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"Idee. L’immaginazione al potere", di Salvatore Veca

Gli esercizi di immaginazione politica mirano a estendere l’ombra del futuro sul presente. Dovrebbero essere coerenti con la virtù della lungimiranza. Dovrebbero prendere sul serio diritti e aspettative e qualità di vita di donne e uomini su un orizzonte temporale esteso. Nel tempo e nello spazio. Perché, allo stesso modo, dovrebbero adottare gli «occhi d’umanità» o le massime del pensiero largo, come usava dire Kant, il filosofo dell’Illuminismo e di Per la pace perpetua. Noi abbiamo un disperato bisogno di idee nuove, di prospettive inedite e audaci che forzino i vincoli della falsa necessità e ci orientino nell’esplorazione dello spazio delle possibilità.
Molti sono convinti che, per incentivare l’innovazione e mettere in moto l’immaginazione, siano un must inevitabile l’azzeramento e l’elisione del senso del passato. Il disegno di modi inediti di convivenza richiede l’azzeramento del retaggio. Al macero, i vocabolari di politica e moralità ereditati. Credo che questa sia una credenza profondamente sbagliata. Come nel celebre quadro di Paul Klee, Angelus Novus, su cui ha scritto pagine luminose Walter Benjamin nelle sue tesi sulla filosofia della storia, dobbiamo essere consapevoli del fatto che noi procediamo verso il futuro, nella bufera, con il volto che guarda all’indietro, rivolto al passato. Proprio come l’angelo di Klee che ha le ali impigliate nella bufera, che tuttavia lo sospinge in avanti. (L’immagine ci suggerisce di preservare lealtà all’idea di progresso, inteso come progresso da, come scostamento dai mali sociali, e non come progresso a, sulla base di una misteriosa teoria delle leggi di movimento della storia.)
L’immaginazione politica e sociale si avvale dell’ascolto delle voci d’umanità alle nostre spalle. Si avvale della memoria degli esperimenti sociali e istituzionali degni di lode. Delle catastrofi e del massacro, delle rovine e delle vittime, che sono disseminate e si ergono o giacciono nei detriti e nelle impronte, lasciate e affidate al retaggio. Il senso del passato, il senso dei conflitti e delle conquiste, dei profitti e delle perdite in termini di civiltà e di umanità, di umiliazione e degradazione di vite umane, il senso del passato e della costruzione, dell’insorgenza e del collasso, dell’ascesa e caduta di istituzioni e pratiche sociali: questo senso del passato è, almeno in parte – una parte molto significativa – ciò di cui si alimentano il senso delle possibilità e gli esercizi di immaginazione politica. Pensate all’Europa nella prima metà e nella seconda metà del secolo scorso.
L’immaginazione deve prendere sul serio l’attrito con la tradizione, con la storia, con i fatti e le idee che si annodano e s’intrecciano alle nostre spalle. Ma, attenzione, la tradizione, qualsiasi tradizione, non è un blocco monolitico. È un campo di tensioni, di contraddizioni. Un guazzabuglio di pratiche e di ragioni, di lotte e di resistenze, di esiti degni di lode e di biasimo. Pensate di nuovo all’Europa, dalle nostre parti. Pensate all’Europa che inventa la tolleranza, l’Illuminismo e i diritti o all’Europa che inventa e pratica guerra e massacro. Ed elabora, nella sua storia tortuosa e contingente, i criteri per il giudizio sulla propria responsabilità anfibia e ambivalente: responsabilità per la fioritura dei beni umani e responsabilità per il male assoluto e per le pratiche del disumano. Ma pensate ad altre storie, ad altre tradizioni, in un mondo sempre più piccolo e interdipendente, sullo sfondo ambivalente e bifronte dei processi di globalizzazione. Disponetevi all’ascolto di altre voci d’umanità. Come ci ha suggerito a più riprese Amartya Sen, pensate alla tolleranza religiosa del Mogul Akbhar o al discorso di Benares dell’illuminato, nel Parco delle tre gazzelle. Pensate alla satyagraha del Mahatma Gandhi o alle prime immagini della democrazia nel villaggio in Sud Africa di cui ci racconta Nelson Mandela. Pensate alle massime della saggezza e dell’etica del maestro Kong Fu, di Confucio: siate leali a voi stessi e perciò attenti agli altri. O riflettete sul potenziale semantico delle religioni mondiali, come ci ha suggerito Juergen Habermas. Pensate al dio di Spinoza di cui parlava Albert Einstein, e ai molti modi di evocare un’idea vaga e preziosa di eguaglianza umana. Pensate ai frammenti dell’interminabile discorso di cittadinanza, per la cittadinanza, a proposito di cittadinanza, di chi non ha voce e prende con altri la parola. Per un elementare riconoscimento di pari dignità. Pensate alla tortuosa storia dei conflitti democratici per l’inclusione e per i diritti, alla vicenda dei movimenti operai, dalle nostre parti europee.
Facendo perno sul senso del passato, l’immaginazione politica è indotta ad avvalersi di una molteplicità di voci e di domande e di aspettative che affollano oggi, just in time, le piazze e le strade della gran città, fisica, simbolica e informatica, del genere umano. Sono i sintomi, i signa prognostica di una domanda radicale di equità e di eguale considerazione e rispetto per chiunque, sintomi e segni da decifrare, da interpretare, da prendere sul serio. Perché è in questa Babele di voci, è in questa Sarabanda d’umanità che, grazie al senso del passato, possiamo riconoscere la forza della domanda di semplice emancipazione umana. Che è domanda di liberazione da variegate e mutevoli catene. Catene per il corpo, e catene per la mente. Come dire: habeas corpus e habeas mentem.
Ora, è possibile -mi chiedo e vi chiedo – che la politica non abbia nulla da imparare da tutto ciò, né abbia nulla da dire e da fare, nulla da proporre e progettare, nessun disegno collettivo da tratteggiare e sostenere e promuovere, per rispondere alla Babele e alla Sarabanda d’umanità?
Non è possibile, questa è la mia risposta. E a questo si connette il mio invito agli esercizi di immaginazione. Solo rispondendo alla dignità delle persone, la politica potrà ritrovare nella società una dignità, la sua, messa a repentaglio, esposta al discredito quando non dissipata e perduta. Nella trappola di una crisi che scippa il futuro, sullo sfondo di poteri opachi e senza frontiere che frantumano e recidono i mille fili delle memorie e, perciò, dei progetti dello sviluppo umano come eguale libertà.

L’Unità 05.05.14