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Il PD chiederà la procedura d’urgenza per la riforma elettorale

Il Pd chiederà, nella capigruppo della Camera di oggi, la procedura d’urgenza per la riforma elettorale. E’ il risultato della riunione stamattina dell’ufficio di presidenza del gruppo Pd. “Il paese – dice il capogruppo Roberto Speranza – ha la necessità di avere in tempi certi una nuova legge elettorale che assicuri governabilità e restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti e quindi occorre dare subito il via libera alla procedura d’urgenza per il provvedimento”.

“Molto positiva la decisione del capogruppo del Partito democratico alla Camera, Roberto Speranza, di chiedere la procedura d’urgenza per la legge elettorale”.
E’ il commento di Alfredo D’Attorre, della segreteria nazionale del Pd e responsabile Riforme Istituzionali.

“Con quest’atto – ha aggiunto – si conferma che l’approvazione in tempi rapidi di una nuova legge elettorale non è affatto preclusa dall’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali e che il Pd non intende accettare ulteriori rinvii per il superamento del Porcellum”.

“Fermo restando il rispetto per le opinioni in materia dei singoli parlamentari, il Pd avvierà su questo tema un confronto con le altre forze politiche a partire dalla proposta di legge elettorale a doppio turno, approvata dagli organismi di partito e depositata dal Capogruppo all’inizio di legislatura”.
“Per il Pd i punti irrinunciabili della nuova legge elettorale saranno in ogni caso la restituzione ai cittadini del potere di scelta dei parlamentari, e la garanzia della governabilità con il superamento delle difformità del meccanismo elettorale tra Camera e Senato”.

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Stalking, impensabile non prevedere la custodia cautelare

“Durante l’esame alla Camera del Dl carceri correggeremo le modifiche fatte al Senato, perché giudichiamo impensabile che non sia prevista la custodia cautelare per il reato di stalking”. E’ quanto affermato dalla presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio, Donatella Ferranti, a proposito dell’emendamento al decreto ‘svuota carceri’ approvato al Senato, secondo il quale i reati per i quali può scattare la custodia cautelare in carcere sono quelli punibili con un minimo di cinque anni, lasciando dunque fuori il reato di stalking, è la denuncia, per il quale la pena massima è di quattro.

Secondo Ferranti “l’obiettivo di far scattare la custodia cautelare per i reati punibili con un minimo di 5 anni di reclusione ha aspetti lodevoli, ma non può essere realizzato senza valutarne le conseguenze nei vari casi. O si torna ai 4 anni o si prevedono specifici reati per i quali sia comunque prevista la custodia cautelare, e tra essi deve rientrare anche quello di stalking”.

“Per il reato di stalking deve essere prevista la custodia cautelare in carcere e noi lavoreremo perché si torni al testo originale approvato alla Camera”.
Ha incalzato Roberta Agostini, deputata del Pd e responsabile del Coordinamento Donne del Partito Democratico.

“In due giorni due vittime di femminicidio – ha ricordato Agostini -. Cristina ed Erika, accomunate dallo stesso destino: un uomo violento, che non accetta la fine di un rapporto. Entrambe avevano denunciato il loro assassino. Potevano essere salvate. Le leggi che ci sono vanno fatte rispettare ed è questo il compito delle istituzioni, dalle forze dell’ordine, magistratura, avvocati, che devono valutare la gravità dei casi e proteggere le donne”.

Per questo, ha fatto sapere la deputata democratica, “assieme alle colleghe della commissione Affari costituzionali ho presentato una interrogazione ai ministri dell’Interno e della Giustizia per capire perché, nonostante le vittime di violenza denuncino, non si riesca a proteggere la loro incolumità. E’ necessario attivare un monitoraggio puntuale relativamente alle modalità di interazione delle istituzioni preposte alla sicurezza delle cittadine e dei cittadini”.

“Non dobbiamo dimenticare inoltre – ha sottolineato Agostini – che quotidianamente tante donne si salvano grazie al lavoro prezioso dei centri antiviolenza, che bisogna rafforzare ed estendere, anche accelerando la presentazione del nuovo piano d’azione contro la violenza”.

Per il presidente del Forum Giustizia del Partito democratico, Danilo Leva, “il Senato ha svuotato di senso il decreto carceri, tradendo quelli che erano gli obiettivi originali del governo”.
“Bisogna lavorare in queste ore affinché siano corrette alcune distorsioni palesi come sul reato di stalking, per trovare soluzioni che vadano nella direzione della tutela delle vittime di vere e proprie persecuzioni e di atti violenza”.

Le senatrici del Pd Anna Finocchiaro, Valeria Fedeli, Monica Cirinnà, Emma Fattorini, Rosa Maria Di Giorgi, Rita Ghedini, Pina Maturani, intanto, fanno sapere che “il decreto ribattezzato ‘svuota carceri’ approvato dal Senato, e che ora è all’attenzione della Camera dei deputati, è apertamente finalizzato a introdurre pene alternative al carcere per ridurre la pressione insostenibile dell’affollamento nei penitenziari. In questo contesto, è evidente che si tratta di ricorrere di più, in alcuni casi, per gli imputati in attesa di giudizio agli arresti domiciliari anziché alla custodia cautelare in carcere. In linea di principio, dunque, la ricerca di un miglioramento all’attuale situazione carceraria, e quindi anche di soluzioni alternative al carcere, è questione di buon senso”.

“Fatta questa premessa – è il ragionamento – , è chiaro che si deve discernere bene tra le diverse fattispecie di reato, e in nessun caso può essere ammissibile che uno stalker attenda il giudizio agli arresti domiciliari, perché si tratta di una contraddizione in termini ed è assolutamente prioritario allontanare l’aggressore per proteggere la vittima. Nessuno ha mai pensato, tra noi, di favorire un reato così odioso come lo stalking, che spesso prelude a reati più gravi come il femminicidio, che stiamo cercando di contrastare con un apposito disegno di legge ora all’esame delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato. A questo punto è necessario correggere la norma approvata a Palazzo Madama ed è per questo che le nostre deputate, alla Camera, presenteranno emendamenti in tal senso”.

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Roma – XI Rapporto “Sicurezza, qualità, accessibilità a scuola”,

Roma Sala delle Colonne di Palazzo Marini, Camera dei Deputati, in via Poli 19.
BOZZA DI PROGRAMMA

9.00 Accoglienza partecipanti

9.15 Saluti introduttivi
Maria Chiara Carrozza, Ministro dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca*
Franco Gabrielli, Capo Dipartimento della Protezione Civile*

9.45 Presentazione XI Rapporto “Sicurezza, qualità, accessibilità a scuola”
Adriana Bizzarri, coordinatrice nazionale Scuola di Cittadinanzattiva
Cira Solimene, Direttore Operativo UILDM

10.20 Tavola rotonda
Modera: giornalista

Partecipano:
Elena Centemero, VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione – Camera dei Deputati
Emanuela Ghizzoni, VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione – Camera dei Deputati
Daniela Ruffino, Responsabile settore Istruzione e Formazione – ANCI
Raffaele Ciambrone, Ufficio Disabilità Ministero dell’Istruzione, dell’Università della Ricerca*
Manuela Manenti, Responsabile Unico Procedimento Interventi edifici scolastici temporanei e prefabbricati modulari, Sisma Emilia Romagna
Immacolata Postiglione, Dirigente Servizio per la Diffusione della Cultura della Protezione civile, Dipartimento della Protezione Civile*
Giorgio Rembado, Presidente Associazione Nazionale Presidi e Alte Professionalità della Scuola
Antonio Morelli, Comitato Vittime S. Giuliano di Puglia
Elena Poser, Msac, Movimento Studenti Azione Cattolica

Gli interventi saranno intervallati da testimonianze video

“Istat, disoccupazione al 12% 642mila giovani senza lavoro”, da unità.it

I nuovi dati dell’Istituto: la disoccupazione ha toccato il massimo storico a maggio, a giugno leggero calo. Per la fascia d’età 15-24 anni sale di 4,6 punti ed è al 39,1%.
lavoro disoccupazione disoccupati. A giugno gli occupati sono 22 milioni 510 mila, in diminuzione dello 0,1% rispetto al mese precedente (-21 mila) e dell’1,8% su base annua (-414 mila). Il tasso di occupazione, pari al 55,8%, rimane invariato in termini congiunturali e diminuisce di 1,0 punti percentuali rispetto a dodici mesi prima. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 89 mila, diminuisce dell’1,0% rispetto al mese precedente (-31 mila) ma aumenta dell’11,0% su base annua (+307 mila). Il tasso di disoccupazione si attesta al 12,1%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e in aumento di 1,2 punti nei dodici mesi. Lo rende noto l’Istat.

Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 642 mila e rappresentano il 10,7% della popolazione in questa fascia d’età. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 39,1%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4,6 punti nel confronto tendenziale. Il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,3% rispetto al mese precedente (+39 mila unità) e dello 0,4% rispetto a dodici mesi prima (+51 mila). Il tasso di inattività si attesta al 36,4%, in aumento di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,2 punti su base annua. A giugno l’occupazione maschile aumenta dello 0,1% in termini congiunturali ma diminuisce del 2,5% su base annua.

L’occupazione femminile cala dello 0,3% rispetto al mese precedente e dello 0,8% nei dodici mesi. Il tasso di occupazione maschile, pari al 64,9%, aumenta di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma diminuisce di 1,7 punti su base annua. Quello femminile, pari al 46,9%, diminuisce di 0,1 punti in termini congiunturali e di 0,3 punti rispetto a dodici mesi prima. Rispetto al mese precedente la disoccupazione cala dello 0,3% per la componente maschile e dell’1,9% per quella femminile. In termini tendenziali la disoccupazione cresce sia per gli uomini (+13,2%) sia per le donne (+8,5%).

Il tasso di disoccupazione maschile, pari all’11,5%, rimane invariato rispetto al mese precedente e aumenta di 1,4 punti percentuali nei dodici mesi; quello femminile, pari al 12,9%, diminuisce di 0,2 punti rispetto al mese precedente, mentre aumenta di 1,0 punti su base annua. Il numero di inattivi cresce nel confronto congiunturale per effetto dell’aumento della componente femminile (+0,5%), mentre diminuisce quella maschile (-0,2%). Su base annua si osserva un calo dell’inattività tra le donne (-0,7%) e una crescita tra gli uomini (+2,3%).

“La questione democratica”, di Alfredo Reichlin

Assisto a questo inizio di discussione congressuale del Pd con molte perplessità. Dove si vuole andare? Come si vuole dirigere questo Paese? Non ho mai sentito così acutamente il bisogno di una forza organizzata capace di esprimere un punto di vista autonomo, realistico ma non subalterno, sulla realtà: sul dove va l’Italia. Ripeto autonomo, e quindi anche diverso da quello – come dire? – dei «padroni». Questa parola dimenticata, quasi impronunciabile. I padroni. La impressionante plutocrazia che ci governa (non si erano mai visti dirigenti come Marchionne o Montezemolo, per non fare tanti altri nomi, riscuotere stipendi superiori di tre o quattrocento volte il salario medio) ma soprattutto i padroni dell’altro potere, anch’esso senza precedenti, che consiste nel produrre ed imporre le idee dominanti. Banalità? Mi scuso, ma io le dico perché sento che è giunto il momento di difendere, come leva di tutto, quella cosa che io chiamo la «sinistra», cioè quella cosa che non è una campagna di stampa e nemmeno un semplice movimento di opinione ma un impasto di idee, di passione e di storia, e che non è separabile dalla vicenda della «democrazia difficile» italiana, per dirla con le parole di Aldo Moro. E ciò – attenzione – non per nostalgia del passato, ma perché sento che siamo arrivati di nuovo ad un appuntamento con questa difficile storia.

Ecco. Questo mi sembra dopotutto il tema vero del congresso. È il ruolo (la scelta del segretario sarà la conseguenza) che al Pd tocca svolgere – ci piaccia o no – in questo passaggio così pericoloso per tutti gli italiani. Basta quindi con questo falso scontro sulle regole. Evidente che abbiamo bisogno di un leader, e che sia il più forte possibile; evidente che non si può chiedere solo il voto dei nostri iscritti; evidente che nei circoli si deve parlare di tutto, anche di dove va il mondo. Ma è altrettanto evidente che il leader (chiunque sia) fallirà se non porrà se stesso e il suo partito di fronte al compito e all’impegno di lotta che le cose ci impongono. Chiaro e forte. Non possiamo continuare a scusarci e a vergognarci perché teniamo in piedi un governo invece di fare l’opposizione. La gente non può capire se il nostro discorso è confuso e resta al di qua della grandezza della posta in gioco. La verità è che questo governo non nasce da non si sa quale «inciucio». Esso è la sola risposta, ancora di natura parlamentare, a una crisi di regime.

Anch’io ho una gran voglia di opposizione. Ma contro chi? E contro che cosa? Tutti vogliamo il cambiamento, ma non tutti si sono accorti che cosa ha rivelato il voto di febbraio. Non si è trattato solo di una sconfitta elettorale. Si è aperta, anzi si è rivelata, una crisi del regime parlamentare, cioè di quel sistema che consente anche agli sfruttati, votando per il loro partito, di essere rappresentati: una testa un voto. Insomma, una crisi della democrazia. Di questo si tratta. Quasi metà degli elettori che non vanno più a votare.

Una cosa mai vista prima, come il fatto che il comico Grillo prende di colpo il venticinque per cento dei voti; una destra che fino a quando resta una proprietà privata di una persona può finire anche in un’avventura; uno schieramento democratico che si ferma al trenta per cento. Non so se ci rendiamo conto della lastra sottile di ghiaccio su cui stiamo camminando.

La questione delle questioni che sta di fronte a noi, a me sembra quindi molto chiara. Essa è totalmente politica; è ridare al Pd la consapevolezza e l’orgoglio del proprio ruolo in questo passaggio che condizionerà anche la vicenda europea. Tra un anno c’è il semestre italiano, tra due mesi l’esito delle elezioni tedesche ci dirà quale ruolo intende svolgere la potenza egemone. Chiunque si candidi alla segreteria del Pd deve sapere che è in atto, in questi mesi e in queste settimane, uno scontro di fondo che in ogni caso cambierà in modo radicale il volto del Paese. L’Italia non sarà più quella di prima.

La posta in gioco è quindi enorme. Il Pd avrà un futuro se comprende che il successo dello sforzo difficile che gli italiani stanno facendo da anni per reggere la sfida dell’Europa e del mondo nuovo in cui siamo entrati, dipende crucialmente dal tenere insieme le necessarie riforme profonde del tessuto sociale con quelle di un assetto dei poteri pubblici e privati. E fare ciò restando all’interno di un regime democratico e parlamentare, sia pure rafforzato sul modello europeo. Se questo sforzo fallisce qual’è l’alternativa? È semplicemente il caos, la fuga verso una qualche soluzione carismatica ed è – come stiamo già vedendo – il convergere delle tante spinte eversive, qualunquiste e anti-parlamentari che stanno da sempre nella pancia del Paese. Non a caso la polemica si sta rivolgendo non solo contro di noi, ma contro la Presidenza della Repubblica intesa come istituzione super partes, garante di tutti, autorità morale che tiene unita questa nazione.

Ecco il campo di battaglia in cui siamo. E allora combattiamo. Smettiamola di piangerci addosso. Alziamo la grande bandiera della democrazia del Parlamento, senza la quale la giustizia sociale in un Paese come l’Italia ce la scordiamo.

L’Unità 31.07.13

“Riforme ora, o sarà stracciata la Carta”, di Claudio Sardo

Il nostro sistema politico è al collasso. Ha perso al tempo stesso efficacia e credibilità. Si sono persino spezzati alcuni legami tra le istituzioni rappresentative e i principi costituzionali (vedi la legge elettorale). Le riforme sono una urgenza democratica. Chi lo nega, sottovaluta la crisi oppure punta consapevolmente alla distruzione.
Le riforme sono una necessità anzitutto per chi ama questa Costituzione e la considera la «più bella del mondo». Se non si correggerà e non si rafforzerà al più presto la forma di governo parlamentare, quella voluta dai costituenti, diventerà inarrestabile la spinta presidenzialista, che già si mescola a pulsioni populiste e istinti autoritari.
Per questo la guerra dichiarata da alcuni costituzionalisti alla modifica dell’art.138, e ora sostenuta da Grillo e Casaleggio (noti detrattori non solo della nostra Carta ma degli stessi valori fondativi del costituzionalismo moderno), ci appare una scelta autolesionista che rischia di produrre effetti tragici, contrari a quelli auspicati dai promotori.
Il punto non è ̀ la legittimità delle obiezioni alla ddl costituzionale proposto dal governo. Si può sostenere con buone ragioni che sarebbe stato meglio non toccare l’art. 138 e seguire la via «ordinaria». Ma fa impressione la sproporzione dei toni di questa polemica. Il ddl prevede il referendum obbligatorio (e dunque rafforza la rigidità della Costituzione) e con esso anche una commissione bicamerale formata in proporzione dei voti ottenuti alle elezioni (dunque, senza gli effetti distorsivi del Porcellum). Sostenere che la Carta sia stata scassinata al fine di perpetrare un colpo di Stato, è ridicolo prima ancora di essere una assurda violenza verbale.

Ma la verità, purtroppo, è che si tratta di un pretesto. La verità è che qualcuno non vuole cambiare nulla. E pur di far saltare il governo Letta è disposto a usare qualunque arma a portata di mano. Persino l’arma della delegittimazione di questo Parlamento, eletto da meno di sei mesi.

La cosa più grave è che questo scontro divide il fronte del patriottismo costituzionale (perché tra i critici dell’art. 138 ci sono giuristi di grande valore e uomini di assoluta fedeltà alla Carta) e perciò rischia di segnare una sconfitta storica. Ad aprire le porte al presidenzialismo in Italia non sarà certo questa modifica una tantum all’art. 138, bensì il fallimento delle riforme in questa legislatura.

Oggi ci sono, eccome, le possibilità di correggere alcune norme e di rafforzare la forma di governo parlamentare, giungendo ad un approdo molto vicino al modello tedesco (che i nostri costituenti indicarono nel famoso e inattuato ordine del giorno Perassi, e che oggi è sostenuto da costituzionalisti come Rodotà, Capotosti, Onida, oltre che dai «nostri» Luciani, Dogliani, Olivetti). C’è una maggioranza per la forma di governo parlamentare rafforzato nel comitato dei saggi. C’è una maggioranza favorevole a questa soluzione in Parlamento. E se anche mancasse qualche numero a questa maggioranza (dal momento che Grillo sarà sempre contrario a tutto ciò che costruisce, puntando esclusivamente sullo sfascio), in questa legislatura abbiamo un vantaggio incolmabile: l’esito presidenziale o semi-presidenziale nell’attuale contesto è semplicemente impossibile. Non ci sono spazi per un cambiamento radicale dell’intera seconda parte della Carta, in una situazione politica così precaria e nel mezzo di una crisi sociale così acuta. Invece davanti a noi c’è un’opportunità che sarebbe un delitto sciupare. Oggi possiamo rafforzare la nostra Costituzione, eliminando le torsioni della seconda Repubblica, legando il governo al rapporto fiduciario con una sola Camera, riducendo il numero dei parlamentari attraverso l’elezione di secondo grado del Senato, dando stabilità agli esecutivi con un istituto simile alla sfiducia costruttiva. La frattura che si è determinata sull’art. 138 tra coloro che si riconoscono nel dna della nostra Costituzione va risaldata al più presto. La strada di Grillo è il suicidio democratico, come con onestà svela ad ogni dichiarazione il suo ideologo Casaleggio. Semmai è da certi settori del Pdl che dovremmo difenderci, perché potrebbero nuovamente far saltare il tavolo come già avvenne ai tempi della Bicamerale. E questa volta potrebbero usare loro il ricatto del governo. Ecco, dovrebbe essere la sinistra, tutta la sinistra, a respingere questo ricatto: fino a dire che, per fare la riforma nel senso parlamentare in questa legislatura, è disposta anche a dar vita ad un altro governo nel caso il Pdl facesse cadere Letta. Non si può, non si deve tornare alle elezioni senza queste riforme.

Cambiare il Porcellum è un’altra necessità. Il lavoro cominci subito, senza indugi. Ma nessuno può illudersi che riformare il Porcellum basterà a ricostruire la normalità democratica. Cambiando solo la legge elettorale resteremo dentro l’ingovernabilità e la crisi di sistema. E stavolta, dopo il voto, diventerebbe inarrestabile l’ondata presidenzialista.

L’Unità 31.07.13

“Lo sformato legislativo”, di Michele Ainis

D’estate, puntualmente, fioccano i divieti. L’ultima invenzione è il porto d’armi (pardon, di sigarette) in automobile, che ha impegnato in singolar tenzone le ministre Bonino e Lorenzin. Ma la pioggia di regole ci bagna tutto l’anno, e nessun ombrello è abbastanza largo da proteggerci. Nel 2007 la commissione Pajno ha fatto un po’ di conti: avremmo in circolo 21.691 leggi dello Stato. Tuttavia la stima è viziata per difetto, e non solo perché il trascorrere del tempo ci ha recato in dote nuovi acciacchi normativi. Dobbiamo aggiungervi le leggi regionali (all’incirca 30 mila). Quelle delle due Province autonome (il sito web della Provincia di Bolzano ne vanta oltre 2 mila). Nonché il profluvio dei regolamenti: 70 mila.
Troppo? No, è troppo poco. Nel Paese in cui perfino i carabinieri sono dotati di un ufficio legislativo, in questo Paese senza autorità ma con cento authority, le sartorie del diritto s’incontrano a ogni angolo di strada, e ciascuna ha un abito normativo che ci cuce addosso. Il 18 luglio il Garante della privacy ha varato un provvedimento sulle intercettazioni: 41.196 caratteri. Il 4 luglio ne aveva licenziato un altro sul contrasto allo spam: 7.767 parole. Risale invece a maggio il regolamento della Banca d’Italia sulla gestione collettiva del risparmio: 171 pagine. Senza contare statuti e regolamenti comunali (a Parma ce n’è uno sulla Consulta del verde, un altro dedica 14 articoli al Castello dei burattini). O senza ricordare le mitiche ordinanze dei sindaci-sceriffi, dal divieto della sosta di gruppo in panchina (Voghera) a quello dei bagni notturni (Ravenna), fino al divieto d’imbrattare i cartelli di divieto.
Ma di che pasta è fatto questo sformato normativo? Proviamo ad assaggiare il menu del governo Letta, accusato ingiustamente di battere la fiacca, mentre ha messo in forno 20 provvedimenti negli ultimi 30 giorni. Il più importante è il «decreto del fare», dove figura un capitolo sulle semplificazioni burocratiche. Vivaddio, era ora. Peccato tuttavia che per semplificare il decreto spenda 93 commi, oltretutto scritti nel peggior burocratese. Così, il comma 1 dell’articolo 52 si suddivide in 11 punti contrassegnati in lettere (dalla A alla M); la lettera I s’articola poi in 3 sottopunti, numerati con cifre arabe come gli articoli; e il sottopunto 2 si scinde in altri 2 sotto-sottopunti, ciascuno distinto da una lettera.
Diceva Seneca: la legge dev’essere breve, affinché possa comprenderla pure l’inesperto. E Tacito, a sua volta: quando le leggi sono troppe, la Repubblica è corrotta. Ecco, è questo doppio male che in Italia offusca il senso stesso della legalità. Sono le 63 mila norme di deroga, che mettono in dubbio la residua sopravvivenza della regola, con buona pace del principio d’eguaglianza. Sono i 35 mila reati che ci portiamo sul groppone, e che la Cancellieri non ha mai cancellato. Sono i 66 mila detenuti stipati in 47 mila posti letto, al cui destino il nostro Parlamento è indifferente, mentre viceversa grazia i colpevoli di stalking o di abuso di ufficio, con un emendamento approvato l’altroieri. Ed è, in ultimo, l’incertezza del diritto, che trasforma ogni poliziotto in giudice, ogni giudice in un legislatore. Perché in questo caso funziona un paradosso: le troppe leggi s’elidono a vicenda, dal pieno nasce il vuoto. E nel deserto dei valori torreggia uno Stato ficcanaso, che adesso vorrebbe perfino mandare a scuola chi possiede un cane, per insegnargli la buona educazione. Che maleducato.

Il Corriere della Sera 31.07.13