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Debora Serracchiani «Vincere così è stato un miracolo, Grillo s’è fermato a Udine», di Toni Jop

«Dopo i fatti di Roma, ci voleva un miracolo»: Debora Serracchiani ha vinto, di un soffio, ma ha vinto e forse il miracolo di cui parla è proprio quel soffio che l’ha spinta oltre il candidato, e governatore uscente della destra. Non solo: ha vinto a dispetto della lapide che Grillo aveva deposto in questi giorni tempestando le piazze del Friuli Venezia Giulia di suoi show in cui ripeteva senza sosta «Questa sarà la prima regione governata dai Cinque Stelle». Sbagliato, qui l’onda che tutto travolge si è fermata. Anzi, è arretrata. Avevo sentito Debora nei giorni scorsi, mentre il Pd provvedeva a liquidare Marini e poi Prodi, ed era un funerale… Ammettiamolo: non hai gareggiato col favore delle stelle…
«Quali stelle, ero furibonda. Quando ho capito che il partito si stava accartocciando ho pensato che era davvero finita. Che gli esiti di quella incomprensibile partita romana si sarebbero riversati qui, dove un bel cartello di forze della sinistra si stava “conquistando” casa per casa, persuadendo i cittadini che eravamo, e siamo, gente seria, che sa quel che fa e che lo sa fare bene. Quelle notizie sono piovute su di noi come un colpo di maglio. Stavamo lavorando duramente, con umiltà, serenità, dedizione. Era successo qualche cosa che sulla carta avrebbe potuto (dovuto?) frantumare, rendere inutili quegli sforzi, quel lavoro».
E invece no. Non è andata così, hai vinto…
«Devo dire la verità, senza false modestie: questa volta, in queste particolarissime circostanze, se abbiamo portato a casa un così bel risultato lo dobbiamo alla squadra, al lavoro, e anche, perdonami, a me, a come mi sono comportata».
Vuoi dire che hai operato in solitudine, rispetto a Roma?
« Dico la verità, sì. Ho avuto spesso la sensazione di essere da sola, di non avere riferimenti a Roma. Il partito, il mio partito non mi è stato accanto in questi mesi. Dopo le politiche, più nulla. Sì, messaggi da qualche amico, da chi sapeva cosa si stava giocando qui e basta.
Risultato in controtendenza: non solo tu, ma tutti si attendevano che dopo i fallimenti a Camere riunite, qui sarebbe stato un disastro di proporzioni mai viste. Credi che il caso friulano possa essere un utile indicatore per il Pd a livello nazionale?
«Ci andrei cauta. Qualunque cosa accada a Roma, qui la politica ha un rapporto stretto con i cittadini. La scena, la piattaforma su cui si gioca la politica è diversa, è più materiale, concreta, fatta di bisogni stringenti e di proposte in grado, o meno, di affrontarli. Avevamo un buon programma, davvero, ha convinto, ma lo sapevamo. Infatti, prima di ingoiare quel rospo di cui abbiamo parlato, avevamo la sensazione di essere sostenuti da un buon vento, c’era entusiasmo tra noi, poi…».
Poi, hai privato Grillo di un sogno. La tua regione non sarà la prima a gestione Cinque Stelle…
«E si era ben impegnato, per questo. Dovevamo essere tutti morti, secondo lui. Ma, anche qui senza fare del sarcasmo e senza darsi delle arie che proprio non è il caso, ecco: Grillo si è fermato a Udine. A livello nazionale non so come evolverà la situazione, ma intanto qui non solo non è andato avanti, ma è tornato indietro».
Tra l’altro, non solo non capivi quello che maturava a Roma, ma ti ricordo decisamente critica rispetto a quel che stava succedendo nel ventre del Pd.
«Ero incazzatissima, altroché. Ma come: partito e, soprattutto, segretario conducono con coraggio una linea secondo cui mai avremmo governato, fatto accordi con Berlusconi, più che con la destra ed invece mi fanno sapere che al contrario si va all’elezione del Presidente della Repubblica assieme a Berlusconi. Che storia è questa? Ma chi ci segue in questo gomito? Che vuol dire, chi lo ha deciso?»
Così, in piena campagna elettorale ti sei trovata a fare i conti con un problema immenso ma distante, in solitudine.
«Sì. Ho chiamato a Roma, ho detto quello che pensavo, per quel che vale, ho provato a ragionare e a far ragionare, ma è servito a poco, come si è visto». Una vicenda ancora tutta da digerire, non è così?
«Sì, dobbiamo farlo assieme e presto. Io voglio sapere chi sono quei cento che hanno fucilato alle spalle Romano Prodi. Questo dato storico è un fatto politico di cui in molti abbiamo bisogno. Non si esce da questa storia senza chiarezza. Chi, come, perché. Qui non c’è da far melina, voglio, vogliamo sapere.
Quindi non pensi che si possa risolvere la questione con una semplice spiegazione.
«Nemmeno per sogno. Qui dobbiamo rifondare il partito, rifondare significa arrivare alle fondamenta di questa struttura che è essenziale per l’Italia e per la difesa della democrazia. Chi ha deciso che Rodotà non andava bene? Perché, nel caso, questo partito non avrebbe saputo appoggiare un candidato uscito dalla storia della sinistra? A cosa si stava lavorando sotto i banchi? Mi piacerebbe avere a disposizione la verità, senza verità non si rifonda nulla e mi pare di non essere sola, questa volta, a sostenerlo».
Verità e partecipazione…
«A proposito: nella vittoria un danno comunque esiste: il cinquanta per cento circa degli aventi diritto non hanno votato. L’astensione è stata un massacro. Non possiamo accettare questo dato, dobbiamo votarci a riconquistare il piacere dei cittadini a votare, a dire cosa vogliono e cosa no. Certo, siamo in qualche modo all’epilogo di una storia, dobbiamo avviarne un’altra, con coraggio, mettendoci la faccia, tornando a confrontarci con i cittadini. Dobbiamo tornare alla politica, conviene che tutti, nel Pd, se ne convincano».

L’Unità 23.04.13