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"Sui fondi per il sisma un antico pregiudizio", di Marco Imarisio

L’ennesimo severo monito dell’Europa, questa volta sotto forma di «indagine approfondita» sulle agevolazioni concesse dall’Italia alle imprese colpite da disastri naturali, non dice nulla di nuovo sulle nostre vergogne. Quando il ditino alzato serve a scoprire l’acqua calda, produce uno sgradevole effetto collaterale. L’ennesimo severo monito dell’Europa, questa volta sotto forma di «indagine approfondita» sulle agevolazioni concesse dall’Italia alle imprese colpite da disastri naturali, non dice nulla di nuovo sulle nostre vergogne. Non aggiunge niente a quel che già sapevamo. L’Antitrust di Bruxelles, bontà sua, si concentra su leggi, leggine e codicilli che hanno consentito aiuti in zone colpite da eventi naturali a partire dal 1990.
Nel comunicato ufficiale della Commissione viene espresso il «timore» che non tutte le aziende beneficiarie di quelle risorse abbiano subito danni reali. A Bruxelles non hanno mai sentito parlare di Scisciano, un piccolo Comune in provincia di Napoli che ancora quest’anno ha ricevuto duecentomila euro di incentivi per danni mai subiti durante il terremoto del 1980. Altrimenti non ci girerebbero troppo intorno, con quei timori e quei pudori. Forse non conoscono la storia dei comuni dell’Irpinia devastati dal sisma che furono trasformati in succursali di grandi aziende del Nord, attirate dai finanziamenti pubblici. Vennero, percepirono le sovvenzioni statali, e un attimo dopo chiusero gli stabilimenti. La nostra coazione a ripetere il peggio ci ha resi celebri non solo in Europa. Anche il terremoto dell’Aquila si sta rivelando un caso di scuola all’incontrario, con decreti d’urgenza uno via l’altro, che hanno generato decine di assunzioni inutili, milioni di euro gettati al vento e una ricostruzione mai avvenuta.
Non siamo innocenti insomma. Il lancio della prima pietra non è certo nelle nostre possibilità. Ma almeno in questo campo siamo consapevoli della nostra lunga tradizione di errori. L’inchiesta di Bruxelles arriva pochi giorni dopo la firma sui finanziamenti alle aziende colpite dal terremoto dello scorso maggio-giugno, nel mezzo di una ricostruzione divenuta parte integrante dei «compiti a casa» fatti in questi mesi alla ricerca di una nuova faccia e di una nuova credibilità italiana.

Il Corriere della Sera 18.10.12

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“L’Europa indaga sugli aiuti alle imprese terremotate Il sospetto: violazione della normativa sulla concorrenza”, Virginia Piccolillo

Non erano agevolazioni per danni da calamità, ma aiuti di Stato per diverse centinaia di milioni di euro. Con il sospetto di violazioni delle regole della concorrenza e del mercato, l’Unione europea ha intimato ieri all’Italia di sospendere, da subito, tutte le agevolazioni fiscali e previdenziali concesse alle imprese dal 2002 al 2011. Misure che l’Italia avrebbe dovuto notificare all’Ue, ma non lo ha fatto. E che includono quelle prese tra il 2002 e il 2003 in favore delle aree terremotate della Sicilia e di quelle alluvionate del Piemonte, entrambe degli anni 90, e quelle adottate tra il 2007 e il 2011 in favore di Umbria, Marche, Molise, Puglia e Abruzzo. Esclusi da questa procedura i provvedimenti per le zone terremotate dell’Emilia Romagna.
L’Ue non dice nulla di specifico riguardo ai lavoratori autonomi. Ma proprio ieri in un question time alla Camera il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha confermato che i terremotati dell’Aquila e dintorni dovranno ricominciare a pagare a Inps e Inail i contributi. E restituire quelli non pagati fino a dicembre 2012, trattenendo solo il 40%, per evitare che l’Unione europea consideri anche questa misura tra gli aiuti di Stato. Anche se è utile ricordare che i cosiddetti piccoli aiuti, di ammontare inferiore a 200.000 euro nel giro di 3 anni, sono esenti di notificazione alla commissione e non sono considerati aiuto di stato.
Per i contributi erogati alle aziende invece l’ingiunzione di sospensione arriva direttamente da Bruxelles. Il dubbio dell’Antitrust Ue è che non sia stata rispettata la regola base, prevista dal trattato: ovvero che a beneficiare degli aiuti previsti per le aziende vittima di calamità naturali non siano state solo le imprese che hanno davvero subito danni. O che quei danni siano stati causati da altro. O che il livello della compensazione fiscale ricevuta superi il danno effettivamente subito, o magari ripianato dall’assicurazione. Dovranno essere bloccati anche i ricorsi di fronte ai tribunali amministrativi delle imprese che chiedevano compensazioni fiscali e previdenziali sulla base di quelle norme. Ma è solo il primo passo. Se alla fine dell’indagine i dubbi Ue risulteranno confermati l’Italia sarà obbligata a recuperare dalle aziende che ne hanno beneficiato la somma ricevuta.
L’indagine è scattata nel 2011, quando una richiesta di informazioni proveniente da un tribunale italiano ha attirato l’attenzione della Commissione sull’esistenza dal 2002 in Italia di una serie di riduzioni delle imposte e dei contributi previdenziali e assicurativi. Nel mirino sono finite agevolazioni distribuite a pioggia in zone colpite da calamità naturali dopo il terremoto in Sicilia e l’alluvione in Piemonte degli anni 90 che riducono del 90% il debito fiscale e contributivo delle società interessate. La Corte di Cassazione, a più riprese, ha poi stabilito che tutte le persone colpite dalle calamità naturali in Sicilia e in Italia settentrionale avevano diritto a queste agevolazioni anche se avevano già versato gli oneri. Per questo le imprese che lo avevano già fatto si sono rivolte ai tribunali. Tra il 2007 e il 2011 agevolazioni del 60% a favore di Umbria e Marche (1997), Molise e Puglia (2002), e Abruzzo (2009), e del 50% a quelle situate nell’area siciliana colpita dall’eruzione e dal terremoto del 2002. L’avvio di un’indagine formale permette alla Commissione di esaminare più attentamente le misure e alle parti interessate di presentare osservazioni. Al termine si deciderà se aprire una procedura di infrazione.

Il Corriere della Sera 18.10.12

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«Restituire quei soldi significherebbe chiudere» Gli imprenditori dell’Aquila: abbiamo investito dando per acquisiti gli sgravi fiscali già concessi, Giusi Fasano

Antonio Cappelli, direttore aquilano di Confindustria, va dritto al punto: «Una tragedia enorme», dice. E se non fosse stato abbastanza chiaro aggiunge: «Questo è un altro terremoto, la botta finale per l’Aquila».
Interpreta l’umore dei suoi associati, il dottor Cappelli. Che «sono ovviamente preoccupati anche perché non stiamo parlando di pochi spiccioli. In alcuni casi sono milioni di euro…»
Soldi. Somme anche ingenti (dipende dalle dimensioni delle imprese) che gli imprenditori aquilani consideravano ormai acquisite e che invece — sorpresa — dovranno ridare allo Stato. O almeno così sembra stando alla circolare con la quale l’Inps ha sollevato la questione. L’istituto ha infatti già chiesto alle aziende di restituire gli importi sospesi nel 2009, l’anno del terremoto che fece 310 morti e che mise in ginocchio l’economia dell’Abruzzo, in particolare della provincia dell’Aquila.
La sospensione pensata dallo Stato per aiutare le imprese riguardava il 60% di contributi e imposte dovuti quell’anno. In pratica: un imprenditore che doveva 100 ha avuto uno «sconto» di 60 e ha cominciato a pagare gli altri 40 soltanto a partire dal 2010 e a rate (per dieci anni).
Adesso siamo al contrordine. L’Unione europea, che di tutto questo non sapeva nulla, vuole indagare sulla faccenda e intanto l’Inps, con la circolare notificata agli aquilani, ha precorso i tempi chiedendo i soldi prima dell’esito dell’inchiesta Ue. La richiesta non lascia spazio a dubbi: «Restituire quel 60 per cento a cominciare da subito, in 120 rate».
«L’unico modo per evitare questa tragedia è una sana discussione politica con l’Unione europea», dice Cappelli. «Ci affidiamo al premier Monti…»
«Inutile negare che la sospensione di contributi e Iva per noi sia stata importante», dice Ezio Rainaldi, a capo di un’azienda che si occupa di capannoni industriali e che ha 80 dipendenti. «Se ora si rimangiano le promesse e rivogliono indietro quegli aiuti il nostro futuro diventa incerto. Abbiamo investito, avevamo delle garanzie. Se ci limitiamo a fare i conti dell’Iva da restituire, rischio di perdere di colpo centinaia di migliaia di euro…». Si dichiara «preoccupato» anche il suo collega Guido Cantalini, presidente delle piccole e medie imprese di Confindustria dell’Aquila. Alla guida di un’impresa impiantistica da 25 lavoratori, Cantalini sa che «la richiesta immediata e brutale della restituzione di quei soldi per tanti di noi vorrebbe dire chiudere». Gli fa eco Corrado Martignoni, 35 dipendenti che producono pellicole plastiche per condensatori elettrici. «Preoccupato, certo», esordisce. «Ma che le devo dire? La prendo con filosofia perché vivo in un Paese dove valgono tutto e il contrario di tutto, certezze non ce ne sono».

Il Corriere della Sera 18.10.12