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"L'esercito dei carnefici", di Adriano Sofri

Per registrare il passaggio della centesima donna assassinata nell’anno la sorte ha scelto due sorelle ragazze, la minore che fa da scudo all’altra e muore al suo posto.
E un assassino di 22 anni, che va a cercarle con il coltello in tasca, e prima ha pubblicato sulla sua pagina di Facebook, in una cornice colorata riempita di angioletti e cuoricini, parolette sulla “perdita di qualcuno che ami”. “Parole – leggo nei primi commenti – che stridono con il delitto…”. Temo di no, che non stridano. Temo che “la perdita di qualcuno che ami” significhi, per quello sciagurato, la scelta della “sua” ragazza di lasciarlo. Ammazzarla, perderla per sempre a se stessa e al mondo, è per lui il risarcimento della perdita. Fra quei pensierini – sdolcinatezza e coltello vanno volentieri assieme – c’era anche questo: “Se potessi esprimere un desiderio… non chiederei un amore perché un amore si conquista…”. Si dice così in amore, conquistare: salvo ripensare al senso terribile che il verbo prende all’improvviso. Non tanto all’improvviso, del resto, né “all’ennesima lite”, se c’era quel coltello pronto alla riconquista.
Il centesimo assassinio di donna ha questi tratti tremendamente penosi, che lo sottraggono all’abitudine e alla statistica. E tuttavia appartiene anche al catalogo degli altri che l’hanno preceduto e che lo seguiranno, quasi un assassinio di donna ogni due giorni. Qui sono due ragazze di Palermo, amate, brave, belle. Ma la violenza di cui sono vittime è un’epidemia che accomuna donne ammazzate, qualunque età abbiano, qualunque rango. Liceali con la media del nove e prostitute romene. Non sono loro a somigliarsi, ma i loro carnefici, uomini che uccidono donne, uomini che non sanno resistere alla perdita, e se ne consolano ammazzando, uomini che amano troppo per lasciar esistere fuori dal loro guinzaglio la donna che amano, uomini troppo orgogliosi per sopportare la ferita alla loro vanità. Sono tanti i siti che tengono il conto degli accessi e dei dettagli di questa epidemia, e si moltiplicano i libri che li ricapitolano. E però si moltiplicano anche violenze e uccisioni. Nell’estate appena passata, donne assassinate selvaggiamente erano incinte, anche alla vigilia del parto. L’orrore ha varianti infinite, e un’unica radice. Sono quasi sempre crimini di mariti, fidanzati, amanti, a volte padri e fratelli. Uomini che, una volta divenuti padroni di una donna — alla sua nascita, o al suo assenso, o alla sua conquista — non accetteranno più di esserne espropriati, da lei o da un rivale: che è lo stesso, perché ai loro occhi lei non esiste per sé, ma solo per un altro padrone. Hanno dalla loro, i poveri assassini di donne, una millenaria compassione, un’aura di grandiosità fatale e mai davvero sfatata, sicché ancora del loro gesto passano per vittime, anche quando, appena ieri, il codice abbia rinunziato a esonerarli se non a render loro onore. Quel pregiudizio anzi si rinvigorisce in proporzione al modo in cui cresce la libertà e la voglia di libertà delle donne. Non è più, non solo, un resto dell’uomo antico, è anche un tratto dell’uomo all’ultimo grido. Cala il numero degli omicidi, cresce quello dei femminicidi. Guardate quanto generosamente si impiega il termine: raptus. Anche quando si sono fatti chilometri con un coltello scaldato nella tasca.
Non so ancora se a Palermo la giovane vittima mancata — e con quale mutilazione dovrà sopravvivere, la metà di lei — avesse subìto minacce e le avesse confidate o denunciate. Nella maggioranza di queste tragedie è la norma, e nemmeno il più forte disgusto per la galera, quando non sia un modo necessario a impedire il male fatto ad altri, mi impedisce di pensare che occorra trattare come violenze — fino all’omicidio — già compiute le minacce e le molestie accertate vere e gravi di uomini alle “loro” donne. Salvo piangere il giorno dopo su una donna trucidata in un raptus con 50 coltellate dal “suo” uomo cui, tutt’al più, era stato consegnato un foglio che lo diffidava dal frequentare il quartiere della “sua” donna.
La Repubblica 20.10.12
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Difende la sorella, uccisa a 17 anni”, di ROMINA MARCECA
Ancora una donna uccisa in Italia. Nel 2012 è la 100esima vittima dei femminicidi. A cadere sotto le coltellate dello stalker, il 22enne Samuele Caruso, è stata Carmela Petrucci, di cinque anni più giovane. La ragazzina era intervenuta per difendere la sorella Lucia, 18 anni, che aveva avuto una storia con l’assassino e che è rimasta ferita nell’aggressione. Caruso è stato arrestato. La perseguitava da mesi, da quando lei lo aveva lasciato perché pensava ancora al suo ex. Le inviava sms anonimi pieni di minacce. In uno era stato sinistramente esplicito: «Cenere sei e cenere ritornerai». E poi riusciva anche ad entrare nel suo profilo Facebook utilizzando la sua password. Samuele Caruso non voleva perdere Lucia, la ragazza che all’inizio dell’anno aveva conosciuto sul social network.
È la storia di un amore tra ragazzi finito prima in tormento e poi in tragedia. Una storia fatta di messaggi e scritte sulle bacheche di Facebook.
In uno degli ultimi sms, anonimo anche questo, Lucia aveva ricevuto un altro segnale inquietante proprio pochi giorni dopo l’inizio della scuola. Era in classe quando sul suo cellulare è comparsa la scritta: «Ti sto osservando, stai studiando Kant». E Lucia non aveva potuto fare a meno di far leggere quel messaggio alla sua compagna di banco. Era l’ora di filosofia.
È tutta nel racconto dei compagni di classe di Lucia Petrucci quella storia tormentata. Samuele Caruso, che sul suo profilo Facebook si faceva chiamare “Tigrotto”, non voleva perderla ed è diventato in poco tempo il suo stalker. Tanto che Lucia aveva deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine. Un compagno ricostruisce: «Lucia era andata, mi sembra di ricordare, dai carabinieri per presentare denuncia. Gli aveva raccontato quello che stava subendo, ma sarebbe stata rassicurata da un militare che le aveva consigliato di cambiare scheda del cellulare». In effetti, la ragazza da qualche mese aveva due cellulari: quello con il suo numero storico per parlare con i genitori e un altro con una scheda nuova. A mamma e papà non aveva detto nulla di quanto era successo, di quel nuovo numero. Aveva tenuto per sé anche questo particolare per non impensierire i genitori. Forse Lucia ieri all’uscita di scuola aveva fatto finta di niente
anche quando aveva visto Samuele appoggiato sul muro di fronte al liceo. Si era presentato lì l’ex fidanzato. Due compagne di Lucia, però, se ne erano accorte. «Era lì, l’abbiamo detto anche alla polizia. L’aspettava, l’ha seguita per ammazzarla ». Invece, la furia cieca del ragazzo ha spezzato la vita di Carmela, la sorella che ha tentato di difendere Lucia facendo da scudo.
Le due sorelle lunedì scorso erano arrivate da Londra, dove avevano frequentato un corso di inglese promosso dal ministero della Pubblica istruzione. Lucia sembrava serena, ma intanto sul suo profilo Facebook si verificavano alcune anomalie. Qualcuno era riuscito a rubarle la password e quel qualcuno, secondo i compagni di Lucia, era proprio Samuele. Proprio lui che, quando Lucia lo aveva lasciato, si era affrettato a cancellarsi dai contatti del social network della ragazza. «A chi stava accanto a Lucia accadevano cose fuori dal normale — racconta un’altra compagna, Eleonora — e anche a me sono arrivati sms anonimi».
«Quel ragazzo aveva uno sguardo strano — ricorda Elisa — e non mi piaceva per nulla. Indossava sempre gli occhiali scuri». «Di quello che stava accadendo a Lucia sapevamo pochissimo — dice un compagno — perché lei è molto riservata».
Di Lucia invece sapeva tutto, di certo, la sorella Carmela. È lei che le ha salvato la vita, difendendola dalle coltellate di Samuele. Dividevano la stessa camera, frequentavano la stessa classe di uno dei migliori licei classici della città, l’Umberto I. Carmela in pagella aveva la media del 9 e sognava di fare il medico, Lucia quella dell’8. Adesso, nella loro casa, è sceso il pesante sipario della tragedia. In ospedale, dove Lucia è stata operata, i genitori non si danno pace. «Due figlie splendide — dice la mamma delle sorelle Petrucci, Giusy — cresciute senza mai pretendere niente. Quest’assassino ha distrutto una famiglia».
La Repubblica 20.10.12
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“Carmela, 17 anni, uccisa a coltellate voleva difendere la sorella dall’ex”, SALVO PALAZZOLO ALESSANDRA ZINITI
Hanno avuto appena il tempo di suonare il citofono di casa: «Apri, apri», hanno urlato al fratello. E sono corse verso la scale, con lo zaino della scuola ancora in spalla. Ma hanno percorso solo cinque gradini. Carmela e Lucia Petrucci, 17 e 18 anni, sono state bloccate dall’ex fidanzato di Lucia, un giovane di 23 anni, che impugnava un coltello. Lucia è stata colpita al fianco, al collo, all’addome. Carmela si è lanciata contro l’aggressore della sorella, e
pochi attimi dopo è stramazzata sui gradini, ferita a morte da due fendenti alla gola. Il giovane è fuggito. Lucia ha trovato la forza di prendere dallo zaino il cellulare e ha chiamato il 113: «Correte in via Uditore — ha sussurrato in lacrime — hanno ucciso mia sorella. È stato un ragazzo che conosco, Samuele Caruso, il mio ex».
È finita così una storia d’amore nata su Facebook, a gennaio. Lei, studentessa di uno dei licei più rinomati della città, il classico Umberto: papà funzionario della Corte dei Conti, mamma impiegata alla Forestale. Lui, invece, diplomato e disoccupato, di tanto in tanto barista nella periferia oltre la stazione centrale: padre carpentiere e madre casalinga, alle prese con cinque figli. «C’era un divario sociale e culturale incolmabile, alla fine evidentemente la storia non ha retto », scuote la testa il vicequestore Carmine Mosca, il capo della sezione Omicidi, dopo aver stretto il cerchio attorno all’ex fidanzato assassino.
La fuga di Samuele Caruso è durata fino alle cinque del pomeriggio: i poliziotti l’hanno trovato alla stazione di Bagheria, la cittadina alle porte di Palermo, dopo aver pedinato elettronicamente il suo cellulare. Indossava una maglietta pulita, aspettava un treno. Non ha provato a fuggire. E qualche minuto dopo, ha confessato: «Sono scappato a piedi, ho comprato una maglietta, ho preso un autobus. Lei non voleva tornare con me — ha detto con lucidità — aveva preferito un altro ex. Io le telefonavo, le mandavo messaggi, neanche con troppa insistenza. Ma lei mi diceva che fra noi era finito tutto. E ho perso la testa».
Intanto, all’ospedale Cervello, Lucia è al reparto di Rianimazione, in prognosi riservata. Non è in pericolo di vita, ma i medici la tengono sotto stretto controllo. I genitori, Serafino e Giusy Petrucci, si disperano: «Questo assassino deve marcire in carcere», dicono al sostituto procuratore Caterina Malagoli: «Deve promettercelo». E poi, un fiume di domande: «Cosa voleva quel ragazzo dalla nostra Lucia? Perché ci ha fatto questo?». I genitori non sapevano di quella storia nata su Facebook: «Le mie figlie stavano sempre chiuse in camera a studiare, uscivano pochissime volte», ripete la mamma. «Ma cosa deve fare un genitore per proteggere i propri ragazzi?».
In ospedale arriva anche nonna Carmela: ieri mattina, è andata a prendere a scuola le nipoti e le ha accompagnate in auto fino a casa. Poi, è entrata nel supermercato accanto al palazzo di via Uditore. «Ho sentito le urla delle mie nipoti — ricorda con un filo di voce — sono corsa verso casa. E ho visto quella scena terribile. Ho cercato di fare il massaggio cardiaco alla mia nipotina, mentre Lucia era accanto a me e ripeteva il nome di quel mostro. Ho cercato di fare di tutto — si dispera la nonna — ma non ce l’ho fatta».
In serata scatta un provvedimento di fermo per Caruso. Mentre i ragazzi dell’Umberto, il liceo che fu del giudice Giovanni Falcone, continuano la loro veglia silenziosa davanti l’ospedale Cervello. Dicono: «Lucia tornerà presto a scuola con noi».
La Repubblica 20.10.12