attualità, politica italiana

"Quanto costa un non governo", di Angelo De Mattia

«La ripresa, pur moderata, prevista per la parte finale dell’anno è minacciata dall’imprevedibilità del quadro politico interno e dal riemergere di turbolenze finanziarie nell’area dell’euro che potrebbero incidere sulla fiducia degli operatori e sull’attività di investimento»: lo ha detto Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia.

Parole pronunciate sabato scorso a Perugia durante un intervento su «Banche, finanza, crescita». Le turbolenze evidentemente si riferiscono alla situazione che si è determinata con il primo piano di risoluzione della crisi finanziaria di Cipro rivisto con le nuove decisioni che, se fugano un immediato effetto-domino attraverso il panico che si potrebbe causare incidendo con un prelievo forzoso sui depositi bancari, anche quelli minori, tuttavia avranno bisogno di misure applicative e chia- rimenti ulteriori, sicché non si possono considerare del tutto superate le preoccupazioni di una estensione del «focolaio» sia pure assai circoscritto.

L’imprevedibilità del quadro politico, alla quale Panetta si riferisce, è evidente in queste ore nelle quali Pierluigi Bersani si sta apprezzabilmente sforzando, tra non poche difficoltà, di condurre in porto un tentativo che darebbe all’Italia finalmente un governo e una prospettiva capace di risolvere le incertezze che sono riaffiorate in queste settimane circa l’evoluzione dell’economia, come ha detto il vicedirettore generale. Il quale ha poi sviluppato il discorso su una serie di misure, di razionalizzazione e di innovazione, che concernono il sistema bancario, perché possa essere, ancora una volta, un caposaldo nel rilancio dell’economia italiana. Ma il «primum movens» resta la rimozione dell’indeterminatezza.

Le parole della Banca d’Italia andrebbero ascoltate con particolare attenzione. Si potrebbe prevedere che nell’ultima parte dell’anno muterà da meno a più, sia pure per quantità minimali, il segno della crescita per poi vedere impressa una svolta maggiore nel 2014: un piccolo, ma significativo passo avanti. Tuttavia, se si dovesse aprire una fase di defatiganti trattative che malauguratamente portassero a un punto morto nel quale l’unico sbocco fossero le elezioni anticipate, allora neppure questo riduttivo cambiamento sarebbe realizzabile perché l’indeterminatezza peserebbe su investitori e risparmiatori, mentre il confronto elettorale non sarebbe di per sé garanzia di un mutamento nei «pesi» dei partiti competitori tale da rendere possibile e facile la formazione di un nuovo esecutivo. A maggior ragione se il tutto venisse affrontato con l’attuale legge elettorale.
Se un ulteriore blocco dovesse esservi con il risultato del voto, allora le incertezze si moltiplicherebbero e la via di Weimar si ripresenterebbe. Altro che governo dell’economia. Altro che prospettiva di ripresa congiunturale. Altro che stabilità, di cui l’Italia, l’impresa e le banche hanno bisogno.

Se l’espressione del presidente della Confindustria – «siamo alla fine» – può apparire cruda, essa tuttavia trae alimento da una situazione in cui il bisogno di governabilità è pressante, mentre la via belga, a volte addirittura apprezzata nel nostro Paese, sarebbe una sciagura perché quest’ultimo, il terzo partner dell’Ue, non potrebbe di certo rimanere privo di un esecutivo per lunghi mesi come è accaduto per il Belgio. Non si trascuri poi che in una condizione come quella di «color che son sospesi» basterebbe il manifestarsi di ulteriori turbolenze in campo internazionale per aggravare le difficoltà. Un corpo convalescente sarebbe colpito da una nuova infezione. Del resto, proprio il Pdl – dal quale viene l’invito a concentrarsi su temi economici piuttosto che su provvedimenti di riforma quali la regolazione del conflitto di interesse o l’anticorruzione – dovrebbe ritenere essenziale la formazione del governo anziché porre con crescente enfasi il ricorso a nuove elezioni, al di là della condivisibilità o meno dell’intento di vedere accantonate quelle ipotesi di riforma che, invece, hanno pure evidenti ricadute economiche.

Sarebbe dunque bene insistere nel tentativo di giungere, da parte di Bersani, a una positiva verifica delle condizioni per varare un governo che, se conseguirà un esito positivo, di per sé costituirà di fatto un primo impulso riformatore. Gli interessi generali sono in ballo, come frequentemente sottolinea il presidente della Repubblica.

Reddito, occupazione, investimenti, consumo non beneficeranno di certo dall’aprirsi di una fase di almeno tre mesi che malauguratamente dovesse portare a un bis elettorale, do- po l’elezione del Capo dello Stato. È nei momenti di rilevanti difficoltà che si è riusciti in una sorta di quadratura del cerchio tra visio- ni di parte e interessi del Paese. Anche questa volta, se lo si guarda dal solo angolo visuale dell’economia – che però è fondamentale – il bisogno di certezze è impellente e non lo si soddisfa senza un governo da costituire in tempi rapidi.

L’Unità 26.03.13