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"Italia in recessione, debito al 128% ma per ora niente manovra correttiva", di Elena Polidori

Alla vigilia del voto la Ue certifica quello che tutti sanno e temono: la recessione continua e la disoccupazione galoppa. L’Istat annuncia un crollo delle vendite al dettaglio del 2,2%, come non accadeva dal 1995: vuol dire che le famiglie, schiacciate dalla crisi, tirano la cinghia. In compenso però l’Italia è riuscita a mettere in sicurezza i conti, tanto da scongiurare per adesso il ricorso ad una manovra correttiva.
La recessione, ovviamente, è anche europea: il Pil di Eurolandia scenderà quest’anno dello 0,3%, per rimbalzare l’anno dopo. La Francia è al palo, con il deficit in corsa. I conti spagnoli sono in rosso profondo. Non è escluso che Bruxelles conceda ai paesi più tempo per rimettere il bilancio in sicurezza: si parla già, appunto, di Francia e Spagna. La Germania invece resta ancorata alla sua crescita, pur se modesta, dello 0,5%.
E dunque: quest’anno il Pil nazionale scenderà di un altro 1%, più di quello che Bruxelles pensava in un primo momento, ma in linea con le previsioni della Banca d’Italia e del Fmi. Una ripresa è attesa solo nel 2014, quando l’economia dovrebbe crescere dello 0,8%. Secondo indiscrezioni, anche il Tesoro, negli imminenti aggiornamenti al Def, attesi per aprile, si orienterà per un ribasso analogo: oggi la previsione del Pil 2013 è ancora a meno 0,2%. Con l’economia in grossa sofferenza, la disoccupazione esplode e nel 2014 arriverà al 12%: quest’anno, rispetto al 2012, è aumentata di un altro punto, fino a quota 11,6%. Significa migliaia e migliaia di senza lavoro in più.
I conti però tengono. Il deficit resterà a quota 2,1% quest’anno e il prossimo, consentendo al paese di centrare il pareggio strutturale. Per colpa della non-crescita tuttavia il debito aumenta fino al 128,1% del Pil: ridiscenderà dal 2014, se si concretizzerà l’agognata ripresa. Perché non scatti la necessità di una manovra bis «è essenziale» che il nuovo governo mantenga «la piena applicazione della strategia di consolidamento già adottata che le consente di raggiungere il pareggio quest’anno », ammonisce il commissario Ue, Olli Rehn. Segno che anche lui, come tutti, guarda al voto e agli equilibri futuri. Dalle scelte del domani dipende anche la possibilità di chiudere la procedura per deficit eccessivo aperta per l’Italia nel 2009.
In questo contesto, le famiglie s’arrangiano come possono: in tempi di crisi i consumi si riversano solo sugli acquisti necessari. Ovunque c’è il segno meno tranne che per discount (+1,6%), simbolo della rinuncia alla qualità. Anche la frenata dei prezzi, con l’inflazione che prosegue il suo calo, sembra non riuscire a dare impulso alla domanda interna. L’unica speranza viene dalla fiducia dei consumatori che segna a febbraio un miglioramento.
Neppure il quadro europeo è roseo. La Francia quest’anno avrà una crescita piatta (0,1%) e il suo deficit schizza al 3,7%; quello spagnolo vola addirittura oltre il 10%. Entrambe i paesi sperano di avere più di tempo per rientrare. Rehn tuttavia fa sapere che l’eventuale dilazione verrà concessa solo a chi presenterà impegni seri di risanamento. «Non abbiamo intenzione di aggiungere austerità alla recessione», è la replica del ministro francese Pierre Moscovici.

La Repubblica 23.02.13

ELENA POLIDORI

"Alimenti e nutrizione, salviamo l'ente di ricerca", di Walter Tocci

Il Governo mette a rischio l’ente di ricerca per gli alimenti e la nutrizione. L’Inran
è stato sciolto con la rozza spending review a luglio dell’anno scorso, e collocato presso l’ente di ricerca per l’agricoltura (Cra), ma la norma era scritta male e si dovuto modificarla con la successiva legge di stabilità, rinviando l’attuazione ad un decreto ministeriale che ancora non è stato emanato. Da circa 8 mesi, quindi, l’attività di ricerca è paralizzata, oltre 200 ricercatori non possono lavorare, da marzo rischiano di non ricevere Io stipendio e anche di perdere importanti progetti europei. L’Istituto si occupa di ricerche di grande interesse sociale: 1) l’influenza delle tecniche di coltivazione, di conservazione e trasformazione sulla qualità nutrizionale degli alimenti; 2) gli effetti sulla salute per la prevenzione delle malattie, anche a livello del genoma, con studi di frontiera a livello internazionale; 3) l’analisi dei consumi e l’educazione alimentare; quest’ultima competenza è stata appositamente ignorata dalla Gelmini che ha affidato alle industrie del settore, in evidente conflitto di interesse, la consulenza nelle scuole pubbliche. In tutti i Paesi civili, invece, gli istituti di ricerca per la nutrizione sono chiamati a garantire valutazioni indipendenti dai produttori, a suggerire terapie per le patologie sociali come l’obesità e a promuovere interventi per migliorare la qualità del cibo. Se non esistesse da quasi 80 anni un Istituto così bisognerebbe inventarlo. Soprattutto nel Paese della dieta mediterranea che proprio nella sua civiltà alimentare potrebbe realizzare un brand di successo, come si era impegnato a fare con la prossima Expo milanese. Ma queste considerazioni non hanno neppure sfiorato le menti dei sapientoni che hanno motivato l’accorpamento col rigore della spesa pubblica. Che si possa risparmiare con queste sciabolate è un falso inventato da Tremonti e prolungato dal suo sodale Grilli, cioè dai massimi responsabili della crescita della spesa pubblica negli anni Duemila. Infatti, l’Inran si è portato dietro tutti i costi precedenti senza poter ottenere alcun risparmio dall’integrazione, perché le attività del Cra sono molto diverse. Anzi, la paralisi dell’attività di ricerca rischia di far perdere importanti finanziamenti che l’Ue renderà disponibili per un progetto strategico sul rapporto tra nutrizione e salute. Non solo, l’operazione serve a mettere polvere sotto il tappeto. Nel trasferimento, infatti, non sono stati allocati i fondi per gli stipendi, i quali però dovranno essere pagati in virtù delle leggi esistenti e di conseguenza spetterà al nuovo governo trovare i soldi necessari. La polvere riguarda anche il taglio del 90% delle borse di studio nascosto da Profumo, i fondi per il personale degli atenei e per i bandi del Prin, per circa un miliardo di curo solo nel campo della ricerca. La vicenda dell’Inran, quindi, non solo mortifica un’eccellenza italiana, ma è anche emblematica di un miope metodo di governo: nessuna attenzione alla qualità delle politiche pubbliche, tagli che peggiorano il bilancio statale e tanta sicumera priva di meriti. Molti errori si potevano evitare se avessero dato ascolto al dibattito parlamentare senza ricorrere al voto di fiducia. Per Monti questo è il riformismo innovativo, ma assomiglia alla vecchia politica. Spetterà al Pd puntare su ciò che non si è mai fatto prima: la scienza come risorsa per la società, la qualificazione della spesa pubblica, il lavoro appassionato dei ricercatori. Ne riparleremo anche dopo le elezioni. Intanto, però, chiediamo di risolvere la situazione dell’Inran. Abbiamo telefonato al ministro Catania, ma non ci ha risposto perché è impegnato nella campagna elettorale dell’Udc. Ora è finita e speriamo possa dedicarsi a trovare i soldi per gli stipendi e per finanziare la ricerca. Sono pur sempre i doveri di un tecnico al governo.

L’Unità 23.02.13

"La dignità di una nazione", di Michele Prospero

Il ricco comico che riempie le piazze intimando ai politici di arrendersi è un ambiguo fenomeno che svela l’intensità della crisi. Leopardi scriveva che gli italiani ridono di tutto. Anche la tragedia più grave diventa per loro un motivo di beffarda ilarità.
In nessun altro Paese, dinanzi a una crisi così allarmante come quella in corso, irrompono sulla scena due comici (quali Grillo e Berlusconi) a contendersi con colpi di teatro i favori del popolo.

Se metà del corpo elettorale è catturata dai motti di spirito e dalle trovate propagandistiche dei due commedianti, è evidente che sono saltate le grandi reti di connessione culturale proprie di una moderna società civile. Fasce consistenti di popolo agiscono nella sfera pubblica in preda a fughe fantastiche, come se ogni rischio involutivo potesse essere esorcizzato con il fallace rimedio della risata. Al cospetto del pericolo mortale di una deflagrazione della stessa cornice statuale, una fetta ampia di società crede di sopravvivere chiudendo gli occhi dinanzi agli scenari da incubo che si aprono con il ritorno della destra al potere o con lo stallo in un regime di ingovernabilità.

Il comico seduce porzioni (non quelle più disagiate) di società che hanno scaraventato lontano dalla loro visuale ogni senso dello Stato e credono praticabili delle rigenerazioni magiche. Ridono del baratro. Lo spegnimento del sentimento civico, che fa di una nazione un corpo sociale coeso anche in tempi di crisi, rende possibile l’ubriacatura di massa per soluzioni apparenti, per slogan effimeri di cui non si sa cogliere in tempo la carica di manipolazione. Cosa c’è di più semplice in Italia che maledire lo Stato, l’amministrazione, il parlamento, le agenzie del fisco?

La forte carica antistatuale e gli umori antifiscali che accompagnano il comico rendono però del tutto vana ogni attesa in un recupero di efficienza e rendimento della sfera pubblica. Anche la domanda più insistita che nelle piazze di Grillo traspare, quella di un più raffinato civismo e di una maggiore partecipazione, stride con la reiterazione di un modello di partito personale che porta alle estreme conseguenze il principio di autorità: lo scettro del potere è confiscato e chiuso nelle mani sicure di un capo solitario.

All’ombra di un capo sciolto da vincoli programmatici, da organi di vigilanza e deliberazione, da regole incisive, da procedure predefinite possono lievitare solo arbitrio, passività, cooptazione, adulazione. Arduo che possa scaturire da ciò un nuovo modello di democrazia. Se poi al capo urlante, cui è consentito dire ogni cosa, corrispondono solo dei rappresentanti muti e senza volto, è difficile spacciare questa anomalia come una riforma della politica. Non è certo con delle schiere di parlamentari senza qualità, nel senso almeno che il candidato è sottratto al confronto pubblico dal quale apprezzare virtù e opinioni caratterizzanti, che si può contribuire alla necessaria opera di innovazione.

È solo una cattiva leggenda metropolitana quella di credere che l’inesperienza dei senza volto nelle istituzioni parlamentari costituisca un valore che ripaga in termini di controllo, trasparenza, ricambio. Non è vero che per inaugurare un evento di immediata rigenerazione etico-politica occorra attingere all’incompetenza e farla valere nello specifico lavoro politico-istituzionale come un rigenerante all’insegna della freschezza e spontaneità.

Soprattutto entro condizioni di crisi che scalfiscono la tenuta della statualità, e minacciano aspre soluzioni commissariali di ascendenza europea alle fughe stravaganti nel condominio berluscogrillino ad arte preparato dai media, occorrono classi politiche più rigorose. Non porta lontano l’elogio dell’incompetenza santificata come valore. Dietro ai due ricchi comici che se la ridono, esiste una società reale in disagio che solo dalla riscoperta della autorevolezza della politica può ricevere lo spiraglio di una ripresa possibile.

La promessa di una salvezza istantanea e assoluta, che transita attraverso lo scioglimento dei partiti e la chiusura dei sindacati o il ritorno alla lira, sa di stantio. La rabbia contro lo stato di cose esistente è un sentimento molto diffuso, se il risentimento non si traduce però in una capacità di innovazione politica rischia di far saltare tutto. Domenica, oltre la disfida dei due speculari comici che corrono a rimorchio di effetti speciali, è in gioco proprio questo: l’Italia come Stato non residuale, periferico, ridicolo.

L’Unità 23.02.13

Renzi: "E tu hai chiamato gli indecisi?", di Laura Montanari

«Il Pd dovrà governare l’Italia nei prossimi cinque armi e lo farà se in queste ore riusciremo a recuperare il voto degli indecisi». Matteo Renzi è nel suo studio al primo piano, tra gli affreschi di Palazzo Vecchio a Firenze. Qui risponde alle domande di Repubblica Tv. Sul tavolo, una pila di giornali, accanto l’iPad, dietro una fotografia di Nelson Mandela e una del presidente Napolitano.

Lei ha girato molto l’Italia in questi mesi, prima per le primarie poi per le elezioni: sé dovesse inviare su Instagram l’immagine simbolo di questo Paese che va al voto, cosa sceglierebbe?
«Una foto che non c’è ancora, quella di un bambino nato il 24 febbraio. Chi va al voto deve chiedersi: che paese consegneremo a questo bambino fra vent’anni? Questa campagna elettorale è stata troppo schiacciata sul contingente, è emblematica la questione tasse e dell’Imu. Cos’è l’Italia se non un paese produttore di bellezza? Il neonato di quella foto è forse ciò che è mancato in questa campagna per il voto, ma che io spero diventi il punto di riferimento del governo Bersani».

Cosa dice a quel 37,1% di giovani fra i 18 e i 25 armi che oggi è disoccupato?
«Il tema del lavoro è centrale per la politica. Io credo che a un ragazzo di 20 anni, oggi sia necessario dare un paese più semplice, dove possa realizzare le sue aspirazioni: se uno vuole aprire un’azienda e provare a mettersi in gioco, non deve essere schiacciato dalla burocrazia. Non possiamo dibattere sempre sull’articolo 18 che disciplina le uscite, dobbiamo occuparci di creare accessi più facili al lavoro».

Sì, ma come?
«Intanto attirando investimenti dall’estero. Qui a Firenze sono venuti i principali gruppi al mondo interessati a intervenire sulla città, ma scappano perché c’è una giustizia civile che fa paura, un livello di pressione fiscale alto e anche molto complicato. E scappano anche perché hanno paura di un Paese che è respingente. Penso che noi dovremo cambiare tutto questo, dobbiamo mettere un ragazzo in grado di trovare lavoro non perché conosce qualcuno ma perché conosce qualcosa, perché ha studiato. Sono convinto che il Pd si farà carico di tutto questo, sta per nascere una nuova Italia».

Renzi, cosa resta nel programma di Bersani dei temi per i quali ha lottato alle primarie?
«L’agenda digitale, la semplificazione amministrativa, i tagli ai costi della politica, le questioni ambientali».

Le battute volgari di Berlusconi sulla lavoratrice della Green Power riportano in primo piano la questione femminile.
«Sì e penso che vada affrontata in un orizzonte culturale più ampio rispetto al fatto specifico. Nei mesi scorsi autorevoli giornali internazionali hanno scritto articoli, colpiti dalla rappresentazione della donna nelle pubblicità presenti sui muri di Roma. La donna è associata a tutto: dalla macchina al telefono e in pose che la trasformano spesso in donna oggetto. D a un po’ di tempo credo che sia cambiata la percezione culturale, basti pensare alle battaglie di “Se non ora quando”. E allora va fatta una riflessione che coinvolge anche i media quando, per esempio, dedicano mezza pagina al dibattito sulla farfallina di Belen».

Intanto Beppe Grillo riempie le piazze.
«Grillo prende un elettorato trasversale, un po’ dalla sinistra, un po’ dalla destra, soprattutto dai leghisti delusi. Dice anche delle cose giuste…».

Quali?
«Quando chiede il taglio dei costi della politica, l’innovazione digitale, nuove politiche ambientali… Come è possibile, mi chiedo, che in alcune regioni ci siano ancora dei vitalizi? E’ evidente che questo non è un privilegio, ma uno squilibrio pazzesco che fa indignare la gente. Pensi ai test per il concorsone della scuola, quanti di quelli che stanno in Parlamento li avrebbero superati? I cittadini si arrabbiano e la politica deve dare delle risposte per evitare il populismo. Perché poi Grillo dice anche molte assurdità quando parla di mafia, di Aids, quando racconta di un governo che verrà…».

Pensa che sia assurdo un governo di Grillo?
«Grillo non vuole governare, vuole suscitare scandalo, ma qui c’è un Paese da rimettere a posto e il voto a Bersani serve a questo».

La Repubblica 23.02.13

"Le scuole migliori? Quelle multietniche", di Alessia Camplone

La scuola migliore ha tanti colori e tante culture. Sono gli immigrati l’energia vincente delle classi italiane, cenerentole tra i grandi Paesi d’Europa sul piano delle risorse economiche, ma sorprendenti quando sanno valorizzare la ricchezza della presenza multietinica. È quanto sta emergendo dalle ultime analisi che mettono a confronto diversi dati statistici. Come quelli dell’Invalsi, l’Istituto nazionale di valutazione del sistema di istruzione. Una ricerca della fondazione Agnelli già poco più di un anno fa aveva dato la sua sentenza: le scuole migliori d’Italia sono quelle dove maggiori sono le diversità. I ricercatori hanno messo a punto un indicatore che misura il grado di varietà all’interno delle classi divise per provincia, e l’hanno confrontato con i test Invalsi che servono a quantificare il livello di preparazione di tutti gli studenti (italiani e non). Le province con classi più eterogenee in Italia sono Trieste, Mantova e Varese. Più mirato sulla multietnicità è uno studio di Tuttoscuola (96 indicatori utilizzati per l’anno scolastico 2010/2011). Premia Torino come prima tra le grandi città per il livello medio degli istituti. E Torino è la prima anche come multietnicità: nei suoi banchi sono rappresentate 130 nazioni diverse, mentre la media di alunni stranieri è di quasi 3 punti più alta di quella italiana (11,8%). Così come i molti stranieri delle scuole di Milano (12,8%) corrispondono a un settimo posto di qualità. Roma, che è nella media (9,5%) è 71ma nella classifica qualità.
BRAVI IN MATEMATICA
Ma tornando all’Invalsi. I test fatti su quasi tre milioni di studenti nel 2012, hanno evidenziato che lo scarto medio tra italiani e non si sta riducendo sempre più al punto che gli stranieri di seconda generazione (quasi trecentomila) sono praticamente allineati agli italiani. In terza media, in italiano, la differenza è di sette punti. Mentre in matematica di appena tre. Quello che sorprende è che questa differenza si riduce nelle regioni che hanno una maggiore presenza di alunni stranieri. Tanto per fare un esempio, nel Veneto (la seconda regione in Italia per numero di alunni stranieri con 89.367 presenze) i risultati degli studenti nelle prove di matematica sono superiori di 35 punti rispetto alla Sardegna (solo 4.741 alunni stranieri, quart’ultima nella classifica nazionale) che è la regione con gli esiti più bassi. «Gli alunni stranieri possono essere una ricchezza per la scuola – spiega Vinicio Ongini, autore di saggi sull’educazione interculturale e uno dei massimi esperti italiani del settore -. Là dove le scuole hanno saputo cogliere questa opportunità, i risultati si vedono. Nelle classi con gli alunni stranieri c’è più dinamismo. I compagni sono più aperti al confronto e pronti ad aiutarsi se sostenuti dagli insegnanti».
APPRENDIMENTO RECIPROCO
L’integrazione degli alunni stranieri è un problema particolarmente sentito dalla scuola italiana. Gli studenti immigrati sono il 9% del totale, circa 756mila. Ci sono quasi mille scuole che arrivano ad una concentrazione che supera il 40% del totale degli iscritti. Poco più di 400 quelle dove gli italiani sono in minoranza. Tra queste 40 sono istituti record con gli stranieri che superano l’80%. L’Italia, poi, ha un primato europeo: è il Paese più multiculturale, non come quantità, ma come differenze (con alunni di 80 lingue diverse). Nell’interazione, nell’esempio diverso, nell’apprendimento reciproco, la multicultura è un valore aggiunto. E gli stranieri qualche volta permettono alla scuola di vivere: è la storia di due istituti, uno in Lombardia e uno sull’Appennino calabrese, che stavano per chiudere e hanno tenuto aperto per ospitare rispettivamente piccoli rifugiati dal Kurdistan e dall’Afghanistan.

Il Messaggero 22.02.13

"Il voto e l'Europa", di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini

Le elezioni politiche di domani e dopodomani sono influenzate dalla recessione in cui si trova l’economia e potrebbero provocare effetti imprevedibili sui futuri rapporti tra l’Italia e l’Europa. Oggi assistiamo ad una situazione paradossale poiché l’euro si sta rivalutando nei confronti del dollaro e dello yen, mentre l’economia continua a ristagnare. Questo fenomeno è la conseguenza delle politiche monetarie nettamente espansive praticate negli Stati Uniti e in Giappone e sta penalizzando i paesi meno competitivi del sud Europa aggravandone le difficoltà.
In Italia è la prima volta che circa la metà della popolazione si trova su posizioni antieuropee. Infatti, se diamo per buoni gli ultimi sondaggi, vediamo che le forze che rappresentano posizioni fortemente critiche verso l’Europa a guida tedesca hanno un consenso paragonabile a quello delle forze europeiste costituite dal Pd e dalla Lista Monti. La coalizione di centrodestra, il Movimento a 5 Stelle e Rivoluzione Civile sono aggregazioni incompatibili le quali, però, riscuotono il favore di un gran numero di cittadini contrari ad un’Europa autolesionista, fonte di povertà e disoccupazione.
Occorre perciò cambiare strada per salvare il progetto della moneta unica e per rilanciare un’Europa integrata e solidale che sia in grado di garantire benessere e giustizia sociale. Ma per far questo è necessario che si formi una larga alleanza di paesi su obiettivi condivisi, che comprenda l’Italia, la Spagna e la Francia, la cui economia è in netto peggioramento. Crediamo che questa alleanza debba avere le seguenti priorità.
1. La modifica dello statuto della Banca centrale europea che permetta in modo automatico l’acquisto dei titoli pubblici dei paesi in difficoltà
e che consenta anche di intervenire sul mercato delle valute.
2. L’aggregazione dei debiti dei paesi europei per proteggere gli stati in difficoltà dagli attacchi della speculazione finanziaria e per porre fine alla concorrenza distruttiva che avvantaggia le aree forti e penalizza quelle meno competitive.
3. L’abolizione del fiscal compact che sancisce l’obbligo del pareggio di bilancio e, inoltre, il lancio degli Eurobond per finanziare un grande piano per la crescita e l’occupazione. Il fiscal compact è un trattato di diritto internazionale che si trova in contrasto con il Trattato di Lisbona del 2009, il quale recepisce alla lettera il Trattato di Maastricht e consente di raggiungere un rapporto tra deficit e Pil pari al 3%. Per questo motivo, al fine di garantire l’applicazione del fiscal compact,
è stata necessaria una frettolosa modifica della Costituzione, in Italia come in altri paesi europei. Ma in tal modo non sarà possibile attuare quelle politiche economiche espansive che oggi sono necessarie per avviare un nuovo ciclo di crescita e per poter risanare le finanze pubbliche.
4. Sarebbe inoltre necessaria la creazione di quattro dipartimenti centrali del Tesoro, della Difesa, degli Affari Esteri e della Giustizia, sull’esempio di quanto fu fatto nella Federazione Americana alla fine del 1700.
Se l’Europa non cambia strada e non esce dalla paralisi che la attanaglia, sarà molto difficile che possa sopravvivere sia alle tensioni interne – oggi la disoccupazione ha superato il 25% in Grecia e in Spagna e continua ad aumentare negli altri paesi – sia agli attacchi della speculazione finanziaria, sia al paradosso di una moneta che si sta rafforzando mentre l’economia non accenna a migliorare.

La repubblica 23.02.13

Renzi “Bersani non ha il diritto, ma il dovere di governare”

Affollata chiusura di campagna elettorale regionale per il Pd al Forum Monzani di Modena. In un Forum Monzani riempito in platea, nella balconata e anche nel foyer, venerdì sera, a Modena, si è chiusa la campagna elettorale regionale del Partito democratico. Una grande festa di popolo, a cui il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha portato ulteriore carica e voglia di vincere. “Costruiremo un’Italia giusta – ha detto – un paese dove si troverà lavoro perché si conosce qualcosa, non perché si conosce qualcuno”.
La neve non ha fermato il popolo democratico che si è dato appuntamento in serata al Forum Monzani di Modena per l’iniziativa regionale di chiusura della campagna elettorale del Pd. Ospite d’onore, molto applaudito, il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Per l’occasione il Forum Monzani, allestito con le bandiere del Partito democratico, ha fatto il pieno di sostenitori sia in platea che nella balconata superiore. Alcune centinaia di persone sono dovute rimanere nel foyer e hanno seguito l’incontro sul maxischermo. Matteo Renzi ha portato ulteriore carica e voglia di vincere. “Costruiremo un’Italia giusta – ha detto – ovvero un paese dove si troverà lavoro perché si conosce qualcosa, non perché si conosce qualcuno”. Renzi, nel suo discorso, ha citato Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, San Suu Kui e Don Milani, Giorgio Gaber e Giorgio La Pira. Ha ribadito che Bersani, dopo aver vinto le primarie, non ha solo il diritto, ma il dovere di governare per cinque anni questo paese, perché questo paese ha bisogno di nuova speranza e di rilancio e solo chi ha valori e solide fondamenta può essere utile al paese in questo momento di gravi difficoltà. E rivolgendosi agli undici candidati modenesi del Pd, seduti in prima fila, ha ricordato loro che saranno “onorevoli”, ovvero persone degne di onore e che rappresenteranno la onorabilità di un paese che non può rassegnarsi al declino inevitabile a cui sembrava averlo condannato i governi Berlusconi. Vero avversario di queste elezioni, a cui Renzi, ha riservato anche una battuta “Non ha potuto tenere il comizio conclusivo, aveva la congiuntivite. Gli è venuta a forza di scrivere lettere”. “Perché in questa campagna elettorale – ha concluso Renzi – siamo stati troppo spesso trattati da consumatori, da clienti. E, invece, noi siamo altro. Siamo cittadini”.

La serata si era aperta con la lettura di un brano dalla Democrazia di Tucidite da parte dello scrittore modenese Valerio Massimo Manfredi, lo scrittore italiano più venduto nel mondo. Poi sul palco si sono succeduti il segretario regionale del Pd Stefano Bonaccini e i capilista Pd al Senato e alla Camera nella circoscrizione Emilia-Romagna Josefa Idem e Dario Franceschini. Un video, realizzato dalla regista Claudia Tosi dell’associazione culturale Movimenta, ha proposto le immagini e gli impegni su cui lavoreranno in prima battuta gli undici candidati modenesi del Partito democratico, la “squadra” modenese del Pd.