Latest Posts

"Fiat deve assumere i 145 operai Fiom", di Teodoro Chiarelli

In fabbrica Lavoratori Fiat all’uscita dallo stabilimento di Pomigliano d’Arco, dove «qualsiasi ulteriore assunzione comporterebbe il contemporaneo ricorso alla cassa integrazione». La Corte d’Appello di Roma ha dato ragione alla Fiom sull’assunzione di 145 lavoratori iscritti al sindacato metalmeccanici Cgil nello stabilimento di Pomigliano D’Arco. Confermata la sentenza del 21 giugno del Tribunale che aveva condannato il Lingotto per discriminazioni contro la Fiom, disponendo che 145 lavoratori con la tessera del sindacato di Maurizio Landini venissero assunti nella fabbrica. Alla data della costituzione in giudizio alla fine di maggio, su 2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano, nessuno risultava iscritto alla Fiom. Ad agosto la Corte d’Appello aveva giudicato «inammissibile» la richiesta della Fiat di sospendere l’ordinanza di assunzione per i 145 iscritti alla Fiom.

Fiat ha subito annunciato che ricorrerà in Cassazione e che si riserva ogni tipo di iniziativa legale. «Il numero attuale dei dipendenti dello stabilimento di Pomigliano è più che adeguato», ha detto ieri un portavoce del gruppo, facendo riferimento a quanto dichiarato il 30 giugno sulla sentenza di primo grado. «Le considerazioni di allora risultano ancor più valide oggi – ha aggiunto alla luce del fatto che l’azienda è già stata costretta a far ricorso negli ultimi mesi alla cassa integrazione per un totale di 20 giorni lavorativi, a causa della situazione del mercato automobilistico europeo».

Ecco cosa sostenne allora il Lingotto: «Qualsiasi ulteriore assunzione comporterebbe il contemporaneo ricorso alla cassa integrazione, se non a procedure di mobilità, nel caso in cui la cassa integrazione non fosse disponibile, per un numero di dipendenti corrispondente a quello dei nuovi assunti, inclusi probabilmente alcuni provenienti dal gruppo dei 145 appena assunti in esecuzione all’ordinanza del Tribunale». In poche parole: per ogni “nuovo” assunto imposto dal tribunale che entra, uno “vecchio” esce. La polemica è dunque destinata a montare.

La sentenza della Corte d’Appello ha scatenato una pioggia di dichiarazioni favorevoli da parte dei partiti di sinistra e centro sinistra, oltre alla soddisfazione di Cgil e Fiom. «E’ una buona notizia», ha chiosato la leader Cgil, Susanna Camusso. «Una vittoria della democrazia», ha aggiunto Landini, segretario della Fiom, che ricordando che restano da riassorbire nello stabilimento circa 2.500 lavoratori, ha lanciato una proposta: «Questo è il momento che tutti i lavoratori di Pomigliano rientrino e, se ci sono problemi, noi siamo pronti a contratti di solidarietà».

Secondo Sergio Cofferati, oggi europarlamentare Pd, «la sentenza è molto positiva e pone fine a un’inaccettabile vicenda», mentre per Cesare Damiano, capogruppo Pd nella commissione Lavoro della Camera, «ora bisogna normalizzare le relazioni sindacali». Nichi Vendola ha invitato «gli altri candidati alle primarie del centrosinistra, Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi e Laura Puppato, ad accompagnare il ritorno in fabbrica dei lavoratori di Pomigliano». Perplesso il segretario della Fim di Napoli, Giuseppe Terracciano: «Non spetta a me discutere una sentenza, ma sicuramente quella della Corte d’Appello creerà dei problemi alla Fiom e a tutti i lavoratori in cassa integrazione, così come quelli già assunti nella newco». Contrario al verdetto l’ex ministro Maurizio Sacconi (Pdl): «Una sentenza angosciante che impone alla Fiat operai comunisti. Da oggi impresa e lavoro sono meno liberi».

Ieri il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, ha annunciato che il sindacato vedrà Sergio Marchionne martedì 30 per esaminare il programma che Fiat intende portare avanti fabbrica per fabbrica». La riunione avverrà nel tardo pomeriggio dopo il Cda sui conti del terzo trimestre.

La Stampa 20.10.12

******

“Una sentenza importante”, di Nicola Cacace

LA SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO DI ROMA CHE ORDINA ALLA FIAT DI CORREGGERE la discriminazione anti Cgil assumendo i 145 operai della Fiom deliberatamente esclusi dalle assunzioni di Pomigliano, è un segnale importante. La decisione non è inaspettata: non si capisce come la Fiat avesse pensato di convincere i giudici che la sua decisione non aveva carattere antisindacale discriminatorio. Ma non è usuale trattandosi di Fiat, un’azienda che da più di 100 anni fa e disfa a suo piacimento le più «alte» decisioni, incamerando profitti negli anni buoni e cercando di scaricarli ad altri Stato, comunità locali, fornitori, clienti, territorio nei periodi di magra. Da un saggio del 2002, «Non Fiat», di Loris Campetti, (Cooper Castellucci), si apprende che già nel lontano 1930, grazie ad un convincente intervento del vecchio senatore Agnelli precipitatosi a Roma, in un mese il Parlamento vara la Legge Gazzera, che recitava: «sono vietati nuovi impianti di fabbriche o ampliamenti senza previo consenso del ministro della guerra». Una legge che in pratica blocca le avanzate trattative d’acquisto della Isotta Fraschini, piccola ma prestigiosa fabbrica di auto dell’epoca, da parte della Ford, che aveva già prenotato un terreno presso Livorno per industrializzare la produzione delle ammiratissime macchine italiane. Il fatto si è ripetuto 56 anni dopo, nel 1986, ancora una volta a danno della Ford, quando governi (e sindacati) bloccarono l’acquisto dell’Alfa Romeo da parte della grande azienda di Detroit, regalandola alla Fiat che la sta seppellendo.
Insomma la Fiat si comporta da anni nel nostro e suo Paese (ma fino a quando sarà anche suo?) come uno Stato nello Stato coi bei risultati sotto gli occhi di tutti: l’unico Paese europeo con un solo grande produttore nazionale, l’ultimo Paese europeo produttore di auto, con meno di 400mila pezzi in un mercato nazionale dove se ne vendono 1,5-2 milioni l’anno, l’unico grande mercato dell’auto alimentato al 70% da marche straniere e con tutti gli Stakeholders, parti interessate oltre agli azionisti al successo di una impresa, che non sono solo esclusi da ogni possibilità di difendere i loro legittimi interessi quanto talvolta anche delegittimati nelle loro richieste. Come quando il premier Monti, ricevendo a palazzo Chigi Marchionne ed Elkann, amministratore e presidente della Fiat, ebbe a sposare interamente le loro tesi di «piena libertà di investire dove più conveniva all’azienda», comportandosi più come un convinto liberista che come presidente del Consiglio della Repubblica. Allontanandosi in questo modo sia dalle più moderne teorie sulla responsabilità dell’impresa (soprattutto della grande impresa) che è responsabilità economica verso gli azionisti ma è anche responsabilità sociale verso tutti, sia dal comune comportamento che altri capi di governo da Obama a Merkel, da Sarkozy ad Hollande tengono con le multinazionali di casa loro quando devono difendere gli interessi nazionali. Chi non ricorda i tremendi rabbuffi di Obama allo scomparso boss di Microsoft Bill Gates, colpevole di trasferire in Cina tutte le sue produzioni, o della Merkel quando Marchionne tentò, maldestramente, di mettere le mani sulla Opel o di Sarkozy quando la Peugeot voleva delocalizzare in Serbia? Niente di tutto questo ha fatto il nostro presidente del Consiglio, tenendo fede alla ben nota fama di convinto liberista e antikeynesiano , come ci ha ricordato tra gli altri, l’ultimo numero dell’Economist mai smentito. Il premier non ha mostrato di seguire in questo neanche le raccomandazioni del suo vescovo Benedetto XVI che nell’ultima Enciclica, Charitas in Veritate, auspica la responsabilità sociale dell’impresa e condanna apertamente «le delocalizzazioni fatte senza attenzione agli interessi di lavoratori, fornitori e territorio». I giudici di Roma sono stati più attenti. Basterà a salvare la più grande azienda automobilistica d’Italia? Speriamo.

L’Unità 20.10.12

"Fiat deve assumere i 145 operai Fiom", di Teodoro Chiarelli

In fabbrica Lavoratori Fiat all’uscita dallo stabilimento di Pomigliano d’Arco, dove «qualsiasi ulteriore assunzione comporterebbe il contemporaneo ricorso alla cassa integrazione». La Corte d’Appello di Roma ha dato ragione alla Fiom sull’assunzione di 145 lavoratori iscritti al sindacato metalmeccanici Cgil nello stabilimento di Pomigliano D’Arco. Confermata la sentenza del 21 giugno del Tribunale che aveva condannato il Lingotto per discriminazioni contro la Fiom, disponendo che 145 lavoratori con la tessera del sindacato di Maurizio Landini venissero assunti nella fabbrica. Alla data della costituzione in giudizio alla fine di maggio, su 2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano, nessuno risultava iscritto alla Fiom. Ad agosto la Corte d’Appello aveva giudicato «inammissibile» la richiesta della Fiat di sospendere l’ordinanza di assunzione per i 145 iscritti alla Fiom.
Fiat ha subito annunciato che ricorrerà in Cassazione e che si riserva ogni tipo di iniziativa legale. «Il numero attuale dei dipendenti dello stabilimento di Pomigliano è più che adeguato», ha detto ieri un portavoce del gruppo, facendo riferimento a quanto dichiarato il 30 giugno sulla sentenza di primo grado. «Le considerazioni di allora risultano ancor più valide oggi – ha aggiunto alla luce del fatto che l’azienda è già stata costretta a far ricorso negli ultimi mesi alla cassa integrazione per un totale di 20 giorni lavorativi, a causa della situazione del mercato automobilistico europeo».
Ecco cosa sostenne allora il Lingotto: «Qualsiasi ulteriore assunzione comporterebbe il contemporaneo ricorso alla cassa integrazione, se non a procedure di mobilità, nel caso in cui la cassa integrazione non fosse disponibile, per un numero di dipendenti corrispondente a quello dei nuovi assunti, inclusi probabilmente alcuni provenienti dal gruppo dei 145 appena assunti in esecuzione all’ordinanza del Tribunale». In poche parole: per ogni “nuovo” assunto imposto dal tribunale che entra, uno “vecchio” esce. La polemica è dunque destinata a montare.
La sentenza della Corte d’Appello ha scatenato una pioggia di dichiarazioni favorevoli da parte dei partiti di sinistra e centro sinistra, oltre alla soddisfazione di Cgil e Fiom. «E’ una buona notizia», ha chiosato la leader Cgil, Susanna Camusso. «Una vittoria della democrazia», ha aggiunto Landini, segretario della Fiom, che ricordando che restano da riassorbire nello stabilimento circa 2.500 lavoratori, ha lanciato una proposta: «Questo è il momento che tutti i lavoratori di Pomigliano rientrino e, se ci sono problemi, noi siamo pronti a contratti di solidarietà».
Secondo Sergio Cofferati, oggi europarlamentare Pd, «la sentenza è molto positiva e pone fine a un’inaccettabile vicenda», mentre per Cesare Damiano, capogruppo Pd nella commissione Lavoro della Camera, «ora bisogna normalizzare le relazioni sindacali». Nichi Vendola ha invitato «gli altri candidati alle primarie del centrosinistra, Pier Luigi Bersani, Matteo Renzi e Laura Puppato, ad accompagnare il ritorno in fabbrica dei lavoratori di Pomigliano». Perplesso il segretario della Fim di Napoli, Giuseppe Terracciano: «Non spetta a me discutere una sentenza, ma sicuramente quella della Corte d’Appello creerà dei problemi alla Fiom e a tutti i lavoratori in cassa integrazione, così come quelli già assunti nella newco». Contrario al verdetto l’ex ministro Maurizio Sacconi (Pdl): «Una sentenza angosciante che impone alla Fiat operai comunisti. Da oggi impresa e lavoro sono meno liberi».
Ieri il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, ha annunciato che il sindacato vedrà Sergio Marchionne martedì 30 per esaminare il programma che Fiat intende portare avanti fabbrica per fabbrica». La riunione avverrà nel tardo pomeriggio dopo il Cda sui conti del terzo trimestre.
La Stampa 20.10.12
******
“Una sentenza importante”, di Nicola Cacace
LA SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO DI ROMA CHE ORDINA ALLA FIAT DI CORREGGERE la discriminazione anti Cgil assumendo i 145 operai della Fiom deliberatamente esclusi dalle assunzioni di Pomigliano, è un segnale importante. La decisione non è inaspettata: non si capisce come la Fiat avesse pensato di convincere i giudici che la sua decisione non aveva carattere antisindacale discriminatorio. Ma non è usuale trattandosi di Fiat, un’azienda che da più di 100 anni fa e disfa a suo piacimento le più «alte» decisioni, incamerando profitti negli anni buoni e cercando di scaricarli ad altri Stato, comunità locali, fornitori, clienti, territorio nei periodi di magra. Da un saggio del 2002, «Non Fiat», di Loris Campetti, (Cooper Castellucci), si apprende che già nel lontano 1930, grazie ad un convincente intervento del vecchio senatore Agnelli precipitatosi a Roma, in un mese il Parlamento vara la Legge Gazzera, che recitava: «sono vietati nuovi impianti di fabbriche o ampliamenti senza previo consenso del ministro della guerra». Una legge che in pratica blocca le avanzate trattative d’acquisto della Isotta Fraschini, piccola ma prestigiosa fabbrica di auto dell’epoca, da parte della Ford, che aveva già prenotato un terreno presso Livorno per industrializzare la produzione delle ammiratissime macchine italiane. Il fatto si è ripetuto 56 anni dopo, nel 1986, ancora una volta a danno della Ford, quando governi (e sindacati) bloccarono l’acquisto dell’Alfa Romeo da parte della grande azienda di Detroit, regalandola alla Fiat che la sta seppellendo.
Insomma la Fiat si comporta da anni nel nostro e suo Paese (ma fino a quando sarà anche suo?) come uno Stato nello Stato coi bei risultati sotto gli occhi di tutti: l’unico Paese europeo con un solo grande produttore nazionale, l’ultimo Paese europeo produttore di auto, con meno di 400mila pezzi in un mercato nazionale dove se ne vendono 1,5-2 milioni l’anno, l’unico grande mercato dell’auto alimentato al 70% da marche straniere e con tutti gli Stakeholders, parti interessate oltre agli azionisti al successo di una impresa, che non sono solo esclusi da ogni possibilità di difendere i loro legittimi interessi quanto talvolta anche delegittimati nelle loro richieste. Come quando il premier Monti, ricevendo a palazzo Chigi Marchionne ed Elkann, amministratore e presidente della Fiat, ebbe a sposare interamente le loro tesi di «piena libertà di investire dove più conveniva all’azienda», comportandosi più come un convinto liberista che come presidente del Consiglio della Repubblica. Allontanandosi in questo modo sia dalle più moderne teorie sulla responsabilità dell’impresa (soprattutto della grande impresa) che è responsabilità economica verso gli azionisti ma è anche responsabilità sociale verso tutti, sia dal comune comportamento che altri capi di governo da Obama a Merkel, da Sarkozy ad Hollande tengono con le multinazionali di casa loro quando devono difendere gli interessi nazionali. Chi non ricorda i tremendi rabbuffi di Obama allo scomparso boss di Microsoft Bill Gates, colpevole di trasferire in Cina tutte le sue produzioni, o della Merkel quando Marchionne tentò, maldestramente, di mettere le mani sulla Opel o di Sarkozy quando la Peugeot voleva delocalizzare in Serbia? Niente di tutto questo ha fatto il nostro presidente del Consiglio, tenendo fede alla ben nota fama di convinto liberista e antikeynesiano , come ci ha ricordato tra gli altri, l’ultimo numero dell’Economist mai smentito. Il premier non ha mostrato di seguire in questo neanche le raccomandazioni del suo vescovo Benedetto XVI che nell’ultima Enciclica, Charitas in Veritate, auspica la responsabilità sociale dell’impresa e condanna apertamente «le delocalizzazioni fatte senza attenzione agli interessi di lavoratori, fornitori e territorio». I giudici di Roma sono stati più attenti. Basterà a salvare la più grande azienda automobilistica d’Italia? Speriamo.
L’Unità 20.10.12

"Governo Monti, la scuola va in piazza. Ma con le altre categorie", di Alessandro Giuliani

Lo sdegno crescente per la Legge di Stabilità e la decisione dei sindacati di indire uno sciopero dell’istruzione troppo lontano, hanno convinto alcune rappresentanze a manifestare sin da subito. All’iniziativa della Cgil del 20 ottobre a Roma “Prima di tutto il lavoro” ci saranno gli studenti della Rete e dell’Udu. Al “No Monti day” i movimenti dei precari e degli inidonei. Le reazioni di protesta per i provvedimenti legislativi adottati dal Governo Monti, dalla riforma delle pensioni alla Legge di Stabilità in procinto di essere esaminata dei due rami parlamentari, stanno determinando un fenomeno sinora poco conosciuto. Almeno per i lavoratori della scuola, per gli studenti e per le loro rappresentanze. Nelle ultime ore, infatti, alcune di queste componenti hanno deciso di aderire a mobilitazioni e manifestazioni non propriamente di settore.
Complice la data ancora molto lontana dello sciopero di comparto, programmato per il 24 novembre (a tal proposito non sono mancate le critiche), e la crescente indignazione per l’ennesimo taglio di risorse alla scuola, nelle scuole si coglie l’esigenza di opporsi sin da subito. Anche partecipando ad iniziative di più ampio respiro.
Si comincia il 20 ottobre, con la manifestazione nazionale della Cgil ” Prima di tutto il lavoro “, una no stop che si svolgerà in piazza San Giovanni e che verrà chiusa con l’intervento del leader Susanna Camusso. L’iniziativa, che si soffermerà sul boom di precari e di lavoratori rimasti disoccupati, è stata organizzata dalla confederazione sindacale “con lo scopo di riunificare le centinaia di vertenze ancora senza soluzione e aprire un dialogo e un’azione comune tra tutti i soggetti che sono stati colpiti dalla crisi economica e che rischiano sempre più spesso di rimanere isolati”.
Nel corso della giornata parleranno lavoratori, lavoratrici, delegati di tutti i settori. E ci saranno anche delle rappresentanze della Rete degli Studenti medi e dell’Unione degli Universitari. “Saremo in piazza al fianco dei lavoratori – ha spiegato Daniele Lanni, Portavoce nazionale della Rete – per ribadire che è necessario rimettere al centro dell’agenda politica dell’Italia la scuola, l’università e il lavoro”.
“Perché – ha sottolineato il rappresentante degli studenti – è arrivato il momento in cui il Governo e le forze politiche del nostro Paese ascoltino le nostre voci e le nostre idee su queste questioni, e l’impegno comune di studenti e lavoratori in questo senso è fondamentale”.
Il sabato successivo, il 27 ottobre, è in programma il “No Monti day”: alla manifestazione, che si svolgerà sempre a Roma, si annuncia una massiccia partecipazione. Tanto che già sono stati prenotati 100 pullman da tutta Italia. Ad organizzare la giornata di protesta è stato un Comitato allargato, composto da un alto numero di organizzazioni e movimenti: dal No Tav della Valsusa alla Rete 28 aprile, dall’Unione Sindacale di Base alla Fiat di Pomigliano. Anche in questo caso non mancano rappresentanti del mondo della scuola: ci saranno, infatti, i movimenti dei precari della scuola e degli inidonei.
E siccome “si allunga di ora in ora la lista delle adesioni”, fanno sapere gli organizzatori, non è da escludere che nei prossimi giorni anche altre organizzazioni della scuola decidano di partecipare.

La Tecnica della Scuola 20.10.12

"Governo Monti, la scuola va in piazza. Ma con le altre categorie", di Alessandro Giuliani

Lo sdegno crescente per la Legge di Stabilità e la decisione dei sindacati di indire uno sciopero dell’istruzione troppo lontano, hanno convinto alcune rappresentanze a manifestare sin da subito. All’iniziativa della Cgil del 20 ottobre a Roma “Prima di tutto il lavoro” ci saranno gli studenti della Rete e dell’Udu. Al “No Monti day” i movimenti dei precari e degli inidonei. Le reazioni di protesta per i provvedimenti legislativi adottati dal Governo Monti, dalla riforma delle pensioni alla Legge di Stabilità in procinto di essere esaminata dei due rami parlamentari, stanno determinando un fenomeno sinora poco conosciuto. Almeno per i lavoratori della scuola, per gli studenti e per le loro rappresentanze. Nelle ultime ore, infatti, alcune di queste componenti hanno deciso di aderire a mobilitazioni e manifestazioni non propriamente di settore.
Complice la data ancora molto lontana dello sciopero di comparto, programmato per il 24 novembre (a tal proposito non sono mancate le critiche), e la crescente indignazione per l’ennesimo taglio di risorse alla scuola, nelle scuole si coglie l’esigenza di opporsi sin da subito. Anche partecipando ad iniziative di più ampio respiro.
Si comincia il 20 ottobre, con la manifestazione nazionale della Cgil ” Prima di tutto il lavoro “, una no stop che si svolgerà in piazza San Giovanni e che verrà chiusa con l’intervento del leader Susanna Camusso. L’iniziativa, che si soffermerà sul boom di precari e di lavoratori rimasti disoccupati, è stata organizzata dalla confederazione sindacale “con lo scopo di riunificare le centinaia di vertenze ancora senza soluzione e aprire un dialogo e un’azione comune tra tutti i soggetti che sono stati colpiti dalla crisi economica e che rischiano sempre più spesso di rimanere isolati”.
Nel corso della giornata parleranno lavoratori, lavoratrici, delegati di tutti i settori. E ci saranno anche delle rappresentanze della Rete degli Studenti medi e dell’Unione degli Universitari. “Saremo in piazza al fianco dei lavoratori – ha spiegato Daniele Lanni, Portavoce nazionale della Rete – per ribadire che è necessario rimettere al centro dell’agenda politica dell’Italia la scuola, l’università e il lavoro”.
“Perché – ha sottolineato il rappresentante degli studenti – è arrivato il momento in cui il Governo e le forze politiche del nostro Paese ascoltino le nostre voci e le nostre idee su queste questioni, e l’impegno comune di studenti e lavoratori in questo senso è fondamentale”.
Il sabato successivo, il 27 ottobre, è in programma il “No Monti day”: alla manifestazione, che si svolgerà sempre a Roma, si annuncia una massiccia partecipazione. Tanto che già sono stati prenotati 100 pullman da tutta Italia. Ad organizzare la giornata di protesta è stato un Comitato allargato, composto da un alto numero di organizzazioni e movimenti: dal No Tav della Valsusa alla Rete 28 aprile, dall’Unione Sindacale di Base alla Fiat di Pomigliano. Anche in questo caso non mancano rappresentanti del mondo della scuola: ci saranno, infatti, i movimenti dei precari della scuola e degli inidonei.
E siccome “si allunga di ora in ora la lista delle adesioni”, fanno sapere gli organizzatori, non è da escludere che nei prossimi giorni anche altre organizzazioni della scuola decidano di partecipare.
La Tecnica della Scuola 20.10.12

Miguel Gotor: «Ricostruzione civica del Paese È questa la sfida del segretario», di Simone Collini

La contrapposizione partiti-società civile? Per sapere come andrà a finire, se si continua così, basta guardare a quel che avvenne vent’anni fa. Quella tra giovani e vecchi? Per capire cosa ci sia sotto, bisogna invece andare più indietro e ripensare a cos’era l’Italia della prima metà del 500. Parola di storico. E di chi ora ha deciso di «dare una mano» a Bersani girando l’Italia per raccontare tutto ciò. Miguel Gotor è docente di Storia moderna presso l’Università di Torino. Durante la campagna per il congresso del Pd del 2009, scrive sul “Sole 24 Ore” un articolo sul «bersanese», in cui non si risparmiano critiche al linguaggio dell’allora candidato segretario. Bersani risponde. I due si conoscono. E ora il leader del Pd ha chiesto al docente universitario di impegnarsi nella campagna per le primarie. «Se avessi detto no mi sarei sentito un disertore. In questi giorni sono stato a Vicenza, Padova, Ravenna, Faenza, Rimini, Vercelli. I miei studi? Più che altro ne risente mia figlia di un anno».
E cosa racconta in queste iniziative?
«Intanto, che l’Italia ha una specificità, perché accanto alla crisi economica, che riguarda tutte le economie occidentali, abbiamo una crisi della democrazia rappresentativa. È vero che non è nuova, basti pensare che il primo biografo di Mazzini già nel 1901 parlava di «decadenza dei partiti», o a De Gasperi che nel ‘45 diceva che gli italiani si mostravano «stanchi dei partiti». Però oggi questa crisi è molto acuta, e se si dà la mano con la crisi economica per l’Italia arrivano tempi veramente difficili. Il cuore della sfida riformista è evitare che ciò avvenga».
Come?
«Bisogna intervenire sulla qualità della politica».
Lo dicono tutti, destra, sinistra, grillini… «Lo dicono. Me nell’azione di Bersani c’è un progetto di ricostruzione civica. Se si insiste sulla contrapposizione tra partiti e società civile, considerando i primi morti e la seconda il luogo della verginità e dell’incontaminazione, se affrontiamo la doppia crisi di cui parlavamo con la stessa lettura del ‘92 e del ’93, riconsegniamo l’Italia alla destra, come peraltro avvenne nel ’94 con Berlusconi».
Berlusconi appartiene al passato e qualche ragione a guardare con speranza nella società civile c’è, non crede?
«Pur se animati dalle migliori intenzioni, una contrapposizione tra partiti e società civile produce il rafforzamento di nuove forme di populismo, che non assumeranno il volto di Berlusconi ma si declineranno in modalità nuove che saranno dentro quel solco e che saranno subalterne a quel tipo di cultura politica».
E allora torniamo al punto di partenza: come se ne esce?
«Facendo appello al civismo italiano, alla società civica».
Società civile no, società civica sì? Sa di disputa sui nomi…
«No, è diversa la riflessione. Si tratta di fare appello all’associazionismo, alla ricchezza di mondi che si auto-organizzano in tante forme di volontariato, alla buona politica che è una ricchezza che deve essere valorizzata e di cui anche il Pd, con i suoi circoli, con i suoi militanti, è un’espressione. La proposta allora è passare dalla contrapposizione all’alleanza. Diamoci la mano e proviamo a rimettere in marcia il Paese. Dal punto di vista economico ma anche culturale, politico, con uno scatto civico. È su questo che si fonda il mio impegno».
Resta il problema dell’attuale credibilità dei partiti, non crede?
«Devono riconoscere i propri limiti, fare un passo indietro, e Bersani su questo ha dimostrato di essere assolutamente convinto. I partiti devono con umiltà trasformarsi in infrastrutture e mettersi a disposizione, con generosità, di questa riscossa civica. E devono assumersi dei rischi, uscire dal fortino. Le primarie sono una straordinaria occasione per provare a riconnettere politica e cittadinanza».
Le primarie stanno però creando problemi, non c’era un’altra strada?
«No, perché la leadership possibile, in un campo democratico e progressista, non può che passare attraverso una grande partecipazione e mobilitazione popolare. Solo se si riuscirà a stabilire una connessione sentimentale tra chi avrà la responsabilità di guidare il governo e milioni di italiani si può affrontare la duplice crisi». Finora si è discusso però più che altro di Monti bis e rottamazione.
«Quei due argomenti vengono usati per coprire la vera posta in gioco».
Che sarebbe?
«L’indisponibilità di Bersani a una nuova maggioranza che contenga ancora il Pdl, in qualunque sua forma, perché ormai è chiaro che vi sono ampi settori del mondo politico, finanziario e imprenditoriale che dietro la coperta del Monti bis in realtà rivogliono questa strana maggioranza, però legittimata dal voto popolare». Perché diceva che anche la polemica giovani-vecchi è una coperta?
«Perché dietro c’è un progetto di balcanizzazione del quadro politico italiano. La destra non è mai stata così debole perché frammentata. Si vorrebbe frammentare e indebolire anche il campo dei democratici e progressisti. Un sistema politico diviso e debole renderà più semplice operazioni finanziarie e economiche in cui ci sono dei rapporti tra paesi stranieri e propaggini nazionali. Qualcosa di molto simile avvenne nella prima metà del 500. Un’Italia più debole e divisa in fazioni fa comodo a tanti. Soprattutto in un momento in cui si sta decidendo un nuovo ruolo dell’Italia in Europa».
E le primarie, in tutto questo?
«La proposta politica di Bersani è non solo la più credibile ma anche l’argine più valido per ridare slancio e speranza all’Italia».

L’Unità 20.10.12

"L'esercito dei carnefici", di Adriano Sofri

Per registrare il passaggio della centesima donna assassinata nell’anno la sorte ha scelto due sorelle ragazze, la minore che fa da scudo all’altra e muore al suo posto.
E un assassino di 22 anni, che va a cercarle con il coltello in tasca, e prima ha pubblicato sulla sua pagina di Facebook, in una cornice colorata riempita di angioletti e cuoricini, parolette sulla “perdita di qualcuno che ami”. “Parole – leggo nei primi commenti – che stridono con il delitto…”. Temo di no, che non stridano. Temo che “la perdita di qualcuno che ami” significhi, per quello sciagurato, la scelta della “sua” ragazza di lasciarlo. Ammazzarla, perderla per sempre a se stessa e al mondo, è per lui il risarcimento della perdita. Fra quei pensierini – sdolcinatezza e coltello vanno volentieri assieme – c’era anche questo: “Se potessi esprimere un desiderio… non chiederei un amore perché un amore si conquista…”. Si dice così in amore, conquistare: salvo ripensare al senso terribile che il verbo prende all’improvviso. Non tanto all’improvviso, del resto, né “all’ennesima lite”, se c’era quel coltello pronto alla riconquista.
Il centesimo assassinio di donna ha questi tratti tremendamente penosi, che lo sottraggono all’abitudine e alla statistica. E tuttavia appartiene anche al catalogo degli altri che l’hanno preceduto e che lo seguiranno, quasi un assassinio di donna ogni due giorni. Qui sono due ragazze di Palermo, amate, brave, belle. Ma la violenza di cui sono vittime è un’epidemia che accomuna donne ammazzate, qualunque età abbiano, qualunque rango. Liceali con la media del nove e prostitute romene. Non sono loro a somigliarsi, ma i loro carnefici, uomini che uccidono donne, uomini che non sanno resistere alla perdita, e se ne consolano ammazzando, uomini che amano troppo per lasciar esistere fuori dal loro guinzaglio la donna che amano, uomini troppo orgogliosi per sopportare la ferita alla loro vanità. Sono tanti i siti che tengono il conto degli accessi e dei dettagli di questa epidemia, e si moltiplicano i libri che li ricapitolano. E però si moltiplicano anche violenze e uccisioni. Nell’estate appena passata, donne assassinate selvaggiamente erano incinte, anche alla vigilia del parto. L’orrore ha varianti infinite, e un’unica radice. Sono quasi sempre crimini di mariti, fidanzati, amanti, a volte padri e fratelli. Uomini che, una volta divenuti padroni di una donna — alla sua nascita, o al suo assenso, o alla sua conquista — non accetteranno più di esserne espropriati, da lei o da un rivale: che è lo stesso, perché ai loro occhi lei non esiste per sé, ma solo per un altro padrone. Hanno dalla loro, i poveri assassini di donne, una millenaria compassione, un’aura di grandiosità fatale e mai davvero sfatata, sicché ancora del loro gesto passano per vittime, anche quando, appena ieri, il codice abbia rinunziato a esonerarli se non a render loro onore. Quel pregiudizio anzi si rinvigorisce in proporzione al modo in cui cresce la libertà e la voglia di libertà delle donne. Non è più, non solo, un resto dell’uomo antico, è anche un tratto dell’uomo all’ultimo grido. Cala il numero degli omicidi, cresce quello dei femminicidi. Guardate quanto generosamente si impiega il termine: raptus. Anche quando si sono fatti chilometri con un coltello scaldato nella tasca.
Non so ancora se a Palermo la giovane vittima mancata — e con quale mutilazione dovrà sopravvivere, la metà di lei — avesse subìto minacce e le avesse confidate o denunciate. Nella maggioranza di queste tragedie è la norma, e nemmeno il più forte disgusto per la galera, quando non sia un modo necessario a impedire il male fatto ad altri, mi impedisce di pensare che occorra trattare come violenze — fino all’omicidio — già compiute le minacce e le molestie accertate vere e gravi di uomini alle “loro” donne. Salvo piangere il giorno dopo su una donna trucidata in un raptus con 50 coltellate dal “suo” uomo cui, tutt’al più, era stato consegnato un foglio che lo diffidava dal frequentare il quartiere della “sua” donna.

La Repubblica 20.10.12

******

Difende la sorella, uccisa a 17 anni”, di ROMINA MARCECA
Ancora una donna uccisa in Italia. Nel 2012 è la 100esima vittima dei femminicidi. A cadere sotto le coltellate dello stalker, il 22enne Samuele Caruso, è stata Carmela Petrucci, di cinque anni più giovane. La ragazzina era intervenuta per difendere la sorella Lucia, 18 anni, che aveva avuto una storia con l’assassino e che è rimasta ferita nell’aggressione. Caruso è stato arrestato. La perseguitava da mesi, da quando lei lo aveva lasciato perché pensava ancora al suo ex. Le inviava sms anonimi pieni di minacce. In uno era stato sinistramente esplicito: «Cenere sei e cenere ritornerai». E poi riusciva anche ad entrare nel suo profilo Facebook utilizzando la sua password. Samuele Caruso non voleva perdere Lucia, la ragazza che all’inizio dell’anno aveva conosciuto sul social network.
È la storia di un amore tra ragazzi finito prima in tormento e poi in tragedia. Una storia fatta di messaggi e scritte sulle bacheche di Facebook.
In uno degli ultimi sms, anonimo anche questo, Lucia aveva ricevuto un altro segnale inquietante proprio pochi giorni dopo l’inizio della scuola. Era in classe quando sul suo cellulare è comparsa la scritta: «Ti sto osservando, stai studiando Kant». E Lucia non aveva potuto fare a meno di far leggere quel messaggio alla sua compagna di banco. Era l’ora di filosofia.
È tutta nel racconto dei compagni di classe di Lucia Petrucci quella storia tormentata. Samuele Caruso, che sul suo profilo Facebook si faceva chiamare “Tigrotto”, non voleva perderla ed è diventato in poco tempo il suo stalker. Tanto che Lucia aveva deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine. Un compagno ricostruisce: «Lucia era andata, mi sembra di ricordare, dai carabinieri per presentare denuncia. Gli aveva raccontato quello che stava subendo, ma sarebbe stata rassicurata da un militare che le aveva consigliato di cambiare scheda del cellulare». In effetti, la ragazza da qualche mese aveva due cellulari: quello con il suo numero storico per parlare con i genitori e un altro con una scheda nuova. A mamma e papà non aveva detto nulla di quanto era successo, di quel nuovo numero. Aveva tenuto per sé anche questo particolare per non impensierire i genitori. Forse Lucia ieri all’uscita di scuola aveva fatto finta di niente
anche quando aveva visto Samuele appoggiato sul muro di fronte al liceo. Si era presentato lì l’ex fidanzato. Due compagne di Lucia, però, se ne erano accorte. «Era lì, l’abbiamo detto anche alla polizia. L’aspettava, l’ha seguita per ammazzarla ». Invece, la furia cieca del ragazzo ha spezzato la vita di Carmela, la sorella che ha tentato di difendere Lucia facendo da scudo.
Le due sorelle lunedì scorso erano arrivate da Londra, dove avevano frequentato un corso di inglese promosso dal ministero della Pubblica istruzione. Lucia sembrava serena, ma intanto sul suo profilo Facebook si verificavano alcune anomalie. Qualcuno era riuscito a rubarle la password e quel qualcuno, secondo i compagni di Lucia, era proprio Samuele. Proprio lui che, quando Lucia lo aveva lasciato, si era affrettato a cancellarsi dai contatti del social network della ragazza. «A chi stava accanto a Lucia accadevano cose fuori dal normale — racconta un’altra compagna, Eleonora — e anche a me sono arrivati sms anonimi».
«Quel ragazzo aveva uno sguardo strano — ricorda Elisa — e non mi piaceva per nulla. Indossava sempre gli occhiali scuri». «Di quello che stava accadendo a Lucia sapevamo pochissimo — dice un compagno — perché lei è molto riservata».
Di Lucia invece sapeva tutto, di certo, la sorella Carmela. È lei che le ha salvato la vita, difendendola dalle coltellate di Samuele. Dividevano la stessa camera, frequentavano la stessa classe di uno dei migliori licei classici della città, l’Umberto I. Carmela in pagella aveva la media del 9 e sognava di fare il medico, Lucia quella dell’8. Adesso, nella loro casa, è sceso il pesante sipario della tragedia. In ospedale, dove Lucia è stata operata, i genitori non si danno pace. «Due figlie splendide — dice la mamma delle sorelle Petrucci, Giusy — cresciute senza mai pretendere niente. Quest’assassino ha distrutto una famiglia».

La Repubblica 20.10.12

******

“Carmela, 17 anni, uccisa a coltellate voleva difendere la sorella dall’ex”, SALVO PALAZZOLO ALESSANDRA ZINITI

Hanno avuto appena il tempo di suonare il citofono di casa: «Apri, apri», hanno urlato al fratello. E sono corse verso la scale, con lo zaino della scuola ancora in spalla. Ma hanno percorso solo cinque gradini. Carmela e Lucia Petrucci, 17 e 18 anni, sono state bloccate dall’ex fidanzato di Lucia, un giovane di 23 anni, che impugnava un coltello. Lucia è stata colpita al fianco, al collo, all’addome. Carmela si è lanciata contro l’aggressore della sorella, e
pochi attimi dopo è stramazzata sui gradini, ferita a morte da due fendenti alla gola. Il giovane è fuggito. Lucia ha trovato la forza di prendere dallo zaino il cellulare e ha chiamato il 113: «Correte in via Uditore — ha sussurrato in lacrime — hanno ucciso mia sorella. È stato un ragazzo che conosco, Samuele Caruso, il mio ex».
È finita così una storia d’amore nata su Facebook, a gennaio. Lei, studentessa di uno dei licei più rinomati della città, il classico Umberto: papà funzionario della Corte dei Conti, mamma impiegata alla Forestale. Lui, invece, diplomato e disoccupato, di tanto in tanto barista nella periferia oltre la stazione centrale: padre carpentiere e madre casalinga, alle prese con cinque figli. «C’era un divario sociale e culturale incolmabile, alla fine evidentemente la storia non ha retto », scuote la testa il vicequestore Carmine Mosca, il capo della sezione Omicidi, dopo aver stretto il cerchio attorno all’ex fidanzato assassino.
La fuga di Samuele Caruso è durata fino alle cinque del pomeriggio: i poliziotti l’hanno trovato alla stazione di Bagheria, la cittadina alle porte di Palermo, dopo aver pedinato elettronicamente il suo cellulare. Indossava una maglietta pulita, aspettava un treno. Non ha provato a fuggire. E qualche minuto dopo, ha confessato: «Sono scappato a piedi, ho comprato una maglietta, ho preso un autobus. Lei non voleva tornare con me — ha detto con lucidità — aveva preferito un altro ex. Io le telefonavo, le mandavo messaggi, neanche con troppa insistenza. Ma lei mi diceva che fra noi era finito tutto. E ho perso la testa».
Intanto, all’ospedale Cervello, Lucia è al reparto di Rianimazione, in prognosi riservata. Non è in pericolo di vita, ma i medici la tengono sotto stretto controllo. I genitori, Serafino e Giusy Petrucci, si disperano: «Questo assassino deve marcire in carcere», dicono al sostituto procuratore Caterina Malagoli: «Deve promettercelo». E poi, un fiume di domande: «Cosa voleva quel ragazzo dalla nostra Lucia? Perché ci ha fatto questo?». I genitori non sapevano di quella storia nata su Facebook: «Le mie figlie stavano sempre chiuse in camera a studiare, uscivano pochissime volte», ripete la mamma. «Ma cosa deve fare un genitore per proteggere i propri ragazzi?».
In ospedale arriva anche nonna Carmela: ieri mattina, è andata a prendere a scuola le nipoti e le ha accompagnate in auto fino a casa. Poi, è entrata nel supermercato accanto al palazzo di via Uditore. «Ho sentito le urla delle mie nipoti — ricorda con un filo di voce — sono corsa verso casa. E ho visto quella scena terribile. Ho cercato di fare il massaggio cardiaco alla mia nipotina, mentre Lucia era accanto a me e ripeteva il nome di quel mostro. Ho cercato di fare di tutto — si dispera la nonna — ma non ce l’ho fatta».
In serata scatta un provvedimento di fermo per Caruso. Mentre i ragazzi dell’Umberto, il liceo che fu del giudice Giovanni Falcone, continuano la loro veglia silenziosa davanti l’ospedale Cervello. Dicono: «Lucia tornerà presto a scuola con noi».

La Repubblica 20.10.12

"L'esercito dei carnefici", di Adriano Sofri

Per registrare il passaggio della centesima donna assassinata nell’anno la sorte ha scelto due sorelle ragazze, la minore che fa da scudo all’altra e muore al suo posto.
E un assassino di 22 anni, che va a cercarle con il coltello in tasca, e prima ha pubblicato sulla sua pagina di Facebook, in una cornice colorata riempita di angioletti e cuoricini, parolette sulla “perdita di qualcuno che ami”. “Parole – leggo nei primi commenti – che stridono con il delitto…”. Temo di no, che non stridano. Temo che “la perdita di qualcuno che ami” significhi, per quello sciagurato, la scelta della “sua” ragazza di lasciarlo. Ammazzarla, perderla per sempre a se stessa e al mondo, è per lui il risarcimento della perdita. Fra quei pensierini – sdolcinatezza e coltello vanno volentieri assieme – c’era anche questo: “Se potessi esprimere un desiderio… non chiederei un amore perché un amore si conquista…”. Si dice così in amore, conquistare: salvo ripensare al senso terribile che il verbo prende all’improvviso. Non tanto all’improvviso, del resto, né “all’ennesima lite”, se c’era quel coltello pronto alla riconquista.
Il centesimo assassinio di donna ha questi tratti tremendamente penosi, che lo sottraggono all’abitudine e alla statistica. E tuttavia appartiene anche al catalogo degli altri che l’hanno preceduto e che lo seguiranno, quasi un assassinio di donna ogni due giorni. Qui sono due ragazze di Palermo, amate, brave, belle. Ma la violenza di cui sono vittime è un’epidemia che accomuna donne ammazzate, qualunque età abbiano, qualunque rango. Liceali con la media del nove e prostitute romene. Non sono loro a somigliarsi, ma i loro carnefici, uomini che uccidono donne, uomini che non sanno resistere alla perdita, e se ne consolano ammazzando, uomini che amano troppo per lasciar esistere fuori dal loro guinzaglio la donna che amano, uomini troppo orgogliosi per sopportare la ferita alla loro vanità. Sono tanti i siti che tengono il conto degli accessi e dei dettagli di questa epidemia, e si moltiplicano i libri che li ricapitolano. E però si moltiplicano anche violenze e uccisioni. Nell’estate appena passata, donne assassinate selvaggiamente erano incinte, anche alla vigilia del parto. L’orrore ha varianti infinite, e un’unica radice. Sono quasi sempre crimini di mariti, fidanzati, amanti, a volte padri e fratelli. Uomini che, una volta divenuti padroni di una donna — alla sua nascita, o al suo assenso, o alla sua conquista — non accetteranno più di esserne espropriati, da lei o da un rivale: che è lo stesso, perché ai loro occhi lei non esiste per sé, ma solo per un altro padrone. Hanno dalla loro, i poveri assassini di donne, una millenaria compassione, un’aura di grandiosità fatale e mai davvero sfatata, sicché ancora del loro gesto passano per vittime, anche quando, appena ieri, il codice abbia rinunziato a esonerarli se non a render loro onore. Quel pregiudizio anzi si rinvigorisce in proporzione al modo in cui cresce la libertà e la voglia di libertà delle donne. Non è più, non solo, un resto dell’uomo antico, è anche un tratto dell’uomo all’ultimo grido. Cala il numero degli omicidi, cresce quello dei femminicidi. Guardate quanto generosamente si impiega il termine: raptus. Anche quando si sono fatti chilometri con un coltello scaldato nella tasca.
Non so ancora se a Palermo la giovane vittima mancata — e con quale mutilazione dovrà sopravvivere, la metà di lei — avesse subìto minacce e le avesse confidate o denunciate. Nella maggioranza di queste tragedie è la norma, e nemmeno il più forte disgusto per la galera, quando non sia un modo necessario a impedire il male fatto ad altri, mi impedisce di pensare che occorra trattare come violenze — fino all’omicidio — già compiute le minacce e le molestie accertate vere e gravi di uomini alle “loro” donne. Salvo piangere il giorno dopo su una donna trucidata in un raptus con 50 coltellate dal “suo” uomo cui, tutt’al più, era stato consegnato un foglio che lo diffidava dal frequentare il quartiere della “sua” donna.
La Repubblica 20.10.12
******
Difende la sorella, uccisa a 17 anni”, di ROMINA MARCECA
Ancora una donna uccisa in Italia. Nel 2012 è la 100esima vittima dei femminicidi. A cadere sotto le coltellate dello stalker, il 22enne Samuele Caruso, è stata Carmela Petrucci, di cinque anni più giovane. La ragazzina era intervenuta per difendere la sorella Lucia, 18 anni, che aveva avuto una storia con l’assassino e che è rimasta ferita nell’aggressione. Caruso è stato arrestato. La perseguitava da mesi, da quando lei lo aveva lasciato perché pensava ancora al suo ex. Le inviava sms anonimi pieni di minacce. In uno era stato sinistramente esplicito: «Cenere sei e cenere ritornerai». E poi riusciva anche ad entrare nel suo profilo Facebook utilizzando la sua password. Samuele Caruso non voleva perdere Lucia, la ragazza che all’inizio dell’anno aveva conosciuto sul social network.
È la storia di un amore tra ragazzi finito prima in tormento e poi in tragedia. Una storia fatta di messaggi e scritte sulle bacheche di Facebook.
In uno degli ultimi sms, anonimo anche questo, Lucia aveva ricevuto un altro segnale inquietante proprio pochi giorni dopo l’inizio della scuola. Era in classe quando sul suo cellulare è comparsa la scritta: «Ti sto osservando, stai studiando Kant». E Lucia non aveva potuto fare a meno di far leggere quel messaggio alla sua compagna di banco. Era l’ora di filosofia.
È tutta nel racconto dei compagni di classe di Lucia Petrucci quella storia tormentata. Samuele Caruso, che sul suo profilo Facebook si faceva chiamare “Tigrotto”, non voleva perderla ed è diventato in poco tempo il suo stalker. Tanto che Lucia aveva deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine. Un compagno ricostruisce: «Lucia era andata, mi sembra di ricordare, dai carabinieri per presentare denuncia. Gli aveva raccontato quello che stava subendo, ma sarebbe stata rassicurata da un militare che le aveva consigliato di cambiare scheda del cellulare». In effetti, la ragazza da qualche mese aveva due cellulari: quello con il suo numero storico per parlare con i genitori e un altro con una scheda nuova. A mamma e papà non aveva detto nulla di quanto era successo, di quel nuovo numero. Aveva tenuto per sé anche questo particolare per non impensierire i genitori. Forse Lucia ieri all’uscita di scuola aveva fatto finta di niente
anche quando aveva visto Samuele appoggiato sul muro di fronte al liceo. Si era presentato lì l’ex fidanzato. Due compagne di Lucia, però, se ne erano accorte. «Era lì, l’abbiamo detto anche alla polizia. L’aspettava, l’ha seguita per ammazzarla ». Invece, la furia cieca del ragazzo ha spezzato la vita di Carmela, la sorella che ha tentato di difendere Lucia facendo da scudo.
Le due sorelle lunedì scorso erano arrivate da Londra, dove avevano frequentato un corso di inglese promosso dal ministero della Pubblica istruzione. Lucia sembrava serena, ma intanto sul suo profilo Facebook si verificavano alcune anomalie. Qualcuno era riuscito a rubarle la password e quel qualcuno, secondo i compagni di Lucia, era proprio Samuele. Proprio lui che, quando Lucia lo aveva lasciato, si era affrettato a cancellarsi dai contatti del social network della ragazza. «A chi stava accanto a Lucia accadevano cose fuori dal normale — racconta un’altra compagna, Eleonora — e anche a me sono arrivati sms anonimi».
«Quel ragazzo aveva uno sguardo strano — ricorda Elisa — e non mi piaceva per nulla. Indossava sempre gli occhiali scuri». «Di quello che stava accadendo a Lucia sapevamo pochissimo — dice un compagno — perché lei è molto riservata».
Di Lucia invece sapeva tutto, di certo, la sorella Carmela. È lei che le ha salvato la vita, difendendola dalle coltellate di Samuele. Dividevano la stessa camera, frequentavano la stessa classe di uno dei migliori licei classici della città, l’Umberto I. Carmela in pagella aveva la media del 9 e sognava di fare il medico, Lucia quella dell’8. Adesso, nella loro casa, è sceso il pesante sipario della tragedia. In ospedale, dove Lucia è stata operata, i genitori non si danno pace. «Due figlie splendide — dice la mamma delle sorelle Petrucci, Giusy — cresciute senza mai pretendere niente. Quest’assassino ha distrutto una famiglia».
La Repubblica 20.10.12
******
“Carmela, 17 anni, uccisa a coltellate voleva difendere la sorella dall’ex”, SALVO PALAZZOLO ALESSANDRA ZINITI
Hanno avuto appena il tempo di suonare il citofono di casa: «Apri, apri», hanno urlato al fratello. E sono corse verso la scale, con lo zaino della scuola ancora in spalla. Ma hanno percorso solo cinque gradini. Carmela e Lucia Petrucci, 17 e 18 anni, sono state bloccate dall’ex fidanzato di Lucia, un giovane di 23 anni, che impugnava un coltello. Lucia è stata colpita al fianco, al collo, all’addome. Carmela si è lanciata contro l’aggressore della sorella, e
pochi attimi dopo è stramazzata sui gradini, ferita a morte da due fendenti alla gola. Il giovane è fuggito. Lucia ha trovato la forza di prendere dallo zaino il cellulare e ha chiamato il 113: «Correte in via Uditore — ha sussurrato in lacrime — hanno ucciso mia sorella. È stato un ragazzo che conosco, Samuele Caruso, il mio ex».
È finita così una storia d’amore nata su Facebook, a gennaio. Lei, studentessa di uno dei licei più rinomati della città, il classico Umberto: papà funzionario della Corte dei Conti, mamma impiegata alla Forestale. Lui, invece, diplomato e disoccupato, di tanto in tanto barista nella periferia oltre la stazione centrale: padre carpentiere e madre casalinga, alle prese con cinque figli. «C’era un divario sociale e culturale incolmabile, alla fine evidentemente la storia non ha retto », scuote la testa il vicequestore Carmine Mosca, il capo della sezione Omicidi, dopo aver stretto il cerchio attorno all’ex fidanzato assassino.
La fuga di Samuele Caruso è durata fino alle cinque del pomeriggio: i poliziotti l’hanno trovato alla stazione di Bagheria, la cittadina alle porte di Palermo, dopo aver pedinato elettronicamente il suo cellulare. Indossava una maglietta pulita, aspettava un treno. Non ha provato a fuggire. E qualche minuto dopo, ha confessato: «Sono scappato a piedi, ho comprato una maglietta, ho preso un autobus. Lei non voleva tornare con me — ha detto con lucidità — aveva preferito un altro ex. Io le telefonavo, le mandavo messaggi, neanche con troppa insistenza. Ma lei mi diceva che fra noi era finito tutto. E ho perso la testa».
Intanto, all’ospedale Cervello, Lucia è al reparto di Rianimazione, in prognosi riservata. Non è in pericolo di vita, ma i medici la tengono sotto stretto controllo. I genitori, Serafino e Giusy Petrucci, si disperano: «Questo assassino deve marcire in carcere», dicono al sostituto procuratore Caterina Malagoli: «Deve promettercelo». E poi, un fiume di domande: «Cosa voleva quel ragazzo dalla nostra Lucia? Perché ci ha fatto questo?». I genitori non sapevano di quella storia nata su Facebook: «Le mie figlie stavano sempre chiuse in camera a studiare, uscivano pochissime volte», ripete la mamma. «Ma cosa deve fare un genitore per proteggere i propri ragazzi?».
In ospedale arriva anche nonna Carmela: ieri mattina, è andata a prendere a scuola le nipoti e le ha accompagnate in auto fino a casa. Poi, è entrata nel supermercato accanto al palazzo di via Uditore. «Ho sentito le urla delle mie nipoti — ricorda con un filo di voce — sono corsa verso casa. E ho visto quella scena terribile. Ho cercato di fare il massaggio cardiaco alla mia nipotina, mentre Lucia era accanto a me e ripeteva il nome di quel mostro. Ho cercato di fare di tutto — si dispera la nonna — ma non ce l’ho fatta».
In serata scatta un provvedimento di fermo per Caruso. Mentre i ragazzi dell’Umberto, il liceo che fu del giudice Giovanni Falcone, continuano la loro veglia silenziosa davanti l’ospedale Cervello. Dicono: «Lucia tornerà presto a scuola con noi».
La Repubblica 20.10.12