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“Bersani: politica non solo per ricchi”, di Simone Collini

Essere se stessi fino in fondo «Il confronto? Con gli operai». La «ditta» rimane in testa ai pensieri del leader Pd che vede nelle primarie uno strumento per «rompere il muro che si è creato tra cittadini e politica». Facciamo ‘sto confronto. A che ora è domani con i lavoratori di Piombino?». Ecco, è tutto in quest’uscita di poco precedente l’inizio della trasmissione su Rai 1 Pier Luigi Bersani. Il sigaro Toscano tra le labbra, l’aria di chi già pensa ad altro prima ancora che si accendano le luci degli studi Dear. All’incontro di stamattina con i lavoratori delle acciaierie di Piombino, dove ci sono seimila posti in bilico, per esempio. O all’iniziativa di stasera al Teatro Politeama di Napoli per discutere insieme a Nichi Vendola di lavoro, diritti, Mezzogiorno, che dovrebbe garantire al leader del Pd una bella fetta di quel 15% incassato dal leader di Sel al primo turno. O alle tappe di domani in Toscana, per strappare consensi a Matteo Renzi laddove domenica scorsa è andato meglio. O, ancora, alla chiusura della sua campagna delle primarie, sabato, a Torino, la città che quattro giorni fa gli ha consentito di aggiudicarsi il Piemonte.
Perché questa è in sintesi la strategia del leader Pd per questo rush finale: riprendersi i voti del primo turno (300 mila in più di quelli ottenuti da Renzi), convincere gli elettori che hanno votato Vendola a dargli fiducia (e se non è stata programmata una tappa in Puglia è proprio perché, come dice il sindaco di Bari Michele Emiliano, «qui è sufficiente la presenza di Vendola per Bersani»), strappare consensi tra quelli che domenica scorsa hanno scelto Renzi per la promessa di cambiamento. Il leader del Pd ha deciso di scendere sul terreno scelto dall’inizio dal sindaco di Firenze, ma a modo suo, senza fare annunci che valgono per il futuro ma ricordando quanto fatto in passato quando ha governato, perché «il cambiamento non è fatto di slogan e ho fatto più riforme io di quante ne chiacchierino tanti altri». E il confronto con Renzi su Rai 1, in tutto questo? Per Bersani incide fino a un certo punto.
La riunione con il suo staff che doveva servire a discutere dell’appuntamento televisivo finisce in dieci minuti. Nessuna simulazione di domande e risposte, nessuno sparring partner a vestire i panni del rottamatore e menare fendenti. Anzi, poco dopo l’incontro nel suo studio al Nazareno Bersani posta su twitter una foto in cui si vede Miguel Gotor che lo fa sganasciare dalle risate, col titolo: «Mi preparo al confronto di stasera con il mio staff».
IL CAMBIAMENTO NON SI ANNUNCIA
Un modo per spiazzare Renzi? Fino a un certo punto. Spiega lo stesso storico dell’età moderna, che in questi mesi ha girato l’Italia per iniziative a sostegno della candidatura di Bersani: «La sua forza è essere se stesso, non c’è bisogno di chissà quali strategie comunicative». E se Renzi ha continuato e continuerà a battere sul tasto del cambiamento, durante la riunione al Nazareno ci vuole poco a trovarsi tutti d’accordo che a Bersani conviene insistere sull’esperienza come valore, sul fatto che quando ha governato ha sempre portato cambiamenti. E anche che gli conviene mantenere un profilo autorevole e rassicurante, senza inseguire l’avversario sul terreno degli annunci. «L’Italia è stanca della propaganda è il ragionamento di Gotor e i cambiamenti si fanno, non si annunciano, perché disturbano e bisogna evitare che le sacche corporative si allertino».
Per Bersani evitare la rissa, a prescindere da quello che dice e che ancora potrà dire Renzi in questa chiusura di campagna per le primarie, è d’obbligo. Non solo perché farebbe soltanto il gioco dell’inseguitore, ma perché a risentirne sarebbe il partito di cui è segretario, che è ciò che proprio non può permettersi. L’ultimo sondaggio effettuato da Nando Pagnoncelli dà infatti il Pd al 34%. E non a caso lunedì scorso dietro le quinte di un altro studio televisivo, quello di “Che tempo che fa”, Bersani incrociando Renzi gli ha detto con un sorriso: «Dai che stiamo andando alla grande, siamo al 33%, non roviniamo il clima».
La «ditta» rimane in testa ai pensieri di Bersani, che vive queste primarie come uno strumento per «rompere il muro che si è creato tra cittadini e politica» e come una tappa verso il vero obiettivo, le elezioni politiche della prossima primavera. Né un clima di tensioni attorno al partito né una rissa interna servirebbe allo scopo. Bersani lo sa, e si muove di conseguenza.
l’Unità 29.11.12
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Martin Schulz: «Pier Luigi vincerà ballottaggio e elezioni»
Un endorsment oltre frontiera per il segretario del Partito democratico. «Sono molto contento del successo di Bersani domenica scorsa. Siamo intimi amici: credo che vincerà anche il ballottaggio e poi le elezioni di primavera». A dirlo è stato Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, parlando ieri con l’agenzia di stampa Ansa. «Proprio ieri ho parlato con Pierluigi racconta . La mia interpretazione del voto alle primarie è molto semplice: se uniamo i consensi suoi a quelli di Nichi Vendola emerge una chiara maggioranza di sinistra all’interno della coalizione».Alla domanda su cosa ne pensa dell’exploit di Beppe Grillo, Schulz risponde: «È l’effetto della protesta, un fenomeno presente in tutta Europa».
L’Unità 29.11.12
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Nichi Vendola «Scelgo Bersani, fa cose di sinistra Renzi è in sintonia con Merkel», di Andrea Carugati
In questa «giornata terribile per la Puglia», in cui sull’Ilva si è accanita persino una tromba d’aria, Nichi Vendola fatica a distogliere l’attenzione dalle vicende di Taranto, a partire dall’operaio ancora dispero: «I danni dell’inquinamento, quelli del surriscaldamento del clima: tutto intorno a noi ci dice di come la crisi ambientale abbia ormai assunto un carattere strutturale che impone una riconversione dell’agire politico, squarciando l’agenda delle pigrizie culturali».
Lei però resta molto freddo sul decreto che domani (oggi, ndr) il governo varerà sull’Ilva…
«Non sono d’accordo con qualcosa che possa confliggere con l’attività giudiziaria. Aspetto di vedere il testo. Noi pensiamo che il cuore di una iniziativa positiva stia nella accelerazione della valutazione di danno sanitario. Noi abbiamo introdotto questo parametro rivoluzionario per legge, che prevede che l’industria pesante non debba solo rispettare i limiti delle emissioni, ma dimostrare di non pregiudicare la salute e, in caso di danno, adottare interventi correttivi. Nell’Autorizzazione integrata ambientale questa indicazione è stata accolta, ora si tratta di renderla operativa. È possibile in tempi rapidi avere una fotografia del danno sanitario e una indicazione chiara sugli interventi da fare per interrompere la catena di reati. Se questo percorso venisse completato in modo efficace, credo che ci potrebbe essere anche una rivalutazione dei provvedimenti giudiziari».
È possibile ipotizzare una nazionalizzazione dell’Ilva?
«Bisogna discutere laicamente di questa ipotesi, del resto anche Hollande ha ipotizzato la nazionalizzazione di una grande acciaieria francese. Dal governo mi aspetto una proposta chiara, che non appaia né come un de profundis per una fabbrica che invece va salvata, e neppure come uno scaricabarile: per anni come Regione siamo stati lasciati soli a scoperchiare una realtà come l’Ilva che per decenni era stata coperta da omertà anche istituzionali. E oggi ricevere l’accusa di inerzia per me è davvero paradossale». Veniamo alle primarie. Per chi voterà al ballottaggio?
«Voterò Bersani, e lo farò perché è una persona perbene, uno dei rari leader politici non affetti da cinismo, un amministratore di talento e soprattutto un uomo di sinistra. Un socialista europeo figlio della migliore tradizione del riformismo italiano».
In cosa consiste quel «profumo di sinistra» che lei dice di aver annusato ascoltando Bersani?
«Non c’è dubbio che il lessico e la sensibilità di Bersani sono lontani anni luce dal post-modernismo di ispirazione liberista di Renzi. A Pier Luigi voglio dire che il mio voto l’ha conquistato, ma deve fare lo stesso con quello dei miei elettori. E per farlo non basta il mio sostegno». Cosa dovrebbe fare?
«Deve andare oltre il profumo, fare scelte forti e in controtendenza rispetto al pensiero dominante. Faccio un esempio: davanti al premier Monti che evoca la fine del servizio sanitario nazionale servono parole molto più chiare. Così sulla difesa della scuola pubblica e sulle spese militari. Ci sono orecchie attente, soprattutto tra i più giovani. Ora Bersani può e deve accendere una speranza nel Paese».
Renzi sostiene che una quota dei suoi voti siano anti-apparato, contro l’establishment del Pd. E quindi recuperabili proprio dal sindaco rottamatore…
«Non c’è dubbio che dopo la fine del berlusconismo non si è messa a fuoco la crisi di quel modello sociale liberal-populista, ma tutta la politica è stata messa sul banco degli imputati senza distinzioni. Questo ha consentito di occultare le ragioni della crisi, a partire proprio dalla subalternità della politica ai poteri finanziari e dalla sua distanza dal mondo del lavoro». E questa la critica più dura che lei fa a Renzi: non aver rotto questo modello liberista?
«Da rottamare è questo modello sociale che ci ha privato di una dimensione comunitaria e solidale e rende sempre più anoressico lo Stato sociale. In Renzi non c’è alcun cenno critico verso l’austerity e la cultura liberista, nessuna eco rispetto all’America che chiede il recupero di un approccio keynesiano».
Se dovesse vincere il sindaco lei resterebbe nella coalizione?
«Io lavorerò perché vinca Bersani, questa per me è la priorità e non discuto neppure della subordinata».
Torniamo ai suoi elettori: sono o no rottamatori?
«I miei elettori sono in primo luogo sensibili a quel profumo di sinistra…». Eppure Renzi come lei dice no ad una alleanza con Casini…
«È solo un giochino. Sul mercato del lavoro il sindaco è più a destra dell’Udc, sulla riforma delle pensioni la pensano allo stesso modo. Devo però ammettere che sul piano della tattica è molto bravo a depistare. Ma a me pare che, sui contenuti, il sindaco sia più in sintonia con la Merkel che con Hollande. Un’altra buona ragione per scegliere Bersani».
Che ruolo immagina per se in un eventuale governo di centrosinistra?
«Non sono capace di ragionare di politica a partire dalla mia carriera. Ho sempre scelto insieme ai miei compagni, farò lo stesso questa volta».
Lei sarà candidato alle elezioni alla guida delle liste di Sel?
«Una domanda prematura, per me l’obiettivo è costruire il partito del futuro, il soggetto capace di raccogliere le energie dei popoli di sinistra, di ricostruire la coalizione del lavoro e dei diritti».
Vuol dire che pensa a una lista comune con il Pd?
«Non intendo ridurre il tema della sinistra del futuro a una questione organizzativa».
L’Unità 29.11.12

Salute, Errani: “diritto primario basta con i tagli”, di Laura Matteucci

«Siamo d’accordo con il presidente Monti, così com’è la situazione è insostenibile. Con queste risorse non ci sono le condizioni per fare un Patto sulla salute». Il presidente della conferenza delle Regioni e presidente dell’Emilia-Romagna, Vasco Errani, «approfitta» delle parole di Monti sulla sostenibilità della sanità pubblica per rilanciare l’allarme sulle risorse e recapitare al governo un messaggio chiaro: «La sanità è un diritto fondamentale, e il finanziamento di un sistema universalistico è fondato sulla fiscalità generale dice Siamo uno dei Paesi in Europa che spende meno in sanità. Quello che chiediamo è che ci sia almeno la parità di risorse tra il 2012 e il 2013. È la prima volta che succede nella storia che si riduce di un miliardo la cifra assoluta, reale».
RIPRISTINARE IL PATTO Il taglio nella legge di Stabilità per il comparto della sanità, in realtà, è di 600 milioni, ma il conto complessivo arriva poi a un miliardo: si passa dai 107,88 miliardi del 2012 ai 106,82 del 2013. «Siamo ». La partita adesso si gioca a colpi di emendamenti sulla legge di Stabilità: i gruppi parlamentari del Senato «si sono impegnati riprende Errani a presentare emendamenti per mettere il governo di fronte alla necessità di modificare la legge». E oggi, alla conferenza delle Regioni, verranno valutate le iniziative da assumere. Sullo stesso tono il presidente della Basilicata, Vito De Filippo: «Non rinuncio ad un sistema universalista dice E non è affatto vero che il nostro è il sistema più finanziato d’Europa. È vero però che si può lavorare ancora in termini di efficientamento e riorganizzazione della spesa e delle prestazioni». Dal governo, De Filippo si aspetta non solo una riduzione dei tagli, ma anche «il ripristino del patto tra Stato e Regioni», ovvero la possibilità di scelte concordate e condivise. Che si possa limare ancora su qualche voce di spesa lo dice anche il presidente della Toscana, Enrico Rossi, ricordando di aver chiesto solo il rientro dei 2,4 miliardi tagliati dal governo Monti. «Ma tutto ha un limite», aggiunge. «Ho apprezzato molto l’uscita di Monti quando ha detto che il servizio è a rischio. Su questo ha perfettamente ragione continua Ho apprezzato meno quando ha fatto un passo indietro e ha detto invece che le risorse ci sono». Rossi, convinto si possa fare «un mix di lotta agli sprechi, di razionalizzazione, di innovazione, ma anche di maggiori risorse», è però fermo sul fatto che il servizio sanitario nazionale debba «essere mantenuto, e lo ha detto anche il presidente della Repubblica». «Venga in Toscana, chi vuole, a governare la sanità con la spending review dice ancora Credo che non andrebbe da nessuna parte. Discutiamo: non si può dare a intendere ai cittadini che tutto va bene e che si tratta di un problema di sprechi. Noi ci stiamo a fare un accordo con il governo, a fare un nuovo patto per la salute. Ci chiami il presidente Monti, e anche il ministro Balduzzi, ci chiamino e discutiamo a partire dal fatto che le risorse non sono sufficienti. Questo è il punto vero». Perché, come sottolinea anche Errani, sulla sanità tutte le Regioni «rischiano il deficit, che a quel punto sarà un grande problema per il Paese».
l’Unità 29.11.12

“Fecondazione, il governo ricorre contro le donne”, di Caterina Pasolini

Il Governo contro l’Europa. Ha aspettato l’ultimo giorno utile. In silenzio, senza annunci, ha presentato ricorso direttamente in Francia contro la sentenza della Corte europea di Strasburgo. Quella sentenza che il 28 agosto ha condannato l’Italia «per violazione del rispetto della vita familiare», bocciando all’unanimità la legge 40 perché incoerente dal punto di vista legislativo.
INCOERENTE poiché consente l’aborto a chi ha malattie genetiche come la fibrosi cistica, ma non l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e la diagnosi preimpianto che avrebbero evitato questo trauma. Una sentenza europea che dopo le tante italiane, Corte costituzionale compresa, confermava la legittimità
della diagnosi preimpianto e che condannava lo Stato a pagare 15 mila euro di danni morali alla coppia malata.
Quando la notizia del ricorso nel pomeriggio è arrivata in Italia, è scoppiata subito una polemica dura, netta: tra le accuse di Livia Turco al governo di aver fatto tutto «clandestinamente, senza le richieste spiegazioni in parlamento», e di Giulia Bongiorno del Fli, che lo ha definito senza mezzi termini un «gravissimo errore e un ennesimo
schiaffo a tutte le donne». L’unico commento a favore è arrivato da Rocco Buttiglione, Udc, per il quale «è compito del governo difendere in sede europea le leggi italiane».
Secondo Ignazio Marino, senatore del Pd, il ricorso «è un atto gravissimo. Sarebbe sorprendente che un governo tecnico ed europeista in economia non fosse altrettanto tecnico ed europeista quanto ci sono da tutelare i diritti e la salute delle persone e, anzi, agisse in danno dei cittadini più poveri. Questi, in caso di ricorso, si vedranno discriminati nel loro desiderio di maternità e paternità, mentre i più ricchi potranno rivolgersi alle cliniche per l’infertilità degli altri Paesi europei e avere l’assistenza che la legge 40, e adesso anche l’iniziativa del governo, nega loro in Italia». La decisione italiana di presentare l’appello alla Grand Chambre della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo si fonderebbe sulla necessità di salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale.
«Un assurdo, visto che questo ricorso arriva dopo 19 pronunciamenti in Italia di tribunali regionali e della Corte costituzionale che hanno bocciato i vari punti di una legge 40 ideologica, tutta da rifare», commenta Filomena Gallo, presidente dell’associazione Coscioni e avvocato che ha seguito diverse coppie malate nei ricorsi contro la legge 40. «È un tentativo», aggiunge, «di salvare l’insalvabile, una legge ingiusta che non consente a coppie fertili ma con malattie genetiche di fare la fecondazione assistita ».
In effetti se si considerano i ricorsi contro altre parti della legge, come quelli per ottenere il congelamento degli embrioni, la diagnosi preimpianto e il limite di utilizzo di tre embrioni per ciclo di fecondazione, sono complessivamente diciassette le volte che la legge è stata bocciata dai giudici. I quali hanno ordinato l’esecuzione delle tecniche di fecondazione secondo i principi costituzionali, non rispettati dalla legge 40 smantellandola paletto dopo paletto. Se si comprende anche l’ambito europeo, con la bocciatura di Strasburgo nell’agosto scorso salgono a diciotto gli stop. Di pochi giorni fa, poi, la sentenza del tribunale di Cagliari che, considerando quello alla diagnosi preimpianto un diritto, ha sancito che sia garantito gratuitamente dalle Asl in ospedale o in un centro convenzionato.
Per tutelare il diritto alla salute di tutti senza discriminazioni, l’associazione Coscioni ha anche chiesto al ministro della salute Balduzzi di emanare un atto che consenta alle coppie portatrici di malattie genetiche gravi di avere un figlio e evitare un aborto. Un decreto ministeriale, che estenda anche a questi aspiranti genitori il concetto d’infecondità, come già previsto nelle attuali linee guida sulla 40 che permettono all’uomo fertile ma portatore di Hiv di accedere alla fecondazione assistita.
La Repubblica 29.11.12

Sisma, deputati Pd “Passo in avanti in Parlamento”

Ghizzoni, Miglioli, Santagata “Per ripresa servono adeguate politiche fiscali, non condoni”. “E’ con politiche fiscale adeguate e trasparenti e non, come invece vorrebbe Giovanardi, attraverso il ricavato di un condono edilizio in Campania, che le aree terremotate potranno tornare ad essere un motore dell’economia italiana”: è questa la risposta dei deputati modenesi del Pd Manuela Ghizzoni, Ivano Miglioli e Giulio Santagata al conterraneo del Pdl Giovanardi che annuncia che non voterà la fiducia se il Governo non verranno accolti gli emendamenti presentati, compreso quello che riapre i termini per il condono in Campania.
“Oggi è stato compiuto un ulteriore passo in avanti per rispondere alle esigenze delle popolazioni terremotate. – lo dichiarano i deputati emiliani del Pd Manuela Ghizzoni, Ivano Miglioli e Giulio Santagata. – Il parere espresso dalla Commissione Finanze del Senato recepisce le richieste dell’ordine del giorno approvato alla Camera. Ora auspichiamo che il parere sia recepito anche dalle Commissioni di merito e che il Governo accolga le modifiche richieste che prevedono l’inclusione di un meccanismo di rateizzazione del pagamento delle imposte, dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri assicurativi, oltre che l’estensione dei contributi anche per chi ha subito danni al reddito d’impresa. È con politiche fiscali adeguate e trasparenti e – concludono i deputati – non, come invece vorrebbe Giovanardi, attraverso il ricavato di un condono edilizio in Campania, che le aree terremotate potranno tornare a essere un motore per l’economia italiana.”

“Ordinanza per le E pesanti pronta e la Befana porterà i contributi”, di Evaristo Sparvieri

Summit con i sindaci per fare il bilancio a sei mesi dalla seconda tragica scossa del 29 maggio Fondi per la ricostruzione disponibili dal 10 gennaio. Sono sessanta le scuole provvisorie già aperte. Il 10 gennaio. È questa la data in cui le banche cominceranno ad erogare direttamente alle imprese che eseguono i lavori i contributi fino all’80% stanziati per la ricostruzione: sei miliardi messi a disposizione dal primo gennaio dalla Cassa depositi e prestiti, secondo l’attesa convenzione con l’Abi che verrà firmata nei prossimi giorni. Entro questa settimana, inoltre, sarà firmata dal commissario Vasco Errani anche l’ordinanza sulle abitazioni di tipo E pesante, l’unica ancora in via di definizione. È quanto emerso ieri al termine di un vertice in Regione con i sindaci dei comuni colpiti dal sisma: un summit nel quale, a distanza di sei mesi dai terremoti del 20 e 29 maggio, è stato fatto un primo bilancio di tutti gli interventi messi in campo. Oltre 13 miliardi e 273 milioni di euro i danni complessivi stimati, di cui 12 miliardi e 202 milioni nella sola Emilia-Romagna: 676 milioni per i provvedimenti di emergenza, 3 miliardi e 285 milioni di danni all’edilizia residenziale, 5 miliardi e 237 milioni alle attività produttive, 2 miliardi e 75 milioni al patrimonio culturale. L’EMERGENZA. Dalle recinzioni alle demolizioni fino ai puntellamenti. Sono stati questi gli interventi urgenti che, all’indomani del sisma, hanno avuto la priorità. Il finanziamento complessivo è stato di 21,5 milioni di euro, provenienti dal Fondo per la ricostruzione. A breve è prevista la pubblicazione di ordinanze per ulteriori 15 milioni di euro. GLI EDIFICI. Circa 40 mila gli edifici controllati: 24.564 abitazioni, 963 scuole, 2.075 edifici a uso produttivo, 2.697 a uso commerciale, 1.139 uffici, 11.311 depositi e 174 edifici d’uso turistico. A livello di inagibilità, dalle verifiche è emerso che il 30% degli edifici è risultato inagibile, più un 6% inagibile per rischio esterno, ossia a causa di elementi esterni pericolanti il cui crollo potrebbe interessare l’edificio. Le abitazioni dichiarate inagibili, a conclusione dei sopralluoghi, sono oltre 31 mila. I danni ammontano a oltre 3,3 miliardi di euro. Entro fine anno 910 moduli abitativi. I CONTRIBUTI. La prima misura messa in campo per le sistemazioni alternative è stata il Contributo di autonoma sistemazione (Cas), concesso a oltre 14mila famiglie per un totale di 40mila persone coinvolte. Per far fronte all’emergenza abitativa in seguito è stato emanato il “Programma casa per la transizione e l’avvio della ricostruzione”. Inoltre sono in corso di realizzazione circa un migliaio di moduli prefabbricati abitativi. Di questi, circa 800 da realizzare in aree appositamente allestite in 7 dei 13 comuni che ospitavano tendopoli e circa 160 in ambito rurale, a servizio delle attività agricole. LE SCUOLE. Oltre 450 gli edifici scolastici danneggiati, di cui 60 hanno comportato la costruzione di soluzioni provvisorie. In totale, sono state verificate 868 scuole, 791 pubbliche e 77 private, che ospitano complessivamente oltre 70 mila studenti. Gli edifici scolastici risultati totalmente inagibili sono 140, 24 quelli inagibili per cause esterne e 296 quelli parzialmente inagibili. Stanziati oltre 166 milioni di euro. Sono già state individuate, inoltre, le aree dove saranno costruite 25 palestre temporanee per 29 milioni di euro. ATTIVITÀ PRODUTTIVE. Il sisma ha colpito una delle aree produttive più importanti del Paese, per una produzione pari all’1,8% del Pil nazionale. Le aziende coinvolte sono diverse migliaia per un valore complessivo del danno stimato in 2,7 miliardi di euro. A causa del terremoto hanno dovuto fare ricorso alla cassa integrazione oltre 40 mila lavoratori. Per quanto riguarda le aziende agricole e zootecniche, i danni stimati sono pari a 2,4 miliardi di euro. La quota maggiore si concentra nella nostra provincia, con il 91,5% dei danni totali. PATRIMONIO CULTURALE. La stima dei danni diretti al patrimonio culturale raggiunge oltre 2 miliardi di euro e riguarda circa 2.100 strutture, tra cui 782 edifici di culto. Sedici le biblioteche danneggiate, 7 le sale cinematografiche inagibili, 12 i teatri. Per quanto riguarda le strutture e impianti sportivi, gli spazi danneggiati sono un centinaio. Al 15 novembre risultano finanziate, con la gestione commissariale, 165 opere provvisionali per interventi su chiese, campanili, palazzi storici, rocche e castelli, cimiteri. Dalla Regione fanno sapere che si sta ultimando la predisposizione del programma di ripristino dei luoghi di culto, che coinvolge circa 60 chiese per una spesa di 15 milioni di euro. OSPEDALI. Le aziende sanitarie del servizio sanitario dell’Emilia-Romagna hanno riportato danni diretti per 96 milioni di euro. I danni alle strutture sanitarie e per le tecnologie sanitarie ammontano a 59 milioni di euro, quelli per la prima assistenza a 37 milioni. Alla fine del mese di ottobre per gli ospedali più danneggiati, Carpi e Mirandola, le attività sanitarie risultavano riattivate rispettivamente per l’80 % e per il 40 %. Entro i primi mesi del 2013 gli interventi per il ripristino funzionale delle strutture ospedaliere saranno completati.
La Gazzetta di Modena 28.11.12

“Sisma: la beffa degli sgravi da restituire all’erario”, di Massimo Franchi

Le case distrutte o lesionate, il lavoro perso per mesi. E adesso la beffa finale: le tredicesime azzerate. I lavoratori di Emilia Romagna, Veneto e Lombardia finiti in cassa integrazione a causa del terremoto di maggio e giugno (dei 45mila iniziali ne se sono rimasti 18mila) sono scesi a Roma per far sentire al governo la loro voce. «Fateci respirare» era lo slogan scelto dalla Cgil per il presidio di ieri mattina al Pantheon. Sopra e sotto il palco le storie di chi «si è tirato subito su le maniche per reagire, ma ora ha bisogno di un aiuto», come sintetizza il segretario confederale di Corso Italia Danilo Barbi. «Io ho la casa che probabilmente sarà da abbattere – racconta Cinzia, che lavora all’ipermercato della Coop Estense di Carpi – Il decreto del governo ci consentiva di avere sgravi sugli adempimenti fiscali, di avere tutto il Tfr in busta paga: non si trattava di granché ma quando non hai la casa anche 200 euro al mese fanno comodo. Ora però i sei mesi sono finiti e il governo rivuole indietro tutti i soldi e immediatamente. Significa una busta paga o la tredicesima alleggerita di 400 euro, mentre mio marito che lavora in una tipografia l’avrà azzerata». «Noi ci sentiamo anche fra i fortunati perché la nostra fabbrica non è stata danneggiata in modo grave – premette all’unisono la delegazione dei lavoratori della Emmegi, azienda che produce macchinari per la lavorazione Pvc e alluminio a Soliera (Modena) – però noi abbiamo lavorato un mese fuori dal capannone per metterlo in sicurezza e adesso ci troviamo a dover avere o la busta o la tredicesima azzerata. In cassa a zero ore si prendono 760 euro al mese, siamo tutti padri di famiglia e senza tredicesima il Natale sarà povero. Ma il nostro padrone sta ancora peggio perché a dicembre dovrà versare 2 milioni di euro di tasse e contributi arretrati». Loro però non chiedono nessun favoritismo: «Noi abbiamo sempre sudato il nostro salario, siamo d’accordo a ridare indietro i contributi, ma rateizzando su più mesi per lasciarci un po’ di respiro».
RATEIZZAZIONE, GIORNO DECISIVO
La sintesi delle richieste la fa dal palco il segretario Cgil dell’Emilia Romagna Vincenzo Colla: «Ci vuole una proroga degli ammortizzatori sociali, una moratoria fiscale e contributiva, risorse immediate per sostenere la ricostruzione. Un territorio che produce il 2% del Pil nazionale, non può rischiare lo scollamento sociale». Un parere condiviso ieri anche dal presidente della Regione Emilia-Romagna Vasco Errani: «Non chiediamo sconti fiscali, ma elementi che sono indissolubilmente e intimamente legati alla ripresa del territorio». A poche centinaia di metri, al Senato, è in discussione la conversione in legge del decreto 174, quello sul terremoto, che deve essere convertito entro il 9 dicembre. Qui, dopo che il governo ha dato parere favorevole all’ordine del giorno che lo impegnava ad intervenire, il Pd sta battagliando per avere approvati gli emendamenti che chiedono «la rateizzazione dei rimborsi su tasse e contributi fino a giugno prossimo e il riconoscimento dei danni non edilizi per i tanti negozi e le tante imprese chiuse perché ad esempio si trovano nei centri storici ancora chiusi – spiega la senatrice Pd Mariangelo Bastico – Se alla Camera il governo è stato molto rigido, al Senato registriamo aperture, ma non sappiamo se darà parere positivo». Il giorno decisivo sarà oggi: il passaggio in commissione è fondamentale perché in aula il decreto subirà la mannaia della fiducia.
L’Unità 28.11.12

Pd, nulla sarà come prima «Ma decide il congresso», di Nini Andriolo

Il Pd ha cambiato «pelle». Il 25 novembre, anzi, «è nato di nuovo». I giornali fotografano così i 3 milioni in fila per la prima tappa della corsa di Renzi e Bersani. Riflettori puntati sugli equilibri interni al Partito democratico nelle istantanee di stampa che si avventurano verso i possibili scenari del dopo, immaginando perfino ticket tra il sindaco di Firenze e il segretario. «Nulla di tutto ciò», sottolinea Roberto Speranza, del comitato Bersani. «Abbiamo voluto le primarie per avvicinare la politica ai cittadini – commenta – Il più grande partito del Paese ha costruito la condizioni per un bagno di democrazia». «Un errore», quindi, leggere le primarie con la lente «deformata» delle dinamiche interne al Pd. Per definire gli assetti del partito, continua Speranza, bisognerà attendere il congresso del 2013. Al di là di questo, però «il dato importante è che abbiamo rimesso il partito al centro dell’agenda politica» e «il merito va a Bersani che ha voluto cambiare lo stesso Statuto del Pd».
Anche il versante renziano non pone l’accento sugli equilibri di partito. «Siamo perfettamente consapevoli che questo non è mica un congresso – sottolinea Roberto Reggi, responsabile della campagna del sindaco di Firenze – Chiaro, però, che un milione e centomila elettori non sono una cosa da ridere e dovrebbe essere interesse di tutto il partito valorizzare questo serbatoio..». Tandem Bersani-Renzi in vista delle politiche? «Matteo ha sempre detto che non accetta premi di consolazione – replica Reggi – Lui punta a vincere, ma qualora dovesse perdere continuerebbe a fare felicemente il sindaco di Firenze senza ticket». Nessuno dei renziani al governo, quindi, in caso di vittoria di Bersani alle primarie e alle successive politiche? «Questo dipende da chi vince, sarà lui che dovrà farsi carico di chi perde. Nel caso vincesse Matteo sarà così e penso che sarà così anche se dovesse prevalere Bersani. Lui, anzi, dovrebbe farlo due volte, come segretario e come candidato premier. Chi vince vince e chi perde aiuta – ricorda Reggi – Noi siamo in questo spirito, non ho ancora capito se lo è anche Bersani…».
Si meraviglia «che ci si meravigli» del Pd, Francesco Boccia, vicino alle posizioni di Letta. «Già il congresso fondativo del partito aveva chiuso con i vecchi gruppi dirigente dei Ds e della Margherita» e da Veltroni in poi «sul rinnovamento si è fatta molta strana». Il processo che si è innestato è sbocciato, poi, con Bersani. «Oggi – continua Boccia – c’è una classe dirigente nuova a livello regionali, nazionale e di amministratori locali». Renzi? «Chi ottiene più di un milione di consensi rappresenta un pezzo del mondo del centrosinistra, come lo rappresenta per altri versi Vendola, con i suoi 480.000 voti. E Boccia spera in Bersani candidato premier, certo che il segretario «terrà conto del dibattito che si è sviluppato in queste settimane e degli altri candidati alle primarie». L’asse Bersani-Renzi-Vendola, secondo il parlamentare pugliese, «rafforzerà il profilo riformista del centrosinistra che guarda al mercato come strumento ridistributivo e alle fasce più deboli della popolazione».
Anche per Ettore Rosato, deputato friulano vicino a Dario Franceschini, in queste settimane non si sta celebrando «un congresso del Pd» e «sarebbe un errore definire sulla base delle primarie maggioranze e opposizioni interne al partito». Come avviene in ogni occasio- ne elettorale «sicuramente c’è un cambiamento» ed «emergono figure nuove» mentre «altri escono di scena o si ridimensionano». Il Pd «è un grande partito che deve rappresentare la casa di tutti», continua Rosato. L’ipotesi di un ticket Bersani-Renzi avanzata da qualche giornale? «Solo fantapolitica». Il sindaco di Firenze? «Se dovesse prevalere farà il candidato premier, naturalmente. In caso contrario bisognerà capire meglio». Anche perché, secondo Rosato, «Renzi rilascia dichiarazioni che spesso smentisce». Prima «dice di non essere interessato alle liste elettorali – sottolinea – Poi avverte che è interessato a fare sia le liste che i parlamentari. Bisognerà aspettare che si consolidi il suo pensiero prima di immaginare il futuro».
Un Pd che ha cambiato pelle il 25 novembre 2012? «Rispetto alla rappresentazione che qualcuno si ostinava ad avere in testa, fatta da quelle correnti e da quei leader, il Pd di oggi è già una cosa diversa – spiega Matteo Orfini, esponente dei cosiddetti giovani turchi vicini a Bersani – Ma, anche qui, non ci si può limitare a dire che la ruota girerà e che abbiamo fatto il rinnovamento. A questo, infatti, dovrà corrispondere un equilibrio dei poteri reali dentro il partito». Vero che la mappa del Pd è diversa, afferma Orfini. Ma «questo è avvenuto perché nelle battaglie di questi mesi, nel rapporto con l’opinione pubblica e con le primarie si sono affermate realtà nuove». E «un grosso passo avanti», secondo l’esponente della segreteria Pd, riguarda «l’articolazione delle cosiddette nuove leve» e il fatto che l’aggregazione interna «non avviene più come affiliazione a questo o a quel leader ma intorno a posizioni politiche di merito».
«Noi cosiddetti giovani turchi ci siamo incamminati su una linea e intorno a quella abbiamo aggregato – continua Orfini – Anche Renzi ha cominciato così, pur muovendosi su un’opzione politica antitetica alla nostra». E oggi, almeno, «si parla di politica», non «di chi è fedele a chi». Il Pd è diverso da quello di tre anni fa, sottolinea Orfini, «ed è bene che questa diversità venga certificata, anche al momento delle scelte che riguarderanno la composizione di un eventuale governo». Renzi? «Se perde potrà tornare magari a fare il sindaco di Firenze, ma ci dovrà pur essere qualcuno dei suoi ad interpretare quella linea anche nella battaglia del centrosinistra per il governo del Paese». Anche per Orfini «il tema di adesso» non sono gli assetti interni del Pd ma «vincere le elezioni»
L’Unità 28.11.12