Latest Posts

"Il manifesto per la sicurezza nelle scuole", di Valeria Pini

Una tabella di marcia per la sicurezza nelle scuole. Otto proposte per garantire alunni e professori. Fra gli obiettivi quello di completare l’anagrafe dell’edilizia scolastica entro il 2013 e realizzare sopralluoghi tecnici durante la pausa estiva; approvare i Piani comunali di emergenza; considerare l’edilizia scolastica una priorità e abbattere le barriere architettoniche. Ma anche investire sul benessere e la salute, recuperando spazi verdi e cortili, costruendo nuove palestre. Sono i punti presentati oggi a Roma nell’ambito del VII Premio Vito Scafidi per le Buone pratiche nella scuola, promosso da Cittadinanzattiva, in ricordo dello lo studente morto per il crollo del controsoffitto nel liceo Darwin di Rivoli.

I vincitori fra video e siti web. In tutto sono stati presentati 120 porgetti e tre premi. Fra questi un video e un sito web completamente dedicato al tema della sicurezza messi a punto dagli studenti dell’Istituto superiore Avogadro di Torino; una rete sul territorio di Ferrara, attivata dall’Istituto comprensivo Govoni, sul tema dell’integrazione degli alunni stranieri, che tiene insieme mediatori culturali, associazioni ed altri istituti scolastici e una campagna di sensibilizzazione sull’uso di alcool e droghe e sui rischi che comportano messa a punto dai giovanissimi alunni della scuola elementare Vivaldi di Settimo Torinese.

Il responsabile della sicurezza. Fra le proposte c’è quella di istituire un referente per la sicurezza fra gli studenti. Gli alunni di due classi dell’Istituto comprensivo Luigi Rizzo di Roma hanno già ricevuto, primi in Italia, il diploma di responsabili studenti per la Sicurezza (Security young manager), figura promossa dalla Scuola di Cittadinanzattiva, in collaborazione con il Dipartimento nazionale della Protezione civile, che la stanno estendendo, in queste settimane, ad altri 600 studenti di Piemonte, Basilicata ed Umbria.

A partire da oggi, inoltre, parte il sondaggio per Mille scuole per la scuola che vorrei: gli istituti scolastici che fanno parte della rete Impararesicuri, e tutti i cittadini interessati, saranno coinvolti nel sondaggio su “La scuola che vorrei”. Partendo da otto proposte elaborate da Cittadinanzattiva e consegnate oggi agli interlocutori presenti, scuole e cittadini potranno indicare le loro priorità che l’associazione si impegnerà a sottoporre all’attenzione del Parlamento, nonché ad elaborare strategie, campagne e punti rete per l’attuazione delle stesse.

da repubblica.it

Pd, mercoledì sera assemblee pubbliche in tutte le zone

I parlamentari modenesi parleranno con iscritti ed elettori in più incontri contemporanei. Sette assemblee pubbliche tenute in contemporanea su tutta la provincia di Modena per confrontarsi e capire l’evolversi della difficile situazione nazionale: è quanto organizzato dal Pd modenese per la sera di mercoledì 24 aprile. Ad ogni incontro saranno presenti i parlamentari modenesi e i dirigenti del Pd provinciale.

La situazione nazionale è complicata e il bisogno di confrontarsi e capire è impellente: è per questa ragione che per la sera di mercoledì 24 aprile il Pd ha organizzato assemblee pubbliche rivolte a iscritti, elettori e simpatizzanti in tutta la provincia, a cui parteciperanno i parlamentari e i dirigenti del Pd modenese. Un modo per ascoltare le considerazioni che arrivano dalla base del partito, ma anche per spiegare come è nata e si è evoluta l’attuale difficile situazione nazionale.

“Il progetto del Partito democratico è più forte del pesante travaglio di questi giorni. – spiega il coordinatore e segretario provinciale vicario Paolo Negro – Si riparte avendo a cuore prima di tutto le condizioni del Paese reale, ascoltando le persone in carne ed ossa, attingendo ai valori fondativi del Partito democratico. E’ il senso delle assemblee di domani, alla vigilia del 25 aprile, giorno in cui celebriamo i valori della Costituzione, valori su cui si fonda il Pd e sui quali dobbiamo ricostruire il Paese. Sono i valori di cui era intriso il discorso di ieri di Napolitano che, in un tempo di terribili lacerazioni che possono farci cadere nel baratro come nazione, ha confermato di essere il punto più alto e più sicuro di unità nazionale, di passione per le sorti del Paese, per usare la sua espressione. Questo discorso – conclude Paolo Negro – conferma che la sua rielezione, venuta dopo uno stallo della politica, colpa anche del travaglio interno al Pd, può essere la via per raggiungere il punto più alto, di riscoperta della dignità e del ruolo della buona politica. Risaliamo!”.

Ecco l’elenco delle assemblee convocate per la sera di mercoledì 24 aprile:

Modena-città – presso Circolo Pd Madonnina (via Barchetta 186) ore 20.45, con il deputato Pd Davide Baruffi, la senatrice Maria Cecilia Guerra e il coordinatore cittadino Pd Andrea Sirotti

Zona Terre d’Argine – presso Festa di primavera Pd a Santa Croce di Carpi (via Giliberti 1) ore 20.45, con la deputata Pd Manuela Ghizzoni

Zona Terre di Castelli – presso la sala del Teatro Cantelli (via Cantelli) a Vignola, ore 20.30, con il senatore Pd Stefano Vaccari

Zona Comprensorio Ceramico – presso la sala Biasin (via Rocca) a Sassuolo, ore 20.45, con la deputata Pd Giuditta Pini e il segretario regionale Pd Stefano Bonaccini

Zona Area Nord – presso le scuole medie (via Pietri) a Mirandola, ore 21.00, con il deputato Pd Edoardo Patriarca e la presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna Palma Costi

Zona Cintura – presso la sala Gabriella Degli Esposti della Nuova biblioteca comunale, a Castelfranco Emilia, ore 20.30, con il deputato Pd Carlo Galli e il coordinatore e segretario provinciale vicario Paolo Negro

Zona Montagna – presso la sede Pd di Pavullo (via Giardini 168), ore 20.30, con la deputata Pd Cécile Kienge e la coordinatrice Pd della montagna Elisabetta Turchi.

Kyenge, Ghizzoni “Bene lo stop ai finanziamenti per il mausoleo di Affile”

La deputata Kyenge aveva presentato un’interrogazione insieme alla deputata Ghizzoni. Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti ha deciso di ritirare il finanziamento che l’ente aveva stanziato per il mausoleo dedicato al generale Graziani voluto dal Comune di Affile. Plauso alla decisione, presa proprio a ridosso della Festa della Liberazione del paese dal dominio nazi-fascista, viene dalla deputata modenese del Pd Cécile Kyenge che, insieme alla collega modenese Manuela Ghizzoni, aveva presentato un’interrogazione sull’argomento.

“La decisione del presidente Zingaretti di ritirare il finanziamento per il mausoleo dedicato al generale Graziani nel Comune di Affile è molto positiva e ci sembra il modo migliore per onorare degnamente la festa della Liberazione del prossimo 25 aprile. Quel mausoleo rappresenta un oltraggio alla memoria democratica e una offesa alla libertà. Per questo siamo particolarmente soddisfatti della decisione presa dal governatore che giunge dopo numerose interrogazioni alle quali è seguita anche una petizione promossa dalla scrittrice italo somala Igiaba Scego”. Lo dice la deputata modenese del Pd Cécile Kashetu Kyenge, che ha presentato un’interrogazione parlamentare su questo argomento insieme ai colleghi Ghizzoni e Beni all’inizio di aprile. “I finanziamenti della Regione – prosegue Kyenge – come ha spiegato il presidente Zingaretti, dovevano essere utilizzati per la realizzazione di un monumento al milite ignoto e non per celebrare ed esaltare il generale Graziani che, fra l’altro, è stato ministro della Difesa della Repubblica di Salò e responsabile del rastrellamento del ghetto di Roma. Per questo vogliamo ringraziare ancora una volta il presidente Zingaretti”. Il monumento inaugurato l’agosto scorso nell’alta valle dell’Aniene, al Parco Radimonte, in provincia di Roma, per volere del sindaco Ercole Viri (Pdl) con stanziamento di soldi pubblici da parte della Regione Lazio per 130mila euro, fu duramente contestato sia dalla stampa nazionale che internazionale, congiuntamente al comitato antifascista di Affile, Alessandro Portelli e il circolo Bosio, l’Anpi, la comunità ebraica e tanti singoli cittadini ed intellettuali. “Abbiamo optato per sospendere il finanziamento concesso al Comune di Affile che l’amministrazione ha impropriamente deciso di destinare ad un mausoleo per Rodolfo Graziani – ha detto Zingaretti motivando il diniego – La nostra Amministrazione non avallerà mai qualsiasi tentativo di distorsione o falsificazione della memoria storica”.

Debora Serracchiani «Vincere così è stato un miracolo, Grillo s’è fermato a Udine», di Toni Jop

«Dopo i fatti di Roma, ci voleva un miracolo»: Debora Serracchiani ha vinto, di un soffio, ma ha vinto e forse il miracolo di cui parla è proprio quel soffio che l’ha spinta oltre il candidato, e governatore uscente della destra. Non solo: ha vinto a dispetto della lapide che Grillo aveva deposto in questi giorni tempestando le piazze del Friuli Venezia Giulia di suoi show in cui ripeteva senza sosta «Questa sarà la prima regione governata dai Cinque Stelle». Sbagliato, qui l’onda che tutto travolge si è fermata. Anzi, è arretrata. Avevo sentito Debora nei giorni scorsi, mentre il Pd provvedeva a liquidare Marini e poi Prodi, ed era un funerale… Ammettiamolo: non hai gareggiato col favore delle stelle…
«Quali stelle, ero furibonda. Quando ho capito che il partito si stava accartocciando ho pensato che era davvero finita. Che gli esiti di quella incomprensibile partita romana si sarebbero riversati qui, dove un bel cartello di forze della sinistra si stava “conquistando” casa per casa, persuadendo i cittadini che eravamo, e siamo, gente seria, che sa quel che fa e che lo sa fare bene. Quelle notizie sono piovute su di noi come un colpo di maglio. Stavamo lavorando duramente, con umiltà, serenità, dedizione. Era successo qualche cosa che sulla carta avrebbe potuto (dovuto?) frantumare, rendere inutili quegli sforzi, quel lavoro».
E invece no. Non è andata così, hai vinto…
«Devo dire la verità, senza false modestie: questa volta, in queste particolarissime circostanze, se abbiamo portato a casa un così bel risultato lo dobbiamo alla squadra, al lavoro, e anche, perdonami, a me, a come mi sono comportata».
Vuoi dire che hai operato in solitudine, rispetto a Roma?
« Dico la verità, sì. Ho avuto spesso la sensazione di essere da sola, di non avere riferimenti a Roma. Il partito, il mio partito non mi è stato accanto in questi mesi. Dopo le politiche, più nulla. Sì, messaggi da qualche amico, da chi sapeva cosa si stava giocando qui e basta.
Risultato in controtendenza: non solo tu, ma tutti si attendevano che dopo i fallimenti a Camere riunite, qui sarebbe stato un disastro di proporzioni mai viste. Credi che il caso friulano possa essere un utile indicatore per il Pd a livello nazionale?
«Ci andrei cauta. Qualunque cosa accada a Roma, qui la politica ha un rapporto stretto con i cittadini. La scena, la piattaforma su cui si gioca la politica è diversa, è più materiale, concreta, fatta di bisogni stringenti e di proposte in grado, o meno, di affrontarli. Avevamo un buon programma, davvero, ha convinto, ma lo sapevamo. Infatti, prima di ingoiare quel rospo di cui abbiamo parlato, avevamo la sensazione di essere sostenuti da un buon vento, c’era entusiasmo tra noi, poi…».
Poi, hai privato Grillo di un sogno. La tua regione non sarà la prima a gestione Cinque Stelle…
«E si era ben impegnato, per questo. Dovevamo essere tutti morti, secondo lui. Ma, anche qui senza fare del sarcasmo e senza darsi delle arie che proprio non è il caso, ecco: Grillo si è fermato a Udine. A livello nazionale non so come evolverà la situazione, ma intanto qui non solo non è andato avanti, ma è tornato indietro».
Tra l’altro, non solo non capivi quello che maturava a Roma, ma ti ricordo decisamente critica rispetto a quel che stava succedendo nel ventre del Pd.
«Ero incazzatissima, altroché. Ma come: partito e, soprattutto, segretario conducono con coraggio una linea secondo cui mai avremmo governato, fatto accordi con Berlusconi, più che con la destra ed invece mi fanno sapere che al contrario si va all’elezione del Presidente della Repubblica assieme a Berlusconi. Che storia è questa? Ma chi ci segue in questo gomito? Che vuol dire, chi lo ha deciso?»
Così, in piena campagna elettorale ti sei trovata a fare i conti con un problema immenso ma distante, in solitudine.
«Sì. Ho chiamato a Roma, ho detto quello che pensavo, per quel che vale, ho provato a ragionare e a far ragionare, ma è servito a poco, come si è visto». Una vicenda ancora tutta da digerire, non è così?
«Sì, dobbiamo farlo assieme e presto. Io voglio sapere chi sono quei cento che hanno fucilato alle spalle Romano Prodi. Questo dato storico è un fatto politico di cui in molti abbiamo bisogno. Non si esce da questa storia senza chiarezza. Chi, come, perché. Qui non c’è da far melina, voglio, vogliamo sapere.
Quindi non pensi che si possa risolvere la questione con una semplice spiegazione.
«Nemmeno per sogno. Qui dobbiamo rifondare il partito, rifondare significa arrivare alle fondamenta di questa struttura che è essenziale per l’Italia e per la difesa della democrazia. Chi ha deciso che Rodotà non andava bene? Perché, nel caso, questo partito non avrebbe saputo appoggiare un candidato uscito dalla storia della sinistra? A cosa si stava lavorando sotto i banchi? Mi piacerebbe avere a disposizione la verità, senza verità non si rifonda nulla e mi pare di non essere sola, questa volta, a sostenerlo».
Verità e partecipazione…
«A proposito: nella vittoria un danno comunque esiste: il cinquanta per cento circa degli aventi diritto non hanno votato. L’astensione è stata un massacro. Non possiamo accettare questo dato, dobbiamo votarci a riconquistare il piacere dei cittadini a votare, a dire cosa vogliono e cosa no. Certo, siamo in qualche modo all’epilogo di una storia, dobbiamo avviarne un’altra, con coraggio, mettendoci la faccia, tornando a confrontarci con i cittadini. Dobbiamo tornare alla politica, conviene che tutti, nel Pd, se ne convincano».

L’Unità 23.04.13

"Il Pd ritrovi il coraggio", di Guglielmo Epifani

Il Partito democratico vive un passaggio difficile, quanto mai prima. Innanzitutto per i suoi militanti, ed i suoi elettori. Si coglie un po’ ovunque delusione, disorientamento, e anche rabbia. Di fronte a questo quadro il primo dovere è quello di aprire sedi di confronto, di discussione in tutti i circoli e nei luoghi di aggregazione.

Dove questo è avvenuto in queste ore, i segnali dicono che il clima migliora, anche quando il dissenso resta. È inutile girarci attorno: pesa troppo la doppia sconfitta – del voto e del progetto politico del governo di cambiamento – capace di arrestare il decadimento economico, sociale e morale del Paese. E pesa il modo con cui, votazione dopo votazione, ci siamo resi inaffidabili, intanto verso noi stessi, dividendoci ed esponendo Franco Marini e Romano Prodi a un risultato del quale dobbiamo solo vergognarci.

L’elezione di Giorgio Napolitano consente finalmente di mettere al riparo le istituzioni, di rassicurare il Paese stretto dentro paure profonde e di evitare una lacerazione più profonda tra Paese e Parlamento. Una parte del popolo democratico ritrova, almeno alla fine, un senso. E la parte maggioritaria dei cittadini si riconosce nell’altissimo profilo del discorso presidenziale. Il Pd arriva alle giornate cruciali che ha di fronte sfiancato, diviso, con il segretario ed il presidente dimissionari insieme con la segreteria. Un atto inevitabile che è il riconoscimento di una responsabilità, che non deve essere caricata solo su chi per ruolo ne ha di più ma non può averla tutta. Il Pd si trova soprattutto a dover decidere in maniera chiara tra due sole alternative: dare la fiducia al governo che si andrà componendo sotto la regia istituzionale del presidente della Repubblica o sottrarvisi aprendo a un voto anticipato. Quest’ultima scelta aprirebbe sicuramente praterie per la destra e per il movimento di Grillo e annienterebbe qualsiasi prospettiva di una grande forza riformista e democratica. Senza contare la rottura che aprirebbe con il capo dello Stato che abbiamo voluto.

La Direzione del Pd è chiamata a scegliere e a dare i mandati conseguenti alla delegazione che avrà il compito di discutere nella sede più alta durante le consultazioni. La stessa Direzione, che potrebbe essere riunita in sessione permanente, dovrà accompagnare il percorso della formazione del governo e dare il giudizio finale. Per le considerazioni fatte, se il mandato fosse come io ritengo favorevole al governo, andrebbe evitata ogni forma di presunzione. E le richieste andrebbero circoscritte a due punti: l’alto profilo del governo e la priorità alla questione sociale ed economica nel programma, partendo dai punti che il presidente Napolitano ha messo al primo posto, cioè il lavoro e il Mezzogiorno.

Fatto il governo, si deve poi aprire il cantiere del congresso. Una fase di confronto e di discussione coraggiosa perché siamo in un momento nel quale ci vuole altro rispetto a una semplice manutenzione dell’esistente. Serve, invece, una vera e propria rigenerazione, un nuovo inizio. Bisogna ricreare le ragioni razionali e sentimentali che oggi sembrano cancellate e ritrovare il senso della funzione e del destino di un moderno partito riformista. Questa riflessione va fatta insieme al popolo democratico: ridefinendo come si sta assieme, come si decide, quando si deve decidere a maggioranza e come si discute.

Recuperando una identità più forte e nitida, che metta in grado il Pd di scegliere assumendosi responsabilità e avendo coraggio. C’è bisogno di un senso diffuso di dovere e di servizio, sia da parte dei più anziani sia da parte dei più giovani. Come ha detto oggi Napolitano, nessuna auto indulgenza.

Il passaggio è stretto e difficile per il futuro dei democratici. C’è in agguato il rischio della divisione, anche se le lezioni della storia stanno lì a dire che quando ci si separa si è tutti più deboli, nessuno escluso. Se anche l’unico partito non personale italiano andasse disperso, il risultato sarebbe il ritorno indietro di tutto il sistema politico. E questo ci allontanerebbe dall’Europa. Per questo una vecchia regola dice che quando hai una sola strada davanti è meglio affrontarla con forza piuttosto che temerla. Per quanto difficile questa è la partita che dobbiamo giocare sino in fondo.

L’Unità 23.04.13

"Stavolta Grillo ha perso la battaglia politica che stava vincendo", di Stefano Folli

Nell’osservare le immagini del corteo di Roma e dei militanti Cinque Stelle che si mostrano tanto aggressivi quanto disorientati, risulta abbastanza chiaro un punto: Beppe Grillo ha finito per perdere una battaglia politica che fino a poche ore prima stava vincendo.
In fondo se ne rende conto egli stesso e se ne preoccupa, essendo molto più perspicace di certi suoi “fan”. L’obiettivo di Grillo era strategico e consisteva nel destabilizzare in prima battuta il Partito democratico e a seguire l’intero assetto partitico. Con parecchio acume il leader dei Cinque Stelle aveva compreso che il vero terreno di scontro, in questa fase, non era il governo né il funzionamento del Parlamento, bensì l’elezione del presidente della Repubblica. Perché la necessità di scegliere e decidere nel giro di pochi giorni, forse di poche ore, metteva alle corde un sistema anchilosato e disabituato alle sfide dentro-o-fuori.
Così Grillo si è giocato la sua partita con abilità, mettendo in campo il nome di un giurista stimato e di alto profilo quale Stefano Rodotà, con un rilevante passato politico nella sinistra. L’operazione ha contribuito non poco a disarticolare il Pd. Il nome di Rodotà è diventato in breve tempo il simbolo della capacità di pressione che i Cinque Stelle hanno saputo esercitare sulla base parlamentare di quel partito, soprattutto fra i giovani sensibili al messaggio nuovista e anti-casta del movimento “grillino”. Poi qualcosa si è incrinato. Qualcuno ha creduto che la crisi del Pd potesse arrivare fino ad accettare sul serio il nome di Rodotà come capo dello Stato all’indomani della bocciatura di Marini e Prodi. La tentazione c’è stata, ma poi ha prevalso l’istinto di sopravvivenza. Del resto, Grillo è l’autore dello slogan elettorale «Arrendetevi, siete circondati». Accettare Rodotà, unico nome imposto da Grillo a suon di voti, voleva dire in effetti per il Pd uscire con le mani in alto.
A quel punto, una volta decisa la convergenza delle grandi forze su Giorgio Napolitano, il buon senso avrebbe consigliato di ritirare Rodotà per rispetto al capo dello Stato in procinto di essere rieletto. Grillo avrebbe manifestato il suo dissenso votando scheda bianca, ma non ci sarebbe stato lo spettacolo penoso dei parlamentari che rimangono seduti al momento della proclamazione. E soprattutto si sarebbe evitata quella grave contrapposizione, del tutto forzata, fra il palazzo e la piazza. È capitato altre volte nella nostra storia che Montecitorio fosse assediato dalla folla, per esempio nel “radioso maggio” del 1915: ma fu la premessa di sviluppi molto negativi, come dovrebbero sapere anche nel M5S.

Grillo ha capito la pericolosità della deriva. Un aiuto a comprendere glielo ha dato proprio Rodotà, ricordandogli che «il dissenso si esprime nelle istituzioni» e che bisogna stare attenti all’uso di certi termini (tipo “colpo di Stato”, poi derubricato a “golpettino”: chiedere ai cileni ragguagli in merito). Sta di fatto che la giornata di ieri è trascorsa a rimediare alla meglio agli errori compiuti. Abbiamo visto un Grillo ansioso di non passare da incendiario. Infatti ha spento in parte i fuochi, addirittura rinunciando a sovraesporsi. Ma il suo vero timore è che la rielezione di Napolitano finisca per dare una frustata vitale al sistema decotto. Quell’insistere nel dire che «tanto il governo non durerà, tanto non c’è niente da fare», tradisce la paura del leader populista: che una presidenza forte sia in grado di ridurre alla ragione i partiti, obbligandoli a compiere i passi riformatori fin qui rifiutati. E questo sarebbe assai dannoso per il messaggio di Grillo. Il quale si è appunto accorto di aver perso, anche per i suoi sbagli, la battaglia che stava vincendo.

Il Sole 24 ore 23.04.13

"L'Italia che spende male le poche risorse che ha", di Giovanni Bardi

In Europa l’Italia è fra i paesi che spendono meno e peggio sulla scuola. Nell’ultimo decennio il Paese ha disinvestito quando non ha investito male, al punto da ritrovarci sempre fanalino di coda anche in fatto di apprendimento degli studenti a fine obbligo ai test dell’Ocse Pisa. È recente la notizia che l’Italia resta di gran lunga staccata dal resto d’Europa in fatto di investimento pubblico in istruzione.

Secondo l’Eurostat statistics in focus, che studia i trend strutturali delle politiche economiche dei governi europei nel finanziamento delle politiche sociali e di pubblico interesse, mentre sanità e stato sociale tengono. Anzi dal 2002 la spesa in questi settori aumenta di 4 punti percentuali sul totale delle uscite, mentre per l’istruzione siamo finiti al penultimo posto in Europa. Con una media dell’8,5% del totale della spesa pubblica contro una media Ue del 10,9%, peggio di noi fa solo la Grecia con il 7,9%. Mentre in Finlandia, paese in testa da più di dieci anni nelle classifiche Ocse Pisa sull’apprendimento in lettura, scienze e matematica, lo Stato impegna l’11,6% del totale della spesa per la collettività sulla scuola.

Se si va a vedere il dato di spesa pubblica in istruzione sul Pil, in Europa si spende (i dati sono riferiti 2009) circa il 5,4% sul totale della spesa pubblica in istruzione contro il 4,7% dell’Italia. La Finlandia, a riguardo, impegna 6.8 punti percentuali di spesa pubblica in istruzione sul Pil. Secondo le stime dell’Eurostat Yearbook 2012, dal 2003 al 2008 l’investimento pubblico in istruzione sul Pil è passato da 4.74 a 4.58, sebbene la spesa pubblica per studente sul Pil sia aumentata da 6.118 a 6.609. Questo andrebbe supposto soprattutto in ragione della necessità di coprire i maggiori costi dell’innalzamento dell’obbligo d’istruzione e della massificazione dell’istruzione secondaria superiore. Un passaggio che diventa un nodo gordiano. I soldi che infatti servono per garantire un banco, una sedia e un professore davanti agli studenti che non terminano più gli studi alla fine delle medie, da qualche altra parte devono essere nel frattempo usciti. Se si guarda alla media di spesa annuale per studente delle scuole statali rispetto all’Europa allargata a 27, si vede che l’Italia, nel 2003, spendeva più della media europea con 6.469 contro 5.074 euro dell’Ue, per poi calare tendenzialmente nel decennio ed impennarsi nel 2008 a 7.122 euro, tornando poi a calare nuovamente a 6.751 euro del 2009.

Il contrario avviene invece in Finlandia che sembra aver proceduto, in confronto, come fa la formica rispetto alla cicala. Mentre nel 2008 noi spendevamo più dei finlandesi, nel 2009 torniamo a investire di meno, continuando a perdere terreno anche nel 2010. Secondo Eurostat, in Finlandia spendevano 5.812 euro per studente nelle scuole pubbliche nel 2003 e arrivano a riservare 7.365 euro l’anno per studente, contro i nostri 6.698 del 2010. Insomma, i numeri parlano da soli.

da ItaliaOggi 23.04.13