attualità, comunicati stampa, pari opportunità | diritti

"Accanimento giudiziario", di Giovanni Valentini

Accanimento giudiziario. Non si può definire altrimenti la sentenza con cui la Cassazione ha confermato la condanna di Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, a 14 mesi di reclusione per un reato di diffamazione. Un accanimento tanto più scoperto e intimidatorio, dopo che lo stesso Procuratore generale aveva chiesto invano le attenuanti generiche per una riduzione della pena. Poco importa, a questo punto, se fra un mese Sallusti finirà davvero in cella o piuttosto se verrà assegnato ai servizi sociali. Magari per l’assistenza degli anziani o dei disabili. Resta il fatto, senz’altro preoccupante per un Paese democratico e civile, che un direttore viene condannato al carcere per quello che si configura sostanzialmente come un reato d’opinione. Commesso, per di più, non da lui direttamente ma da un suo redattore. E quindi, in forza di quella mostruosità giuridica che — in contrasto con tutti i sacri principi del Diritto penale — prevede la cosiddetta responsabilità oggettiva. Una diffamazione, insomma, per interposta persona.
Ai fini di una valutazione non accademica del caso, non importa neanche tanto stabilire se il contenuto dell’articolo incriminato fosse falso — come sostiene la Cassazione — o meno. Per rispetto della magistratura, non vogliamo neppure entrare nel merito specifico della questione, rimettendoci al giudizio della Corte. La pubblicazione di una notizia non veritiera, o comunque di un’opinione espressa su questa base, non sempre è necessariamente diffamatoria e quando risulta tale perché lede l’onore o la reputazione altrui va giustamente sanzionata.
Ma il problema in realtà è un altro. Qui c’è un’evidente sproporzione tra il reato e la pena. E soprattutto, fra la legittima pretesa al risarcimento e la condanna al carcere. La privazione ancorché temporanea della libertà personale rappresenta un “vulnus” di un diritto fondamentale che non trova un’equa corrispondenza nella lesione subita.
Prima ancora di ricorrere alla giustizia, chi si sente a torto o a ragione diffamato da un giornalista e vuole ottenere il ripristino della propria onorabilità dovrebbe ottenere questo risultato attraverso una rettifica effettiva e tempestiva, e sappiamo bene che spesso non è così, piuttosto che attraverso la persecuzione del colpevole o peggio ancora in cambio di una somma di denaro. Anche il Diritto civile, del resto, contempla a favore del responsabile di un danno l’alternativa tra il risarcimento in forma specifica e quello in forma pecuniaria: per cui, secondo un esempio di scuola, quando il figlio minorenne del vetraio rompe con una pallonata una finestra o la vetrina di un negozio, il padre ha la facoltà di sostituire il vetro se per lui è più conveniente ovvero di rimborsare il danneggiato.
Nel campo dell’informazione, questo confine tra due diritti entrambi rilevanti e degni di tutela — da una parte, la reputazione; dal-l’altra, la libertà personale — è particolarmente sottile e delicato. Si fa in fretta a passare dalla giustizia alla censura. Vale a dire all’ingiustizia.
Per assolvere correttamente ai suoi compiti nei confronti e al servizio dei cittadini, la stampa è tenuta a rispettare le proprie responsabilità e a risponderne di conseguenza, ma non può essere sottoposta a un regime di intimidazione, a un bavaglio preventivo e permanente. Al limite, in certi casi deve anche poter sbagliare, se lo fa in buona fede o in condizioni particolari di necessità, per poi correggersi e ripristinare adeguatamente la verità. Alla fine, saranno i lettori e i cittadini a giudicare, cioè quel “popolo sovrano” in nome del quale si dovrebbe amministrare la giustizia in tribunale e approvare le leggi in Parlamento.
La Repubblica 27.09.12
******
SALLUSTI: GHIZZONI, PARLAMENTO ACCELERI PER SANARE VULNUS LEGISLATIVO
“La sospensione dell’esecuzione della pena per Sallusti è un atto che pone solo parzialmente rimedio ad un vulnus legislativo – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione cultura della Camera – Il problema non sta nella sentenza della Corte di Cassazione, ma nelle norme che prevedono la condanna al carcere per la diffamazione aggravata e l’omesso controllo del direttore. Il Parlamento ha il compito accelerare sui tempi di revisione delle norme e riportare così il nostro Paese ai livelli europei, intervenendo con una modifica che preveda sanzioni amministrative per i reati a mezzo stampa. È necessario trovare il giusto equilibrio e contemperare l’esigenza di tutela dei cittadini con la libertà di informazione, e su questo la Commissione che presiedo aprirà una riflessione. Mi auguro – conclude la Presidente Ghizzoni – che la libertà di stampa e d’opinione non siano mai messe in discussione, neppure quando si parla di intercettazioni.”