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"I ricatti da respingere", di Massimo Giannini

C’è stato, in Italia, un tempo lontano in cui la sinistra berlingueriana sperava di governare in nome dell’«alternativa democratica ». Oggi quello che resta della sinistra italiana si accinge a governare insieme alla destra berlusconiana «perché non c’è alternativa». È un radicale cambio di fase, imposto dallo «stato d’eccezione» permanente nel quale siamo ormai precipitati. Prima un presidente della Repubblica che viene rieletto da un Parlamento disperato e paralizzato, per la prima volta dal dopoguerra. Ora un presidente del Consiglio del Pd che prova a fare un governo con il Pdl, per la prima volta dal dopo-Tangentopoli.
L’alchimia politica dell’esperimento è necessitata, ma azzardata. Le formule si sprecano: dal governo del presidente al governo di scopo, dal governissimo alla Grande Coalizione. Quella escogitata dal premier incaricato è oggettivamente efficace: «Governo di servizio» al Paese. Ma la sostanza è la stessa. Dopo un quasi Ventennio di scontro più o meno irriducibile con il Cavaliere di Arcore, la sinistra è costretta dalla sua stessa inadeguatezza non solo a scendere a patti, ma addirittura a governare insieme all’avversario. Una scelta contro natura, con la quale si vorrebbe riscrivere, manomettendola, la biografia della nazione. Si vorrebbe archiviare, snaturandola, la stagione del bipolarismo muscolare, che non si è consumata soltanto nel conflitto sterile tra berlusconismo e anti-berlusconismo, ma anche in due idee contrapposte e realmente inconciliabili dell’Italia, dei valori repubblicani, dello Stato di diritto, del civismo. Si vorrebbe insomma «costituzionalizzare » una volta per tutte l’anomalia berlusconiana. Non solo annacquando le differenze identitarie (che tra sinistra e destra, lungo il «cleavage» culturale tracciato a suo tempo da Norberto Bobbio, esistono ancora a dispetto di un «pensiero debole» che oggi si pretende egemone). Ma amnistiando anche le pendenze giudiziarie (che continuano a inseguire il leader del Pdl, minacciandone a breve la fedina penale e la biografia politica, e di fronte alle quali il «citizen Berlusconi» si pretende ancora una volta «meno uguale» degli altri di fronte alla legge).
Ma purtroppo, a questo punto, una scelta non contro la logica, se davvero si vuole provare l’ultimo tentativo per tamponare questa paradossale Weimar all’amatriciana. Dal giorno in cui un Pd decapitato da una suicida guerra per bande e libanizzato da un’inopinata «intifada digitale», senza più leader all’interno e senza più follower all’esterno, si è arreso all’evidenza e si è consegnato anima e corpo alle cure di Giorgio Napolitano, lo sbocco delle «larghe intese» ha smesso di essere un cammino impercorribile ed è diventato un destino inevitabile. «Non c’è alternativa», ripete allora il Capo dello Stato, anche a costo di violare «un patto preso con i rispettivi elettori». «Non c’è alternativa», ribadisce il premier incaricato, visto che «dalle elezioni non è uscita una maggioranza» e al Paese «serve comunque un governo».
Il «governo di servizio», se mai vedrà la luce, è dunque un atto di realismo politico. Quasi un «male necessario», secondo
l’analisi dei «rapporti di forza» predicata da Gramsci e dimenticata dai suoi epigoni. Dopo aver insistito per due mesi con la contraddittoria strategia del «doppio binario» (azzardando una trattativa parallela sul governo con i 5 Stelle e sulle riforme con il Pdl) e dopo esser ricaduto nella solita sindrome di Crono che divora i suoi figli (sacrificando Marini e Prodi sull’altare del Quirinale), il Pd prende infine atto del principio di realtà. Non ha autonomia numerica né politica per fare altro, se non accedere allo schema di Napolitano: una «larga convergenza tra le forze che possono assicurare la maggioranza in entrambe le Camere». E allo stato dei fatti, non si può neanche permettere il lusso di qualche «distinguo», formale e bizantino, sul livello di coinvolgimento nel nuovo esecutivo. Formare un governo «dei migliori», prestando le personalità più in vista del partito, in fondo non è molto diverso che assemblare un
governo «dei tecnici», tenendo i gruppi dirigenti fuori dalla squadra mista da costruire insieme all’altro polo. Alla fine, in Parlamento, è sempre il Pd che deve approvare i disegni e i decreti legge, votandoli insieme al Pdl. E la stessa esperienza del governo Monti sta lì a dimostrare che
la «foglia di fico», oltre a non funzionare concretamente, neanche conviene politicamente: metti la faccia su provvedimenti che non hai nemmeno deciso e che magari neanche condividi, ma che gli elettori ti imputano comunque.
A questo punto, ingoiare fino in fondo la medicina più amara è una mossa che ha almeno il pregio della coerenza. Enrico Letta è una scelta di peso, che rispetto a Giuliano Amato premia in parte l’innovazione rispetto alla tradizione. Si tratta di un quadro di governo giovane per gli standard italiani, ma che ha già dimostrato più volte le sue qualità e la sua affidabilità. Non lesinerà gli sforzi, tanto sulla formazione quanto sull’azione del suo esecutivo. Ma il suo tentativo resta difficile, temerario, per molti versi quasi proibitivo. Il «farmaco» delle larghe intese, oltre che amarissimo, può risultare mortale. Pensiamo solo alla lista dei ministri che il premier incaricato deve stilare, alla quale corrispondono almeno tre temi cruciali e non negoziabili. Chi sarà il ministro dell’Economia e del Welfare? È pensabile condividere con la destra la cancellazione immediata dell’Imu e delle tutele rimaste alla flessibilità del lavoro?
Chi sarà il ministro della Giustizia? È pensabile un patto scellerato sul salvacondotto da accordare al Cavaliere o una rinuncia a una legge finalmente degna contro la corruzione, dopo il pannicello caldo della Severino? Chi sarà il ministro dell’Interno? È pensabile un segnale anche solo velato di abbassamento della guardia sul fronte della lotta alle mafie e alle criminalità organizzate?
Se questa è la posta in palio, l’unico modo per evitare un drammatico compromesso al ribasso, o il fallimento del tentativo e quindi l’immediato ritorno alle urne, è respingere ogni ricatto sui nomi da scegliere e sulle cose da fare. E circoscrivere in modo esplicito il campo (e quindi in modo implicito anche il tempo) del gioco di questo «governo di servizio ». Cinque misure qualificanti, e non una di più: riforma della legge elettorale, riforma del bicameralismo, riforma del finanziamento della politica, un provvedimento per la riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese e un provvedimento di sostegno e rilancio dell’occupazione. A quel punto, missione compiuta. Ognuno recupera la sua libertà e la sua identità. Si sciolgono le Camere, si torna a votare. Con regole nuove e con un’Italia un po’ meno martoriata dai morsi della crisi. Non c’è altra via, se non si vuole spacciare per «una nuova stagione di civiltà e di cultura democratica» (come già si affannano a scrivere i corifei del Cavaliere) un indistinto consociativo che serve solo a chiudere l’eterna transizione italiana con la definitiva riabilitazione dell’avventura berlusconiana.
Letta, nell’accettare con riserva l’incarico, ha avvertito che questo governo «non nascerà a tutti i costi». È un preambolo importante, forse decisivo. Le «larghe intese», almeno in Italia, sono il “costo” che la politica paga alla sua inconcludenza e alla sua inefficienza, al suo cinismo e al suo opportunismo. Questo costo è già alto, ma non può diventare troppo alto. Non solo per il destino della sinistra, ma per il futuro stesso di questo disgraziato Paese.

La Repubblica 25.04.13

Il testamento spirituale di Giacomo Ulivi in una lettera agli amici

Giacomo Ulivi fu fucilato il 30 ottobre 1944, a 19 anni, perchè “resistente”. Una lettera, mai spedita e indirizzata agli amici, rappresenta il suo testamento spirituale ed è una delle più alte testimonianze del cambiamento morale e politico della resistenza. E’ importante rileggerla oggi, in un passaggio difficile della nostra storia costituzionale.
“Cari amici,
vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L’avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire “falso”, di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica. E questa parola temo come un’offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi. Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Ecco per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita? (…) Benissimo, è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di “quiete”, anche se laboriosa è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica.

È il tremendo, il più terribile risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per venti anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della “sporcizia” della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di specialisti (…) Teoria e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. (…) Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica ci siamo stati scaraventati dagli eventi. (…) Credetemi, la cosa pubblica è noi stessi: ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota. (…) Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, che ogni sua sciagura è sciagura nostra…per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma cominciamo a guardare in noi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere. Ricordatevi siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farla valere; che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo? (…) Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi. Termino questa lunga lettera un po’ confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro.”

“Basta sacrifici, si allenti il rigore la Ue dia più tempo a tutti i Paesi”, di Eugenio Occorsio

«Sta maturando a livello europeo una consapevolezza: inseguire il deficit giorno per giorno porta solo a misure controproducenti, che alla fine questo deficit lo aggravano. È un cambiamento di mentalità, ha richiesto tempo, però alla fine ci stiamo arrivando. Il consolidamento fiscale è necessario, ma sui tempi si può finalmente discutere». Pier Carlo Padoan, vicesegretario generale e capo economista dell’Ocse, conferma che gli elementi per la ripresa dell’Eurozona sono ormai tutti in ordine e che è questione di mesi, purché però non ci si faccia male da soli. «Intendiamoci: bisogna mantenere gli obiettivi di natura strutturale perché solo dalle riforme viene una crescita solida e duratura, ma i tempi con cui questi obiettivi vanno raggiunti possono essere allungati. Una dilazione è già stata concessa ad alcuni Paesi come Grecia e Portogallo: l’Ocse chiede che questa possibilità sia generalizzata a tutta l’area euro».
Italia compresa?
«Certo. Il nostro Paese sta già raggiungendo un obiettivo molto importante, quello di uscire dalle procedure per deficit eccessivo aperte nel momento più difficile della crisi. Ora potrà chiedere di entrare a far parte a pieno titolo fra i Paesi per i quali si prevede l’allentamento del vincolo deficit/Pil».
Addio rigore del 3%, o almeno arrivederci fra qualche anno?
«Non si corregge la recessione se il ciclo è negativo. Bisogna perseguire l’aggiustamento del deficit, solo che va depurato degli effetti della recessione, bisogna cioè valutarlo in termini strutturali. Con il Paese in crisi diminuiscono le tasse versate, e la risposta non dev’essere quella di imporre nuove restrizioni».
Perché così non se ne esce?
«Aggravano anziché risolvere i problemi. Noi raccomandiamo che gli obiettivi siano fissati in termini strutturali: non bisogna inseguire il ciclo verso il basso. Va ricordato che l’Eurozona è, fra le grandi aree mondiali, quella che ha fatto più progressi nel consolidamento fiscale. C’è ancora spazio da percorrere ma in molti Paesi, Italia compresa, il rapporto debito/Pil presto comincerà a scendere».
Presto? Uno, due anni?
«Qualcosa del genere, e ciò avverrà malgrado il fatto che la recente misura per la restituzione dei debiti alle imprese comporti un minimo rialzo del debito. D’altronde è una misura importante perché tonifica l’economia. Molte altre ne servirebbero a livello europeo: finora i costi dell’aggiustamento dell’Eurozona sono caduti sulle spalle dei Paesi in crisi, Grecia, Spagna, anche Italia, a costo di minare profondamente l’ordine sociale. È tempo che le nazioni in surplus facciano la loro parte. La Germania potrebbe favorire l’aumento dei salari per aumentare la domanda interna, una misura dalle ripercussioni positive per l’intera area euro: gli altri aumenterebbero l’export verso Berlino».
Non sarà facile spiegare ai tedeschi che dopo tanti sforzi e sacrifici devono spendere di più per aiutare i cugini del sud…
«Ma molte misure sarebbero in primo luogo nel loro interesse. La Germania dovrebbe accelerare gli investimenti interni per creare un volano favorevole a livello continentale, liberalizzare con più convinzione il settore dei servizi, intraprendere programmi infrastrutturali. L’Italia ne trarrebbe beneficio per la sua vocazione all’export purché accresca gli sforzi per migliorare la produttività, incrementare gli investimenti delle imprese, spingere sulla ricerca, anche solo, se non vogliamo parlare di misure troppo costose, migliorando l’allocazione del lavoro. La
performance esportatrice italiana potrebbe essere assai superiore a quella attuale, e si aprirebbero mercati in Russia, Brasile, India, economie in forte crescita».
A proposito di benefici che vengono da lontano, è vero che lo spread italiano migliora perché sono arrivati i soldi dei giapponesi, creati con la nuova politica monetaria espansionista del premier Abe?
«Nel mondo circola moltissima liquidità, non solo giapponese, in cerca di rendimenti interessanti. L’area euro con l’aumento del sentiment di fiducia degli ultimi mesi, e l’Italia grazie ai miglioramenti conseguiti, sono entrate fra le mete di questa corrente finanziaria. E questo coincide con il fatto che il Paese sta faticosamente ritrovando la sofferta stabilità istituzionale».
Il suo collega economista Roubini ha lanciato sul nostro giornale un appello perché istituzioni semi-dormienti come la Banca europea degli investimenti si scuotano e diano il loro contributo decisivo allo sviluppo. Si sente di sottoscriverlo?
«Ci sono risorse cospicue a livello europeo che potrebbero essere mobilitate. Non solo la Bei: pensiamo ai fondi strutturali che aspettano un’adeguata capacità progettuale Stato per Stato ».

La Repubblica 25.04.13

Ghizzoni e Vaccari “Bene proroga stato emergenza e misura tasse”

I parlamentari modenesi Pd “Adesso lavoreremo in Aula per le altre richieste del cratere”. Lo stato di emergenza è stato prorogato e sono stati ampliati i termini per l’accesso ai finanziamenti agevolati per pagare tasse e contributi: due obiettivi per cui le istituzioni locali, la Regione e i parlamentari modenesi del Pd avevano lavorato con costanza e convinzione. “Ora il nostro impegno – dicono la deputata Pd Manuela Ghizzoni e il senatore Pd Stefano Vaccari – è quello di ottenere risposte positive, in sede di conversione del decreto, anche per le altre richieste che arrivano pressanti da chi vive e lavora nell’area del cratere sismico”.

“Due obiettivi importanti sono stati raggiunti, ora in Aula lavoreremo, sempre di concerto con la Regione, affinché anche le altre giuste richieste che arrivano dall’area del cratere sismico possano essere accolte”: con queste parole di soddisfazione, ma anche di ulteriore impegno, i parlamentari modenesi del Pd Manuela Ghizzoni e Stefano Vaccari accolgono le decisioni prese oggi dall’attuale Consiglio dei ministri. L’esecutivo guidato da Mario Monti ha, infatti, varato, come si era impegnato a fare nei confronti dei vertici della Regione Emilia-Romagna, il decreto legge che proroga fino al 31 dicembre del 2014 lo stato di emergenza conseguente al sisma del 20 e 29 maggio 2012 e ha riaperto fino al 15 giugno 2013 i termini per la presentazione delle domande per accedere ai finanziamenti agevolati per il pagamento delle tasse e dei contributi. “Ancora una volta – commentano la deputata Ghizzoni e il senatore Vaccari – si è dimostrato come la “triangolazione” tra Regione, Governo e parlamentari delle zone terremotate sia il solo sistema in grado di portare frutti. La richiesta della proroga dello stato di emergenza e quella di un provvedimento in materia di tributi erano giunte pressanti dalle famiglie e dalle imprese dell’area del cratere. Senza proclami fini a se stessi, ma con il lavoro costante e il raccordo con il territorio, questi obiettivi importanti sono stati conseguiti. Ma non è finita: – continuano Ghizzoni e Vaccari – in sede di conversione in legge del decreto, in Parlamento e nel confronto con il nuovo Governo, ci impegniamo fin da ora a proseguire nel compito che ci siamo assunti nei confronti dei cittadini e delle amministrazioni delle zone colpite dal sisma, come ha confermato oggi in Senato il collega Claudio Broglia, a nome dei parlamentari Pd dell’Emilia Romagna. Lavoreremo, ancora una volta insieme con la Regione, per l’allentamento del patto di stabilità dei Comuni in modo che possano derogare, ad esempio, ai limiti imposti agli straordinari del personale assunto e possano assumere altro personale per accelerare tutte le pratiche connesse alla ricostruzione. Ci impegniamo per la revisione degli studi di settore, per un più facile accesso al credito di cittadini e imprese e perché anche per le zone devastate dal sisma dell’Emilia venga introdotto un meccanismo di fiscalità di vantaggio, come quello pensato per L’Aquila, destinato alle imprese di piccola e micro dimensione. Su queste proposte – concludono Ghizzoni e Vaccari – e sul modo migliore per portarle avanti siamo disponibili a confrontarci con tutte le forze politiche espresse dal territorio”

Crisi, gli italiani tagliano su cibo e sei famiglie su 10 fanno la spesa al discount

Cinque anni di crisi hanno radicalmente cambiato i consumi degli italiani. A riconoscerlo è stato il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, che ha sottolineato un radicale mutamento – ad esempio – nel settore alimentare. Più di sei famiglie su dieci, infatti, fanno ormai stabilmente la spesa al discount (il 62% nel 2012 per la precisione, +9% sul 2011). Parlando in audizione al Senato, Giovannini ha spiegato che negli anni della crisi molte famiglie hanno modificato quantità e qualità dei prodotti acquistati; sono state poi quasi eliminate le spese per visite mediche, analisi cliniche e radiografie, mantenendo quella incomprimibile per i medicinali. Tra le famiglie più povere, questi tagli hanno riguardato il 70% dei nuclei. Eppure, secondo gli ultimi dati rilevati dall’Istituto di statistica, la fiducia dei consumatori italiani è orientata al rialzo su livelli che non si vedevano da tempo. Anche se si tratta, in prima battuta, di un miglioramento rivolto alla situazione economica del Paese in generale e non a quella personale.
In aprile – infatti – l’indice del clima di fiducia dei consumatori aumenta a 86,3 da 85,3 del mese precedente. Aumenta la componente riferita al quadro economico (il relativo indice passa da 69,2 a 73,5), mentre diminuisce quella relativa al clima personale (da 91,4 a 90,5). Gli indicatori del clima futuro e corrente sono entrambi in aumento (rispettivamente da 80,3 a 80,8 e da 89,2 a 90,1). I giudizi e le attese sulla situazione economica del paese migliorano: i rispettivi saldi passano da -147 a -137 e da -61 a -50. Quanto alle attese sulla disoccupazione, le opinioni dei consumatori mostrano un aumento (da 104 a 109 il saldo). Le valutazioni sulla situazione economica della famiglia migliorano (il saldo passa da -75 a -73 per i giudizi e da -30 a -29 per le attese). Diminuisce il saldo dei giudizi sul bilancio familiare (da -23 a -28).
Le opportunità attuali di risparmio e le attese sulle possibilità future sono in calo (da 132 a 121 e da -81 a -90 i rispettivi saldi). Le opinioni dei consumatori sull’opportunità di acquistare beni durevoli migliorano: il saldo passa da -114 a -102. Il saldo dei giudizi sull’evoluzione recente dei prezzi al consumo è in diminuzione (da 50 a 37). Le valutazioni sull’evoluzione dei prezzi nei prossimi dodici mesi indicano una attenuazione della dinamica inflazionistica (il saldo passa da 2 a -3). A livello territoriale, il clima di fiducia aumenta nel Nord-ovest nel Centro e nel Mezzogiorno, mentre diminuisce nel Nord-est.
Quanto all’andamento dell’economia, Giovannini ha specificato che il prodotto interno lordo italiano “dovrebbe ridursi nel 2013 in una misura molto vicina a quella stimata dal governo nel def”, che prevede una contrazione dell’1,3%. Per quanto riguarda il 2014, infine, non è ancora possibile valutare l’impatto delle misure che prevedono lo sblocco di 40 miliardi di crediti verso le imprese da parte della pubblica amministrazione. Dal presidente dell’Istat è arrivato però un allarme su un’altra questione centrale, che riguarda la frequenza scolastica e l’elevato abbandono da parte dei giovani stranieri: “Se un ragazzo straniero su due lascia la scuola prima dell’adempimento scolastico, nella migliore delle ipotesi stiamo creando una forza lavoro non educata e quindi inadatta, nella peggiore è una molla di rivolta sociale che in altri Paesi conosciamo molto bene”, ha spiegato.

www.partitodemocratico.it

"Quelle offese intollerabili", di Gabriele Muccino

Caro direttore, sarà perché mi trovo a Los Angeles e l’Italia appare diversa, forse più a fuoco, quando è osservata da lontano, ma il giorno in cui in parlamento è stata affondata la candidatura di Prodi alla presidenza della Repubblica ho notato come uno stridio assordante la maglietta che l’onorevole Alessandra Mussolini indossava con gusto da strapaese, con sopra la scritta a pennarello “Il diavolo veste Prodi”. Quella maglietta mi è suonata così stonata sul corpo di chi non ha mai, in circa vent’anni di politica, preso la pur minima distanza dalla storia del fascismo che ho sentito l’urgenza di scrivere qualcosa.
Il limite di sopportazione di ciò che viene detto e fatto in Parlamento da chi rappresenta lo Stato e gli italiani sta visibilmente per scoppiare e travolgere l’intero paese. Gli italiani sono i più bravi al mondo ad assolversi dalle proprie colpe e a guardare dall’altra parte pretendendo che il passato si dilegui. Purtroppo il passato non va via. Anzi, ce lo portiamo dietro come un bagaglio, un karma invisibile che determina come la storia ben insegna, specialmente se ignorato, la ripetizione degli stessi errori ed orrori all’infinito. C’è chi dice, in quest’Italia diseducata, che Mussolini abbia fatto anche cose buone e poi, sì certo, anche tanti “errori”. Ma quali sono questi errori? Chiamiamoli col vero nome: sono crimini di guerra.
Il mondo intero vede Mussolini alla stregua di qualunque altro dittatore che ha compiuto genocidi sulla propria gente e su altri popoli imbarcandosi in una guerra mondiale al fianco di HiItler. Assolversi dalla Storia è la scorciatoia più disonesta per alleggerirci delle nostre responsabilità e vergogne. Come fa Alessandra Mussolini a difendere il nonno, usando la parola “orgoglio” come ha fatto spessissimo in questi anni in questo nostro smemorato paese, e contemporaneamente giurare sulla bandiera italiana, sulla Costituzione e sulla Repubblica? Se io fossi in lei, mi vergognerei per il peso infinito delle migliaia di vittime fucilate, deportate, torturate a cui ancora oggi non ha chiesto perdono. La storia non può essere cambiata né tantomeno corretta a nostro piacimento. Se si rappresenta lo Stato bisogna almeno chiedere, come diretto erede politico di quella Storia, perdono ai familiari di tutte le vittime del fascismo, ovvero perdono agli italiani. Come cittadino italiano sono stato offeso insieme ad altri milioni di cittadini troppe volte da parlamentari che insultano la nostra bandiera al nord, minacciano secessioni oppure inneggiano ancora a Mussolini.

La Repubblica 24.04.13