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"L’etica tedesca e lo spirito dell’euro", di Marcello De Cecco

Quando le elezioni politiche tedesche si saranno finalmente svolte in settembre finirà la più lunga campagna elettorale del dopoguerra, che dura da non meno di tre anni. Tra i molti mali che questa lunghissima campagna avrà scatenato bisognerà contare, forse al primo posto, il ritorno massiccio della morale in politica. Pareva che la riunificazione tedesca, tanto caparbiamente voluta e preparata in silenzio da uomini poco interessati alla ribalta, come il ministro degli esteri Genscher e persino il Cancelliere Kohl, fosse da citarsi come il trionfo della realpolitik, basata su una apparenza di motivazioni ideologiche e nei fatti ben ancorata agli interessi elettorali di Kohl e alla necessità di espansione dell’industria tedesca.
Al contrario, il costo enorme dell’annessione dei sette laender orientali, sebbene sopportato anche dai paesi dell’Unione Europea, che acconsentirono che l’operazione di annessione fosse finanziata come se si trattasse dell’entrata nella Ue di uno stato sovrano, fu accettato in silenzio dagli altri stati membri. Ma la gran parte della ricostruzione della Germania Est per portarla agli standard dell’altra Germania, distruggendone allo stesso tempo l’industria con un tasso di cambio proibitivo, l’hanno dovuta finanziare i cittadini della Germania Ovest con le loro tasse.
La mancanza di trasparenza della gigantesca operazione ha ispirato nei tedeschi dei laender
occidentali il desiderio di non farsi imporre, in futuro, altri simili salassi, un rigetto di quella che hanno percepito come una carità obbligatoria, che credono sia costata loro molto cara. Da allora si sono mostrati fortemente restii a finanziare altri salvataggi, ancor meno trasparenti e comprensibili, coi loro soldi, senza neppure l’alibi dell’aiuto a fratelli separati e oppressi per decenni.
Proprio allora invece è iniziata la fase di turbolenza del sistema economico e finanziario internazionale, ed è stato necessario che la Germania, paese centro dell’Europa, mentre espugnava tutti i mercati europei con una politica di neo mercantilismo aperto, comprendesse, come fecero gli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, che ad essa si richiedeva di fare una politica di espansionismo proiettata verso l’esterno, guardando ai propri interessi di lungo periodo. Essa doveva avere come caratteristica principale la capacità di finanziare la domanda dei paesi periferici dell’Europa.
Ma è proprio quel che una buona parte dei tedeschi si rifiuta di fare, aizzata da partiti politici che invitano i cittadini a non vedere la trave nei propri occhi ma a concentrarsi sulle traveggole degli occhi dei vicini. Parlamento, giornali popolari e altri mezzi di comunicazione, per non parlare della ineffabile corte costituzionale di Karlsruhe, si sono dati a un’orgia di moralismo nei confronti dei debitori dei tedeschi.
Motivi ai quali appigliarsi ce ne sono, a iosa. Basta guardare ai costi della politica in Italia e agli episodi assai numerosi di illegalità e immoralità pubblica dell’Europa periferica. Agli sprechi di opere pubbliche costosissime e inutili, alla incapacità di portare le proprie industrie a livelli più elevati di ricerca e innovazione.
Quel che manda letteralmente in bestia i cittadini tedeschi, inoltre, è il ritorno dell’immagine della dominazione nazista che la celebrazione della virtù germanica, tradotta in severità nei confronti dei debitori, ha suscitato nei paesi debitori. Ogni dimostrazione popolare contro l’austerità si trasforma così in esibizione di quell’armamentario lugubre, che richiama un passato che i tedeschi credevano essersi messi alle spalle e che invece è tornato a dannarli nell’Europa periferica.
Essi non sembrano ricordare quando i debitori, nel secondo dopoguerra, erano loro e il creditore lo zio Sam, che andava infestando del proprio imperialismo il mondo intero, suscitando le pubbliche rivolte dei giovani di Berlino e del resto della Germania. Il tempo delle bandiere a stelle e strisce bruciate è tramontato e le bandiere da bruciare a Atene, Roma o Madrid sono — ahimè — quelle della Repubblica Federale.
“Dopo tutto quel che vi stiamo dando”, ormai apertamente dicono i tedeschi sui loro giornali, “ci trattate così”. D’altronde, la riconoscenza e la carità cristiana non fanno parte della dottrina di Lutero. Non erano state parte nemmeno dell’atteggiamento del neo creditore americano dopo la prima guerra mondiale, quando Coolidge si rifiutò di cancellare i debiti inglesi, (“ma il denaro lo avevano preso a prestito, no?”), inducendo una reazione a catena che, dalle dichiarazioni morali passò al nazionalismo intraeuropeo, giungendo alla catastrofe della crisi internazionale, dell’ascesa di un folle al timone di uno dei più sviluppati paesi del mondo, e alla catastrofe della seconda guerra mondiale.
Ora che le Tesi di Lutero sembrano tornare di moda, i tedeschi fanno marciare il nostro continente verso la disunione e l’abisso. L’ultimo episodio insegna di nuovo. Quel che a Cipro bisognava fare in silenzio e velocemente, e preferibilmente prima che l’esplosione si verificasse, la campagna elettorale tedesca ha voluto che si discutesse come se a quel punto ci fosse, per l’Europa, una vera scelta alternativa rispetto al salvataggio delle banche cipriote. Quasi nessun interesse hanno destato in Germania le rivelazioni dello Spiegel, che le banche russe erano sì le prime creditrici delle banche dell’isola dove
nacque Venere, ma che subito dopo, anche se a debita distanza, venivano i sette miliardi di euro di depositi accumulati dalle banche tedesche in quelle cipriote.
A complicare ancora le cose viene poi una inedita dimensione di revival della guerra fredda. La supposta debolezza della Russia, e la aggressività dei suoi finanzieri e oligarchi, ha suscitato una sorta di rivolta morale dei cittadini tedeschi, aizzati dai propri media e dalla bassa cucina elettorale dei maggiori partiti. L’idea di far pagare lo scotto ai russi, tassando i depositi di grande dimensione nelle banche cipriote, punendo l’illegalità e magari anche il riciclaggio di denaro criminale, è quindi balenata alle menti tedesche, travestita da necessità di esigere dai ciprioti (solo adesso) il rispetto della legalità comunitaria.
Ma questa battaglia altamente morale in superficie, che trascura il ruolo delle banche tedesche nella vicenda e la sua vera essenza, di volgare
realpolitik, è un giocare col fuoco, perché risveglia il dormiente nazionalismo russo, rinfocola quello tedesco, antirusso, assai più e assai prima che antisovietico, e dà agli astuti anche se deboli governanti ciprioti spazio per imbastire pericolose quanto velleitarie operazioni di arbitraggio nei confronti dell’Europa.
Ognuno sembra vedere solo la propria politica interna e tende a usare i rapporti con le altre nazioni come se non si trattasse di una corda sottile, che può facilmente spezzarsi e dare inizio, in Europa, a una nuova epoca grifagna di sacri egoismi, travestita di panni altamente morali. È triste vedere di nuovo gli uomini politici usare termini ipocriti, che non si erano più sentiti da decenni. Ai giovani, che non possono ricordare come andò a finire la prima volta, si propongono idee stantie, il cui puzzo di muffa dovrebbe rendere prudenti gli apprendisti stregoni che credono di usarle a loro vantaggio, in contese elettorali e di potere mal travestite da battaglie ideali.

La Repubblica 26.03.13