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“Il potere non è donna”, di Federico Fubini

Non succede spesso che qualcuno dall’Italia sia invitato in giro per il mondo per spiegare com’è avanzato questo paese. Non di questi tempi. Sarebbe dunque solo umano se, quando è stata chiamata alla Borsa di Tel Aviv, Joyce Bigio si fosse chiesta se davvero gli investitori volevano ascoltare proprio lei. Non che Bigio non abbia qualcosa da raccontare, perché a modo suo fa parte di una generazione di pionieri. Mentre l’Italia introduceva la nuova legge per far salire la quota di donne ai vertici delle società quotate, questa manager italo-americana è entrata nel consiglio di amministrazione di Fiat Spa. Il suo ingresso nel gruppo di Torino è stato solo un passaggio di un movimento più ampio che, per una volta, sta spingendo il paese dalle posizioni di coda alle parti alte di una classifica globale. Solo un anno fa le donne nei board delle società del Fste Mib, il principale listino di Milano, erano circa il 7 per cento del totale; adesso sono già salite attorno al 20 per cento, secondo le stime dell’associazione Valore D: un progresso fulmineo per i ritmi del cambiamento in Italia, da molto sotto a un po’ sopra la media internazionale.
Anche gli israeliani volevano sapere come si fa, ma magari la loro curiosità sarebbe subito scemata se avessero avuto il colpo d’occhio di Villa d’Este l’altro ieri. Il premier Enrico Letta ha visto il panorama del convegno ed è andato su tutte le furie: «Non vedo donne e questo è insopportabile, perché l’Italia non è fatta solo di uomini», ha esclamato. Grisaglie di mezza età avanzata dominavano la platea, al punto che ancora ieri gli organizzatori del Workshop Ambrosetti non erano riusciti a calcolare la percentuale di donne in quel gruppo di 200 manager. Episodi così fanno pensare che dietro la rincorsa nei board dei gruppi di Piazza Affari c’è forse meno di quanto non sembri. Le top manager per esempio sono sotto il 10 per cento, fra i livelli più bassi al mondo. E del resto il confronto globale vive anche di volti e simboli, non solo di numeri. Negli Stati Uniti il direttore operativo di Facebook Sheryl Sandberg e Marissa Mayer, che un anno fa prese il timone di Yahoo da un’altra donna come Ursula Burns, sono più che semplici casi di successo. Sono magneti che lavorano sottilmente sulla psicologia di una nazione. Sandberg lo fa deliberatamente, senza rinunciare a un ruolo (anche) politico e ai suoi libri dedicati agli ostacoli per le carriere femminili. Niente del genere sembra dietro l’angolo in Italia. Né appare vicino il giorno in cui questo paese sarà pronto ad affidare a una donna un ruolo di primissima fila nella gestione dell’economia e del sistema finanziario. Siamo in questo indietro anche rispetto ai paesi cui ci ispiriamo di più. In Francia un leader conservatore come Nicolas Sarkozy ha chiamato Christine Lagarde come ministro dell’Economia e l’ha poi sostenuta per assicurarle il ruolo di vertice del Fondo monetario internazionale. Non che per Lagarde a Washington tutto sia facile. L’Fmi accettò che Dominique Strauss-Kahn si dedicasse ai comportamenti per i quali va famoso, e lo fece in silenzio. Invece l’ironia verso Lagarde è spesso feroce e gratuita: «Non capisce l’economia
»; «nella settimana di assemblea del Fmi va dal parrucchiere tutti i giorni»; «si lascia dettare i programmi dal suo stesso staff». Vero o falso, non era mai stato detto di nessun direttore generale del Fondo prima di lei. Neanche dei (molti) maschi e
mediocri.
Che neanche negli Stati Uniti sia facile essere donna nel sistema finanziario, del resto, lo sta sperimentando in prima persona Janet Yellen. Vicepresidente della Federal Reserve, ora candidata al posto di numero uno, Yellen è incappata in un editoriale del
Wall Street Journal e infiniti altri commenti che stendono obliquamente il dubbio sulla capacità di una donna di gestire il dollaro. Paul Krugman l’ha difesa, ma neanche il premio Nobel è riuscito a sradicare dal profondo delle menti di molti l’idea che solo un uomo può manovrare uno strumento potente come il denaro.
In questo anche la Banca centrale europea è un passo più indietro persino dell’Italia. Nel consiglio dei governatori, il gruppo di 23 persone che decide quasi tutto, non siede una sola donna: le 17 banche centrali dei paesi dell’euro esprimono tutte rappresentanti maschi e così è anche per i sei che siedono nell’esecutivo guidato da Mario Draghi. In fondo dall’inizio della storia fino a 40 anni fa, la moneta è sempre stata legata all’oro, il metallo che John Maynard Keynes definiva «un cimelio barbarico». E i barbari erano appunto tali. Draghi si è reso conto che questo squilibrio rischia di intaccare la capacità della Bce di farsi accettare da tutti, ed è corso ai ripari: ha indicato «obiettivi» – non rigide «quote» per la presenza di donne nello staff. Nel 2019 il 28 per cento dei top manager della Bce dovrebbero essere donne (oggi sono la metà), ma fra le righe dei regolamenti di Francoforte non è difficile scorgere qualche cautela nell’Eurotower. «Meglio avere semplici obiettivi – si osserva da Francoforte -. Le quote vanno applicate rigorosamente, poco importa quale sia la qualità dei candidati alle promozioni». E a parità di qualifiche fra un uomo e una donna, i criteri di genere possono entrare in gioco «potenzialmente».
Si è dunque perdonati, se dietro le scelte della Bce si leggono due timori inconfessabili. L’Eurotower sospetta che gli automatismi nelle promozioni di donne entro tempi certi portino a scegliere anche persone non qualificate (un’accusa mossa anche al primo sistema di quote applicato in Norvegia dal 2003); e i dipendenti maschi si sono innervositi perché temono di finire subordinati nelle selezioni da ora in poi.
Del resto questa non è una specialità occidentale. Le aziende con board o prime linee di manager più femminili si trovano fra i sistemi autoritari dell’Asia come Cina o Vietnam. In Vietnam le donne presero il controllo dell’economia mentre gli uomini combattevano gli americani nella giungla, e non l’hanno più ceduto. In Italia si spera non serva una guerra per avere un colpo d’occhio meno grigio nella sala di Cernobbio. Ma, per ora, non è detto.

La Repubblica 10.09.13

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“Le leggi sulle quote rosa stanno cambiando le proporzioni tra i generi nei posti di comando. Ma lentamente. E l’Italia resta un Paese con poche leader”, di Maria Novella De Luca

Un cammino faticoso. Con il rischio sempre di tornare indietro. Nonostante i “successi” delle quote rosa, nonostante le prime avanguardie femminili nei cda italiani. La platea di Cernobbio era così integralmente maschile-plurale da far sobbalzare, anche, il premier Letta. Il viaggio verso il potere delle donne in Italia procede lento, anche se la legge approvata un anno fa, e che impone nei consigli di amministrazione almeno un terzo di presenza femminile, sta gradualmente rivoluzionando i Cda delle aziende italiane. Dall’ottobre del 2012 ad oggi, il numero di donne presenti nei cda è passato dal 7 al 20 per cento. Nei 10 anni precedenti la crescita annuale si era bloccata, fermata, incollata ad un incremento dello 0,5 per cento annuo. Cioè nulla. Qualcosa di infinitesimale. Le donne, pur con curriculum eccellenti, e a meno di non essere “figlie d’arte”, restavano irrimediabilmente fuori dal cuore del potere.
Oggi qualcosa sta cambiando, il meccanismo è stato scardinato, scalzato nelle fondamenta. Ma poco è ancora visibile ad occhio nudo.
È soltanto l’inizio, avverte Alessia Mosca, parlamentare del Pd e prima firmataria della controversa legge sulle “quote rosa” nei cda. Ed erano così poche le presenze femminili al meeting di Cernobbio, appuntamento fondamentale per chi si occupa, pensa e discute di Economia, da suscitare l’amara riflessione di Enrico Letta: «In questa sala siamo tutti uomini e questo è insopportabile, perché questo Paese è fatto per metà di uomini e metà di donne e se le donne non sono in grado di avere la loro opportunità, ci perde il Paese». Tutto vero. Eppure provando a guardare là dove le donne manager si formano,
tra le organizzazioni che valorizzano il “Valore D” ci si accorge che con mille ritardi, almeno nei luoghi che contano, il varco è aperto.
Ricorda Alessia Mosca, oggi agli Affari Europei: «Perché la legge approdasse in Parlamento ci sono voluti tre anni e la tenacia trasversale ai partiti per vincere resistenze, conservazioni e diffidenze. Oggi però, dodici mesi dopo, tutte le aziende che hanno rinnovato i loro consigli di amministrazione hanno inserito il 20 per cento di presenze femminili, sono un’avanguardia ma il dato è acquisito, non si può tornare indietro». Bisogna vigilare però. Spesso si tratta di manager con pochi compiti operativi. In posizioni di serie B. E infatti la legge sulle quote rosa ha una scadenza, decadrà tra nove anni. Aggiunge Mosca: «Questo è il tempo necessario affinché la società italiana si adegui, compia una rivoluzione culturale e magari, appunto, la platea di Cernobbio cambi, e diventi metà maschi, metà femmine».
Forse, chissà. In Italia le Pari Opportunità restano spesso un sogno incompiuto. E infatti se questa norma tutela i vertici e ha rotto finalmente gli inaccessibili soffitti di cristallo, appena si scende di un gradino l’occupazione femminile mostra tutte le sue difficoltà di conciliazione, di accesso alle professioni, di ricatti di fronte alla maternità e alla vita privata.
Spiega Marisa Montegiove, presidente di Donna Manager Italia: «Lo stupore del presidente Letta non mi sorprende affatto.
Siamo veramente lontani dall’avere una presenza reale nei consigli di amministrazione e nei luoghi che contano. Come gruppo di donne e manager non abbiamo appoggiato la legge sulle quote rosa, è il merito quello che conta. Il cambiamento deve essere culturale: ci stupiamo, ma poi c’è qualcuno che chiede agli organizzatori di un meeting come quello di Cernobbio come mai invitano sempre le stesse persone, cioè uomini? E se le donne ci sono è perché rappresentano alcune dinastie industriali. Magari sono preparatissime, ma di certo non hanno dovuto lottare per arrivare lì».
Il cambiamento è lento. Eppure la crisi ha trovato più preparato il mondo femminile di quello maschile. Aggiunge Maria Montegiove: «Si è verificato il paradosso che tra due manager, un uomo e una donna, spesso le aziende abbiano sacrificato il maschio, ritenendo la manager più produttiva, flessibile, e comunque meno costosa, visto che gli stipendi delle donne sono tradizionalmente più bassi».
Le quote, dunque, hanno creato uno shock, una testuggine contro un portone inamovibile, il resto è tutto da costruire: conciliazione, welfare, pari opportunità. Infatti basta scendere di un gradino, passare dalle capitane d’azienda alle super manager, e ai quadri intermedi, per vedere quanto il “gender gap” sia ancora forte. Fino naturalmente alle donne che fanno professioni normali, con sti-
pendi normali, e combattono nel perenne tentativo di tenere tutto insieme: lavoro, figli, famiglia e magari qualche momento
per sé.
Dichiara di avere sempre un approccio di carattere positivo ai percorsi delle donne, Claudia Parzani, brillante super avvocato, madre di tre figli, presidente di Valore D: «Le quote sono soltanto un mezzo, un grimaldello, noi abbiamo deciso di avere un approccio concreto nei confronti della legge, aprendo una vera e propria scuola per quelle manager, tutte già con titoli eccellenti, che vogliano provare ad entrare nei consigli di amministrazione».
Un vero e proprio master, che non a caso si chiama “Boardroom”, attraverso il quale impadronirsi di strumenti fondamentali per candidarsi, appunto, ad entrare nei “board” delle aziende. E Valore D, associazione di 85 aziende che promuovono il valore e i talenti femminili, mette poi i curriculum di queste particolarissime studentesse a disposizione delle aziende. Quanto basta per dire che il potere in Italia comincia a diventare “rosa”? Claudia Parzani suggerisce, cautamente, di sì. «C’è ancora molto da fare per il welfare e la conciliazione, ma i primi risultati si vedono, il varco è aperto, questa legge è stata un acceleratore, poi arriverà una seconda generazione di donne che avrà meno difficoltà non solo ad entrare nei posti chiave, ma anche ad avere posizioni di reale importanza».
Una spinta ottimista, produttiva, e davvero fiduciosa nel talento delle donne. Ma non basta, avverte Alessia Mosca, ricordando la fatica di far passare la legge. «Non ci possiamo fermare. Abbiamo innescato un processo virtuoso, che può cambiare la geografia delle aziende, ma la regressione è sempre possibile. Ed è di tutte le donne che ci dobbiamo occupare, degli orari, dei congedi, del telelavoro. L’occupazione
femminile è una corsa ostacoli, è ancora oggi pagata meno di quella maschile. Il sottosegretario Maria Cecilia Guerra sta lavorando ad un pacchetto di misure proprio sulla conciliazione, sarà questa la nostra nuova sfida».
«Voglio un cambiamento di genere e generazione», ha detto ancora Letta a Cernobbio di fronte alla platea maschile plurale. E dunque la parola “genere” sbarca nei palazzi del potere. Con tutto il suo significato di differenze e similitudini. Potrebbe voler dire allora che per fare carriera, forse, le donne non dovranno più adeguarsi a modelli maschili. Magari, chissà.

La Repubblica 10.09.13

“L’ultima piroetta”, di Francesco Cundari

Le sorti del Pdl, del governo e dell’intera politica italiana continuano a ruotare attorno alle vicende personali di Silvio Berlusconi. O per meglio dire, è il Cavaliere che continua a far ruotare il Pdl (e di conseguenza tutti noi) attorno ai suoi interessi e ai suoi guai. Ma è una trottola che perde slancio a vista d’occhio: la traiettoria che disegna nel dibattito pubblico non è più il cerchio perfetto, quasi un punto, della fase iniziale.
A mano a mano che il giocattolo rallenta la corsa, inevitabilmente, la sua rotazione si fa sempre più oscillante, la sua andatura sempre più sghemba, il suo tracciato sempre più assurdo. È vicino il momento in cui anche questo ventennale girotondo della destra italiana attorno al suo leader, e dell’Italia attorno al Cavaliere, incontrerà l’ultimo e il più insuperabile degli ostacoli: il principio di inerzia. La trottola traccerà la sua estrema, stridente, sgraziata piroetta istituzionale – il Cavaliere invocherà le Nazioni Unite, chiamerà i sostenitori alla guerra civile, chiederà asilo politico a qualche satrapo asiatico in nome della difesa dei diritti umani e dello stato di diritto – e infine uscirà di scena. Il crescendo di assurdità politiche, giuridiche e istituzionali in cui ha trascinato l’intero stato maggiore del suo partito dice che quel momento è vicino.
Anche per questa ragione, come già sa chiunque abbia mai parlato con qualcuno dei suoi elettori, a raccogliere l’eredità politica del berlusconismo non sarà quella nuova destra liberale vagheggiata dai politologi sin dal 1994, inseguita e scandagliata per vent’anni in ogni sua possibile configurazione da milioni di retroscena, Sacro Graal del giornalismo politico della Seconda Repubblica. Ammesso e non concesso che il Cavaliere sia paragonabile a Charles de Gaulle, a raccoglierne il lascito non sarà Georges Pompidou, ma Beppe Grillo.
Silvio Berlusconi è stato condannato con sentenza definitiva passata in Cassazione, al termine dei regolari tre gradi di giudizio. In qualunque altro Paese democratico del mondo la discussione in cui siamo impantanati da un mese non sarebbe durata un minuto. L’inarrestabile escalation di appelli, ricorsi, cavilli e ricatti messi in campo dal Pdl, a cominciare da quei dirigenti che avrebbero dovuto rappresentarne il futuro migliore, la dice lunga sulla natura di quel partito, ma soprattutto sul significato ultimo della sua parabola. Un esito perfettamente simboleggiato nel ritorno a Forza Italia: il partito-azienda fondato da Berlusconi di cui il Pdl avrebbe dovuto essere l’evoluzione liberale e democratica, l’ultimo passo del suo solenne ingresso nell’alveo del popolarismo europeo. Niente da fare, dalla regola europea si torna all’eccezione italiana. Del resto, il modo in cui quel partito aveva affrontato il primo barlume di dibattito interno, con l’immediata espulsione della componente finiana, aveva mostrato subito la ragione strutturale che ne impediva l’omologazione agli standard minimi richiesti alle forze politiche dei Paesi occidentali.
Il berlusconismo si dimostra oggi più che mai inscindibile da Silvio Berlusconi, con tutti i vantaggi che questo ha comportato fino a oggi. E tutti gli svantaggi che oggi comincia a presentare. Resta da capire se il modello politico-imprenditoriale che ha rappresentato in questi anni uscirà di scena con lui, o se l’Italia sarà destinata a essere ancora a lungo ostaggio di qualche magnate della comunicazione con la passione per la politica e una spiccata insofferenza per il dissenso.

L’Unità 10.09.13

“Il ritorno della diplomazia”, di Vittorio Zucconi

Ora Barack Obama ha una via d’uscita dalla trappola siriana nella quale si era rinchiuso. E questa via passa per Mosca. È un’onorevole ritirata quella che Vladimir Putin gli offre. Potrebbe essere raccontata addirittura come una vittoria e le prime reazioni di Washington sembrano accoglierla con un sospiro di sollievo. Con la proposta di domandare ad Assad la consegna e il controllo internazionale degli arsenali di armi chimiche e, quindi, di impedirne l’uso contro i ribelli, Mosca ha utilizzato un classico stratagemma tattico della storia russa: ritirarsi oggi, per battersi meglio domani. Salvando la faccia e l’onore.
La “Marcia della Follia”, come Barbara W. Tuchman definì la spinta inerziale e irresistibile che conduce alle guerre, ha rallentato il passo e ciò che ancora pochi giorni or sono sembrava inevitabile, oggi diventa almeno più lontano. In questo dialogo a distanza fra Mosca e Washington, che John Kerry, il segretario di Stato, e Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo, hanno cominciato scambiandosi segnali, c’è per la prima volta l’ipotesi di una soluzione non violenta. Di un esito che consenta a Obama di vantare il successo della pressione americana senza dare un ordine d’attacco che palesemente non voleva dare, visto che da settimane avrebbe potuto farlo senza chiedere il permesso a nessuno. Molto più che “riluttante”, il capo dello stato americano aveva detto, con il proprio comportamento, di essere un guerriero scettico delle proprie stesse parole.
Fingendo di avere recepito una proposta siriana, che invece è nata proprio a Mosca, se non a San Pietroburgo ai margini della inutile sceneggiata plenaria del G20, Putin ha dimostrato di avere compreso che l’isolamento di Obama lo avrebbe costretto a fare quello che in realtà Obama non voleva e che un presidente americano chiuso all’angolo dalle proprie parole non avrebbe potuto non fare. Ma non è altruismo, né impeto pacifista, ad aver spinto il russo a intervenire. È un pragmatico calcolo, politico e strategico.
Da un’azione militare americana contro il regime siriano, Putin non avrebbe nulla da guadagnare e molto da perdere.
Anche lui, come Obama, era rimasto intrappolato nelle proprie parole, promettendo di non restare indifferente a un assalto contro quell’Assad che è l’ultimo Stato cliente ancora rimasto alla Russia dopo la fine della Guerra Fredda.
Putin aveva garantito rifornimenti militari, aiuti economici e finanziari, a una Siria colpita da missili Usa e anche lui, nel caso non avesse mantenuto le promesse, avrebbe perduto la faccia o rischiato un’escalation faccia a faccia con gli americani. E se il dittatore siriano fosse caduto sotto i colpi dei missili Cruise e dei droni, il rischio di una vittoria del fondamentalimo islamico in Siria sarebbe cresciuto, dando ulteriore forza a quei gruppi che Mosca reprime ferocemente nelle regioni caucasiche.
La crisi, e il pericolo di azioni militari, non si sono dissipati completamente per effetto di questo “Lodo Putin”. Hanno aperto una possibile via d’uscita dal labirinto nel quale, per quella debolezza che tanto spesso conduce al palliativo della forza, Obama si era smarrito dopo il quasi ultimatum della “linea rossa”. La sospensione della marcia della follia ha una scadenza, i sette giorni indicati da Kerry per le resa delle armi chimiche da parte di Assad. E, come nel caso di Saddam che respinse le ispezioni Onu, esattamente dieci anni or sono, sarà la razionalità, sarà l’istinto di conservazione di un dittatore a dire l’ultima parola.
Ma la grande novità sottintesa di queste ore è che, da oggi, non soltanto gli Stati Uniti, ma anche la Russia, sono direttamente chiamati in causa nella ricerca di una soluzione che soddisfi l’esigenza principale, quella di sottrarre a Bashar al Assad i depositi della “atomica dei poveri”, dei gas.
Ora Damasco, che si è detta pronta a eseguire l’ordine di consegnare i propri arsenali alla comunità internazionale per la loro distruzione, non deve più soltanto rispondere a Obama, ma anche a Putin.
Nell’atteggiarsi a man of peace, a uomo di pace che cerca una terza via non violenta di uscita al duello fra Damasco e Washington, il presidente russo è involontariamente divenuto un potenziale “uomo di guerra”, visto che gli sarebbe difficile, fra sette giorni, accusare di bellicosità gli americani se Assad ciurlasse nel manico.
Già dieci anni or sono, nelle giornate che condussero alla follia irachena del marzo 2003, la diplomazia russa si era agitata per convincere Saddam Hussein a mostrarsi accomodante e non dare a Washington il pretesto finale per l’invasione. La mediazione fallì, il raìs iracheno si rinchiuse nella propria intrattabilità suicida e Mosca si lavò le mani dell’operazione “Iraqi Freedom” abbandonando Saddam al suo truculento e scontato destino. Ma se ora Assad si mostrasse meno allucinato del defunto raìs iracheno, se capisse che in questa iniziativa di fatto congiunta russo-americana c’è l’ipotesi, per lui, di sopravvivere e di scampare, per ora, al castigo per i due anni di orrore inflitto – non soltanto con i gas – alla propria nazione, anche il Parlamento americano troverebbe il modo per evitare l’umiliazione internazionale della Presidenza e negare il sì all’attacco. Basterebbe sfornare una risoluzione che autorizzi il bombardamento nel caso Assad non ottemperi alla richiesta di consegnare gli arsenali per placare l’America recalcitrante e per salvare Obama dalla propria solitudine.

La Repubblica 10.09.13

“La voglia di riscatto”, di Massimo Adinolfi

Il decreto è un primo, importante segnale. Per anni scuola e università sono scivolati a margine delle politiche di governo e dell’attenzione pubblica, oppure sono stati interessati da propositi di riforma confusi, accompagnati da una sempre più accentuata diminuzione delle risorse, a sua volta coperta da una aggressiva quanto velleitaria ideologia meritocratica. Come se il problema della scuola italiana stesse esclusivamente nel permettere ai migliori di eccellere, con buona pace di tutti gli altri. Come se non fosse invece necessario recuperare la centralità della vita scolastica nei processi educativi, nella considerazione delle famiglie, nel tessuto sociale del Paese. Ci sarà tempo per analizzare nel dettaglio il provvedimento varato ieri, che interviene su diversi aspetti del pianeta scuola: dal caro-libri, che si cerca di contenere, agli interventi per l’edilizia scolastica, che possono rappresentare solo il primo passo di un piano più generale e di stanziamenti più cospicui. Dal fondo per le borse di studio per studenti universitari, che si incrementa (anche se di poco) alla lotta alla dispersione scolastica, che questo decreto prova a rilanciare (anche se, di nuovo, 15 milioni non sono certo un intervento risolutivo). Il piano di immissione degli insegnanti, peraltro, attende ancora di essere definito nel dettaglio. Ma, detto ciò, quel che conta è l’impegno generale del governo a mettere mano a una materia su cui per troppo tempo ha prevalso una logica penalizzante, se non addirittura punitiva, nella convinzione che la scuola italiana fosse un vasto continente di sprechi diffusi, eccessivamente sindacalizzato e pesantemente ideologizzato, da riportare quindi sotto gli standard di razionalità e efficienza che l’imperativo tecnocratico dei nostri tempi prova a dettare in ogni ambito del sociale: che si tratti di scuola o di ospedali, di cultura o di salute, tutto ciò che è pubblico essendo per principio giudicato inefficiente, bisogna, questa è la parola, razionalizzare. Il che equivale a ridurre le spese, efficientare, sburocratizzare, professionalizzare e, in ultima analisi, selezionare, in uno spirito competitivo che appartiene ai dettami concorrenziali del mercato, ma che nulla o poco dovrebbe avere a che fare con i progetti educativi e formativi di un’istituzione scolastica. C’è uno stanziamento, nel decreto di ieri, che merita di essere segnalato a questo proposito. Si tratta, anche in questo caso, di pochi milioni, dieci per l’esattezza, destinati a finanziare l’ingresso gratuito per i docenti nei musei e nei siti culturali. Non è cosa da poco: non certo dal punto di vista della cifra, ma dal punto di vista della direzione che il provvedimento si sforza di indicare. Immaginiamo infatti cosa possa significare presentarsi presso la biglietteria di un museo e, in forza di un tesserino da impiegato pubblico, vedersi riconosciuto il diritto di visitare gratuitamente una mostra: non equivale automaticamente a far parte di una casta di privilegiati? Sembra che finalmente il governo a questo domanda si sia attrezzato per rispondere di no, e che voglia anzi consentire all’insegnante che torna a frequentare i musei con soldi pubblici, e non con piccole economie tolte a un bilancio familiare sempre più magro, di rispondere che quella visita è importante, per il docente certo ma anche per il discente, che troverà in aula, l’indomani mattina, un professore non solo o non tanto più preparato, ma più invogliato a trasmettere ai propri allievi il gusto della scoperta, il piacere del bello e del vero, il valore della cultura. Il corpo docente rischia in questi anni di apparire formato da sfigati incapaci di farsi valere nella giungla del mercato e perciò imbucatisi nella scuola. Con questo decreto possiamo perlomeno augurarci che i docenti ricomincino ad apparire per quel che sono e che devono essere: un pezzo essenziale della classe dirigente del Paese. Aiutiamo l’Italia se restituiamo loro la dignità e il rilievo che la loro funzione merita.

L’Unità 10.09.13

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“Decreto scuola: aspettiamo il testo ufficiale”, di R.P.

L’impressione che si ha, leggendo il lunghissimo comunicato del Ministero sul decreto scuola varato oggi dal Governo è che si sia scelta la strada di infilare nel provvedimento un bel po’ di temi e argomenti, per dare l’idea di un consistente pacchetto-scuola.
In questo modo sulla stampa quotidiana di domani 10 settembre intere pagine saranno dedicate al pacchetto e l’opinione pubblica avrà l’idea che davvero il Governo si sta impegnando sulla questione.
Ma, ad una prima analisi, inevitabilmente sommaria e superficiale del provvedimento, appare abbastanza chiaro che a fronte di disposizioni di sicuro interesse per famiglie e alunni, ci sono diverse dimenticanze oltre che alcune ipotesi di intervento che lasciano perplessi.
Nelle prossime ore entreremo più nel dettaglio, per ora incominciamo con le prime osservazioni che già stanno circolando nei forum e nei social network.
Intanto è chiaro che nel decreto non c’è nulla sulla questione di “Quota 96” mentre l’accenno al problema dei docenti inidonei sarà tutto da verificare quando sarà noto il testo definitivo del provvedimento.
Ciò che maggiormente colpisce, però, è l’estrema frantumazione della spesa(peraltro modesta).
Ci sono per esempio 10milioni di euro per l’aggiornamento: detto così si dovrebbe essere contenti, ma bisognerà aspettare di leggere il testo ufficiale del decreto per capire da dove verranno reperiti i fondi.
Se si tratta di fondi aggiuntivi può anche andar bene, anche se poi a conti fatti 10milioni suddivisi fra le 9mila istituzioni scolastiche vuol dire poco più di mille euro per ciascuna scuola.
Il sospetto, però, è che si possa trattare di risorse della legge 440 e quindi in tal caso non ci sarebbe nulla da festeggiare.
Un discorso analogo vale per i 15 milioni di euro per la lotta alla dispersione
mentre bisognerà capire un po’ meglio da dove arrivano i 3 milioni per i progetti didattici che dovrebbero servire a valorizzare la didattica museale.
Per non parlare poi della sbandierata assunzione di 57 dirigenti tecnici vincitori di un concorso avviato più di 5 anni fa.
Insomma per fare una valutazione seria del provvedimento è meglio aspettare il testo, potrebbero esserci molte sorprese e parecchia delusione.

La Tecnica della Scuola 10.09.13

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Decreto scuola: “nuove” regole per i libri di testo, di R.P.

Il capitolo sui libri di testo contenuto nel decreto scuola è certamente quello che più di altri interessa direttamente alunni e famiglie.
I 5 punti elencati nel comunicato del Ministero meritano però di essere analizzati un po’ attentamente in modo da essere “decifrati” in modo corretto.
Intanto si dice che “per quest’anno scolastico gli studenti potranno utilizzare liberamente libri di testo nelle edizioni precedenti, purché conformi alle Indicazioni nazionali”.
Che significa questa formulazione ? Che lo studente può usare una edizione precedente del testo in adozione ? Ma se è un testo contenente esercizi e materiali antologici, la questione si complica e se invece è un testo di puro studio (per esempio un manuale di storia) la “concessione” appare pleonastica in quanto già ora questo è possibile.
Quanto poi all’impegno di spesa di 8 milioni di euro per l’acquisto da parte di scuole secondarie di libri di testo e e-book da dare in comodato d’uso agli alunni in situazioni economiche disagiate, forse sarebbe bene fare due conti.
Se il provvedimento dovesse riguardare solo la secondaria di secondo grado le scuole coinvolte sarebbero all’incirca 3.500 e se si invece si parla anche di secondaria di primo si arriva a 5.000 e anche più.
Con questi numeri gli 8 milioni di euro (2,7 nel 2013 e 5,3 nel 2014) si riducono nei fatti a 1.500 euro in media ciascuna.
Il decreto dovrebbe poi chiarire che i testi cosiddetti ‘consigliati’ potranno essere richiesti agli studenti solo se avranno carattere di approfondimento o monografico, ma non ci pare davvero una disposizione particolarmente significativa.
Si dice poi che “cambiano le regole sui tetti di spesa, d’ora in poi dovranno essere i dirigenti scolastici ad assicurarne il rispetto non approvando le delibere del collegio dei docenti che ne prevedono il superamento”.
A dire il vero questa disposizione esiste già e anzi è anche più rigorosa perché è previsto persino un controllo da parte dei revisori dei conti.
Infine viene introdotta la norma secondo la quale “l’adozione dei testi scolastici diventa facoltativa; i docenti potranno decidere di sostituirli con altri materia”.
Anche in questo caso la norma non rappresenta affatto una novità: nella scuola primaria l’”adozione alternativa” era stata introdotta addirittura dalla legge 517 del 1977.

La Tecnica della scuola 10.09.10

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“Tutto il decreto punto per punto”, da Tuttoscuola
Ecco il pacchetto di misure dal titolo “L’Istruzione riparte” proposto dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Maria Chiara Carrozza e approvato oggi dal Consiglio dei ministri.

Per gli studenti e le famiglie

Welfare dello studente:

100 milioni per aumentare il Fondo per le borse di studio degli studenti universitari a partire dal 2014 e per gli anni successivi. Lo stanziamento è dunque consolidato e non temporaneo.
15 milioni vengono stanziati per il 2014 per garantire ai capaci e meritevoli ma privi di mezzi il raggiungimento dei più alti livelli di istruzione. I fondi saranno assegnati sulla base di graduatorie regionali e serviranno per coprire spese di trasporto e ristorazione. Potranno accedere alle erogazioni gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado.
15 milioni spendibili subito per la connettività wireless nelle scuole secondarie, con priorità per quelle di secondo grado. Gli studenti potranno accedere a materiali didattici e contenuti digitali in modo rapido e senza costi.
6 milioni per il 2014 per borse di studio destinate agli studenti iscritti alle Istituzioni dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica. Le borse saranno erogate in base alla condizione economica e al merito artistico degli studenti. È prevista una graduatoria nazionale di assegnazione.
Libri di testo:

Per quest’anno scolastico gli studenti potranno utilizzare liberamente libri di testo nelle edizioni precedenti, purché conformi alle Indicazioni nazionali.
8 milioni complessivi (2,7 per il 2013 e 5,3 per il 2014) vengono stanziati per finanziare l’acquisto da parte di scuole secondarie (o reti di scuole) di libri di testo e e-book da dare in comodato d’uso agli alunni in situazioni economiche disagiate.
Cambiano le regole sui tetti di spesa: d’ora in poi dovranno essere i dirigenti scolastici ad assicurarne il rispetto non approvando le delibere del collegio dei docenti che ne prevedono il superamento.
I testi cosiddetti ‘consigliati’ potranno essere richiesti agli studenti solo se avranno carattere diapprofondimento o monografico.
L’adozione dei testi scolastici diventa facoltativa: i docenti potranno decidere di sostituirli con altri materiali.
Lotta alla dispersione:

15 milioni (3,6 per il 2013, 11,4 per il 2014) per la lotta alla dispersione scolastica. Sarà avviato un Programma di didattica integrativa che contempla il rafforzamento delle competenze di base e metodi didattici individuali e il prolungamento dell’orario per gruppi di alunni nelle realtà in cui è maggiormente presente il fenomeno dell’abbandono e dell’evasione dell’obbligo, con attenzione particolare alla scuola primaria.
Orientamento degli studenti:

6,6 milioni (1,6 per il 2013 e 5 per il 2014) per potenziare da subito l’orientamento degli studenti della scuola secondaria di secondo grado. Sarà coinvolto nel processo l’intero corpo docente. Le attività eccedenti l’orario obbligatorio saranno opportunamente remunerate. Anche le Camere di commercio e le Agenzie per il lavoro potranno essere coinvolte. L’orientamento dovrà partire già dal quarto anno. Le scuole dovranno inserire le loro proposte in merito sia nel piano dell’offerta formativa che sul proprio sito.
Potenziamento dell’offerta formativa:

13,2 milioni (3,3 per il 2014 e 9,9 per il 2015) per potenziare l’insegnamento della geografia generale ed economica. Un’ora in più negli istituti tecnici e professionali al biennio iniziale.
3 milioni per il 2014 per finanziare progetti didattici nei musei e nei siti di interesse storico, culturale e archeologico. I bandi sono rivolti alle scuole, ma anche alle Università e alle Accademie delle Belle Arti e nelle Fondazioni culturali. Si potranno ottenere anche cofinanziamenti da parte di fondazioni bancarie o enti pubblici/privati o da altri enti che ricevono finanziamenti dal Miur.
Detrazioni fiscali al 19% anche per le donazioni a favore di università e istituzioni di Alta formazione artistica. Le donazioni dovranno riguardare innovazione tecnologica, ampliamento dell’offerta formativa, edilizia.
Parte del Fondo per l’arricchimento e l’ampliamento dell’offerta formativa sarà vincolato alla creazione o al rinnovamento di laboratori scientifico-tecnologici che utilizzano materiali innovativi.
Tutela della salute a scuola:

Ampliato il divieto di fumo a scuola: viene esteso anche alle aree all’aperto, ad esempio i cortili, che sono di pertinenza degli istituti. Vietato anche l’uso della sigaretta elettronica nei locali chiusi delle scuole.
Per il mondo della scuola

Continuità del servizio scolastico:

Cambia la procedura di assunzione dei dirigenti scolastici: saranno selezionati annualmente attraverso un corso-concorso di formazione della Scuola Nazionale dell’Amministrazione.
Nel frattempo, nelle regioni in cui i precedenti concorsi per dirigenti scolastici non si sono ancora conclusi, per garantire il regolare avvio dell’anno scolastico, saranno assegnati incarichi temporanei di presidenza a reggenti, assistiti da docenti incaricati. Questi ultimi saranno esonerati dall’insegnamento.
Sarà definito un piano triennale di immissioni in ruolo del personale docente, educativo ed ATA- Ausiliario tecnico e amministrativo per gli anni scolastici 2014/2016 (69mila docenti e 16mila Ata nel triennio). Il piano terrà conto dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno e dei pensionamenti.
E’ prevista l’assunzione di 57 dirigenti tecnici (i cosiddetti ispettori) per il sistema della valutazione vincitori dell’ultimo concorso. L’obiettivo è porre rimedio alla scopertura in organico che è di circa l’80%.
Si sblocca l’assunzione degli ATA da gennaio 2014.
Docenti di sostegno:

Per garantire la continuità nell’erogazione del servizio scolastico agli alunni disabili, si autorizza l’assunzione a tempo indeterminato di docenti di sostegno (oltre 26.000). Si darà così una risposta stabile a più di 52.000 alunni oggi assistiti da insegnanti che cambiavano da un anno all’altro.
Edilizia scolastica:

Per far fronte alle carenze strutturali delle scuole o per la costruzione di nuovi edifici le Regioni potranno contrarre mutui trentennali, a tassi agevolati, con la Banca Europea per gli Investimenti, la Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa, la Cassa depositi o con istituti bancari. Gli oneri di ammortamento saranno a carico dello Stato.
Dimensionamento:

A partire dall’anno scolastico in corso sarà un accordo in Conferenza Unificata, e non lo Stato, a definire i criteri e le modalità del dimensionamento scolastico.
Formazione dei docenti:

10 milioni per il 2014 per la formazione del personale scolastico. In particolare, la norma punta ad un rafforzamento delle competenze digitali degli insegnanti, della formazione in materia di percorsi scuola-lavoro e a potenziare la preparazione degli studenti nelle aree ad alto rischio socio-educativo.
Altri 10 milioni nel 2014 serviranno per l’accesso gratuito del personale docente di ruolo della scuola nei musei statali e nei siti di interesse archeologico, storico e culturale.
Formazione Artistica musicale e coreutica:

3 milioni sono stanziati per il 2014 in favore degli Istituti superiori di Studi Musicali pareggiati al fine di garantire la continuità della didattica e rimediare alle loro difficoltà finanziarie.
Sempre per garantire la continuità didattica, i contratti a tempo determinato dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam) attivati lo scorso anno accademico possono essere rinnovati per il successivo.
Per il sistema universitario e della Ricerca:

Misure di semplificazione:

Il cosiddetto bonus maturità è abrogato. Una commissione è attualmente al lavoro per definire proposte alternative per la valorizzazione del percorso scolastico.
A partire dall’anno accademico 2013/2014, l’importo dei contratti dei medici specializzandi è determinato a cadenza triennale e non più annuale. L’ammissione alle scuole di specializzazione avverrà sulla base di una graduatoria nazionale.
La durata del permesso di soggiorno degli studenti stranieri è allineata a quella del loro corso di studi o di formazione, nel rispetto della disciplina vigente sulle certificazioni degli studi e dei corsi formativi.
Qualità della ricerca scientifica:

Per valorizzare il merito e l’eccellenza nella ricerca, la quota premiale del fondo di finanziamento degli enti di ricerca (almeno il 7% del Fondo totale) è erogata, in misura prevalente, in base ai risultati ottenutinel procedimento di valutazione della qualità della ricerca (VQR).
Ricercatori, tecnologi e personale di supporto alla ricerca, per un massimo di 200 unità, potranno essere assunti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per attività di protezione civile, di sorveglianza sismica e vulcanica, nonché di manutenzione delle reti di monitoraggio.
Sono previste misure per facilitare l’assunzione di ricercatori e tecnologi da parte degli enti di ricerca.

TuttoScuola 10.09.10

“Morire da samaritani soccorrendo un ferito”, di Francesco Merlo

Il grande eroismo del piccolo gesto è costato la vita a una di noi, una dolce signora di Bergamo, che è morta nella guerra a bassa intensità che ogni giorno si combatte nelle strade d’Italia. Animali travestiti da uomini, per finire un uomo già finito, hanno infatti ucciso anche lei che lo stava soccorrendo come appunto avrebbe fatto ciascuno di noi.Non il buon Samaritano della parabola o san Francesco, ma chiunque si fosse trovato a passare di lì e avesse visto quell’indiano steso per terra, straziato dalle sprangate, boccheggiante e rantolante.
Eleonora Cantamessa era una ginecologa di 44 anni, un medico. E dunque non era mossa soltanto dalla pietà ma anche dalla fedeltà al giuramento di Ippocrate, dalla competenza, dall’abitudine a soccorrere. Il medico si mette sempre di traverso davanti alla morte, cerca di fermarla, di ritardarla, di renderla meno dolorosa. Eleonora Cantamessa per professione aveva dichiarato morte alla morte.
Ma quattro bestie a bordo di una Golf sono tornate indietro, non come i killer freddi che seguono una logica, ma come furie appunto, travolgendo tutti quelli che, nonostante l’ora, si erano fermati ad aiutare il ferito, un’auto che passava, qualsiasi ostacolo che intralciava la loro corsa verso quel corpo da finire. Sono questi i nuovi mostri che perdono i controlli e picconano i passanti come a Milano, sparano in pizzeria come a Pozzuoli, penetrano nelle case come a Perugia e uccidono chiunque si metta di mezzo, si accaniscono a coltellate come a Bari. È una nuova antropologia che ha ormai invaso le nostre strade, non più luogo di incontro e di passaggio ma discarica di frustrazioni, aggressività, malumori, spietatezza.
Che si tratti di indiani non ha molta importanza, perché la macelleria non è un appannaggio né razziale né etnico ma è il prodotto più visibile dell’imbarbarimento generale che non conosce meticciati e transnazionalità, melting pot e incroci. Sappiamo già, prima ancora di sentirli, di cosa stanno straparlando i leghisti che vanno avanti a meccanismi pavloviani perché sono il rovescio, l’uguale contrario dei cattivi immigrati, che certo ci sono, perché la sola democrazia che al mondo funziona perfettamente è la distribuzione in dosi uguali di stupidità e di ferocia. Ma le strade italiane sono trincee e percorsi di guerra come in America, come in Inghilterra, come in Francia, senza il bilancino milligrammato delle nazionalità: non ci sono razze più stupide e più feroci di altre ma ci sono uomini più stupidi e più feroci in tutte le razze.
La foto della dottoressa Cantamessa ci mostra una faccia piena di luce, predisposta al sorriso. E vale la pena correre il rischio della retorica e mettere sotto la lente di ingrandimento l’Italia che la dottoressa rappresenta, la stessa che a Lampedusa, a Ragusa, a Catania accorre ad aiutare i disperati che sbarcano dalle carrette del mare. Il paese di Chiuduno, dove è morta, di Trescore Balneare dove viveva, la città di Bergamo dove era nata, sono l’Italia minore, cattolica ricca e per bene, dove anche i legisti sono ormai tollerati e metabolizzati.
E voglio dire che questa tragedia non rischia di incrementare la xenofobia contro la quale stiamo, tutto sommato, mostrando di avere prodotto gli anticorpi. Il pericolo vero è che vinca don Abbondio che «proseguiva il suo cammino guardando a terra e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero».
Alessandro Manzoni non immaginava che il suo buon parroco vigliacco sarebbe stato rilanciato come tentazione, come modello anche per noi, per chi appunto non è samaritano né francescano, ma per noi italiani che siamo sempre pronti a quegli atti di piccola prospettiva senza eroismo, come quello che è
costato la vita alla dottoressa, che sono l’immensa forza di una democrazia. Perché, come notava l’Uomo senza qualità «la loro somma collettiva mette in circolo una quantità di energia molto superiore a quella che viene impiegata in atti di eroismo, anzi al confronto le azioni eroiche appaiono nel loro insieme minuscole come un granello di sabbia posto per illudersi in cima a un monte».
La dottoressa di Bergamo era un campione di questi italiani pietosi, qualcuno pio, qualcuno medico, altri infervorati di senso civico …, c’è chi è preso da generosità, chi ha la solidarietà come cultura e chi per istinto sa infilarsi con carità non pelosa nelle minuscole e terribili tragedie di ogni giorno, sempre senza calcoli e senza mai immaginare che possa arrivare un’auto omicida, una valanga di follia. Se è vero che la storia si fa con le piccole storie e anche nella morte di una sola persona può nascondersi il significato di un’epoca, ebbene dobbiamo impedire che con la dottoressa muoia l’Italia dei piccoli grandi gesti quotidiani.

La Repubblica 10.09.13

“Il partigiano Johnny nella notte di Allende”, di Luis Sepùlveda

Il giorno più nero della storia del Cile spuntò coperto di nuvole. La primavera alle porte, atterrita dall’orrore che si avvicinava, aveva deciso di negarci i primi tepori. Alle sei del mattino Salvador Allende, il Compagno Presidente, ricevette le prime informazioni sul golpe imminente e diede ordine alla scorta, al Gap, di lasciare la residenza di calle Tomás Moro per raggiungere il palazzo de La Moneda. Un contingente del Gap – Gruppo di Amici Personali – rimase a garantire la sicurezza della residenza e il resto si mise in marcia armato di kalashnikov. Fra i Gap che uscirono insieme al Compagno Presidente c’erano tre ragazzi molto giovani: Juan Alejandro Vargas Contreras, ventitré anni, studente; Julio Hernán Moreno Pulgar, ventiquattro anni, studente e dipendente del palazzo presidenziale e Óscar Reinaldo Lagos Ríos, ventun anni, studente e operaio in un’azienda agroalimentare.
Tutti e tre erano militanti della Federación Juvenil Socialista. E oggi, a quarant’anni dal colpo di stato che ha messo fine al più bel sogno collettivo, voglio parlare di uno di loro, di Óscar, un ragazzo cileno pieno di coraggio e generosità.
Óscar era più giovane di me, ci separavano solo due anni, ma visto quanto era intenso il nostro impegno per la Rivoluzione cilena, visti la dedizione totale e il rigore con cui affrontavamo i mille compiti del Governo Popolare, quei due anni scarsi di differenza mi conferivano una certa anzianità.
Anch’io avevo avuto l’onore — il più grande onore che mi sia stato concesso in vita — di far parte del GAP, ma dopo aver trascorso quattro mesi nella scorta del Compagno Presidente erostato chiamato a maggiori responsabilità. Così, a ventidue anni, mi ero ritrovato supervisore di un’azienda agroalimentare a sud di Santiago. Là avevo conosciuto un giovane socialista che si chiamava Óscar Reinaldo Lagos Ríos e che combinava il suo lavoro di meccanico nell’azienda agroalimentare con gli studi in un istituto industriale e con la militanza socialista. Óscar amava il tornio e la fresatrice. Tra i suoi progetti c’era quello di diventare un buon tornitore, un operaio specializzato. Fin dal primo momento si trasformò nel mio braccio destro e più volte respingemmo insieme gli attacchi del gruppo fascista Patria y Libertad, che voleva assassinare i dirigenti sindacali e incendiare i nostri posti di lavoro.
Spesso Óscar portava a passeggio mio figlio Carlos Lenin, che cominciava allora a camminare, e ogni due o tre giorni prendeva in prestito un libro, un romanzo, una raccolta di poesie, qualche saggio sociopolitico. Un pomeriggio, mentre facevamo il nostro turno di guardia, lo vidi leggere e piangere senza nascondere le lacrime. Stava leggendo La sangre y la esperanza di uno scrittore cileno ormai dimenticato, Nicomedes Guzmán. All’improvviso chiuse il libro, si asciugò gli occhi ed esclamò: «Compagno, ora sì che ho capito perché facciamo la rivoluzione».
Óscar si era sempre distinto come lavoratore, per il senso dell’umorismo che traspariva dalle canzoni degli Iracundos che cantava mentre riparava i macchinari e per l’esemplare solidarietà (era sempre l’ultimo al momento di comprare gli alimenti che trattavamo e che la borghesia si accaparrava per far mancare i rifornimenti), ma si distingueva anche come militante, acuto nelle sue analisi e convincente grazie ad argomenti ancora più acuti. E poiché il GAP era formato dai militanti migliori, un giorno parlai di lui raccomandandolo e ricevetti l’ordine di addestrarlo. Così Óscar imparò a usare un’arma, a pulirla, ricevette i primi rudimenti di difesa personale e di procedure di sicurezza. Quando entrò a far parte del GAP, il più grande onore per un militante, festeggiammo a casa sua, con la sua famiglia umile e generosa.
Poi ci perdemmo di vista perché i tanti compiti della Rivoluzione Cilena ci tenevano molto occupati e la giornata era sempre troppo breve, dormivamo poco, ma non perdevamo mai di vista l’importanza di quel che facevamo. Non avevamo diritto né alla stanchezza né allo scoramento. Stavamo costruendo un Paese giusto, fraterno, solidale, seguendo una via cilena, rispettando tutte le libertà e i diritti. E per di più avevamo un leader che ci dava un grande esempio con la sua statura morale.
Un giorno incontrai Óscar a El Cañaveral, una residenza di campagna sulle pendici della cordigliera delle Ande dove il Compagno Presidente andava a riposare. Insieme ad altri due GAP sorvegliava l’ala nord. Ci abbracciammo e quando gli chiesi il nome di battaglia — io ero e continuo a essere Iván per i GAP sopravvissuti — lui rispose: «“Johny”, è quello il mio nome di battaglia, Johny, ma non l’ho scelto io: me l’ha dato il dottor Allende un giorno che mi ha sentito cantare».
Quell’11 settembre 1973, poco prima delle sette di mattina, Salvador Allende e la sua scorta formata da tredici membri del GAP entrarono alla Moneda. Il golpe fascista era iniziato, truppe e carri armati accerchiarono il palazzo, riecheggiarono i primi spari tra difensori e golpisti, le forze aeree bombardarono le antenne delle radio finché ne rimase soltanto una, quella di radio Magallanes, grazie alla quale ascoltammo e avremmo ascoltato le ultime parole del compagno presidente, quel «metallo tranquillo della mia voce».
Con la Moneda assediata, Allende diede ordine di far uscire chiunque lo desiderasse, lui sarebbe rimasto a baluardo della Costituzione e della legalità democratica. In mezzo ai colpi d’arma da fuoco e ai proiettili esplosivi del-l’artiglieria, un pugno di poliziotti socialisti decise di restare, e anche i GAP dissero chiaramente che la guardia non siarrendeva né abbandonava il Compagno Presidente. Fra Allende, i poliziotti rimasti fedeli, il medico del presidente, il giornalista Augusto Olivares e i tredici GAP non erano più di ventidue, ma affrontarono migliaia di soldati golpisti.
Quando era quasi mezzogiorno, le forze aeree bombardarono la Moneda, le fiamme cominciarono a divampare nel palazzo ma il GAP non mollò. Rimane per sempre un’immagine di quel momento: il GAP Antonio Aguirre Vásquez, un patagone eroico, che spara dal balcone principale con la sua mitragliatrice calibro 30 finché le bombe non cancellano completamente la facciata della Moneda. Il simbolo della democrazia cilena, la cosiddetta casa di Toesca bruciava, Allende era morto e Óscar Lagos Ríos, Johny, era stato colpito da due pallottole, ma era ancora vivo.
Alle due del pomeriggio, ormai senza più artiglieria, con le munizioni esaurite, i sopravvissuti di quel pugno di poliziotti e uomini del GAP uscirono dalle macerie e furono immediatamente fatti salire su un camion militare con destinazione ignota. I poliziotti riuscirono a salvarsi la vita, passarono attraverso atroci torture ma sopravvissero. I tredici GAP scomparvero.
In Cile, tuttavia, la terra parla e così è stata scoperta una fossa comune clandestina in un campo militare abbandonato, Fuerte Arteaga, e in quella fossa c’erano più di quattrocento pezzi di ossa umane, alcuni lunghi meno di un centimetro, e quei pezzetti minuscoli hanno raccontato che i tredici GAP erano stati torturati, mutilati, assassinati dalla soldataglia in un’orgia di sangue, durata vari giorni, a cui avevano partecipato ufficiali e truppa del reggimento Tacna. I GAP erano stati sepolti nella caserma, ma quando alcuni testimoni avevano dichiarato di poter indi-care il luogo dell’occultamento, i resti degli eroici combattenti della Moneda erano stati trasferiti a Fuerte Arteaga, gettati in una buca profonda dieci metri, fatti saltare in aria con la dinamite e infine coperti di terra.
È impossibile ridurre al silenzio la voce dei combattenti e le loro ossa minuscole hanno rivelato i loro nomi, hanno detto: «Io sono ciò che resta di Óscar Reinaldo Lagos Ríos, ventun anni, nome di battaglia Johny, GAP, assassinato il 13 settembre 1973».
Una mattina del 2010, un corteo con in testa tre carri funebri è passato davanti al palazzo della Moneda. A scortarli c’erano uomini e donne di oltre sessant’anni che al braccio sinistro esibivano con orgoglio un nastro rosso con la sigla GAP. Scortavamo Juan Alejandro Vargas Contreras, ventitré anni, Julio Hernán Moreno Pulgar, ventiquattro anni e Óscar, quel Johny che aveva preso il fucile quando bisognava farlo.
I nostri compagni oggi riposano nel mausoleo degli eroi, accanto alla tomba del Compagno Presidente. Il GAP non si arrende.
Onore e gloria ai combattenti della Moneda. Viva i compagni!
Traduzione di Ilide Carmignani

La Repubblica 09.09.13

“Il Cdm approva il dl sulla scuola”, da La Tecnica della Scuola

Nuove assunzioni, costo dei libri, bonus maturità e procedura diversa per assumere i presidi. Il Cdm approva il pacchetto scuola. Letta: prime risposte. 100 milioni per il diritto allo studio; riduzione del costo dei libri e divieto fumo elettronico; 400 milioni a regime per la scuola Cancellato da subito il contestato “bonus maturità”. “Resta fermo che penseremo a una valorizzazione del curriculum scolastico, anche in termini di borse di studio, per gli studenti che accedono all’università”, ha detto Carrozza. E inoltre confermato la proroga del piano triennale di assunzioni di docenti e Ata con circa 42mila posti a cui si aggiungeranno, in tre anni, circa 27mila docenti sul sostegno, trasformando in organico di diritto i posti attualmente coperti con supplenti.
Dal primo gennaio partiranno le assunzioni Ata, bloccate ad agosto per il veto del Mef in attesa di sbrogliare la questione dei docenti inidonei. Ci sarà anche un’ora di geografia generale ed economica in più negli istituti tecnici e professionali al biennio iniziale. Al potenziamento della materia sono destinati 13,2 milioni, 3,3 per il 2014 e 9,9 per il 2015.

Si potranno utilizzare le vecchie edizioni dei libri di testo e “vengono messi a disposizione 8 milioni di euro per finanziare l’acquisto da parte delle scuole secondarie di libri di testo ed e-book da dare in comodato d’uso agli alunni in situazioni economiche disagiate” sotto il controllo de dirigenti scolastici.
Gli stanziamenti ministeriali ammontano a 2,7 mln di euro nel 2013 e 5,3 mln nel 2014 per l’acquisto, anche tra reti di scuole, di libri adottati dal collegio dei docenti, ovvero dispositivi per la lettura di contenuti digitali, da concedere in comodato d’uso ad alunni individuati sulla base dell’indicatore Isee. In alternativa, ha detto il ministro Carrozza, “si potranno utilizzare le vecchie edizioni di libri scolastici”.
15 milioni di euro per il 2014 per garantire agli studenti più capaci e meritevoli ma privi di mezzi il raggiungimento dei più alti livelli di istruzione. Graduatorie apposite per assegnare i fondi per coprire le spese di trasporto e ristorazione.
Cecile Kyenge, ha poi detto che nel decreto scuola c’è anche l’estensione del permesso di soggiorno per la durata del corso di formazione.
Non si potrà fumare neanche nei cortili che sono di competenza della scuola. Inoltre è vietato l’uso delle sigarette elettroniche nei locali chiusi degli istituti scolastici.
Cambia la procedura di assunzione dei dirigenti scolastici. Il decreto stabilisce che saranno selezionati annualmente attraverso un corso-concorso di formazione della scuola nazionale dell’amministrazione.
Nelle regioni dove il concorso non si è concluso (Lombardia inclusa) gli incarichi saranno assegnati in modo temporaneo a reggenti, assistiti da docenti incaricati ma esonerati dall’insegnamento.
Per favorire interventi straordinari di ristrutturazione e messa in sicurezza di istituti scolastici, nonché per favorire la costruzione di nuove scuole, le Regioni possono stipulare mutui trentennali con la Bei, la banca di sviluppo del consiglio d’Europa e la Cassa Depositi e prestiti. Sono stanziati contributi pluriennali per 40 milioni di euro annui per la durata dell’ammortamento del mutuo, a partire dal 2014.

Possibilità, per gli insegnanti, di entrare gratuitamente nei musei italiani. Nel testo, fa saper il premier Letta, anche «interventi importanti per le borse di studio per l’alta formazione artistica, musicale e coreutica».

Il ministro degli Affari regionali Graziano Delrio ha messo l’accento sull’ «impegno forte sul disagio» profuso dal governo, riferendosi ai 15 milioni di euro destinati alla lotta alla dispersione scolastica.
Nel corso della conferenza stampa, il ministro Carrozza ha stimato il valore del decreto sulla scuola in 400 milioni di euro.

da La Tecnica della scuola 09.09.13

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“26.000 insegnanti di sostegno, wireless, libri in prestito e mutui per costruire nuove scuole
Approvato il pacchetto-scuola. Da gennaio assunzioni per il personale Ata. Borse di studio per i meritevoli e permessi per gli stranieri. Insegnanti gratis nei musei”, di Valentina Santarpia

Via libera del consiglio dei ministri all’assunzione a tempo indeterminato di 26.000 insegnanti di sostegno: verranno stabilizzati nell’arco di un triennio passando dall’organico di fatto a quello di diritto. Da gennaio partiranno le assunzioni anche di personale Ata per il funzionamento delle scuole. Ma, il decreto approvato in mattinata prevede anche l’apertura di mutui per ristrutturare e sistemare le scuole. Per favorire interventi straordinari e la messa in sicurezza di istituti scolastici, nonché la costruzione di nuove scuole, le Regioni possono stipulare mutui trentennali con la Bei, la banca di sviluppo del consiglio d’Europa e la Cassa Depositi e prestiti. Sono stanziati contributi pluriennali per 40 milioni di euro annui per la durata dell’ammortamento del mutuo, a partire dal 2014.

Per le famiglie è prevista la possibilità di avere libri in comodato d’uso per contenere la spesa per l’istruzione. È una possibilità prevista dal decreto legge sulla scuola approvato oggi dal consiglio dei ministri. Il ministero assegnerà direttamente alle scuole la somma di 2,7 milioni di euro nel 2013 e 5,3 milioni nel 2014 per l’acquisto, anche tra reti di scuole, di libri adottati dal collegio dei docenti, ovvero dispositivi per la lettura di contenuti digitali, da concedere in comodato d’uso ad alunni individuati sulla base dell’indicatore Isee. Gli insengnanti potranno invece entrare gratis nei musei italiani.

Arrivano anche 15 milioni di euro per il wireless nelle scuole con priorità per quelle di secondo grado: lo scopo è mettere in rete tutto il sistema scolastico

Borse di studio. E’ previsto lo stanziamento di 15 milioni per il 2014 per garantire agli studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi il raggiungimento dei più alti livelli di istruzione. I fondi saranno assegnati sulla base di graduatorie regionali e serviranno per coprire spese di trasporto e ristorazione. Alle erogazioni potranno accedere gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado. Nel decreto c’è una norma che estende il permesso di soggiorno alla durata della frequentazione dei corsi di studio per gli studenti che vengono dall’estero a studiare in Italia.

Infine nel decreto rientrano anche le norme anti-fumo che prima dell’estate aveva presentato il ministro Lorenzin: sono previste multe per chi non rispetterà, da subito, il divieto di fumo negli ambienti scolastici, nei cortili e nei pressi degli istituti.

www.corriere.it

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Scuola, Letta: “Si torna a investire”. Ridotto costo dei libri, nuove assunzioni
Via libera del Cdm al decreto con misure urgenti in vista del nuovo anno scolastico.

Via libera del Cdm al decreto con misure urgenti in vista del nuovo anno scolastico. Tra le misure principali: l’eliminazione del bonus maturità, l’istituzione di un fondo per il welfare scolastico, le sanzioni per chi utilizza sigarette elettroniche a scuola, la stabilizzazione di personale Ata e insegnanti di sostegno

ROMA – Eliminazione del bonus maturità già da quest’anno. Riduzione del costo dei libri per famiglie e studenti, con l’istituzione di un fondo per il welfare scolastico. Sanzioni per chi utilizza sigarette elettroniche a scuola. Estensione del permesso di soggiorno per studenti stranieri. Assunzioni per il personale Ata e stabilizzazione di 27mila insegnanti di sostegno. Sono le principali misure contenute nel decreto legge su scuola e università approvato oggi dal Consiglio dei ministri. “Quattrocento milioni di euro”, il valore complessivo dell’operazione, secondo il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza.

Cancellazione del bonus maturità. “L’applicazione della Costituzione sul diritto allo studio è all’inizio del nostro provvedimento – ha sottolineato Enrico Letta” . Che ha aggiunto: “Ci interessa ricominciare a investire sulla scuola e l’istruzione dopo anni di tagli perché sono il centro per il rilancio del nostro Paese. Abbiamo messo a punto alcune prime risposte, ne verranno altre”. La misura più attesa era quella che cancella il cosiddetto bonus maturità: “Abbiamo ritenuto che il bonus, così, creasse disparità che non potevano andare”, ha spiegato il premier. Nella tornata di test d’ingresso alle facoltà a numero chiuso in corso in questi giorni non si terrà dunque conto del voto conseguito all’esame di Stato. “Era di difficile applicazione e avremmo creato iniquità”, ha ammesso il ministro Carrozza.

Assunzioni per personale Ata e insegnanti di sostegno. Significative anche le misure che riguardano il personale tecnico e amministravivo degli istituti scolastici. “Per il funzionamento delle scuole, nel decreto c’è l’inizio della soluzione della questione del personale Ata. Dal primo gennaio partiranno le assunzioni” – ha annunciato il presidente del Consiglio – “Le nostre scuole sono in drammatica carenza” e la ripresa delle assunzioni “è fatto molto significativo, perché la carenza non poteva continuare” . Via libera anche all’assunzione a tempo indeterminato di insegnanti di sostegno. “Con questo provvedimento ci saranno 27mila immissioni in ruolo – ha detto il ministro Carrozza -. Poi c’è un piano triennale che prevede l’assunzione di 69mila insegnanti. In un momento di crisi come questo, il governo dà un segnale importante”. Sempre i docenti potranno beneficiare “dell’ingresso gratuito al sistema museale del nostro Paese”. Voglia dare un “grande messaggio di attenzione nei confronti di questo mondo” – ha detto Letta.

Riduzione del costo dei libri. Previsti anche sgravi nei costi dei libri di testo per le famiglie. “Già da quest’anno scolastico, gli studenti potranno utilizzare i libri di testo delle edizioni precedenti – ha spiegato il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza -, a patto che siano “conformi alle indicazioni nazionali”. Cambiano anche le regole sui tetti di spesa dei libri scolastici: d’ora in poi dovranno essere i dirigenti ad assicurarne il rispetto non approvando le delibere del collegio dei docenti che ne prevedono il superamento. Mentre è previsto uno stanziamento di 8 milioni di euro (2,7 per il 2013 e 5,3 per il 2014) per finanziare l’acquisto di libri di testo e e-book da parte delle scuole secondarie, che li destineranno agli alunni in situazioni economiche disagiate in comodato d’uso.

Arriva il ‘welfare dello studente’. Con uno stanziamento di 15 milioni di euro nel 2014 per “favorire il raggiungimento dei più alti livelli negli studi” e “il pieno successo formativo” degli studenti

delle medie e delle superiori. Il decreto varato oggi dal governo introduce contributi e benefici in base a tre parametri: l’esigenza di alleggerire la spesa delle famiglie per pasti e trasporti; le condizioni economiche dello studente sulla base dell’Isee; il merito negli studi in base alla valutazione scolastica. Mentre 100 milioni di euro saranno destinati al Fondo per le borse di studio degli studenti universitari.

da repubblica.it