastica il senso di insicurezza fisica aumenterà”.
Sono le province infatti a garantire il larga parte il funzionamento delle scuole superiori: forniscono gli arredi, assicurano il riscaldamento e pagano le bollette telefoniche, della luce e dell’acqua. In altre parole gli istituti secondari, a causa dei tagli della spending review, rischiano a settembre di rimanere al buio e al freddo. Ma non solo. Le province garantiscono anche la manutenzione, ordinaria e straordinaria, degli edifici scolastici e la loro messa in sicurezza. Inoltre, assicurano il trasporto, da casa a scuola e viceversa, dei portatori di handicap e forniscono alle scuole personale ad hoc
per le pratiche igieniche degli stessi. E, in presenza di soggetti affetti da alcune disabilità (ciechi e sordi) dovrebbero anche inviare nelle scuole facilitatori della comunicazione: specializzati nella lingua dei segni e nel Braille. Ora la spending review potrebbe contribuire a farli sparire. Il presidente dell’Unione delle province d’Italia spiega in maniera semplice come stanno le cose. «Il governo considera come consumi intermedi (3,7 miliardi), anche importanti
servizi che le province erogano ai cittadini. Secondo i nostri conteggi i consumi aggredibili dalla manovra ammontano a 1,3 miliardi, pari a 176 milioni per il 2012. Se il taglio invece sarà di 500 milioni come preventivato i bilanci salteranno e le province non potranno erogare alle scuole importanti servizi».

La Repubblica 24.07.12

"La speculazione. Austerità, contagio greco e allarme Regioni ecco le sei cause della tempesta perfetta", di Federico Rampini

Il salva-banche non convince, lo scudo antispread non scatta, la recessione avanza mentre altri allarmi si accendono: le regioni spagnole a rischio bancarotta, ma anche la Sicilia oberata di debiti spaventano e alimentano la speculazione. Gli ultimi vertici europei non sono stati in grado di dare un segnale forte e così sulle Borse senza bussola piovono le vendite. In questa situazione di incertezza i grandi investitori si chiedono se abbia ancora un senso l’austerity spinta, che invece di risanare alimenta la recessione.
IL “SALVA-BANCHE” NON CONVINCE
È una constatazione: la caduta dei titoli bancari in Spagna indica che i mercati non credono all’efficacia del salvataggio. Malgrado l’eurozona abbia previsto di stanziare 100 miliardi, di cui 30 entro pochi giorni, gli investitori continuano a vendere le azioni delle banche. Le ragioni sono diverse. Da una parte gli istituti di credito spagnoli, insieme con la loro vigilanza e il loro governo, hanno mentito troppo a lungo sullo stato di salute reale dei bilanci: non hanno più credibilità. L’altra causa di sfiducia, è un effetto perverso degli aiuti della Bce: la liquidità che Mario Draghi fornisce agli istituti di credito, viene reinvestita nei buoni del Tesoro spagnoli. Di fatto in ogni paese le banche sono diventate i principali acquirenti di bond pubblici nazionali: col risultato di affondare i loro bilanci, in quei paesi dove il valore dei titoli di Stato perde quota. E’ la famosa “spirale perversa” che non è stata spezzata.
I RITARDI DELLO SCUDO
Con i rendimenti dei buoni decennali del Tesoro che in Spagna hanno raggiunto il 7,5%, i mercati si stanno convincendo che Madrid non ce la farà più a rifinanziarsi.
Lo “scudo anti-spread”, che avrebbe dovuto mettere un tetto a questi rialzi degli interessi in Spagna e Italia, è latitante. Troppe le resistenze, tedesche olandesi e finlandesi. Pesa il dubbio che i due “contenitori” di risorse per aiutare i paesi in difficoltà (Efsf, Esm) siano del tutto insufficienti. La Bce ha le mani legate, ogni espansione del suo ruolo nell’acquisto di titoli pubblici può provocare obiezioni di anti-costituzionalità in Germania. Di qui la previsione della più grande banca americana, JP Morgan, che vede un “credit crunch” all’orizzonte. Ce la farà Madrid a rifinanziare i 27 miliardi di titoli in scadenza da qui a ottobre?
DEFAULT DELLE REGIONI
A minacciare la solvibilità degli Stati, ci si mettono anche le loro regioni. Gli scricchiolii periferici sono iniziati da Valencia, che ha chiesto di poter attingere a un fondo di emergenza di 18 miliardi creato dal governo centrale di Madrid per scongiurare la bancarotta delle regioni. Poi un Sos ancora più inquietante è venuto dalla Catalogna, la “Lombardia iberica”, un tempo ammi-rata
per il suo dinamismo economico. Neppure Barcellona riesce più a farsi fare credito sui mercati. Infine l’allarme italiano, partito dalla Regione Sicilia, che si è conquistata il titolone del
New York Times.
L’AUSTERITY FABBRICA RECESSIONE
Non è vero che l’austerity piace ai mercati. Non quando è la ricetta per rendere ancora più insostenibili i debiti. Gli investitori internazionali osservano che più la Spagna si sforza di applicare le direttive di Bruxelles Francoforte e Berlino, più si allontana la ripresa: ora il governo Rajoy prevede recessione fino al 2014, con disoccupazione fissa al 24%. E’ una logica implacabile che i mercati hanno già visto all’opera in Portogallo, Irlanda e Grecia: di tagli si uccide il paziente. Da notare l’andamento anomalo della Francia. Dall’elezione di François Hollande il suo spread con la Germania si è ridotto. Hollande «fa cose di sinistra», come l’addizionale sull’imposta patrimoniale e l’assunzione di insegnanti. Eppure viene premiato dai mercati. Perché ha una strategia pro-crescita (fondi alla scuola) e persegue il rigore di bilancio a carico di chi può finanziarlo (i ricchi).
LA BEFFA (PER NOI) DEI TASSI NEGATIVI
Beata Germania: colloca i suoi buoni del Tesoro biennali con un tasso negativo (meno 0,07%). Il tasso negativo sembra un controsenso: significa che l’investitore-risparmiatore è disposto a pagare il Tesoro tedesco pur di prestargli i suoi
soldi. Il fenomeno innaturale avviene nelle situazioni di grave incertezza: equivale al prezzo che paghiamo per affittare una cassetta di sicurezza, dove pensiamo che i gioielli di famiglia sono al sicuro. L’effetto perverso è che i tassi negativi dei bond tedeschi trascinano al ribasso tutta la struttura dei rendimenti in Germania. Il credito costa sempre meno per le imprese tedesche, mentre diventa più caro per quelle italiane. Si accentua così quella perdita di competitività del made in Italy, che è la vera causa strutturale capace di rendere insostenibile tutta l’unione monetaria.
SE È LA GERMANIA A FARE SECESSIONE
Questo lunedì nero dei mercati ha avuto un antefatto: le indiscrezioni del settimanale tedesco
Der Spiegel
su un ritiro degli aiuti del Fondo monetario internazionale alla Grecia. A questo si sono aggiunti i segnali di irrigidimento della Germania: «Un’uscita della Grecia dall’eurozona non sarebbe un dramma, e io sono sempre più scettico sulle possibilità di Atene di riuscire a restarvi», ha detto il vicecancelliere tedesco Philipp Roesler. “Grexit”, cioè lo scenario di uscita della Grecia, preoccupa non tanto in sé quanto per la creazione di un precedente: a chi tocca dopo? Inoltre sembra segnalare che la Germania può considerare un euro a due velocità, con paesi espulsi in una fascia esterna. Fino a non molto tempo fa, era fanta-politica. Ora i mercati ci riflettono.

La Repubblica 24.07.12