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"Il Pd ritrovi il coraggio", di Guglielmo Epifani

Il Partito democratico vive un passaggio difficile, quanto mai prima. Innanzitutto per i suoi militanti, ed i suoi elettori. Si coglie un po’ ovunque delusione, disorientamento, e anche rabbia. Di fronte a questo quadro il primo dovere è quello di aprire sedi di confronto, di discussione in tutti i circoli e nei luoghi di aggregazione.

Dove questo è avvenuto in queste ore, i segnali dicono che il clima migliora, anche quando il dissenso resta. È inutile girarci attorno: pesa troppo la doppia sconfitta – del voto e del progetto politico del governo di cambiamento – capace di arrestare il decadimento economico, sociale e morale del Paese. E pesa il modo con cui, votazione dopo votazione, ci siamo resi inaffidabili, intanto verso noi stessi, dividendoci ed esponendo Franco Marini e Romano Prodi a un risultato del quale dobbiamo solo vergognarci.

L’elezione di Giorgio Napolitano consente finalmente di mettere al riparo le istituzioni, di rassicurare il Paese stretto dentro paure profonde e di evitare una lacerazione più profonda tra Paese e Parlamento. Una parte del popolo democratico ritrova, almeno alla fine, un senso. E la parte maggioritaria dei cittadini si riconosce nell’altissimo profilo del discorso presidenziale. Il Pd arriva alle giornate cruciali che ha di fronte sfiancato, diviso, con il segretario ed il presidente dimissionari insieme con la segreteria. Un atto inevitabile che è il riconoscimento di una responsabilità, che non deve essere caricata solo su chi per ruolo ne ha di più ma non può averla tutta. Il Pd si trova soprattutto a dover decidere in maniera chiara tra due sole alternative: dare la fiducia al governo che si andrà componendo sotto la regia istituzionale del presidente della Repubblica o sottrarvisi aprendo a un voto anticipato. Quest’ultima scelta aprirebbe sicuramente praterie per la destra e per il movimento di Grillo e annienterebbe qualsiasi prospettiva di una grande forza riformista e democratica. Senza contare la rottura che aprirebbe con il capo dello Stato che abbiamo voluto.

La Direzione del Pd è chiamata a scegliere e a dare i mandati conseguenti alla delegazione che avrà il compito di discutere nella sede più alta durante le consultazioni. La stessa Direzione, che potrebbe essere riunita in sessione permanente, dovrà accompagnare il percorso della formazione del governo e dare il giudizio finale. Per le considerazioni fatte, se il mandato fosse come io ritengo favorevole al governo, andrebbe evitata ogni forma di presunzione. E le richieste andrebbero circoscritte a due punti: l’alto profilo del governo e la priorità alla questione sociale ed economica nel programma, partendo dai punti che il presidente Napolitano ha messo al primo posto, cioè il lavoro e il Mezzogiorno.

Fatto il governo, si deve poi aprire il cantiere del congresso. Una fase di confronto e di discussione coraggiosa perché siamo in un momento nel quale ci vuole altro rispetto a una semplice manutenzione dell’esistente. Serve, invece, una vera e propria rigenerazione, un nuovo inizio. Bisogna ricreare le ragioni razionali e sentimentali che oggi sembrano cancellate e ritrovare il senso della funzione e del destino di un moderno partito riformista. Questa riflessione va fatta insieme al popolo democratico: ridefinendo come si sta assieme, come si decide, quando si deve decidere a maggioranza e come si discute.

Recuperando una identità più forte e nitida, che metta in grado il Pd di scegliere assumendosi responsabilità e avendo coraggio. C’è bisogno di un senso diffuso di dovere e di servizio, sia da parte dei più anziani sia da parte dei più giovani. Come ha detto oggi Napolitano, nessuna auto indulgenza.

Il passaggio è stretto e difficile per il futuro dei democratici. C’è in agguato il rischio della divisione, anche se le lezioni della storia stanno lì a dire che quando ci si separa si è tutti più deboli, nessuno escluso. Se anche l’unico partito non personale italiano andasse disperso, il risultato sarebbe il ritorno indietro di tutto il sistema politico. E questo ci allontanerebbe dall’Europa. Per questo una vecchia regola dice che quando hai una sola strada davanti è meglio affrontarla con forza piuttosto che temerla. Per quanto difficile questa è la partita che dobbiamo giocare sino in fondo.

L’Unità 23.04.13