Latest Posts

"Un utile richiamo alla realtà", di Stefano Lepri

L’Europa ci ricorda che l’Italia soffre di guai annosi, scarsissima dinamica di crescita, alto debito pubblico. Nelle analisi uscite ieri da Bruxelles è vano cercare giudizi pro o contro l’ultimo mese di attività del nostro governo, come vorrebbe la nostra politica. Vi si legge invece un richiamo alla realtà, utile anche in altri Paesi dell’Unione.
A meno di tre settimane dal voto per il Parlamento di Strasburgo, gli stessi mercati finanziari che nel 2011-12 hanno spinto l’euro sull’orlo della rottura ora paiono sicuri che la costruzione reggerà. Anche il Portogallo si svincola dall’assistenza, d’ora in poi non dovrà più obbedire alla «troika». Perfino la Grecia tira il fiato, tanto che i sondaggi elettorali mostrano un calo delle estreme.

I tassi di interesse nel Sud dell’area euro scendono, esponendo a una nuova figuraccia le ormai screditatissime agenzie di «rating».

Secondo loro, il debito italiano resta oggi meno affidabile di quello della Colombia o del Kazakhstan; il debito spagnolo, che gli investitori si contendono accettando di ricavarne meno del 3%, è addirittura classificato un gradino più in giù.

Non a caso, nel procedere della campagna elettorale le forze anti-euro stanno perdendo un po’ dell’abbrivio datogli da due anni di austerità. Tuttavia, dei mercati finanziari non bisogna fidarsi nemmeno quando portano doni, perché si tratta di mandrie inquiete, prima tutti in una direzione, poi tutti nell’altra, non si sa fino a quando. Il Fmi già ammonisce contro eccessi di ottimismo.

Possiamo dire che l’euro è fuori pericolo; i profeti di catastrofe sono stati smentiti. Ma il futuro del continente resta molto incerto, non solo a causa delle tensioni con la Russia. Nel confermare che una ripresa economica è partita, e che investe anche i Paesi deboli, le previsioni pubblicate ieri dalla Commissione europea ne circoscrivono la portata rispetto alle speranze di diversi governi.

Nel quadro tracciato, il ritmo di aumento dei prezzi dovrebbe restare basso molto a lungo. Questo non giova a chi vuole intraprendere nuovi affari. Le previsioni di Bruxelles sull’inflazione si collocano al di sotto di quelle della Bce; rafforzano chi chiede a Mario Draghi di fare di più, mettendo moneta in circolo.

Da parte sua l’Italia vi trova la conferma di soffrire di mali indipendenti dall’euro, e preesistenti. Da oltre 15 anni la nostra economia mostra scarsa vitalità; il debito pubblico per la gran parte ce lo trasciniamo dagli Anni 80, e proprio in vani tentativi di rilanciare la crescita attraverso la spesa pubblica eravamo tornati ad appesantirlo nei primi anni del nuovo secolo.

I segni di miglioramento che vediamo attorno a noi, testimoniati dalla maggiore fiducia sia tra le famiglie, sia tra le imprese, sono appena sufficienti a iniziare una lenta risalita. Passato lo spettacolo elettorale, la politica dovrà produrre risultati significativi prima delle ferie, o gli umori torneranno a peggiorare.

La legge di stabilità 2015 richiederà sforzi ingenti; al momento i numeri non ci sono proprio. Inutile discettare ora su quanto si potrà ottenere negli oscuri spazi di interpretazione che le regole di bilancio europee consentono. Convinceremo gli interlocutori solo se davvero si comincerà a cambiare qualche pezzo di una macchina dello Stato che non funziona.

Il paradosso dell’Italia in questo momento è che quasi tutti proclamano «non se ne può più», eppure molti nel concreto fanno resistenza a ogni cambiamento che li riguardi. Il successo di Beppe Grillo si deve all’abilità di cogliere entrambi gli aspetti; il limite che ne consegue, di non proporre quasi mai nulla, diventerà evidente solo se chi governa realizza.

La Stampa 06.05.14

Ue: l’Italia cresce poco ma ripresina dei consumi Padoan: “Acceleriamo”, di Andrea Bonanni

Una crescita modesta, appena 0,6 per cento, addirittura al di sotto dello 0,8 per cento previsto dal governo nel Def di aprile. Un debito che quest’anno raggiungerà il picco del 135,2 per cento del Pil superando anche le ultime previsioni. Un deficit nominale sotto controllo, che scenderà al 2,6 quest’anno e al 2,2 nel 2015. Ma un deficit strutturale che non viene azzerato come previsto dal nuovo trattato europeo sui conti pubblici e che anzi peggiora leggermente passando da meno 0,7 quest’anno a meno 0,9 nel 2015. Le cifre che la Commissione attribuisce all’Italia nelle previsioni economiche di primavera pubblicate ieri lasciano sospesa sul capo del governo la spada di Damocle di una riapertura delle procedure di infrazione a carico del nostro Paese.
La decisione sarà presa ai primi di giugno. Adesso, alla vigilia delle elezioni europee, Bruxelles vuole evitare a tutti i costi che qualsiasi sua mossa venga utilizzata a fini elettorali. E dunque il commissario Siim Kallas, che sostituisce temporaneamente Olli Rehn alla guida degli affari economici, evita di rispondere alla richiesta italiana di rinviare il pareggio strutturale di bilancio dal 2015 al 2016.
In realtà le previsioni economiche rese note ieri confermano sostanzialmente il quadro di una lenta ripresa che si consolida in tutta Europa, sia pure a ritmi diversi, con la Germania che cresce più degli altri e un’Italia che ha una ripresa dimezzata rispetto alla media europea: 0,6 contro 1,2 quest’anno, e 1,2 nel 2015 contro l’1,7 nella media Ue. Ma anche per l’Italia il quadro non è negativo, soprattutto perché Bruxelles non ha inserito nei suoi calcoli il bonus fiscale. « Il recente taglio delle tasse sul lavoro avrà probabilmente effetti largamente neutri sulla crescita della produzione a breve termine, ma potrà avere un effetto positivo a più lungo termine se sarà finanziato con la razionalizzazione della spesa pubblica», ha spiegato ieri Kallas.
Insomma, nonostante il fatto che «il debito pubblico rimane il problema principale dei conti pubblici italiani», come avverte la Commissione, il clima a Bruxelles non è negativo. E questo induce il ministro Padoan all’ottimismo: «Le previsioni di primavera della Commissione confermano secondo me molto chiaramente che il Paese sta migliorando, che c’è crescita e che c’è un miglioramento della competitività e soprattutto un aumento degli investimenti e dell’occupazione». Anche sul debito pubblico, che comincerà a calare solo nel 2015, il responsabile dei via XX settembre è fiducioso: «visto il surplus primario che andrà aumentando, vista la crescita che andrà aumentando e visto il costo del debito che è in diminuzione come tutti sappiamo, il debito scenderà forse più rapidamente di
quanto pensiamo, e ci sarà anche il contributo positivo delle privatizzazioni».
Qualche buona notizia arriva anche dall’Istat, secondo cui, per la prima volta dopo tre anni di calo continuato, i consumi delle famiglie italiane riprendono ad aumentare, sia pure solo dello 0,2 per cento. Una cifra, questa, confermata anche dalla Commissione. Sempre secondo l’istituto nazionale di statistica, anche il potere di acquisto delle famiglie torna in positivo dopo sei anni di diminuzione continuata. Una tendenza che dovrebbe confermarsi anche nel 2015 e che potrebbe contribuire ad alimentare la crescita grazie ad una ripresa dei consumi interni.

La Repubblica 06.05.14

Renzi: "Il PD ha un luogo dove vincere le elezioni, la piazza"

“Mancano 20 giorni al passaggio elettorale e il PD deve avere la forza e la voglia di scegliere il luogo nel quale andare a vincere le elezioni, e questo luogo è la piazza”. Lo ha detto il premier e segretario del PD, Matteo Renzi aprendo i lavori della Direzione nazionale del Partito democratico a Roma.

Per Renzi “il passaggio del 25 maggio, sia per i Comuni che per le Europee, vede nel PD il punto di riferimento più forte, noi vogliamo essere dove ci sono i problemi – ha detto – senza ribattere colpo su colpo, ma raccontando le nostre idee per i comuni e per l’Europa. Non dobbiamo essere timidi – ha ribadito – il nostro posto è in piazza senza nessuna timidezza”.

Comuni al voto. “I 4.106 comuni che vanno al voto, sono 4.106 occasioni per stare in piazza, la sfida della politica la prendiamo tutta in pieno. Di questi Comuni, 27 sono capoluogo – ha ricordato Renzi – per questo abbiamo bisogno di uno sforzo straordinario in queste realtà, in quanto proprio dai capoluoghi riparte il senso di ricostruzione di una comunità. Dobbiamo puntare a fare il risultato più significativo fin dal primo turno, il risultato migliore fin dall’inizio”.

Mobilitazione il 17 e 18 maggio. Il segretario del PD ha annunciato che “il 17 e il 18 maggio ci sarà una straordinaria mobilitazione del PD in tutta Italia, con 10mila banchetti, sia nei comuni dove si vota, sia dove si vota solo alle Europee. Chiuderò la campagna elettorale nell’ultima settimana tra Firenze e Bari, e in tutti e due le città metropolitane andiamo in piazza”.

Il PD nel Pse per cambiare l’Europa. “Il PD ha scelto di entrare nel Pse non come omaggio alla tradizione, ma come tentativo di stare in uno schieramento per cambiare l’Europa. Il PD vuole essere il partito più forte all’interno del Partito socialista europeo. La campagna elettorale sta diventando un derby tra la rabbia e la speranza, su chi scommette sul fallimento dell’Italia e chi pensa di potercela fare. Prima c’erano falchi e colombe, ora i gufi e gli sciacalli. Nessuno dubita che l’Ue così com’è non corrisponde ai sogni dei cittadini. La differenza è tra chi urla e chi prova a cambiare davvero”.

Elezioni Europee. “Dobbiamo chiedere un voto non perchè il governo abbia un consenso migliore: non è un sondaggio sui ministri, ma è il tentativo per dire che per cambiare l’Europa dobbiamo stare concretamente in campo noi. Chi propone di uscire dall’euro – ha aggiunto – propone le file ai bancomat, l’impossibilità di pagare i mutui. Noi non vogliamo uscire, vogliamo entrare in Europa con maggiore convinzione e determinazione”.

L’Europa parte dalla scuole e non dal fondo salva Stati. “Gli 80 euro sono una misura elettorale? No, gli 80 euro sono un antipasto. Sono la prima misura del cambiamento. Sono il tentativo di restituire ai cittadini qualcosa che spetta loro di diritto e gli è stato portato via in questi anni. C’è una netta contraddizione tra chi vive in una realtà diversa, parallela, e considera gli 80 euro una mancia; e gli altri. Col decreto degli 80 euro riusciamo a sbloccare il patto di stabilità per le scuole – ha concluso Renzi – lo annuncerò in Veneto. Con questa operazione, diciamo che l’Italia riparte dalla scommessa educativa: ripartiamo dalle scuole e non dal fondo salva Stati”.

www.partitodemocratico.it

"Promesse alla prova dei conti", di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

Riduzione del carico fiscale, certezza del diritto, tempi rapidi di attuazione delle norme. Tre principi che sono diventati uno slogan: tutti li conoscono, la politica li enuncia, i tecnici ne declinano le diverse forme, gli imprenditori e più in generale i contribuenti li reclamano a gran voce. Ma in concreto si fa fatica a vederne gli effetti.
Certo ci sono segnali importanti – la riduzione dell’Irap, a esempio, primo passo nella direzione della riduzione del carico fiscale –. Ma capire quanto questi segnali impattino in termini di effettivo risparmio di cassa non è mai facile. L’esigenza di trovare copertura finanziaria alle manovre comporta spesso uno spostamento dell’imposizione: si riduce l’Irap ma aumentano la Tasi e le altre imposte locali; migliora il beneficio Ace ma diminuisce la deduzione fiscale delle auto aziendali; spesso le norme prevedono benefici il cui effettivo ottenimento è rimandato al futuro e nel frattempo gli acconti continuano ad applicarsi senza considerare la riduzione e così via.
Per di più, questo travaso continuo del carico fiscale, in molti casi poco trasparente e quindi difficile da identificare, comporta un rischio: la politica ottiene l’effetto-annuncio di aver raggiunto un obiettivo ma le imprese non hanno effetti concreti in termini di minor esborso finanziario. È a livello complessivo che deve essere guardata l’imposizione fiscale – è stato detto mille volte e da più parti – ma soprattutto è in termini di maggiori risorse a disposizione per fare altre cose che deve essere misurata la riduzione del carico tributario.

In questo senso la certezza del diritto è essenziale. Vi sono norme che assumono rilevanza nel tempo e la loro efficacia è misurabile solo se non cambiano i dati di riferimento. Una rivalutazione dei beni strumentali con un’aliquota al 16% e l’obbligo di appostare una riserva di rivalutazione, affrancabile al 10%, rappresenta di per sé un’opportunità con limitati vantaggi prospettici: se in corsa viene cambiata la regola di rateizzazione dell’imposta sostitutiva che passa da tre rate annuali a una sola vi sono due immediate considerazioni: la prima che la misura della convenienza potrebbe ulteriormente ridursi fino quasi ad azzerarsi e la seconda che il budget finanziario dell’impresa che ha aderito potrebbe essere completamente stravolto. Lavorare per iniettare più risorse nel sistema a fronte di risparmi di imposte vuol dire in primo luogo rispettare gli impegni e quindi gli elementi alla base delle scelte degli operatori economici. Finanziare nuove manovre cambiando le regole a giochi fatti comporta un’instabilità che rischia di deragliare nell’inaffidabilità, e che, in ultima analisi, crea un circolo vizioso che rende inefficace l’operazione complessiva.
E poi i tempi. L’attuazione della delega fiscale non ha date certe. Dipende dai decreti legislativi di attuazione che a loro volta dipendono da una commissione ad hoc. Un ingorgo che rende la legge delega una sorta di elenco di buoni propositi. Siamo sicuri che non sia possibile accelerare, dando segnali di efficienza nella produzione di leggi utili? Citiamo il caso del raddoppio dei termini nell’ipotesi di denuncia di fattispecie penali: tutti sono concordi nel ritenere la norma attuale inadatta e la legge delega ha sancito la volontà di cambiarla introducendo il vincolo che la denuncia sia effettuata entro l’ordinario termine di accertamento. La norma è già scritta dalla legge delega, basta inserirla nel Dpr 600/73. Non si può fare in tempi più rapidi rispetto all’iter ordinario? In diversi casi questo è avvenuto, addirittura per la disciplina delle perdite su crediti si è anticipato l’intervento rispetto all’approvazione della stessa legge delega. Non si dimentichi che, per gli atti di accertamento, fino all’attuazione della delega continuerà ad applicarsi l’attuale disciplina del raddoppio dei termini e quindi in questo momento possono essere controllati ordinariamente i periodi d’imposta fino al 2009 ma possono essere riaperti quelli fino al 2005. Un contribuente potrebbe quindi essere legittimamente accertato, ai fini delle imposte sui redditi, per il 2005 magari per una fattispecie ritenuta elusiva (altro argomento in fase di cambiamento a seguito della delega). Ha senso, se tra qualche mese, in attuazione di una legge già in vigore, questo non sarà più possibile?
Abbiamo bisogno di leggi pragmatiche, che sono possibili solo da parte di un legislatore che conosca, valuti e analizzi in concreto gli effetti delle sue azioni nei confronti dei destinatari. Ci vuole anche coscienza del fatto che esistono due piani: quello parlamentare, delle strutture legislative e quello reale. Non basta una legge, bisogna renderla applicabile e bisogna che questa esplichi in concreto gli effetti per cui è stata approvata. E infine serve capire l’urgenza e le priorità delle cose da fare. Insomma, serve un legislatore che si metta negli scomodi panni del contribuente.

Il Sole 24 Ore 05.05.14

Roma – Camera dei Deputati – Seminario: Crocevia Fossoli racconto del campo di concentramento di Fossoli

RE 15.00 – Indirizzi di Saluto Marina Sereni
Vice Presidente della Camera dei deputati
Enrico Campedelli
Sindaco di Carpi
Lorenzo Bertucelli
Presidente Fondazione ex Campo Fossoli
Dario Franceschini
Ministro dei Beni e delle Attività culturali e del turismo
ORE 15.30 – La storia il racconto la memoria Conduce Benedetta Tobagi
Giornalista e scrittrice
Intervengono
Marzia Luppi
Direttrice Fondazione ex Campo Fossoli
Valentina Pisanty
Università degli Studi di Bergamo
Giovanni Contini
Associazione Italiana di Storia Orale
Hanno garantito la loro presenza i testimoni
Alberto Sed, Piero Terracina, Franco Varini
ORE 16.15 – Proiezione del film documentario Crocevia Fossoli
(riduzione televisiva di 50 minuti)
alla presenza dei registi
Federico Baracchi e Roberto Zampa
Saranno presenti:
Giuliano Banfi, Consiglio Nazionale Aned
Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale Anpi Luciano Guerzoni, Vice Presidente Nazionale Anpi Victor Magiar, Consigliere Ucei

"Contro l’abbandono scolastico vale tutto", di Silvia Avallone

Nel documentario A scuola di Leonardo Di Costanzo, girato in una media inferiore della periferia di Napoli, una preside agguerrita e un’adolescente che parla solo in dialetto si fronteggiano . «Devi imparare a usare l’italiano, che non sai usare. Imparare una lingua straniera. Perché ti spetta. Non è un dovere, è un diritto! Ma se tu non lo vuoi, noi che dobbiamo fare per farti desiderare di averlo?» Silenzio. La ragazzina abbassa lo sguardo. Non ci crede, che la scuola sia un suo diritto. Non la vuole frequentare, ha ben altri problemi per la testa: quelli che la aspettano a casa, per le vie del quartiere, in quel mondo che si trova anni luce dalle aule. Come lei sono molti gli adolescenti che scivolano via dalle maglie della scuola dell’obbligo. Perché provengono dai margini, da retroterra famigliari drammatici, oppure perché è stato diagnosticato loro un grave deficit di attenzione, una carenza cognitiva che ne impedisce l’integrazione. Nella maggioranza dei casi questi ragazzi diventano assenze, cognomi da pronunciare a vuoto durante l’appello. E al loro svantaggio la scuola spesso sa rispondere solo con una sequenza di bocciature. L’anticamera dell’addio definitivo.

L’Italia occupa il quartultimo posto in Europa per dispersione scolastica (fonte ministero dell’Istruzione, 2013), il 17,6% dei giovani tra i 18 e i 24 anni può contare sulla licenza media come unica arma per affrontare il suo destino . Ma c’è un altro dato, tragico, che riguarda coloro che si perdono dopo la soglia di quella elementare: lo 0,2% degli iscritti, infatti, abbandona le medie. Un numero che, semplicemente, non dovrebbe esistere. Invece accade, nella periferia di Napoli come nel Biellese, dove ho incontrato una delle possibili strade per reagire al problema. Qui Enaip, Cnos-Fap e Città Studi, insieme alla Scuola Polo di Mongrando, si sono coalizzati in un’Associazione Temporanea di Scopo per tentare di affrontare la dispersione in modo strutturato, senza limitarsi a confidare nella buona volontà dei singoli. Il risultato si chiama Progetto Lapis. Nacque dieci anni fa per affiancare con moduli pomeridiani il percorso scolastico di ragazzi a rischio abbandono. Ma, nonostante l’impegno, il numero degli studenti che la scuola perdeva, anziché diminuire, aumentava. Così, dall’ottobre del 2013, Lapis è diventato un corso sperimentale full time della durata di un anno. Altro luogo, altra didattica: una cesura netta.

Sono dieci e tutti italiani, gli alunni coinvolti. Nove ragazzi e una ragazza, pluriripetenti della prima media che, di segnalazione in segnalazione, sono stati radunati in un’aula nella sede dell’Enaip. Ogni mattina alle 8 prendono posto ai loro banchi, dove ricevono una doppia formazione: di base e di avvio alle professioni. Italiano, matematica, tecnologia e inglese, a cui si aggiungono laboratori pratici di meccanica, d’informatica e manifattura. Né storia, né geografia, né Pascoli o Carducci: qui la frontiera da conquistare si chiama lingua italiana. Gli ostacoli hanno le sembianze di un accento che trasforma una congiunzione in un verbo, di un’acca che opera simili metamorfosi con una preposizione. Ragazzi difficili, ingestibili, problematici: se lo sono sentito ripetere così tante volte, da arrendersi a quel ruolo. La sfida è persuaderli del contrario, che non sono destinati all’emarginazione a priori.

Non è facile. L’insegnante non fa in tempo a posare lo zaino sulla cattedra, che già qualcuno tenta di fuggire . Bisogna rincorrerlo per i corridoi e ricondurlo in classe, tenere a bada gli altri che di rimanere seduti non ne vogliono sapere. Per questo sono sempre in due a seguirli: il docente e il pedagogo. «Il primo problema che ci siamo posti è stato: stiamo ghettizzando questi ragazzi togliendoli dalla scuola? La mia risposta è no, perché loro a scuola non ci volevano stare, anzi, non ci venivano proprio, mentre adesso si presentano tutte le mattine», mi spiega la professoressa Teresa Citro, capofila del progetto e preside delle medie di Mongrando. «Occorreva una discontinuità forte con un passato scolastico che li aveva sempre penalizzati e frustrati, inserirli in un percorso didattico alternativo, in uno spazio nuovo in cui potessero sentirsi accolti». L’obiettivo immediato è l’esame di licenza media secondo standard differenti, che tengano conto di limiti e lacune irrecuperabili in breve tempo. Ma la vera speranza è poter rispondere con certezza alla domanda: cosa faranno dopo? Riusciranno a iscriversi in una scuola superiore? In due casi ex studenti difficili sono riusciti a frequentare il liceo e a cambiare drasticamente il proprio destino.

C’è chi ha criticato Lapis considerandolo, anziché un’opportunità di riconciliazione, una sorta di scorciatoia . Ma se nella scuola dell’obbligo si crea un muro contro muro, se le lezioni frontali non riescono a catturare interesse, e il gap tra aula e mondo esterno diventa una voragine, come si può scalare la muraglia dell’incomunicabilità senza tentare approcci diversi? Il dilemma è aperto, e quello che manca è un vero confronto. «La prima volta che sono venuto in questa scuola mi sembrava che era una merda ma poi mie cominciata a piacere perche o iniziato a farmi degli amici»: comincia così il tema di uno dei ragazzi, e questo esordio è già una soddisfazione per chi lo segue, considerato che nel precedente anno si era presentato in classe due volte mentre oggi propone addirittura un tema libero di sua iniziativa.

È l’attività che riscuote più successo, il tema. Nonostante gli errori di ortografia e la sintassi ballerina , riescono a liberare il grande desiderio di esprimersi che covano, la volontà di abitare un linguaggio fatto non solo di silenzi o di provocazioni. È scrivendo, riordinando il vissuto della loro prima volta in discoteca con «il cuore che faceva bum bum», o trovando un nome alla solitudine in cui si sentivano confinati dai vecchi compagni di classe, che si accende una scintilla di fiducia, una possibilità di abbattere l’opposizione tra loro e i docenti, tra loro e la scuola, che altrimenti potrebbe condannarli al semianalfabetismo.

Il premio a fine mattinata, quando hanno dimostrato impegno, è la distribuzione dei pennarelli e dei disegni da colorare. A guardarli mentre prestano attenzione per restare all’interno dei contorni, loro che sono nati e cresciuti al di fuori, ci si accorge di quanto questi tredici-quattordicenni siano ancora bambini. Lo rimarranno sempre, se non si trovano le risorse per impedirlo: insegnanti di supporto, fondi per percorsi specifici. E, in aggiunta, il coraggio di trascendere le regole, di modificarle se risultano inefficaci.

Progetti come questo nascono per colmare le lacune di una scuola che non sa adattare didattica e programmi a quelle realtà di disagio che rischiano di rimanere tagliate fuori dall’opportunità di un riscatto. Una scuola che per difesa si trincera dietro la cattedra, anziché passare avanti e comunicare a viso aperto con i propri ragazzi, soprattutto con quelli più svantaggiati, trattenendoli presso di sé. Perché nessuno di loro può restare escluso da uno dei suoi diritti fondamentali, e bisogna trovare la forza di percorrere tutte le strade possibili affinché quello 0,2% si assottigli fino allo zero.

da www.repubblica.it

"Idee. L’immaginazione al potere", di Salvatore Veca

Gli esercizi di immaginazione politica mirano a estendere l’ombra del futuro sul presente. Dovrebbero essere coerenti con la virtù della lungimiranza. Dovrebbero prendere sul serio diritti e aspettative e qualità di vita di donne e uomini su un orizzonte temporale esteso. Nel tempo e nello spazio. Perché, allo stesso modo, dovrebbero adottare gli «occhi d’umanità» o le massime del pensiero largo, come usava dire Kant, il filosofo dell’Illuminismo e di Per la pace perpetua. Noi abbiamo un disperato bisogno di idee nuove, di prospettive inedite e audaci che forzino i vincoli della falsa necessità e ci orientino nell’esplorazione dello spazio delle possibilità.
Molti sono convinti che, per incentivare l’innovazione e mettere in moto l’immaginazione, siano un must inevitabile l’azzeramento e l’elisione del senso del passato. Il disegno di modi inediti di convivenza richiede l’azzeramento del retaggio. Al macero, i vocabolari di politica e moralità ereditati. Credo che questa sia una credenza profondamente sbagliata. Come nel celebre quadro di Paul Klee, Angelus Novus, su cui ha scritto pagine luminose Walter Benjamin nelle sue tesi sulla filosofia della storia, dobbiamo essere consapevoli del fatto che noi procediamo verso il futuro, nella bufera, con il volto che guarda all’indietro, rivolto al passato. Proprio come l’angelo di Klee che ha le ali impigliate nella bufera, che tuttavia lo sospinge in avanti. (L’immagine ci suggerisce di preservare lealtà all’idea di progresso, inteso come progresso da, come scostamento dai mali sociali, e non come progresso a, sulla base di una misteriosa teoria delle leggi di movimento della storia.)
L’immaginazione politica e sociale si avvale dell’ascolto delle voci d’umanità alle nostre spalle. Si avvale della memoria degli esperimenti sociali e istituzionali degni di lode. Delle catastrofi e del massacro, delle rovine e delle vittime, che sono disseminate e si ergono o giacciono nei detriti e nelle impronte, lasciate e affidate al retaggio. Il senso del passato, il senso dei conflitti e delle conquiste, dei profitti e delle perdite in termini di civiltà e di umanità, di umiliazione e degradazione di vite umane, il senso del passato e della costruzione, dell’insorgenza e del collasso, dell’ascesa e caduta di istituzioni e pratiche sociali: questo senso del passato è, almeno in parte – una parte molto significativa – ciò di cui si alimentano il senso delle possibilità e gli esercizi di immaginazione politica. Pensate all’Europa nella prima metà e nella seconda metà del secolo scorso.
L’immaginazione deve prendere sul serio l’attrito con la tradizione, con la storia, con i fatti e le idee che si annodano e s’intrecciano alle nostre spalle. Ma, attenzione, la tradizione, qualsiasi tradizione, non è un blocco monolitico. È un campo di tensioni, di contraddizioni. Un guazzabuglio di pratiche e di ragioni, di lotte e di resistenze, di esiti degni di lode e di biasimo. Pensate di nuovo all’Europa, dalle nostre parti. Pensate all’Europa che inventa la tolleranza, l’Illuminismo e i diritti o all’Europa che inventa e pratica guerra e massacro. Ed elabora, nella sua storia tortuosa e contingente, i criteri per il giudizio sulla propria responsabilità anfibia e ambivalente: responsabilità per la fioritura dei beni umani e responsabilità per il male assoluto e per le pratiche del disumano. Ma pensate ad altre storie, ad altre tradizioni, in un mondo sempre più piccolo e interdipendente, sullo sfondo ambivalente e bifronte dei processi di globalizzazione. Disponetevi all’ascolto di altre voci d’umanità. Come ci ha suggerito a più riprese Amartya Sen, pensate alla tolleranza religiosa del Mogul Akbhar o al discorso di Benares dell’illuminato, nel Parco delle tre gazzelle. Pensate alla satyagraha del Mahatma Gandhi o alle prime immagini della democrazia nel villaggio in Sud Africa di cui ci racconta Nelson Mandela. Pensate alle massime della saggezza e dell’etica del maestro Kong Fu, di Confucio: siate leali a voi stessi e perciò attenti agli altri. O riflettete sul potenziale semantico delle religioni mondiali, come ci ha suggerito Juergen Habermas. Pensate al dio di Spinoza di cui parlava Albert Einstein, e ai molti modi di evocare un’idea vaga e preziosa di eguaglianza umana. Pensate ai frammenti dell’interminabile discorso di cittadinanza, per la cittadinanza, a proposito di cittadinanza, di chi non ha voce e prende con altri la parola. Per un elementare riconoscimento di pari dignità. Pensate alla tortuosa storia dei conflitti democratici per l’inclusione e per i diritti, alla vicenda dei movimenti operai, dalle nostre parti europee.
Facendo perno sul senso del passato, l’immaginazione politica è indotta ad avvalersi di una molteplicità di voci e di domande e di aspettative che affollano oggi, just in time, le piazze e le strade della gran città, fisica, simbolica e informatica, del genere umano. Sono i sintomi, i signa prognostica di una domanda radicale di equità e di eguale considerazione e rispetto per chiunque, sintomi e segni da decifrare, da interpretare, da prendere sul serio. Perché è in questa Babele di voci, è in questa Sarabanda d’umanità che, grazie al senso del passato, possiamo riconoscere la forza della domanda di semplice emancipazione umana. Che è domanda di liberazione da variegate e mutevoli catene. Catene per il corpo, e catene per la mente. Come dire: habeas corpus e habeas mentem.
Ora, è possibile -mi chiedo e vi chiedo – che la politica non abbia nulla da imparare da tutto ciò, né abbia nulla da dire e da fare, nulla da proporre e progettare, nessun disegno collettivo da tratteggiare e sostenere e promuovere, per rispondere alla Babele e alla Sarabanda d’umanità?
Non è possibile, questa è la mia risposta. E a questo si connette il mio invito agli esercizi di immaginazione. Solo rispondendo alla dignità delle persone, la politica potrà ritrovare nella società una dignità, la sua, messa a repentaglio, esposta al discredito quando non dissipata e perduta. Nella trappola di una crisi che scippa il futuro, sullo sfondo di poteri opachi e senza frontiere che frantumano e recidono i mille fili delle memorie e, perciò, dei progetti dello sviluppo umano come eguale libertà.

L’Unità 05.05.14