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Bersani: resto in campo. Grillo: «Saggi "badanti"», di Simone Collini

Messaggio numero uno: la proposta resta quella del governo di cambiamento e della convenzione per le riforme istituzionali. Messaggio numero due: gruppi di lavoro e nomi dei loro membri sono scelte assolutamente autonome del Quirinale. Pier Luigi Bersani ha seguito da Piacenza le ultime mosse di Giorgio Napolitano. Il leader del Pd è stato avvisato direttamente dal Capo dello Stato della decisione che di lì a poco sarebbe stata comunicata ai giornalisti nella Sala della vetrata e del perché, nonostante l’avesse messa effettivamente in conto, l’ipotesi delle dimissioni è stata prontamente accantonata (tra gli altri, Napolitano ha sentito anche il presidente della Bce Mario Draghi e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che hanno sottolineato i rischi a cui sarebbe andata incontro l’Italia, anche dal punto di vista della speculazione internazionale, senza un governo e un Capo dello Stato). E anche dopo l’annuncio da parte del Presidente della Repubblica dei «due gruppi ristretti» che ora dovranno lavorare a riforme istituzionali e di carattere europeo, economico e sociale, i due sono tornati a parlarsi.

Dopodiché, Bersani ha fatto diffondere una nota, questa: «In un passaggio molto difficile il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha scelto di dare all’Italia e al mondo un segnale di stabilità e di continuità delle nostre Istituzioni. Per quello che sta a noi, siamo pronti ad accompagnare responsabilmente il percorso che il Capo dello Stato ha indicato». Però la nota contiene anche una seconda parte, breve quanto importante per capire qual è la strategia che il leader del Pd intende seguire nelle prossime settimane, questa: «Un governo di cambiamento e una convenzione per le riforme restano per noi l’asse sul quale ricercare il contributo più largo delle forze parlamentari».
Il passaggio rende anche più chiara una precisazione su cui Bersani, parlando con gli interlocutori che lo hanno cercato ieri dopo l’annuncio di Napolitano, ha insistito. E cioè che per quel che riguarda la decisione dei «due gruppi ristretti» di lavoro e anche la scelta dei loro membri, compresi quelli di provenienza Pd, egli non ha avuto alcun ruolo. Sono scelte assolutamente autonome del Quirinale, è stato il messaggio recapitato dal segretario democratico.

SI GUARDA AD APRILE
Bersani infatti non pensa, come qualcuno fuori ma anche dentro il Pd vorrebbe, che questi due gruppi di lavoro (a ben guardare composti da quattro personalità riconducibili all’area del centrosinistra, quattro del centrodestra e due montiani) possano preparare il terreno per la nascita di un governo di larghe intese. Ed è invece convinto che al termine di questo percorso, che avrà una tappa fondamentale nella seconda metà di aprile nell’elezione del prossimo Capo dello Stato, saranno in campo ulteriori elementi per sostenere la nascita del «governo di cambiamento», da far camminare di pari passo a un confronto più ampio possibile sulle riforme istituzionali. Insomma la linea con cui Bersani ha tentato di andare alla prova della fiducia in Parlamento, senza riuscirci per le «preclusioni» del Movimento 5 Stelle e per quello che nel Pd viene definito «il ricatto di Berlusconi sul Quirinale». Il ragionamento per il futuro quindi è questo: dopo l’elezione del successore di Napolitano, che superata la terza votazione il centrosinistra con i suoi 345 deputati, 123 senatori e la trentina di delegati regionali di area può eleggere insieme soltanto ai montiani o ai Cinquestelle, quel ricatto verrebbe meno e il quadro sarà totalmente diverso. E il Pd potrebbe tornare a chiedere la guida del governo.

Bisognerà però vedere se nelle prossime settimane tutto il partito seguirà Bersani sulla linea del «governo di cambiamento» e il confronto con il Pdl relegato al solo tema delle riforme istituzionali. Dopo Pasqua verrà convocata una Direzione per discutere le novità e per decidere come muovere i prossimi passi. Ed è assai probabile che tensioni finora sopite in quel passaggio vengano allo scoperto. Già ora qualche parlamentare renziano inizia a criticare la linea seguita dal segretario e a chiedere di aprire al governo di scopo, anche se sostenuto insieme al Pdl. E nel fronte bersaniano si guarda con attenzione alle mosse di Enrico Letta e Dario Franceschini, che nei giorni scorsi hanno parlato con Matteo Renzi. Paolo Gentiloni, che nei giorni scorsi aveva promesso «lealtà» nei confronti del tentativo di Bersani aggiungendo che in caso di fallimento non poteva essere il voto l’unica alternativa, dice ora che «all’interesse generale dobbiamo subordinare le posizioni di parte» e che «si tratta di lavorare nei prossimi giorni per individuare i punti essenziali di una possibile soluzione di governo». E il deputato Pd Angelo Rughetti, renziano doc, spiega che i gruppi di lavoro possono ora «confrontarsi sui temi prioritari nell’interesse del Paese entrando nel merito delle questioni più urgenti», aggiungendo che «dopo questa fase che non può che essere transitoria, il passaggio successivo che si presenterà al nuovo Capo dello Stato sarà scegliere fra elezioni a giugno o stabilizzare i gruppi di lavoro in un nuovo governo». Dei due organismi, che si riuniscono la prima volta martedì, fanno parte parlamentari e personalità appartenenti o riconducibili a Pd, Pdl e Scelta civica. E già in questi giorni tra i democratici si accenderà la discussione, forse anche più sui temi di merito, sulla natura e soprattutto sulle prospettive di questi due gruppi di lavoro.

da www.unita.it

"Donne e manager. La leva dell’economia", di Antonella Anselmo

Può “misurarsi” lo stato di salute di una democrazia? Con le donne è possibile. Una maggiore presenza di donne nei luoghi decisionali della politica e dell’economia rende più vicino l’obiettivo della parità democratica, intesa come eguale distribuzione dei poteri tra donne e uomini. La conferma è data dall’attuale configurazione del Parlamento e delle Giunte Regionali della Lombardia e del Lazio nonché dal processo di rinnovo dei Consigli di amministrazione delle società quotate e di quelle in mano pubblica. E che su questo tema anche i numeri contino lo scriveva nel 1988 Drude Dahlerup fondando la teoria della massa critica: occorre una data soglia numerica entro gli organismi politici ed economici affinchè la componente femminile possa incidere sui processi decisionali e contribuire ad una rappresentanza, come donne e per le donne, in senso sostanziale. Ovviamente la Dahlerup pensava a donne consapevoli, competenti e soprattutto indipendenti: in altre parole pensava all’empowerment. Alla Conferenza Mondiale ONU tenutasi a Pechino nel 1995 la massa critica e le azioni positive, intese come misure specifiche di promozione e sostegno, vengono individuate come strategie verso la parità democratica e l’eguaglianza di genere, modello di riforme in tutto il mondo. La consapevolezza, a quel punto, è che bisogna superare le barriere costituite da reti informali e da strutture plurimillenarie di dominio maschile che impediscono alle donne di partecipare alla pari alla vita economica, politica e sociale. La prospettiva allora non può che essere trasversale e di sistema. L’Europa, che soffre di un certo complesso di democraticità nella propria governance, sancisce tali principi inserendoli nella Carta dei Diritti Fondamentali e attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia individua nella presenza di un genere al di sotto del 50% un problema di sottorappresentanza. All’interno delle Istituzioni Europee si avvia negli ultimi anni un convinto processo di riequilibrio anche nelle posizioni strategiche.
In Italia, nel 2003 le riforme degli artt. 51 e 117 della Costituzione rendono legittime le azioni positive, accelerando il processo di democratizzazione nei settori pubblici e privati. Varie sono le strategie per il riequilibrio, a seconda degli ambiti di intervento. Tra queste, il meccanismo elettorale della doppia preferenza di genere, che nasce dall’ esperienza della legislazione regionale campana, con il via libera della Consulta, fino a confluire nella recente legge 215/2012 sull’elezione dei consigli comunali. Le prossime elezioni amministrative saranno il primo banco di prova della riforma: elettori ed elettrici potranno dare una seconda preferenza per un candidato dell‘altro sesso. La libertà di voto è garantita e le donne candidate avranno più chances di essere elette. Si dovrà però vigilare sulla corretta applicazione della par condicio di genere in campagna elettorale. La norma c’è, i monitoraggi e la cultura meno: lo si è visto nel corso delle scorse elezioni politiche. Rai e AGCOM vigilino, dunque. Altra storia è quella delle Giunte: i giudici hanno chiarito l’obbligatorietà e l’effettività della parità democratica e molte sono state le giunte regionali e comunali azzerate per assenza o scarsa presenza di donne, non da ultimo quella di Roma Capitale. Con numeri esigui di rappresentanza femminile, Sindaci e Presidenti di Regione debbono dimostrare di aver rispettato le pari opportunità nelle candidature e la trasparenza nella selezione. Ed il recente suggerimento del Tar Lazio, che con la sentenza 633/2013 si allinea agli standards europei, è di attenersi, almeno in via indicativa, intorno alla soglia del 40%, per garantire la massa critica e avvicinarsi il più possibile alla parità. Di “quote di genere” si tratta invece nel caso della composizione delle Commissioni di concorso pubblico: almeno un terzo dei componenti deve essere costituito da donne, e dei Consigli di amministrazione societari. In applicazione della legge n. 120/2011, più nota come legge Golfo Mosca, le società costituite in Italia quotate in borsa e quelle non quotate ma controllate da pubbliche amministrazioni dovranno prevedere nei propri statuti che la nomina entro i consigli di amministrazione e gli organi di controllo garantisca la presenza di almeno un terzo del genere meno rappresentato. Il criterio si applica gradatamente nel tempo (dal 20% al 33%) e solo per tre mandati consecutivi. Azione positiva e temporanea dunque, fino al naturale riequilibrio che si stima arriverà nel 2020. Monitoraggio e vigilanza spettano alla Consob, per le quotate, e al Dipartimento delle Pari Opportunità per le società a controllo pubblico. Il rischio più grave, in caso di mancato rispetto delle quote, è di veder decaduti gli organi.
Qual è allora il primo bilancio? Gli studi di genere in campo politico ed economico testimoniano una minore propensione al rischio e alla corruzione da parte delle donne e più collegialità e precisione nel metodo di lavoro. Al di là delle facili semplificazioni, certamente le donne nei luoghi strategici delle scelte politiche ed economiche, selezionate con criteri meritocratici e trasparenti porteranno il doppio sguardo, nuove sensibilità, valori e professionalità. Un contributo ad una rappresentanza più compiuta e democratica. I numeri contano, dunque, ma non solo.

Antonella Anselmo

Comitato Se Non Ora Quando

L’Unità 31.03.13

"Dipartimenti in chiusura", di Daniela Marcheschi

C’è un nuovo spettro che si aggira per l’Europa, carico di nubi per lo studio della letteratura italiana e per la stessa consapevolezza culturale delle future generazioni. È la chiusura di varie cattedre d’Italianistica nelle università straniere o la loro riduzione e il pericolo di accorpamenti meno funzionali alla ricerca e all’insegnamento. Rinnegando il valore espressivo e anche conoscitivo della letteratura, nei fatti sono messi a rischio la coscienza stessa della molteplicità delle tradizioni, che hanno contribuito a formare l’Europa, e l’attivo ruolo storico che l’Italia vi ha svolto: nel definirne la cultura e nel pensare fin dall’Ottocento la creazione di quell’Europa democratica, di cui tanto oggi si parla. Una parte cospicua di ragioni dell’attuale crisi è nella riduttiva visione dell’Europa come potenza economica a cui si è però restii a dare un governo centrale e condiviso. Ciò minaccia di rompere una comunità europea che appare sempre più strumentale, in cui la logica ragionieristica e aziendale dei vari governi prenderà inevitabilmente il posto di un effettivo sviluppo culturale ed economico unitari, pensati in maniera profonda e lungimirante.
Tre nudi fatti, però, e solo dei più eclatanti, perché in Paesi tradizionalmente amici dell’Italia: 1) In Francia, Poitiers sta chiudendo, su Nantes corrono voci poco incoraggianti, e anche a Tours è a rischio l’Italianistica, l’unica tra Bordeaux e Parigi. La Touraine e la valle della Loira hanno una forte impronta italiana in campo pittorico e architettonico; e a Tours sono alcune équipes de recherche di nome: una nel campo delle letterature moderne e contemporanee (c’è un diploma binazionale di Master-Laurea Magistrale in Studi Italiani con Perugia); l’altra nel settore degli studi sul Rinascimento (Centre d’Etudes Supérieures de la Renaissance). La politica neo-aziendale voluta dal governo Sarkozy fa prevalere redditività, risparmio cieco, autoritarismo; ma anche il tornaconto, dato che la presidenza delle università può servire per diventare sindaco. 2) In Grecia, dove l’insegnamento della lingua italiana è sempre più ridotto nelle scuole pubbliche, per Atene e Salonicco si ventila d’accorpare quattro/cinque dipartimenti in un unico Dipartimento di Lingue Straniere e Filologia. Qui si potranno studiare Inglese, Francese, Tedesco, Spagnolo e Italiano: ridotte a poco o nulla la letteratura e tutte quelle materie culturali da sempre capaci d’alimentare interdisciplinarità e dialogo interculturale. 3) In Svezia, a Göteborg, dove andò a morire Karin Boye innamorata della cultura classica, è sospesa o chiusa una cattedra di Italianistica a lungo punto di riferimento per tutti gli amanti della nostra lingua e letteratura: svedesi e italiani, figli degli operai emigrati in quel paese nel secondo dopoguerra. Oltre a quelli detti all’inizio, ci sono però anche altri motivi per la situazione precaria in cui sono diverse cattedre di Letteratura e cultura italiana all’estero. Nonostante tutto, è certa Italia colta (non solo politica, fra assenteismo e altro) ad abbandonare in primis l’Europa e l’alta cultura. Ad esempio per il Programma Cultura dell’Eacea (Traduzione letteraria), lo scorso anno solo tre progetti italiani sono giunti alla selezione finale, per non reggere poi il confronto con cinquecento finalisti di tutti i Paesi europei. Si offrivano cospicui finanziamenti anche alle traduzioni dal latino: nessun progetto dall’Italia, e sì che la riscossa moderna della lingua di Roma è partita proprio da Petrarca e dai nostri umanisti. Il ripiegamento provinciale di ceti intellettuali e dirigenti, più interessati ai piccoli poteri che a costruire la tradizione come ciò che riguarda il futuro e dà un orizzonte nuovo pure al passato, si unisce alla crisi di sistema del l’Italianistica. Questa vanta eccellenze indubbie, ma vizi clientelari e pregiudizi impediscono troppe volte di stimolare l’innovazione teoretica e sostenere esperienze aperte alla complessità interdisciplinare. Fanno il resto debolezze simili, accordi di scambio culturale gestiti a volte con sufficienza (lamentano i docenti di alcune università brasiliane, ad esempio), scarsi investimenti e interventi legislativi ad hoc per diffondere la cultura italiana e il suo patrimonio nel mondo. Eppure quello che “gli altri” chiedono con insistenza all’Italia è di esserne custodi e interpreti all’altezza. Basti del resto la casualità del concorso (e di qualche santo in Paradiso?) con cui si diventa direttore degli istituti italiani di cultura all’estero. Dovrebbe esservi invece una preselezione per accertare l’idoneità a poter accedere a corsi strutturati di formazione dei direttori. Quanto in passato è talora accaduto a Stoccolma, per la consegna del Premio Nobel, è esemplare in negativo: ha leso l’immagine dell’Italia e alcuni nostri autori più che rafforzarne la candidatura. Infine nelle nostre università, talvolta per difetto di leggi, talaltra per carenza di fondi o indifferenza, non si possono né svolgere sempre buoni programmi né si tengono corsi d’aggiornamento adeguati per gli italianisti stranieri. Anche in questo caso tutto sembra affidato più alla iniziativa di singoli docenti che a un avvertito sguardo d’insieme sull’Italianistica e sui suoi valori. Quanti saprebbero persuadere, dire perché essa valga la pena di essere insegnata e studiata con passione?

il Sole 24 Ore 31.03.13

Tutte le novità per il riconoscimento del danno e i contributi alle imprese danneggiate

Le imprese colpite dal sisma del maggio scorso potranno presentare contestualmente alla domanda per la riparazione dei danni subìti sia la richiesta di un anticipo fino al 20% dell’importo totale (dietro presentazione di una fidejussione bancaria) sia un documento che attesti un primo stato di avanzamento dei lavori già avviati da liquidare.

Sono due delle principali novità contenute nell’ordinanza numero 42 del 29 marzo 2013 firmata dal commissario delegato alla ricostruzione, Vasco Errani.

Il nuovo atto introduce alcune modifiche già presentate alle parti sociali e agli ordini professionali per migliorare e accelerare l’iter per la presentazione delle domande di erogazione dei contributi in particolare per la riparazione, il ripristino, la ricostruzione di immobili ad uso produttivo e per la riparazione e il riacquisto di beni mobili strumentali alle attività produttive in relazione agli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012.

Tra le altre novità: la possibilità di chiedere un parere preventivo sulla congruità dei costi se l’intervento necessario non è espressamente descritto nelle tabelle dei costi convenzionali che definiscono le tipologie di danneggiamento per cui si può chiedere il contributo. In questo caso, saranno il nucleo di valutazione e il comitato tecnico-scientifico regionale, vista la documentazione trasmessa e l’eventuale sopralluogo effettuato, a dare (entro il termine massimo di 30 giorni) il via libera alla possibilità di presentare la domanda secondo le modalità accordate.

L’ordinanza 42 prevede, infine, l’ampliamento dei costi ammissibili a contributo (con l’inserimento anche dei costi di smaltimento delle scorte o dei beni strumentali danneggiati nonché delle spese di energia elettrica, acqua e gas per la ricostituzione delle scorte stesse) e definisce i termini massimi per la liquidazione dei contributi alle imprese che presentano gli stati di avanzamento lavori o i saldi finali (tra i 45 e i 60 giorni).

http://www.regione.emilia-romagna.it/terremoto/notizie/attualita/tutte-le-novita-per-il-riconoscimento-del-danno-e-i-contributi-alle-imprese-danneggiate

"Dai crediti-imprese al rinvio della Tares pronti i decreti per frenare la recessione", di Roberto Petrini

Scatta la fase di emergenza anticrisi. Dopo il via libera di Napolitano all’esecutivo Monti per varare «provvedimenti urgenti sull’economia» di intesa con l’Europa e con il «controllo essenziale del nuovo Parlamento », si attende per la prossima settimana un nutrito pacchetto di decreti leggi: lo sblocco dei 40 miliardi dei debiti che lo Stato deve alle imprese; l’allentamento del patto di stabilità dei Comuni; un provvedimento per sbloccare i fondi strutturali europei cofinanziati dallo Stato italiano per 6-8 miliardi.
In lista d’attesa anche la proroga della nuova tariffa sui rifiuti Tares che dovrebbe scattare da luglio e della quale da più parti si chiede il rinvio al prossimo anno, oltre al salvataggio di altri 10 mila lavoratori esodati rimasti senza pensione e senza lavoro dopo la riforma Fornero, un provvedimento che arriverebbe in applicazione della legge di stabilità del 2013. Il timing istituzionale prevede di fatto una proroga del governo Monti e si basa sull’ “architettura” creata dai presidenti delle Camere Boldrini e Grasso. Ad accogliere i provvedimenti del governo in Parlamento ci saranno infatti due commissioni speciali: quella della Camera presieduta dal leghista Giorgetti (il vice è Pier
Paolo Baretta del Pd) alla quale ha fatto esplicito riferimento il Capo dello Stato nel suo intervento e che è composta da 40 deputati, e quella del Senato della quale fanno parte 27 parlamentari. I provvedimenti arriveranno con tutta probabilità alla Camera: martedì subito dopo Pasqua la Commissione speciale ha in calendario l’approvazione della risoluzione che aggiorna il Def documento di economia e finanza, cioè, i saldi di contabilità pubblica di quest’anno. La modifica, che porterà il rapporto tra deficit e Pil al 2,9 per cento, farà spazio per maggiori spese. In particolare lo 0,5 per cento del Pil sarà destinato all’operazione che apre la strada al pagamento dei crediti vantati dalle imprese. Sarà questo uno dei provvedimenti centrali dell’intero pacchetto: le imprese, come è noto, vantano crediti per 70 miliardi da parte dello Stato (anche se
Bankitalia nei giorni scorsi ha calcolato che i crediti complessivi valgono addirittura 90 miliardi). Il governo Monti nei giorni scorsi ha avviato la procedura di sblocco dei pagamenti con l’invio al Parlamento della relazione di aggiornamento al Def: si tratterà di 20 miliardi per il 2013 e di altrettanti per l’anno prossimo.
Molti dei debiti della pubblica amministrazione sono in capo ai Comuni che tuttavia, anche nel caso avessero risorse a disposizione non possono pagare perché rischiano di incappare nei limiti alle spese posti dal cosiddetto patto di stabilità interno per questo motivo uno dei provvedimenti cui sta lavorano il governo e che dovrebbe essere varato la prossima settimana, riguarda proprio l’allentamento
dei vincoli imposti ai Comuni. L’altro asso nella manica del governo Monti in prorogatio è quello dei fondi strutturali partita giocata durante l’ultimo anno con particolare destrezza dal ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca. Come è noto i fondi europei destinati ai Paesi membri devono essere cofinanziati: da quest’anno il cofinanziamento non è più il classico uno a uno ma per un euro erogato dall’Europa è sufficiente che l’Italia metta sul piatto 75 centesimi: 3 miliardi sono già stati varati e ora si è a caccia di altri 3,5 miliardi che permetterebbero investimenti per 6-8 miliardi. Infine il provvedimento che riguarda la Tares, la nuova tassa sui rifiuti. Come è noto tra giugno e luglio si profila una stangata fiscale senza precedenti: in calendario ci sono anche la prima rata dell’Imu, l’acconto dell’Irpef e l’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento, un ingorgo fiscale che è stato oggetto delle critiche di Cgil Cisl e Uil. In particolare contro la Tares si sono espressi i parlamentati del Pd che hanno chiesto un rinvio al prossimo anno in attesa di una modifica della struttura del nuovo balzello. Priorità del governo sarà quella di prorogare l’avvio della Tares almeno al prossimo anno.

La Repubblica 31.03.13

"America, provincia estrema assediata dalla violenza che entra in casa dalla Tv

Sono ospite in una casa del 1747 tutta in legno, con tante scale, i letti altissimi da terra, i mobili panciuti, i ritratti di illustri accademici appesi alle pareti foderate di carta colorata, tappeti, specchi, ninnoli, tende ricamate. Sembra di abitare in un museo antropologico.
Il lavoro dei campi è ormai meccanizzato e la tecnologia si rinnova in continuazione assorbendo sempre piu energia e cacciando via sempre più manodopera. Salvo gli Amish che ogni tanto si incontrano per le strade con i loro carretti, i loro pantaloni alla zuava, le loro gonne lunghe, le cuffie bianche in testa, i loro cavalli da tiro. I prodotti che portano in città sono molto apprezzati perché gli Amish non adoperano pesticidi e ogni vegetale ha un sapore antico. Sono anche amati dai negozianti perché, non usando carte di credito né assegni, hanno l’abitudine di pagare tutto in contanti. Non sono poveri. Guadagnano bene coi loro prodotti di artigianato e spesso si comprano terreni e case. Presentandosi al venditore con borsellini gonfi di dollari.
Passeggio su strade vuote improvvisamente illuminate da scintillanti bar d’angolo dalle ampie vetrate illuminate e mi sembra di fare capolino in un quadro di Hopper. C’è qualcosa di misterioso e di sospeso in questi paesaggi urbani che stanno a metà fra l’estrema meccanizzazione e un cocciuto attaccamento alla memoria della conquista. Da qui la passione diffusa per le armi. A volte questi americani della provincia sembrano ritenersi ancora fermi in quel tempo eroico in cui ogni giorno si conquistavano lembi di territorio selvaggio, alle prese con bestie feroci, indiani dalle frecce avvelenate, torrenti in piena, montagne dalle rocce aguzze e inospitali.
Ogni tanto la strada viene attraversata da un cervo pensoso e sognante. Sono bellissimi a guardarsi. Ma ce ne sono troppi, dicono, e c’è chi vuole sterminarli. Anche perché li accusano di avere introdotto una speciale minuscola zecca che ha la capacità di arrampicarsi su per le gambe dei passanti portando una grave malattia chiamata lime disease.
L’insofferenza per l’industria del cibo che produce troppi sprechi e causa malattia e obesità sta sviluppando una estesa catena di imprese ecologiche che si diffondono rapidamente per tutti gli Stati Uniti. Ma fin a che punto si può invertire la rotta? Quasi schizofrenico appare il rapporto fra i media che rovesciano ogni giorno nelle case degli americani montagne di immagini di guerre sanguinose, di sparatorie, di omicidi, di incidenti, di stupri, di violenze di ogni genere e la calma sospesa di questi campus dove le case, anche le più ricche, non sono mai circondate da fili spinati, dove le finestre si aprono su giardini fioriti, senza grate, senza persiane.
Le televisioni, anche quelle più serie, come la Cnn, raccontano in continuazione storie di sesso e di sangue. Una delle più seguite, in questi giorni, riguarda una ragazza, Jodi Arias, che ha ucciso a coltellate il suo fidanzato e dice di non ricordare assolutamente niente di quello che è successo, pur confessando il delitto. Ogni sera giornalisti diversi si alternano per spiegare, giudicare, analizzare la storia. La redazione intanto mette in mostra i corpi nudi dei due fidanzati che si fotografavano a vicenda. Vengono interrogati psichiatri, medici, opinionisti per spiegare come mai una ragazza bella, serena, appagata, abbia sentito il bisogno di accoltellare il suo amato, finendolo poi con un colpo di pistola alla nuca, come se volesse assicurarsi che fosse veramente morto. Jodi Arias, dai lunghi capelli bruni che circondano una faccia atona e dolce, sostiene che lui la costringeva a fare sesso in modi perversi. «Ma tu ci stavi!», le grida l’avvocato accusatore. E lei risponde che sì, lo amava, ma era esasperata da quelle richieste, sempre più estreme e avvilenti. La ragazza piange e una giornalista si accanisce puntandole addosso il dito: «Ma piangevi forse mentre gli cacciavi il coltello nel petto? Piangevi quando gli sparavi alla testa?». La ragazza singhiozza. La giornalista la chiama pubblicamente «mostro».
Strano che invece, per il caso Pistorius, che ha occupato le serate di molte televisioni per oltre due settimane, fino alla sua liberazione su cauzione, non ci sia stato lo stesso accanimento. I giornalisti hanno dimostrato molto più rispetto e simpatia per il giovane atleta sudafricano che ha ucciso la fidanzata e poi si è giustificato dicendo che l’aveva presa per un ladro. Le ha sparato al di là di una porta, senza sapere se veramente fosse un ladro, senza chiedersi da dove fosse entrato visto che la casa era vigilata da agenti in armi e cani feroci. Inoltre, quando ha sparato il primo colpo, non ha sentito la ragazza che urlava al di là della porta? Ma gli eroi sono eroi, e il giovanotto che già un’altra volta è stato fermato con armi in pugno e accusato di avere minacciato un rivale, è stato lasciato libero di tornarsene a casa.
Dovendo fare un breve confronto fra le nostre televisioni e quelle americane, direi che le nostre sono molto più offensive per quanto riguarda la reificazione del corpo femminile. Gli americani da questo punto di vista sono piu sobri. Ma per quanto riguarda la violenza, certamente ci battono. Sparatorie, sangue, ferite, rantoli, non si finisce mai di rappresentare l’odio e la vendetta compiuta attraverso le armi. Mi chiedo se questo quotidiano racconto di morte non sia, oltre a un modo per esorcizzarla, anche un incentivo sotterraneo a farsi giustizia da soli, a vedere in ogni vicino un insidioso vampiro.
Gli italiani in queste parti del grande Paese sono tantissimi. Ci sono intere comunità di abruzzesi a Boston e spesso gli anziani non parlano che il dialetto dei loro villaggi. Raro il caso di persone come Elvira Di Fabio che, nonostante le difficoltà dell’adattamento, ha imposto a tutta la famiglia l’italiano, l’ha insegnato per anni all’università di Harvard e e oggi lo pretende anche dai nipotini. In generale la fatica per integrarsi è stata tale che, chi ce la faceva, costringeva i figli a parlare solo l’inglese. Ma i figli dei figli cominciano a mostrare curiosità per le radici comuni e sono felici di imparare l’italiano. Da qui la nascita di nuove scuole private e pubbliche dove si insegna la nostra lingua. Nonostante i tagli e le nuove ristrettezze, persone come Graziella Parati, come Tania Convertini, come Catherine Sama, come Anne Boylan, come Giovanna Lerner, come Maria Cappello e come Gian Maria Annovi che insegna a Denver e sembra il fratello dei suoi studenti tanto è giovane e americanizzato, portano avanti lo studio dell’italiano con tempi e ritmi nuovi, consapevoli di tutte le contraddizioni delle attuali convivenze linguistiche. Questi non sono figli di emigranti con la valigia di cartone, ma emigranti essi stessi, con la laurea in tasca, fuggiti dall’Italia per mancanza di lavoro e di prospettive.
Ma eccoci alla giornata delle donne. Che viene festeggiata all’università di Rhode Island con incontri e discussioni in mezzo a un mare di studenti, sotto lo sguardo bonario della vivacissima decana, Winnie Brownell. Un panel organizzato dall’efficiente e appassionato Michelangelo La luna, raduna donne di diversi continenti: Cina, Italia, Corea, Romania, Messico, Stati Uniti. Senza peli sulla lingua le giovani donne raccontano i guai che subiscono le donne in varie parti del mondo. Come quei milioni di aborti di feti femminili, ragiona Ping Xu, che hanno creato uno scompenso grave fra il mondo degli uomini e quello delle donne, scompenso che viene controbilanciato da un largo uso di prostituzione e materiale pornografico. O indagano, come fa Jody Lisberger, sui muri invisibili che separano ancora oggi negli Stati Uniti le donne dal mondo delle grandi decisioni. O riferiscono (Jeanne Salomon), delle difficoltà che abitano una società basata soprattutto su una competizione feroce. O imputano molte delle pene femminili (Tommasina Gabriele) ai contraddittori rapporti fra madri e figlie. O studiano (Anna Cafaro) le spine del relativismo culturale. O rivelano (Donna Hughes) gli orrori della «Modern slavery», ovvero il commercio internazionale di corpi femminili, che pare raggiunga la terribile cifra di 27 milioni in tutto il mondo. E di queste una buona metà è costituita da minorenni. O narrano, come fa Mary Cappello, con uno stile fantasioso e lirico, dei linguaggi dimenticati che hanno attraversato il mondo delle donne.
Il mio viaggio finisce col ritorno a Boston da una Denver irta di meravigliose rocce rosse in mezzo all’altipiano del Colorado. A Cambridge, nella grande sala dell’American Academy of Arts and Sciences si festeggia la memoria di Rita Levi Montalcini. Ci sono le autorità: il console Pastorelli, i grandi professori di Harvard, ci sono le studentesche incuriosite, ci sono le bandiere, quella italiana e quella americana che si intrecciano addosso alla parete. Fuori si segnalano cinque gradi sotto lo zero. La neve si sta ghiacciando. Dentro, il riscaldamento è anche eccessivo. È bello poter parlare della nostra grande scienziata in mezzo a tanti studenti. Per una volta non ci saranno domande sulla presunta nipote di Mubarak, sulla vendita dei senatori, sul basso livello della nostra classe politica.
Gli ex studenti di Rita, il professor Emilio Bizzi, del Mit e il professor Elio Raviola della Harvard Medical School, nonché un suo lontano nipote americano, George Sacerdote, la ricordano come una «donna severa ma gentile, pronta a qualsiasi sacrificio pur di portare avanti i suoi esperimenti». Una donna che andava in giro con i topolini in tasca, divisa fra la tenerezza e il rigore degli studi. Una donna che è stata perseguitata dal fascismo, ma non si è chiusa nel suo guscio. Ha partecipato come medico alla liberazione del Paese, assieme agli alleati. Ha studiato con generosità e accanimento il cervello umano. Ha attraversato un intero secolo, senza mai perdere di lucidità e di impegno.
Forse non ci rendiamo conto che la nostra credibilità all’estero non consiste solo nel livello di indebitamento pubblico, ma soprattutto nella capacità di proporre all’attenzione dei giovani persone come Rita Levi Montalcini, che rivelano una Italia seria, creativa, instancabile e dalla schiena dritta.

dal corriere.it

I ragazzi di CM: “Insieme per portare la musica classica nel futuro”, di Maria Serena Natale

Pubblichiamo la storia di Ernesto, Federica, Fabio e Pasquale, quattro ragazzi che hanno unito amore per la classica, amicizia e tecnologie inventandosi un modo nuovo di fare musica e stare insieme: un social network rivolto a professionisti e appassionati per trovare l’accordo mancante tra note e byte – e mettere in circolo attraverso la Rete quella linfa vitale che si chiama passione.

Ecco la loro testimonianza, raccolta da Valentina Marchioni:

Tenacia. E’ questa la parola da cui è giusto iniziare a raccontare la nostra storia, che forse però è più appropriato chiamare avventura perché solo le avventure condensano entusiasmo, rischio, risultati imprevedibili, mistero… e spesso le avventure, proprio per quell’aura di pericolosa incertezza che le avvolge, sono esperienze intraprese da giovani e incoscienti anime.

La nostra nasce da una combinazione di passioni e intuito contornata da amicizia, speranza, dedizione, pazienza e soprattutto amore verso lei, la musica classica, la moderna fenice, spesso data per morta e sempre riemersa dalle proprie ceneri.

Tutto ha inizio nel 2007 dall’intuizione di Ernesto Casareto, flautista 23enne (allora) dell’Orchestra dell’Università Statale di Milano, programmatore informatico per passione, affascinato come milioni di coetanei dalla rivoluzione dei social media. Unendo le due passioni, la musica classica e l’informatica, Ernesto comincia a programmare un social network dedicato al mondo della musica classica, ai suoi interpreti e appassionati. Inizia così un lavoro incessante e solitario, un percorso difficile, pieno di ostacoli e prove da superare alimentato solo da quell’incrollabile perseveranza che, come dice lo scrittore Eraldo Affinati, “ci tiene abbarbicati al dirupo degli anni”.

Anni che passano: inesorabili. Arriva pesto il 2011. Il progetto non è ancora nato ma è progredito. Ernesto coinvolge i giovani artisti Federica Fontana, Fabio Rizzi e Pasquale Corrado, che insieme decidono di spendersi per rendere questo sogno realtà.

Quel germe di idea prende il nome di Circuito Musica. Scelta non certo casuale. Circuito per la sua duplice valenza di richiamo alla dimensione tecnologica e alla socialità (evocativo del termine circolare in cui gli elementi si incontrano e contaminano). E musica… beh, questa va da sé!

CM diventa ben presto un portale molto popolare, “pensato da musicisti, per musicisti”.

I tempi non sono facili. Il 2011 rappresenta per il già debole mercato culturale italiano un terreno minato e il progetto è minacciato da miopie e scarse lungimiranze di coloro che vedono solo il limite delle nostre età e non la forza dell’idea.

Ma proprio nelle avversità abbiamo trovato l’energia per andare avanti. Sempre insieme, in estenuanti sessioni di brainstorming, abbiamo sviluppato idee per rendere il portale non solo (e non tanto) una vetrina di intrattenimento per musicisti ma un vero e proprio luogo di incontro tra domanda e offerta professionale; abbiamo creato un’orchestra diretta dall’esigente bacchetta di Pasquale e promosso l’idea in vari ambienti.

Sono nate importanti collaborazioni con la Major Sony, la rivista Classic Voice, la prestigiosa orchestra fiore all’occhiello del palcoscenico meneghino “laVerdi”, la Società del Quartetto (sempre di Milano), l’Auditorium San Fedele, l’Accademia pianistica di Imola.

CM ambisce a diventare sempre più il fulcro dell’informazione musicale classica per tutti i target, rendendo agevole non solo lo scambio d’informazioni ma anche la nascita di nuovi progetti attraverso un più stretto coinvolgimento delle realtà musicali che hanno aderito finora e con le quali attiveremo a breve dei concorsi. L’entusiasmo è una cosa contagiosa da queste parti, tanto da lasciare poco spazio alle considerazioni sulla marginalizzazione del discorso culturale in Italia.

Paura è una parola che conosciamo bene: paura dei condizionamenti della vita, paura di smettere di sognare, paura di perderci nell’accidia e nell’inerzia della banalità dell’immobilismo.

Ma poi accade l’incredibile e riemerge più forte e solida che mai la tenacia di portare la classica al passo coi tempi e spezzare il sortilegio che la relega in polverosi e semideserti teatri di velluto rosso.

Ernesto, Fabio, Federica e Pasquale

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