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“Morire da samaritani soccorrendo un ferito”, di Francesco Merlo

Il grande eroismo del piccolo gesto è costato la vita a una di noi, una dolce signora di Bergamo, che è morta nella guerra a bassa intensità che ogni giorno si combatte nelle strade d’Italia. Animali travestiti da uomini, per finire un uomo già finito, hanno infatti ucciso anche lei che lo stava soccorrendo come appunto avrebbe fatto ciascuno di noi.Non il buon Samaritano della parabola o san Francesco, ma chiunque si fosse trovato a passare di lì e avesse visto quell’indiano steso per terra, straziato dalle sprangate, boccheggiante e rantolante.
Eleonora Cantamessa era una ginecologa di 44 anni, un medico. E dunque non era mossa soltanto dalla pietà ma anche dalla fedeltà al giuramento di Ippocrate, dalla competenza, dall’abitudine a soccorrere. Il medico si mette sempre di traverso davanti alla morte, cerca di fermarla, di ritardarla, di renderla meno dolorosa. Eleonora Cantamessa per professione aveva dichiarato morte alla morte.
Ma quattro bestie a bordo di una Golf sono tornate indietro, non come i killer freddi che seguono una logica, ma come furie appunto, travolgendo tutti quelli che, nonostante l’ora, si erano fermati ad aiutare il ferito, un’auto che passava, qualsiasi ostacolo che intralciava la loro corsa verso quel corpo da finire. Sono questi i nuovi mostri che perdono i controlli e picconano i passanti come a Milano, sparano in pizzeria come a Pozzuoli, penetrano nelle case come a Perugia e uccidono chiunque si metta di mezzo, si accaniscono a coltellate come a Bari. È una nuova antropologia che ha ormai invaso le nostre strade, non più luogo di incontro e di passaggio ma discarica di frustrazioni, aggressività, malumori, spietatezza.
Che si tratti di indiani non ha molta importanza, perché la macelleria non è un appannaggio né razziale né etnico ma è il prodotto più visibile dell’imbarbarimento generale che non conosce meticciati e transnazionalità, melting pot e incroci. Sappiamo già, prima ancora di sentirli, di cosa stanno straparlando i leghisti che vanno avanti a meccanismi pavloviani perché sono il rovescio, l’uguale contrario dei cattivi immigrati, che certo ci sono, perché la sola democrazia che al mondo funziona perfettamente è la distribuzione in dosi uguali di stupidità e di ferocia. Ma le strade italiane sono trincee e percorsi di guerra come in America, come in Inghilterra, come in Francia, senza il bilancino milligrammato delle nazionalità: non ci sono razze più stupide e più feroci di altre ma ci sono uomini più stupidi e più feroci in tutte le razze.
La foto della dottoressa Cantamessa ci mostra una faccia piena di luce, predisposta al sorriso. E vale la pena correre il rischio della retorica e mettere sotto la lente di ingrandimento l’Italia che la dottoressa rappresenta, la stessa che a Lampedusa, a Ragusa, a Catania accorre ad aiutare i disperati che sbarcano dalle carrette del mare. Il paese di Chiuduno, dove è morta, di Trescore Balneare dove viveva, la città di Bergamo dove era nata, sono l’Italia minore, cattolica ricca e per bene, dove anche i legisti sono ormai tollerati e metabolizzati.
E voglio dire che questa tragedia non rischia di incrementare la xenofobia contro la quale stiamo, tutto sommato, mostrando di avere prodotto gli anticorpi. Il pericolo vero è che vinca don Abbondio che «proseguiva il suo cammino guardando a terra e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero».
Alessandro Manzoni non immaginava che il suo buon parroco vigliacco sarebbe stato rilanciato come tentazione, come modello anche per noi, per chi appunto non è samaritano né francescano, ma per noi italiani che siamo sempre pronti a quegli atti di piccola prospettiva senza eroismo, come quello che è
costato la vita alla dottoressa, che sono l’immensa forza di una democrazia. Perché, come notava l’Uomo senza qualità «la loro somma collettiva mette in circolo una quantità di energia molto superiore a quella che viene impiegata in atti di eroismo, anzi al confronto le azioni eroiche appaiono nel loro insieme minuscole come un granello di sabbia posto per illudersi in cima a un monte».
La dottoressa di Bergamo era un campione di questi italiani pietosi, qualcuno pio, qualcuno medico, altri infervorati di senso civico …, c’è chi è preso da generosità, chi ha la solidarietà come cultura e chi per istinto sa infilarsi con carità non pelosa nelle minuscole e terribili tragedie di ogni giorno, sempre senza calcoli e senza mai immaginare che possa arrivare un’auto omicida, una valanga di follia. Se è vero che la storia si fa con le piccole storie e anche nella morte di una sola persona può nascondersi il significato di un’epoca, ebbene dobbiamo impedire che con la dottoressa muoia l’Italia dei piccoli grandi gesti quotidiani.

La Repubblica 10.09.13