I neo laureati dovranno aspettare ancora. Per lo meno di finire i Tfa (Tirocinio formativo attivo, l’abilitazione). Come anticipato nei giorni scorsi il concorso per l’insegnamento nella scuola pubblica è riservato a docenti già abilitati. L’antitesi giovani/vecchi che aveva scatenato il dibattito nei giorni scorsi sembra concludersi. Alle prove possono iscriversi i precari che stanno nelle graduatorie a esaurimento (e dunque che hanno frequentato le Siss o superato i concorsi del 90 o del 99) e i laureati con il vecchio ordinamento, quindi fino all’anno accademico 2003/2004. Ei giovani? Profumo aveva manifestato più volte la necessità di “svecchiare” il corpo docente e quella di dare una opportunità ai ragazzi appena laureati. Il turno per loro però non arriverà prima del prossimo anno. Il Miur ha intenzione infatti di indire un nuovo concorso per la prossima primavera, stavolta riservato solo a coloro che avranno concluso il primo ciclo del Tfa (le cui lezioni stanno cominciando in questi giorni). PAURA Ma tra gli ammessi cresce la paura che la prima selezione (che costerà all’Erario circa un milione di euro) possa esaurire i posti a disposizione. Anche per anni. E dunque che alla fine si crei un’altra imponente mole di precari ad aggiungersi ai «bocciati» del prima tanche di concorso. E intanto arriva anche il parere del Cnpi (Consiglio nazionale pubblica istruzione): pur esprimendo una valutazione positiva per parti relative ai programmi d’esame, alle prove e alla valutazione dei titoli, il consiglio ritiene nel complesso «inopportuno» bandire un concorso in una fase di grande disagio per i precari della scuola, nel contesto di una riforma pensionistica che contribuisce a ridurre ulteriormente i posti disponibili e mentre è appena iniziato il percorso abilitante attraverso i Tfa. Per il Cnpi il concorso troverebbe «la sua giusta collocazione» solo dopo aver programmato un organico funzionale, dopo la completa l’attivazione delle procedure abilitanti e dopo la revisione delle classi di concorso. Il ministro Profumo è però ottimista: «credo che il concorso sia per gli insegnanti una grande opportunità – ha dichiarato ieri in occasione dell’apertura della biblioteca del Miur e che le persone con grande saggezza parteciperanno, perché sarà data loro la possibilità indipendentemente dalla loro posizione in graduatoria, di accelerare il loro percorso e di entrare in ruolo prima di altri». Ma i sindacati minacciano battaglia. L’Anief annuncia una pioggia di ricorsi. «È illegittimo escludere i laureati degli ultimi dieci anni o i soli dipendenti della scuola. Sbagliata la soglia dei quesiti della prova preselettiva. Manca una nuova graduatoria di merito per i prossimi tre anni». Così, dicono, si lasciano «fuori i giovani e i più esperti». E mentre sui social network i professori si chiedono perché fra i requisiti richiesti non ci sia alcun modo per indicare la propria esperienze nelle classi, la FlcCgil chiede di nuovo «un piano di investimenti nella scuola che coniughi il dato occupazionale con la qualità della scuola pubblica» e convoca i docenti e il personale scuola per il 12 ottobre, giorno di sciopero «per rivendicare quell’inversione di tendenza richiesta da tempo e che aprirebbe a un sano progetto di reclutamento».
L’Unità 26.09.12
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Due ragioni opposte si trasformano in due torti”, di Mario Castagna
Nessun giovane appena uscito dalle aule universitarie potrà parteciparvi e sarà solamente una seconda via per i tanti precari che in questi anni hanno faticato e accumulato posizioni in graduatoria per ottenere finalmente una cattedra: Purtroppo le indiscrezioni sul concorso per gli insegnanti voluto dal Ministro Profumo sono state confermate.
Nessun giovane appena uscito dalle aule universitarie potrà parteciparvi e sarà solamente una seconda via per i tanti precari che in questi anni hanno faticato e accumulato posizioni in graduatoria per ottenere finalmente una cattedra. Viene confermato così il teorema tipico della seconda Repubblica, in base al quale dietro ogni grande proclama si nasconde sempre una mezza misura. Ma le ansie mediatiche prevedono solo compromessi al ribasso e non veri processi di riforma. L’apertura ai giovani si è rilevata l’ennesimo grimaldello per ottenere un titolo sui giornali, e non per scardinare la segregazione generazionale che vede i nostri giovani fuori da ogni porta. Se il concorso si rileva solamente un rimescolamento delle graduatorie degli insegnanti precari, non è troppo lontano dal vero chiamarlo concorso truffa. Se è così è inutile farlo, meglio risparmiare qualche soldo da utilizzare per ristrutturare una scuola o assumere qualche insegnante di sostegno in più. L’esigenza di aprire la porta alla nuova generazione e di portarla finalmente dietro le cattedre era sacrosanta così come quella di riconoscere le esperienze di chi dietro una cattedra ci sta già da tanti anni senza nessuna garanzia. Ma il ministro Profumo rischia così di trasformare le due ragioni in due torti: la beffa per i precari, la pacca sulle spalle per i giovani. Due categorie sempre al centro di ogni impegno, tanto nominati quanto penalizzati. Questo concorso non valorizza l’insegnante italiano, demotivato, malpagato, abbandonato seppur pieno di buona volontà. L’onda di entusiasmo e di impegno con cui il mondo della scuola sempre ci sorprende, andrebbe invece sostenuta. Potrà capitare che rompa qualche argine, ma renderà fertile il terreno di un’Italia che fatica a ritrovare la speranza.
L’Unità 26.09.12
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Ghizzoni: su Cinecittà responsabilità economiche e sociali
Chi si fa carico di mettere in atto un piano industriale per Cinecittà ha una responsabilità sociale, oltre che economica: ogni azione deve essere finalizzata a tenere vivo un sito che rappresenta un bene comune per la cultura nazionale e internazionale. – lo dichiara Manuela Ghizzoni, presidente della Commissione Cultura della Camera, al termine dell’audizione del Presidente di Cinecittà –
È necessario proiettare la storia di Cinecittà sul futuro della produzione culturale e cinematografica e per farlo devono concorrere tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati. La Commissione – spiega Ghizzoni – continuerà nel suo compito e, dopo aver ascoltato con attenzione il Presidente Abete e i lavoratori, chiamerà in audizione anche i rappresentanti del Ministero del Tesoro e dei beni Culturali, detentori dei terreni e del 20% di Cinecittà Studios, solo così potrà esprimersi con un atto formale per giungere alla conclusione di una vicenda che si sta protraendo da troppo tempo e che – conclude la presidente Ghizzoni – deve risolversi con la valorizzazione di quello che è, a tutti gli effetti, un patrimonio che si inserisce nella storia e nel futuro culturale del nostro Paese.”
"La sensazione di una nuova frana che alimenta l’antipolitica" di Marcello Sorgi
Nel giorno in cui l’Onu approva una risoluzione a favore della lotta alla corruzione, Napolitano interviene contro «malversazioni e fenomeni di corruzione inimmaginabili e vergognose»: il riferimento allo scandalo della regione Lazio che ha portato lunedì sera la Polverini alle dimissioni è evidente, e il Capo dello Stato spera di scuotere i partiti dallo stallo che ha finora impedito di affrontare seriamente il problema dei finanziamenti pubblici a partiti e gruppi consiliari.
Ma al di là di promesse e impegni generici (da Berlusconi a Bersani, ieri in tanti sono intervenuti per cercare di parare le conseguenze di quel che è accaduto), ancora niente di concreto si muove. In realtà cresce il timore che dalle inchieste aperte in varie regioni possano uscire storie simili a quelle del Lazio, e non a caso il leader del Pd ha proposto ieri di imporre per legge trasparenza e certificazione dei bilanci regionali. Dalla Lombardia all’Emilia, a Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, emergono situazioni a rischio. Mentre Berlusconi e Alfano prendevano tempo, convocando i coordinatori locali del Pdl, ieri Daniela Santanchè ha chiesto apertamente le dimissioni di Formigoni. L’inchiesta di Napoli intanto rivela versamenti di centinaia di migliaia di euro ai gruppi consiliari. E da Palermo arriva la notizia che il governatore Lombardo ha potuto disporre di oltre trecentomila euro di dotazione personale senza obbligo di rendiconto.
La sensazione di una frana alle porte è ormai diffusa. E la possibilità che nel giro di poche settimane una sorta di «Regionopoli» possa abbattersi a livello nazionale, a pochi mesi dalle elezioni politiche, tiene i partiti in uno stato d’ansia e in attesa di conseguenze imprevedibili. Ieri a Washington il ministro degli esteri Terzi ha sottolineato i rischi d’immagine di un paese come l’Italia, nel momento in cui la lotta alla corruzione diventa un impegno condiviso a livello globale.
Ma non sarà facile raggiungere un accordo in Parlamento su una materia così delicata. Napolitano ha ammonito i partiti: non lamentatevi dell’antipolitica, se non siete in grado di ridare credibilità alla politica. Eppure, gli sforzi fatti finora dal ministro di giustizia Severino non hanno raggiunto risultati. Toccherà a Monti, al ritorno dagli Usa, valutare se premere ancora in questa direzione e se promuovere un’iniziativa del governo sui meccanismi di spesa delle Regioni. Lo aveva fatto per la Sicilia, portando Lombardo alle dimissioni. Adesso deve decidere se c’è spazio per un generale taglio dei costi anticorruzione.
La Stampa 26.09.12
"La sensazione di una nuova frana che alimenta l’antipolitica" di Marcello Sorgi
Nel giorno in cui l’Onu approva una risoluzione a favore della lotta alla corruzione, Napolitano interviene contro «malversazioni e fenomeni di corruzione inimmaginabili e vergognose»: il riferimento allo scandalo della regione Lazio che ha portato lunedì sera la Polverini alle dimissioni è evidente, e il Capo dello Stato spera di scuotere i partiti dallo stallo che ha finora impedito di affrontare seriamente il problema dei finanziamenti pubblici a partiti e gruppi consiliari.
Ma al di là di promesse e impegni generici (da Berlusconi a Bersani, ieri in tanti sono intervenuti per cercare di parare le conseguenze di quel che è accaduto), ancora niente di concreto si muove. In realtà cresce il timore che dalle inchieste aperte in varie regioni possano uscire storie simili a quelle del Lazio, e non a caso il leader del Pd ha proposto ieri di imporre per legge trasparenza e certificazione dei bilanci regionali. Dalla Lombardia all’Emilia, a Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, emergono situazioni a rischio. Mentre Berlusconi e Alfano prendevano tempo, convocando i coordinatori locali del Pdl, ieri Daniela Santanchè ha chiesto apertamente le dimissioni di Formigoni. L’inchiesta di Napoli intanto rivela versamenti di centinaia di migliaia di euro ai gruppi consiliari. E da Palermo arriva la notizia che il governatore Lombardo ha potuto disporre di oltre trecentomila euro di dotazione personale senza obbligo di rendiconto.
La sensazione di una frana alle porte è ormai diffusa. E la possibilità che nel giro di poche settimane una sorta di «Regionopoli» possa abbattersi a livello nazionale, a pochi mesi dalle elezioni politiche, tiene i partiti in uno stato d’ansia e in attesa di conseguenze imprevedibili. Ieri a Washington il ministro degli esteri Terzi ha sottolineato i rischi d’immagine di un paese come l’Italia, nel momento in cui la lotta alla corruzione diventa un impegno condiviso a livello globale.
Ma non sarà facile raggiungere un accordo in Parlamento su una materia così delicata. Napolitano ha ammonito i partiti: non lamentatevi dell’antipolitica, se non siete in grado di ridare credibilità alla politica. Eppure, gli sforzi fatti finora dal ministro di giustizia Severino non hanno raggiunto risultati. Toccherà a Monti, al ritorno dagli Usa, valutare se premere ancora in questa direzione e se promuovere un’iniziativa del governo sui meccanismi di spesa delle Regioni. Lo aveva fatto per la Sicilia, portando Lombardo alle dimissioni. Adesso deve decidere se c’è spazio per un generale taglio dei costi anticorruzione.
La Stampa 26.09.12
Bersani: "Degenerazioni e sprechi ripensiamo il federalismo", di Barbara Jerkov
Il federalismo e quella riforma del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra «per inseguire il secessionismo della Lega» contenevano errori seri. Bisogna ripensare il regionalismo, mettendo fine al moltiplicarsi di centri di spesa incontrollati dei quali gli abusi scoperchiati dal caso Lazio solo sono la punta di un iceberg. Pier Luigi Bersani, all’indomani delle dimissioni di Renata Polverini, rilancia sul piano delle riforme. E sulla responsabilità dei democrat del Lazio non si nasconde dietro a un dito. «Abbiamo sbagliato a non rovesciare il tavolo», chiarisce, ma avverte: «Noi di Fiorito non ne abbiamo, non permetterò il tentativo delle destre di metterci nel mucchio con il loro fango». «E’ finita una brutta storia e deve cominciare un cambiamento», premette Bersani.
Lo dicono tutti, segretario.
«Per l’amor di dio, vediamo chi fa i fatti».
Tornando al caso Lazio?
«Ha rivelato aspetti assolutamente indecorosi, sconvolgenti, che hanno colpito la gente per bene e chi fa politica con onestà e coscienza: si sono sentiti insultati, infangati da una vicenda drammatica e tristissima. Anche noi del Pd vogliamo trarne un insegnamento. Ma non accettiamo di essere messi nel mucchio, noi di Fiorito non ne abbiamo».
Avete avuto Lusi, però.
«Quella è una vicenda che non ci ha lasciato certo indifferenti, pur avendo riguardato la vita di un partito precedente al Pd. Il caso Lazio riguarda invece le istituzioni e la ferita è ancora più profonda».
C’è l’aspetto penale di Fiorito, ma anche quello politico. E i consiglieri del Pd hanno avallato quanto quelli del centrodestra l’assurda moltiplicazione dei soldi ai gruppi. Come risponde?
«Abbiamo riconosciuto con il gruppo dirigente del Lazio l’errore di non aver ribaltato il tavolo davanti a un incremento sconsiderato dei fondi per i gruppi. Riconosco però al gruppo dirigente del Lazio di aver avuto una reazione coerente nel mettere on line i nostri conti e nell’aver testimoniato la differenza tra chi spende soldi per dei manifesti sulla sanità e chi se li mette su un conto privato e ci mangia le ostriche. Soprattutto nella fase finale, i nostri consiglieri hanno avuto un ruolo incisivo sia nelle proposte di taglio delle spese sia mettendo sul tavolo le loro dimissioni, che è poi quello che ha messo in moto il meccanismo che ha portato alla fine della giunta Polverini».
Però c’è stato anche un abnorme aumento – da uno a 14 milioni di euro – di soldi a pioggia ai gruppi in Regione, proprio mentre la stessa Regione Lazio triplicava l’addizionale Irpef, tagliava 2.800 posti letto negli ospedali, introduceva il ticket per i disabili…, senza che i consiglieri del Pd facessero alcunché per opporsi, anzi votando regolarmente a favore.
«Lo ribadisco, abbiamo fatto un errore a non ribaltare il tavolo».
E questo errore qualcuno lo pagherà politicamente? Alfano vi sfida a non ricandidare nessuno dei consiglieri uscenti. Cosa risponde?
«Certamente il rinnovamento noi lo faremo, ma questa di Alfano è una provocazione che respingo al mittente. Perché questi hanno sguazzato nel fango e ora lo stanno mettendo nel ventilatore. Possiamo aver fatto degli errori ma noi, lo ripeto, di Fiorito non ne abbiamo, va bene? L’errore è stato aver ritenuto ammissibile, non dico nobile, il fatto che delle risorse di quell’entità e in quella logica fossero impegnate nell’attività politica. Ma nessuna ammucchiata, questo non lo consento. Detto ciò, è chiaro che si pone un problema di ordine generale. Queste cose non è che non devono succedere. Non devono poter succedere».
E come si fa a impedirlo?
«Ho apprezzato le intenzioni che ha dichiarato il presidente della Conferenza delle Regioni Errani su una drastica assunzione di responsabilità e un drastico cambiamento su tre questioni fondamentali. Primo, i costi. Siamo di fronte a una situazione – ho qui le tabelle – dove il Lazio spende 18 euro per abitante per il funzionamento del Consiglio regionale, Emilia e Toscana ne spendono 8. Può succedere che il Lazio abbia 19 commissioni, l’Emilia Romagna 7. Non c’è autonomia che giustifichi questo. Basta. Bisogna darsi una regola che dia costi Il Titolo V della Costituzione va assolutamente rivisto Affrontare subito con il governo costi, trasparenza e controlli basici per tutte queste strutture. Secondo punto, la trasparenza. Tutte queste spese, non solo i rendiconti ma anche le loro specificazioni, devono essere messi on line per legge. Terzo, deve esserci un controllo esterno: della Corte dei Conti, di un altro soggetto, ma ci deve essere. Io appoggio caldamente queste iniziative di Errani e le sosterrò con i nostri presidenti e aggiungo che questi tre punti – costi, trasparenza, controlli – vanno affrontati subito, anche discutendo con il governo».
In questo scorcio di legislatura?
«Subito, senza perdere altro tempo. Aggiungo, e questo tocca noi forze politiche: la prossima legislatura deve essere costituente, quindi dobbiamo avere un meccanismo che renda esigibile la riforma costituzionale con una legge da approvare subito all’inizio della prossima legi- slatura. Bisogna riflettere sul regionalismo. Perché negli ultimi dieci anni, e lo dice uno che ha fatto il presidente di Regione ed è sempre stato autonomista convinto, c’è stata una deriva per rispondere al rischio secessione della Lega. Abbiamo imbastito un’organizzazione dello Stato e un livello di autonomia delle Regioni che non ha contrappesi né razionalità».
Sta facendo autocritica per quel Titolo V della Costituzione votato dal centrosinistra in una notte?
«Assolutamente bisogna rivederlo. Le Regioni hanno avuto un ruolo straordinario ma devono riassumere una coerenza in un’organizzazione statale. Dobbiamo mettere un freno alla degenerazione di questo impianto. Per esempio, cosa che già all’epoca non mi piaceva, nell’ambito della Repubblica sono stati messi sullo stesso piano Stato, Regioni e autonomie senza nemmeno collegare questa operazione con un bilanciamento attraverso una Camera delle Regioni».
Sta dicendo, insomma, che è stata sbagliata tutta una politica di decentramento degli ultimi dieci anni?
«Non tutta sbagliata, ha avuto aspetti positivi che non vanno dimenticati. Ma non si può, per fare un esempio, pensare che la sanità a base regionale porti a costi abissalmente diversi tra una Regione e l’altra senza consentire nella dimensione centrale a un equilibrio di costi standard. Diamo un solco di coerenza e di razionalità. Io dico riflettiamoci».
Potrebbe aprirsi ora un nuovo caso Lazio in Lombardia con altre dimissioni in massa dei consiglieri del Pd?
«I numeri evidentemente contano. In Lombardia i pesi e le misure sono un po’ diversi. Se avessi la stessa certezza che dicendo ai miei dimettetevi la Regione verrebbe giù, non perderei un nanosecondo. Il problema è che questi delle destre se ne infischiano, paralizzando di fatto la più grande Regione italiana».
Per il Lazio si parla di un election day con le politiche. Lei condivide il rinvio del voto a primavera?
«No. Prima si vota meglio è. Non c’è nessun calcolo, badi bene. Basta girare per strada, sentire cosa dicono i cittadini del Lazio. Rivolgo un appello alle altre forze politiche: non trasciniamo questa situazione per favore, affrontiamola. Per parte nostra un rinnovamento ci sarà, senza avere dei Batman in giro».
A proposito di rinnovamento, intanto vanno avanti anche le primarie del centrosinistra. Questo quotidiano aumento delle candidature, ormai si è perso il conto degli annunci di discese in campo, non rischia di confondere o, per dirla con Enrico Letta, di dividere più che di includere?
«Abbiamo visto ben altro. Quando ci furono le primarie di Prodi ricordo che si presentò per candidarsi una signora incappucciata. A quelle successive Grillo si iscrisse a una sezione. Quelle dopo ancora finimmo in tribunale con Pannella. Dopodiché andarono tutte bene. Alla fine, creda a me, tutti questi candidati non ci saranno. Certo, il meccanismo si presta a rischi, critiche, slabbrature. Ma io sono assolutamente convinto del dato di fondo: aver mostrato in una situazione così drammatica del rapporto tra politica e società, nella crisi sociale più rilevante dal dopoguerra a oggi, di credere nella partecipazione e di metterci in gioco come partito e come segretario, riuscendo a parlare finalmente agli italiani dell’Italia, si risolverà in una cosa positiva per l’intero sistema».
Nella vostra carta degli intenti di fine luglio uno schema di programma di governo c’era già, nero su bianco. Una base, lei disse allora, da cui partire per costruire l’alleanza tra progressisti e moderati. Quella road map resta sempre valida? Vendola non perde occasione per rinnegarla.
«Resta assolutamente valida. Al di là di certe sottolineature o battute, la sostanza di quel patto va preservata e sarà preservata. Fuori dagli equivoci, naturalmente: io sto organizzando il campo dei progressisti. Dicendo che poi i progressisti devono rivolgersi in modo aperto a posizioni moderate, centrali, liberali, europeiste che tirino una riga sul populismo berlusconiano. Il nostro è un appello, una disponibilità, poi si vedrà. C’è poi l’aspetto della governabilità e della responsabilità che per me sono punti irrinunciabili: cessione di sovranità, cioè se non c’è un’intesa decidono i gruppi parlamentari a maggioranza; e gli impegni internazionali si mantengono fino alla scadenza».
C’è qualcosa – che sia la rottamazione o altro che da qui al giorno delle primarie lei proprio non vorrebbe più sentire?
«Vorrei non sentir più parlare di regole. Sono primarie di centrosinistra: se chiedo che chi va a votare si dichiari di centrosinistra, non ce l’ho con Renzi, ce l’ho con Batman e tutti i suoi. Perché io cedo sovranità ai cittadini però chiedo assunzione di responsabilità. Secondo: questa storia della rottamazione, sì. Si rottamano le macchine, non le persone, tanto meno le storie. Il rinnovamento ci vuole, ma il rinnovamento non è sradicamento dal tuo campo di valori. No, no e tre volte no».
Il Messaggero 26.09.12
Bersani: "Degenerazioni e sprechi ripensiamo il federalismo", di Barbara Jerkov
Il federalismo e quella riforma del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra «per inseguire il secessionismo della Lega» contenevano errori seri. Bisogna ripensare il regionalismo, mettendo fine al moltiplicarsi di centri di spesa incontrollati dei quali gli abusi scoperchiati dal caso Lazio solo sono la punta di un iceberg. Pier Luigi Bersani, all’indomani delle dimissioni di Renata Polverini, rilancia sul piano delle riforme. E sulla responsabilità dei democrat del Lazio non si nasconde dietro a un dito. «Abbiamo sbagliato a non rovesciare il tavolo», chiarisce, ma avverte: «Noi di Fiorito non ne abbiamo, non permetterò il tentativo delle destre di metterci nel mucchio con il loro fango». «E’ finita una brutta storia e deve cominciare un cambiamento», premette Bersani.
Lo dicono tutti, segretario.
«Per l’amor di dio, vediamo chi fa i fatti».
Tornando al caso Lazio?
«Ha rivelato aspetti assolutamente indecorosi, sconvolgenti, che hanno colpito la gente per bene e chi fa politica con onestà e coscienza: si sono sentiti insultati, infangati da una vicenda drammatica e tristissima. Anche noi del Pd vogliamo trarne un insegnamento. Ma non accettiamo di essere messi nel mucchio, noi di Fiorito non ne abbiamo».
Avete avuto Lusi, però.
«Quella è una vicenda che non ci ha lasciato certo indifferenti, pur avendo riguardato la vita di un partito precedente al Pd. Il caso Lazio riguarda invece le istituzioni e la ferita è ancora più profonda».
C’è l’aspetto penale di Fiorito, ma anche quello politico. E i consiglieri del Pd hanno avallato quanto quelli del centrodestra l’assurda moltiplicazione dei soldi ai gruppi. Come risponde?
«Abbiamo riconosciuto con il gruppo dirigente del Lazio l’errore di non aver ribaltato il tavolo davanti a un incremento sconsiderato dei fondi per i gruppi. Riconosco però al gruppo dirigente del Lazio di aver avuto una reazione coerente nel mettere on line i nostri conti e nell’aver testimoniato la differenza tra chi spende soldi per dei manifesti sulla sanità e chi se li mette su un conto privato e ci mangia le ostriche. Soprattutto nella fase finale, i nostri consiglieri hanno avuto un ruolo incisivo sia nelle proposte di taglio delle spese sia mettendo sul tavolo le loro dimissioni, che è poi quello che ha messo in moto il meccanismo che ha portato alla fine della giunta Polverini».
Però c’è stato anche un abnorme aumento – da uno a 14 milioni di euro – di soldi a pioggia ai gruppi in Regione, proprio mentre la stessa Regione Lazio triplicava l’addizionale Irpef, tagliava 2.800 posti letto negli ospedali, introduceva il ticket per i disabili…, senza che i consiglieri del Pd facessero alcunché per opporsi, anzi votando regolarmente a favore.
«Lo ribadisco, abbiamo fatto un errore a non ribaltare il tavolo».
E questo errore qualcuno lo pagherà politicamente? Alfano vi sfida a non ricandidare nessuno dei consiglieri uscenti. Cosa risponde?
«Certamente il rinnovamento noi lo faremo, ma questa di Alfano è una provocazione che respingo al mittente. Perché questi hanno sguazzato nel fango e ora lo stanno mettendo nel ventilatore. Possiamo aver fatto degli errori ma noi, lo ripeto, di Fiorito non ne abbiamo, va bene? L’errore è stato aver ritenuto ammissibile, non dico nobile, il fatto che delle risorse di quell’entità e in quella logica fossero impegnate nell’attività politica. Ma nessuna ammucchiata, questo non lo consento. Detto ciò, è chiaro che si pone un problema di ordine generale. Queste cose non è che non devono succedere. Non devono poter succedere».
E come si fa a impedirlo?
«Ho apprezzato le intenzioni che ha dichiarato il presidente della Conferenza delle Regioni Errani su una drastica assunzione di responsabilità e un drastico cambiamento su tre questioni fondamentali. Primo, i costi. Siamo di fronte a una situazione – ho qui le tabelle – dove il Lazio spende 18 euro per abitante per il funzionamento del Consiglio regionale, Emilia e Toscana ne spendono 8. Può succedere che il Lazio abbia 19 commissioni, l’Emilia Romagna 7. Non c’è autonomia che giustifichi questo. Basta. Bisogna darsi una regola che dia costi Il Titolo V della Costituzione va assolutamente rivisto Affrontare subito con il governo costi, trasparenza e controlli basici per tutte queste strutture. Secondo punto, la trasparenza. Tutte queste spese, non solo i rendiconti ma anche le loro specificazioni, devono essere messi on line per legge. Terzo, deve esserci un controllo esterno: della Corte dei Conti, di un altro soggetto, ma ci deve essere. Io appoggio caldamente queste iniziative di Errani e le sosterrò con i nostri presidenti e aggiungo che questi tre punti – costi, trasparenza, controlli – vanno affrontati subito, anche discutendo con il governo».
In questo scorcio di legislatura?
«Subito, senza perdere altro tempo. Aggiungo, e questo tocca noi forze politiche: la prossima legislatura deve essere costituente, quindi dobbiamo avere un meccanismo che renda esigibile la riforma costituzionale con una legge da approvare subito all’inizio della prossima legi- slatura. Bisogna riflettere sul regionalismo. Perché negli ultimi dieci anni, e lo dice uno che ha fatto il presidente di Regione ed è sempre stato autonomista convinto, c’è stata una deriva per rispondere al rischio secessione della Lega. Abbiamo imbastito un’organizzazione dello Stato e un livello di autonomia delle Regioni che non ha contrappesi né razionalità».
Sta facendo autocritica per quel Titolo V della Costituzione votato dal centrosinistra in una notte?
«Assolutamente bisogna rivederlo. Le Regioni hanno avuto un ruolo straordinario ma devono riassumere una coerenza in un’organizzazione statale. Dobbiamo mettere un freno alla degenerazione di questo impianto. Per esempio, cosa che già all’epoca non mi piaceva, nell’ambito della Repubblica sono stati messi sullo stesso piano Stato, Regioni e autonomie senza nemmeno collegare questa operazione con un bilanciamento attraverso una Camera delle Regioni».
Sta dicendo, insomma, che è stata sbagliata tutta una politica di decentramento degli ultimi dieci anni?
«Non tutta sbagliata, ha avuto aspetti positivi che non vanno dimenticati. Ma non si può, per fare un esempio, pensare che la sanità a base regionale porti a costi abissalmente diversi tra una Regione e l’altra senza consentire nella dimensione centrale a un equilibrio di costi standard. Diamo un solco di coerenza e di razionalità. Io dico riflettiamoci».
Potrebbe aprirsi ora un nuovo caso Lazio in Lombardia con altre dimissioni in massa dei consiglieri del Pd?
«I numeri evidentemente contano. In Lombardia i pesi e le misure sono un po’ diversi. Se avessi la stessa certezza che dicendo ai miei dimettetevi la Regione verrebbe giù, non perderei un nanosecondo. Il problema è che questi delle destre se ne infischiano, paralizzando di fatto la più grande Regione italiana».
Per il Lazio si parla di un election day con le politiche. Lei condivide il rinvio del voto a primavera?
«No. Prima si vota meglio è. Non c’è nessun calcolo, badi bene. Basta girare per strada, sentire cosa dicono i cittadini del Lazio. Rivolgo un appello alle altre forze politiche: non trasciniamo questa situazione per favore, affrontiamola. Per parte nostra un rinnovamento ci sarà, senza avere dei Batman in giro».
A proposito di rinnovamento, intanto vanno avanti anche le primarie del centrosinistra. Questo quotidiano aumento delle candidature, ormai si è perso il conto degli annunci di discese in campo, non rischia di confondere o, per dirla con Enrico Letta, di dividere più che di includere?
«Abbiamo visto ben altro. Quando ci furono le primarie di Prodi ricordo che si presentò per candidarsi una signora incappucciata. A quelle successive Grillo si iscrisse a una sezione. Quelle dopo ancora finimmo in tribunale con Pannella. Dopodiché andarono tutte bene. Alla fine, creda a me, tutti questi candidati non ci saranno. Certo, il meccanismo si presta a rischi, critiche, slabbrature. Ma io sono assolutamente convinto del dato di fondo: aver mostrato in una situazione così drammatica del rapporto tra politica e società, nella crisi sociale più rilevante dal dopoguerra a oggi, di credere nella partecipazione e di metterci in gioco come partito e come segretario, riuscendo a parlare finalmente agli italiani dell’Italia, si risolverà in una cosa positiva per l’intero sistema».
Nella vostra carta degli intenti di fine luglio uno schema di programma di governo c’era già, nero su bianco. Una base, lei disse allora, da cui partire per costruire l’alleanza tra progressisti e moderati. Quella road map resta sempre valida? Vendola non perde occasione per rinnegarla.
«Resta assolutamente valida. Al di là di certe sottolineature o battute, la sostanza di quel patto va preservata e sarà preservata. Fuori dagli equivoci, naturalmente: io sto organizzando il campo dei progressisti. Dicendo che poi i progressisti devono rivolgersi in modo aperto a posizioni moderate, centrali, liberali, europeiste che tirino una riga sul populismo berlusconiano. Il nostro è un appello, una disponibilità, poi si vedrà. C’è poi l’aspetto della governabilità e della responsabilità che per me sono punti irrinunciabili: cessione di sovranità, cioè se non c’è un’intesa decidono i gruppi parlamentari a maggioranza; e gli impegni internazionali si mantengono fino alla scadenza».
C’è qualcosa – che sia la rottamazione o altro che da qui al giorno delle primarie lei proprio non vorrebbe più sentire?
«Vorrei non sentir più parlare di regole. Sono primarie di centrosinistra: se chiedo che chi va a votare si dichiari di centrosinistra, non ce l’ho con Renzi, ce l’ho con Batman e tutti i suoi. Perché io cedo sovranità ai cittadini però chiedo assunzione di responsabilità. Secondo: questa storia della rottamazione, sì. Si rottamano le macchine, non le persone, tanto meno le storie. Il rinnovamento ci vuole, ma il rinnovamento non è sradicamento dal tuo campo di valori. No, no e tre volte no».
Il Messaggero 26.09.12
"Anni per avere un bimbo. Quanto è difficile adottare", di Gioia Salvatori
Un percorso burocratico ad ostacoli per le coppie che decidono di adottare un bambino. Colloqui, analisi, carte, incontri con gli psicologi, con i carabinieri e il giudice. Il racconto di Sonia e Gianluca che ora hanno un piccolo cinese: «Da una parte è doveroso sottoporsi a quanto richiesto dalla legge perché si tratta di un figlio. Dall’altra è un iter che logora anche i più volenterosi». E adottare in Italia è ancora più difficile.Sonia e Gianluca hanno 42 e 43 anni, vivono a Legnano e loro figlio è un bimbo nato in Cina che mentre parliamo gioca col cane di casa Camillo e chiama la mamma. Attira l’attenzione in perfetto italiano, è sereno, va all’asilo e ha colmato in fretta una distanza che pareva siderale. Il piccolo di casa viene dalla città di Zhengzhou, a sud di Pechino, provincia dell’Henan. Sonia e Gianluca volevano una bambina cinese, l’hanno cercata, nell’iter dell’adozione, pensando alle bimbe che in quella parte di mondo vengono uccise solo perché femmine.
Tempi lunghi
Sono stati fortunati: dopo tre anni di domande, certificati, colloqui al vaglio di assistenti sociali e giudici, davanti a loro si è materializzata una creatura cinquenne sorridente e ben predisposta, che aveva torturato tra le mani per giorni l’album fotografico dei futuri genitori, che li aspettava, li ha riconosciuti subito e subito si è fatta coccolare. Non femmina ma maschio, come il caso e la disponibilità del momento hanno voluto, tuttavia affettuosissimo, abituato ai baci e alle carezze dalla famiglia affidataria.
Ma iniziamo da capo, perché la gioia di avere un figlio adottivo non è mai gratis: si paga con complicazioni burocratiche e psicologiche, paure, ansie, soldi. L’adozione è una corsa a ostacoli: vince chi è più solido per tutto il tempo necessario a prepararsi all’arrivo del figlio, mai meno di due anni e mezzo, anche cinque, per un’adozione internazionale. Sonia, che ha atteso dal 2009 al 2012, lo definisce un tempo lungo ma «Un tempo necessario per abituarsi all’idea di essere genitori adottivi». Lei e Gianluca sono arrivati saldi di fronte alle difficoltà che l’iter per l’adozione presenta. Sonia, impiegata, aveva superato il lutto per il figlio che non arriva, le lacrime e quel sottile senso di scoramento davanti a una donna incinta. Gianluca, che tre anni fa era disoccupato, ha dovuto dimostrare che si dava da fare per trovare lavoro, che sapeva reagire davanti ai problemi. «I colloqui con gli assistenti sociali sono stati come un’analisi», raccontano, «hanno sviscerato tutto della coppia, risalendo fino alla nostra conoscenza».
Lavoro doveroso perché «prima di tutto c’è il futuro del bambino» ma per i due adulti è una prova pesante tra senso di invasività e timore di non essere compresi, scartati. Dopo gli assistenti sociali arriva il giudice onorario che vaglia la relazione. Sonia e Gianluca sono forti, ma davanti a quel giudice che decide se potrai essere genitore, tremano le gambe: «In 45 minuti ti giochi un anno passato tra uffici, corsi e colloqui con gli assistenti sociali, se ti bocciano puoi ricorrere ma i tempi si allungano alla grande».
Finito il colloquio tremano ancora per un mese e mezzo, un periodo vissuto in un limbo di ansia finché con arriva il responso: il certificato di idoneità che ti diploma genitore adottivo, via libera all’adozione internazionale. Per Sonia e Gianluca è arrivano nel 2010, a un anno dalla presentazione della domanda al tribunale dei minori di Milano. Duplice istanza, la loro, per adottare in Italia e all’estero.
Come i più, per il territorio nazionale non sono mai stati chiamati «nonostante ci siano ragazzi che restano in orfanotrofio fino a 18 anni, in Italia…», denunciano. Sono idonei ad adottare un bimbo straniero, però. Il peggio pare passato: «I cinque colloqui con gli assistenti sociali, con la paura delle incomprensioni, il senso di intrusività che ti danno, sono stati il periodo più stressante di tutto l’iter», racconta Sonia. Peggio di quando fai la prima domanda e devi presentare mille carte, compresi esami diagnostici, peggio di quando vai a colloquio coi carabinieri e ci vogliono sei mesi prima che la loro nota arrivi al tribunale minorile, «peggio di quando ti hanno già detto che c’è un bimbo per te ma ci vogliono nove mesi perché nel fascicolo cinese venga allegato il certificato di lavoro di tuo marito».
Il peggio pare passato e invece sono solo all’inizio. Ora c’è la fase due, in cui una delle scelte più difficili è quella dell’associazione a cui affidarsi: deve essere autorizzata e cooperare nel Paese a cui aspiri. «Abbiamo visitato sei enti: i tre più grandi che lavorano con la Cina e tre minori. A settembre del 2010 siamo tornati da uno dei tre maggiori, il C.i.f.a. e abbiamo conferito il mandato» racconta Sonia.
Si paga in questo momento la prima parte di una cifra che si aggira sui 20mila euro, compreso viaggio e tre settimane di permanenza in Cina. Dopo il mandato arrivano i mesi dell’attesa della chiamata «quelli in cui non devi pensare al tempo che passa», quelli in cui ti prepari ancora con corsi, incontri, confronti. Per Sonia e Gianluca c’era l’associazione il Filo di Arianna di Milano che avevano frequentato fin da prima di fare domanda al tribunale.
Si occupa anche di assistere i genitori adottivi nella fase del post-adozione, quella per cui nessuno, se non l’associazionismo, prevede servizi ad hoc. La presidente Nicoletta Belfanti racconta di ricevere e-mail da tutta Italia da parte di genitori adottivi che hanno problemi coi figli adolescenti e che non sanno a chi rivolgersi. Passa altro tempo e si fa giugno 2011, quando a casa squilla il telefono e all’altro capo ti dicono che c’è un bimbo adottabile che risponde alle tue disponibilità «Quando ci hanno convocato mi sono tremate le gambe, pensavamo di avercela fatta, finalmente».
Ma anche stavolta non si può dire l’ultima parola: bisogna comunicare alla Cina che Gianluca ha trovato lavoro e ci vogliono quasi nove mesi per avere il certificato, tradurlo, spedirlo e validarlo dall’altro capo del mondo. Gianluca e Sonia volano in Cina solo a febbraio del 2012, dopo tre anni dalla presentazione della domanda. Quel bimbo che gli avevano “abbinato” ha quasi un anno in più e lo ha passato con la famiglia affidataria.
Solo nei giorni appena precedenti l’arrivo dei nuovi genitori viene portato in un orfanotrofio dove Sonia e Gianluca lo incontrano con le lacrime agli occhi. Non una femmina ma comunque un figlio del popolo che avevano deciso di aiutare. Ora gioca, va all’asilo e ha fatto di una coppia una nuova famiglia. Sonia e Gianluca, ora, attendono solo che cresca.
L’Unità 26.09.12
