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“Bersani: il nostro vero avversario è la sfiducia”, di Simone Collini

Non ci sarà un altro confronto televisivo tra i candidati alle primarie del centrosinistra. Pier Luigi Bersani è soddisfatto per com’è andato il dibattito su Sky. Ma se Matteo Renzi, Nichi Vendola e Bruno Tabacci chiedono una nuova sfida in tv prima del 25, magari su uno dei canali della Rai (Laura Puppato, anche se è quella che tra tutti gode di una minore esposizione mediatica, scalpita meno all’idea di un nuovo passaggio televisivo), il segretario del Pd vuole dedicare tutti i dieci giorni che restano prima dell’appuntamento ai gazebo al confronto che giudica più importante di tutti, «quello con i cittadini».
IL RUSH FINALE
Come ha fatto ieri al cinema Farnese di Roma, o come farà oggi al Teatro Augusteo di Napoli, e poi via via una regione al giorno, tra Sardegna, Sicilia, Marche, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, senza doversi preoccupare di cancellare qualche appuntamento già in agenda per partecipare a un confronto televisivo. Ci sarà una Liguria, dove tra l’altro se verranno confermate tutte le condizioni necessarie terrà il comizio di chiusura: a Genova, per la precisione, la vittima dell’alluvione, la porta verso l’Europa, la città delle lotte operaie. Mentre già questo sabato Bersani sarà in Puglia, dove a Bari chiamerà a raccolta i duemila giovani che hanno partecipato alla scuola di formazione politica “Finalmente Sud”. Un’operazione avviata dal leader Pd un anno fa a Napoli, nel giorno in cui Renzi lanciava la prima Leopolda sotto il vessillo della rottamazione.
E se il sindaco di Firenze dopodomani chiuderà la terza edizione, quella che nelle sue intenzioni gli tirerà la volata per le primarie del 25, Bersani da Bari vuole mostrare che il rinnovamento è già in atto, non è «contro» ma «per» e non passa per il solo dato anagrafico. Dice Bersani tracciando un possibile criterio di formazione del prossimo esecutivo, a guida progressista: «Il passaggio generazionale serve, ho sempre detto che la ruota deve girare, ma non ci vuole improvvisazione. Chi va al governo, non deve improvvisare. Qualcosa deve saperla. Io stesso, a 25, 30 anni ero più sveglio ma tante cose non le conoscevo. Quindi per me rinnovamento, ma senza improvvisazione».
Bersani è soddisfatto per come sta andando la campagna per le primarie, ed è sempre più convinto di aver fatto bene a volerle aperte, a chiedere di cambiare lo statuto del Pd per permettere anche ad altri del partito di partecipare, nonostante le perplessità e anche le resistenze di molti pezzi del gruppo dirigente democratico. «C’erano dei timori del tutto giustificati, data anche l’asprezza del nostro dibattito, correvamo il rischio di imbastire una specie di guerra», spiega durante l’iniziativa al cinema Farnese di Roma. Così non è stato. «Avevo detto che sarebbe stata una festa e così è stato, non è successo niente», sottolinea. «Siamo un partito giovane e con un sacco di difetti, ma siamo più forti dei nostri difetti e dobbiamo avere fiducia nelle nostre forze», dice ricordando che è meglio evitare il «fuoco amico» perché più si avvicinano le elezioni più il centrosinistra deve dimostrarsi unito e all’altezza della sfida di governo. «Non abbiamo bisogno di avversari perché ne avremo tanti, avremo da fare una battaglia molto dura». Il primo contendente, spiega, «sarà la sfiducia, la rabbia, il distacco e il disamore che sono l’eredità malata del berlusconismo. Ma dovremo battere questo atteggiamento facendo ragionare la gente, spiegando che la protesta da sola non porta da nessuna parte, serve il cambiamento e dobbiamo metterci in testa di essere quel cambiamento».
A GRILLO LENIN FA UN BAFFO
Quella che si gioca alle urne questa volta, per Bersani, è una partita che va oltre una semplice sfida tra progressisti e conservatori. Sapendo pure che «in questo stato di confusione evidente della destra» l’elettorato che negli anni passati ha guardato a quella parte politica ora sia tentato non dal fronte moderato di Casini, ma «dalla protesta»: «Dovremo combattere per un’alternativa di sistema, un’alternativa rispetto a tutto quello che è stato in questi 20 anni». E questo vuol dire combattere forme vecchie e nuove di populismo, che «sono entrate nelle ossa». Berlusconi ha giudicato un’umiliazione il confronto televisivo per le primarie? «Certo, per lui è così perché gli viene giù il business. Perché dovrebbe preoccuparsi di aggiustare i partiti, la politica, le istituzioni? Lui campa sul discredito». Grillo che dice agli esponenti del M5S dove parlare e cosa dire? «Lenin gli fa un baffo. Addirittura vogliono uscire dall’Ue e dall’Euro, cosette di questo genere. Noi dovremo combattere queste pericolosissime derive».
l’Unità 15.11.12
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Primarie: già registrati in 400mila. Ecco come votare 124mila on line, il resto nelle sezioni. Da sabato saranno noti tutti i luoghi dove votare. 6600 uffici elettorali sono all’opera per le operazioni necessarie
di Virginia Lori
Sarà di nuovo un week-end di mobilitazione straordinaria, il prossimo. Il coordinamento per le primarie del 25 novembre ha deciso di aumentare il numero degli uffici elettorali in cui è possibile andare a registrarsi (ora siamo a quota 6.600 tra circoli Pd, Sel, sedi Arci e altro) ma anche di ripetere l’operazione dello scorso fine settimane, con l’allestimento di gazebo nelle principali piazze delle città italiane. A firmare l’«appello degli elettori Italia Bene Comune», iscriversi all’«Albo degli elettori» e ritirare la tessera che poi darà il diritto di scegliere chi sarà il candidato premier del centrosinistra sono stati circa 400 mila cittadini.
A ieri sera, in 123.066 lo hanno fatto on-line, attraverso il sito www. primarieitaliabenecomune.it, mentre da fonti democratiche si viene a sapere che a registrarsi negli uffici elettorali sparsi sul territorio sono stati oltre 250 mila elettori. Un incremento c’è stato dopo il confronto televisivo su Sky tra Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola, Matteo Renzi, Laura Puppato e Bruno Tabacci. Ma l’obiettivo è dare un’ulteriore accelerazione alle iscrizioni, e quindi si è deciso di ripetere il week-end di mobilitazione straordinaria.
DA SABATO TUTTI GLI INDIRIZZI
Sabato, tra l’altro, sul sito delle primarie sarà possibile sapere dove bisogna andare a votare il 25 novembre (con eventuale doppio turno il 2 dicembre, se nessun candidato supererà il 50% più uno dei consensi). Bisogna infatti votare nel seggio collegato alla propria sezione elettorale. Per registrarsi, invece, si può andare in qualunque ufficio elettorale (gli indirizzi e gli orari di apertura, città per città, sono consultabili sempre sul sito delle primarie). Oppure si può fare on-line, andando all’indirizzo web www.primarieitaliabenecomune.it.
In entrambi i casi bisogna comunicare i propri dati anagrafici, sottoscrivere l’appello a favore del centrosinistra, iscriversi all’Albo degli elettori. È possibile anche lasciare un indirizzo di posta elettronica o un numero di cellulare per avere poi informazioni ulteriori sulle primarie e su dove andare a votare il 25. Chi si registra on-line deve comunque passare a un ufficio elettorale a versare i due euro (almeno) di contributo spese e ritirare il «certificato di elettore di centrosinistra» che dà diritto a scegliere, tra due domeniche, chi dovrà essere il candidato premier per le prossime elezioni politiche.
Anche se sarà possibile farlo il 25 (ma si dovrà fare in un luogo diverso da quello dove si voterà), conviene registrarsi in questi giorni per evitare di dover poi fare file molto più lunghe. Le urne per votare, tra due domeniche, saranno aperte dalle 8 alle 20. Se nessuno tra Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi, Nichi Vendola, Laura Puppato e Bruno Tabacci dovesse incassare il 50% più uno dei consensi, ci sarà un secondo turno domenica 2 dicembre. Per quarantott’ore, in quella settimana tra le due votazioni, si potrà iscrivere (per poi votare al secondo turno) chi non lo avesse precedentemente fatto.
CHI PUÒ VOTARE
Possono partecipare al voto i giovani che abbiano compiuto 18 anni entro il 25, i cittadini dell’Unione europea residenti in Italia e quelli di altri Paesi extra-Ue in possesso di regolare permesso di soggiorno e di carta di identità.
Per poter votare sarà necessario esibire al seggio un documento d’identità valido, la tessera elettorale e il proprio «certificato di elettore della coalizione di centrosinistra “Italia Bene Comune”» rilasciato al momento della registrazione all’Albo degli elettori.
L’Unità 15.11.12

Legge stabilità: Ghizzoni, calpestato diritto dei lavoratori della scuola

Parlamento ha perso occasione per emendare un torto della Riforma Fornero. “Questa mattina, durante l’esame della legge di Stabilità, è stato calpestato un diritto dei lavoratori. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, dopo la che l’emendamento sul trattamento pensionistico del personale della scuola è stato respinto per l’Aula –L’emendamento è stato respinto a causa del parere contrario da parte del Governo, basato sulla valutazione negativa della Ragioneria dello Stato. Quest’ultima, peraltro, non si è espressa attraverso una relazione tecnica supportata da dati certificati dall’Inpdap e dal Miur. Un errore nato con la Riforma Fornero che – spiega Ghizzoni – non aveva tenuto in alcun conto la specificità della scuola e del fatto che quei lavoratori possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1 settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti, per le giuste esigenze di funzionalità e di continuità didattica. Se l’emendamento fosse stato approvato – conclude la Presidente Ghizzoni – il Parlamento avrebbe, dopo molteplici tentativi, emendato un torto generato dall’Esecutivo nei confronti dei lavoratori della scuola, che ora saranno costretti a ricorrere alla giustizia per vedere affermato un proprio diritto.”

Scuola, Ghizzoni “Di cosa parla l’onorevole Mazzuca?”

Il Parlamento ha perso l’occasione per emendare un torto della riforma Fornero. Nonostante l’annuncio del deputato del Pdl Giancarlo Mazzuca, il Parlamento ha perso l’occasione per emendare un torto perpetrato ai danni dei lavoratori della scuola dalla riforma Fornero. “Questa mattina, prima dell’alba, infatti, – spiega la parlamentare Pd Manuela Ghizzoni – la Commissione Bilancio ha respinto per l’aula il mio emendamento, a causa del parere contrario del Governo, che cercava di salvaguardare la specificità della scuola in materia di tempistica per andare in pensione”.
“Di cosa parla l’on. Mazzuca? Purtroppo, sui lavoratori della scuola, la realtà è ben diversa da quella prospettata. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, in merito all’annuncio del deputato del PdL Giancarlo Mazzuca del recepimento di un suo emendamento sul trattamento pensionistico del personale della scuola, dichiarato inammissibile da giorni. – Questa mattina alle 5 la Commissione Bilancio ha respinto per l’aula anche il mio emendamento, a causa del parere contrario da parte del Governo, basato sulla valutazione negativa della Ragioneria dello Stato. Quest’ultima, peraltro, non si è espressa attraverso una relazione tecnica supportata da dati certificati dall’Inpdap e dal Miur. Un errore nato con la Riforma Fornero che – spiega Ghizzoni – non aveva tenuto in alcun conto la specificità della scuola e del fatto che quei lavoratori possono andare in pensione un solo giorno all’anno, il 1 settembre, indipendentemente dalla data di maturazione dei requisiti, per le giuste esigenze di funzionalità e di continuità didattica. Se l’emendamento fosse stato approvato – conclude la Presidente Ghizzoni – il Parlamento avrebbe, dopo molteplici tentativi, emendato un torto generato dall’Esecutivo nei confronti dei lavoratori della scuola, che ora saranno costretti a ricorrere alla giustizia per vedere affermato un proprio diritto.”

“Una risposta politica a questa crisi”, di Stefano Menichini

Gli incidenti, le sassaiole, le provocazioni contro le forze dell’ordine, le cariche con i loro eccessi: tutto questo fa parte di un rito pericoloso e vano, estenuante, immodificabile nei decenni. Che invece la protesta contro le politiche di austerità conquisti una dimensione continentale, e richiami nelle piazze tante persone e tantissimi giovani, anche questo certo ha una sua ritualità però segna un cambio di clima in Europa.
Parlando dell’Italia, si può dire così: le politiche di rigore di bilancio non potranno che protrarsi nel tempo. Hanno però bisogno di essere rielaborate, corrette, proposte e difese davanti al paese da un governo e da un parlamento radicalmente rilegittimati. La necessità di una investitura popolare è stata fin qui evocata rifacendosi a valori generali, importanti ma astratti. Qui, oggi, emerge concretissima una primaria esigenza politica: gli italiani – anche quelli che protestano, per certi aspetti soprattutto loro – hanno bisogno e diritto di associare le scelte che li riguardano a una classe politica e di governo democraticamente eletta.
Credo che quando Bersani avverte che non potrebbero nascere alcuna grande coalizione e alcun nuovo governo da uno stallo postelettorale intenda questo: che qualsiasi coalizione e qualsiasi governo, per quanto ampi e tecnici possano essere, devono scaturire da un voto che individui maggioranze e opposizioni riconoscibili.
La rabbiosa reazione di Pdl e Lega alla convocazione delle regionali a febbraio vale come conferma che lo scenario di un risultato netto alle elezioni politiche è ormai considerato il più probabile.
C’entra assai anche il poderoso salto di attenzione che si registra intorno alle primarie del centrosinistra; il successo del dibattito televisivo; la conseguente invasione mediatica da parte dei candidati, tutti ora attenti a consegnare un messaggio di unità nella competizione; il venir meno delle paure (anche alimentate ad arte) che la visibilità e la forza di Matteo Renzi possano nuocere al Pd, preoccupazione che Bersani con lungimiranza ha sempre respinto.
Dunque ci sono motivi e spinte sociali al cambiamento. C’è un assetto politico (ancora insufficiente) che può rispondere a queste spinte. Le tappe elettorali sono lì, ormai imminenti. E però sappiamo che è proprio quando tutto appare leggibile e lineare, che si annidano il rischio dell’errore e l’insidia della mossa che ribalta: occhi aperti.
da Europa Quotidiano 15.11.12

“L’età delle primarie”, di Nadia Urbinati

Tenere insieme divisione e unità è un compito politico difficile, ma imprescindibile. A questo servono le regole democratiche, scritte e costituzionalizzate in previsione del disaccordo, non dell’armonia. La ricerca di costituire leadership democratiche passa attraverso la pratica del disaccordo e aspira a raggiungere un esito che benché unitario non è mai affossamento delle divisioni. Lo abbiamo appreso seguendo le recenti elezioni americane che, con sorpresa di molti osservatori stranieri, hanno rivelato al mondo un paese diviso eppure unito. Un mistero che di misterioso ha in effetti molto poco, se non il fatto che la divisione politica e ideologica è condizione per consentire la formazione di un’unità del potere di decisione. Chi meglio riesce in questo, conquista la leadership. Il sistema presidenziale e federale si adattano meglio a questa politica della concordia discordante rispetto a quello parlamentare, che è più pluralista e propenso a promuovere coalizioni invece che convergenze verticali intorno a un leader.
La leadership democratica nelle democrazie parlamentari segue altre logiche che non sono, o sono raramente, personalistiche (il Parlamento, scriveva Max Weber, soffoca il leader). Il nostro paese vive dunque una strana vicenda. Da un lato, è a tutti gli effetti una democrazia parlamentare. Dall’altro, uno dei suoi partiti più importanti ha deciso di adottare il sistema delle primarie per scegliere il candidato che dovrà rappresentarlo alle elezioni politiche, senza alcuna certezza che questa leadership diventi poi leadeship di governo poiché la maggioranza parlamentare va costruita con alleanze e il nome di chi guiderà il governo è parte della trattativa per la costruzione dell’alleanza. Quindi, perché le primarie? La scelta delle primarie è stata dettata dall’esigenza di rispondere allo stato di dissoluzione dei partiti politici nel nostro paese, di cercare una via d’uscita al discredito della politica. In Italia le primarie servono meno a selezionare il leader che dovrà governare che a tenere alta l’attenzione dei cittadini nei confronti della politica e a ridare ossigeno ai partiti. Diciamo che da noi l’uso delle primarie è improprio. Se la strada sia giusta non lo sappiamo ancora; non sappiamo se intensificare le divisioni interne al partito sia una buona strategia per preparare una leadership unitaria per il paese.
La specificità della nostra situazione comporta far fare alla leadership un lavoro più difficile di quello delle primarie americane perché non sostenuto da una struttura istituzionale e, quindi, solo basato sulla volontà dei concorrenti
(per esempio, la promessa di accettare il verdetto delle primarie e non correre in caso di sconfitta è, e resterà fatalmente, solo una promessa). Inoltre, l’Italia non ha nella sua storia modelli a cui riferirsi che combinino insieme leadership personale e democrazia. Il potere del leader personale fa parte della storia fascista. L’età parlamentare ha cercato di ovviare il problema della leadership personale creando leader collettivi, ovvero i partiti politici. La combinazione di leader personale e democrazia è stata per la prima volta tentata da Berlusconi. Ma quel che ci ha lasciato l’era berlusconiana è un modello di leader da evitare se le primarie devono svolgere il compito di rinascita della politica. Il modello berlusconiano ha macinato personalismo più che leadership democratica, generato divisioni artificiose per esigenza di spettacolo, con l’attenzione rivolta a fare audience più che a rappresentare i problemi reali della società e a costruire una maggioranza che operasse onestamente, e per il bene del paese.
La leadership democratica nell’età delle primarie per scopo di rigenerazione della politica è, dunque, una realtà molto complessa e tutta sperimentale. Le primarie del Pd possono essere un segno di coraggio o avere un esito disastroso se si ridurranno a essere solo un mezzo per buttare nell’arena politica nuovi protagonisti o protagoniste. Il moto plebiscitario che generano potrebbe riuscire a ridare vigore alla politica ma potrebbe ricreare la sindrome berlusconiana della democrazia dell’audience. Non ci si deve nascondere questi rischi e queste difficoltà. Perché i rischi siano minimizzati è importante che i candidati imparino in fretta l’arte di tenere insieme divisione e unità. Un’arte difficile anche perché veniamo da due decenni in cui abbiamo appreso solo l’arte di opporci e contrapporci. Il candidato delle primarie del Pd potrà capitalizzare consenso a partire dalle differenze se saprà stemperare le divisioni esistenti tra i suoi elettori evitando di farne fazioni corrosive e belligeranti. Arte difficile, anche perché per vincere occorre che le divisioni vengano esaltate. Eppure, se la ricomposizione delle divisioni è l’obiettivo (l’unità del partito), la leadership democratica via primarie dovrà coltivare fin da ora l’aspirazione a una riconciliazione futura delle differenze di oggi. E per riuscirci i suoi candidati dovranno aver cura fin da ora di usare prudentemente l’animosità che la competizione richiede e stimola: per non farla tracimare e per impedire che alimenti antipatie profonde; per evitare che le differenze e le divisioni siano di ostacolo all’unità.
La Repubblica 15.11.12

“Il Pd e la prova per i giovani”, di Alfredo Reichlin

La politica cammina in fretta. Il problema che già si pone è cominciare a pensare ciò che sarà il Pd. È vero che siamo ormai i garanti e la forza portante della democrazia italiana e che, come dice Bersani, a questo punto «non ci ammazza più nessuno». Ma la vicenda delle primarie ha reso chiaro che anche una intera fase della vita del Pd si è conclusa.
Di fatto, questo nuovo rapporto con la gente ha già avviato un ricambio di gruppi dirigenti. Non per caso alcune componenti, tra cui quella cattolica ma anche quella che si rifà a una cultura più socialista, hanno avviato nuove riflessioni su se stesse e sul proprio ruolo. Comunque sia, le cose camminano in fretta. È chiaro che il Pd sarà presto sottoposto a una prova di governo (o di opposizione) molto impegnativa. Non nascondiamocelo. Si tratterà di ripensare il modi di essere di uno Stato vicino allo sfascio e di una società disgregata come quella italiana in rapporto alla necessità di adeguarsi a una realtà europea sempre più supernazionale, la quale si sta già formando: con le sue leggi e anche con le sue sfide e le sue occasioni. Per fare un solo esempio: come possiamo evitare di ripensare in questo quadro il futuro del Mezzogiorno, non come appendice assistita ed esposta a tutte le illegalità, ma come parte attiva della nuova Europa e della sua posizione nel Mediterraneo?
Ecco in che cosa consiste la necessità di un governo altamente politico e non di un «Monti bis». Ciò che molti anche tra noi non hanno capito è che il nostro problema non è quello di uscire dalla crisi come se si trattasse di una emergenza che prima o poi finirà e tutto tornerà come prima. Governare significa oggi pensare un’altra Italia. Questo è il punto. Bisogna pensare una Italia nuova che sia capace di stare dentro quello che è un profondo processo strutturale in corso in tutto il mondo, come ci dicono le elezioni americane e il congresso del partito comunista cinese. Lo strapotere della finanza, e quindi dell’economia del debito e delle rendite a spese del lavoro umano e della sovranità della democrazia politica, ha iniziato il suo declino. Ma non si tornerà al passato, non risorgeranno le vecchie fabbriche, né tornerà il compromesso socialdemocratico e pro-welfare (partiti di massa compresi) che fu alla base della vecchia civiltà industriale. Lo sviluppo non ripartirà dai vecchi consumi.
Proprio qui sta la necessità anche per il Pd di una svolta nel modo stesso di fare politica. È il rapporto tra i partiti e la società che è destinato a cambiare. È inevitabile. Io non ho titoli per dare consigli ma vorrei dire ai tanti giovani, molto validi e interessanti che si stanno facendo largo nelle file del Pd, che è su questo terreno che le nuove leadership saranno messe alla prova. È sul nesso politica, società, nuovi bisogni e nuove relazioni umane che spetterà loro costruire una nuova stagione del Pd. La politica che vincerà sarà quella che andrà alla scoperta delle risorse più profonde dell’Italia, un Paese dove esistono le cose più belle del mondo e dove la politica può progettare essa stessa nuove possibilità di occupazione e lavoro al di fuori del vecchio circuito dell’ accumulazione, delineando nuove economie, disegnando nuove possibili utilità sociali e ambientali, valorizzando l’umana operosità che il meccanismo attuale tende a usare in forme precarie. Ma questa nuova creatività della politica si può affermare solo creando un nuovo rapporto fra le classi, ridando alle masse operaie e popolari la forza di contare. Ho letto in questi giorni uno scritto di Walter Tocci che mi permetto di citare perché è proprio quello che mi preme di dire ai nuovi quadri dirigenti. Tutti parlano dei grandi difetti del Pd ma esso è oggi l’unica grande forza popolare che può garantire una svolta riformatrice nel Paese. La partita sulle prospettive democratiche del Paese è tuttora aperta perché esiste il Pd, altrimenti sarebbe buio pesto. Ma, senza assumere anche un grande progetto culturale non riusciremo temo a dare soluzione ai problemi aperti, quali l’incontro tra la cultura socialista e cattolica che sempre più dovrà avvenire nella profondità dei legami sociali e del riconoscimento dei valori, non nel vecchio teatrino politico.
Penso alla centralità del lavoro che deve essere alimentata da analisi, proposte e conquiste all’altezza della grande trasformazione in atto nei processi produttivi. Potrei continuare ma è la radicalità e la moderazione del termine democratico che vanno riscoperte per riconquistare la fiducia verso la politica e per attrarre le parti più consapevoli dell’elettorato moderato.
L’Unità 15.11.12

“Scuola, o una buona legge oppure nessuna legge”, di Francesca Puglisi*

La marea di studenti e di insegnanti che ha invaso le piazze italiane ed europee chiede di poter crescere e studiare in una scuola pubblica di qualità, di restituire dignità al lavoro, sconfiggendo disoccupazione giovanile e precarietà, un’Europa unita e solidale che sappia crescere nel segno dell’equità. In fondo è proprio questo il manifesto di Europa 2020: la consapevolezza che l’Europa tutta si salverà solo se tornerà ad investire in una crescita intelligente, inclusiva e sostenibile. È la scuola che può combattere le disuguaglianze, che fa crescere cittadini liberi e responsabili, che può far diventare il nostro un Paese unito. Da troppo tempo l’Italia non investe sul proprio capitale umano. Per questo la crescita si è inceppata da noi più che in altri Paesi europei. Servono urgentemente risorse per il diritto allo studio, per combattere la dispersione scolastica, investimenti per mettere in sicurezza le scuole ed edificarne di nuove, secondo criteri di sostenibilità ambientale e utili ad una rinnovata didattica. Nessun edificio pubblico è abbandonato al degrado come le scuole. Chiediamo al governo di ascoltare la voce di questa moltitudine di ragazzi e ragazze, di insegnanti e famiglie dimostrando più coraggio nell’investire nel futuro del Paese, chiedendo atti di generosità a chi non ha mai pagato. Le mobilitazioni in tutt’Italia parlano del profondo disagio che stanno vivendo gli insegnanti e gli studenti, di una scuola pubblica duramente provata da anni di tagli dissennati. Il Partito democratico dal primo giorno ha chiesto al governo dei tecnici, inascoltato, un’inversione di tendenza e nuovi investimenti. Ma ormai siamo convinti che serve il coraggio delle scelte di un governo politico di segno democratico e progressista, per avere una vera svolta e un vero cambio di agenda. Dopo aver bloccato nella legge di stabilità l’innalzamento a 24 ore dell’ orario di lavoro degli insegnanti e il conseguente licenziamento di decine di migliaia di precari, chiediamo di allentare il patto di stabilità interno per quegli enti locali che intervengono per la messa in sicurezza delle scuole e l’approvazione della nostra legge che permette ai cittadini di destinare l‘8xmille dell’Irpef al finanziamento dell’edilizia scolastica. Se la Legge Aprea che trasformava le scuole in fondazioni, che utilizzava la chiamata diretta per il reclutamento degli insegnanti e cancellava la partecipazione democratica alle scelte delle scuole non è diventata legge, il merito è del Pd, che alla Camera si è assunto la responsabilità di cambiarla profondamente. Sei nostri parlamentari fossero saliti da subito sull’Aventino insieme all’Idv, avremmo avuto la coscienza salva e la scuola privatizzata. Ora al Senato abbiamo chiesto audizioni con tutte le rappresentanze sindacali e associative degli studenti, del personale scolastico e delle famiglie. Siamo consapevoli dei nodi irrisolti sulla rappresentanza studentesca e gli statuti autonomi, che ci impegniamo a cambiare, dopo la nuova fase di ascolto. Se riusciremo ad arrivare a un disegno condiviso con tutto il mondo della scuola, avremo fatto un buon servizio al nostro Paese che ha bisogno di una profonda opera di ricostruzione delle istituzioni democratiche e dei valori che guidano chi, come noi, crede nella Costituzione. Se non riusciremo, nel confronto parlamentare, ad arrivare ad un disegno condiviso con le scuole, fermeremo il riordino degli organi collegiali. Perché le regole della partecipazione democratica o si scrivono assieme, o non si scrivono.
* Responsabile nazionale scuola del Pd